AINADAMAR
Capitolo due
Porcellana
Frodo
aveva incrociato delle
quasi invisibili quanto attente Guardie Elfo notturne che,
riconoscendolo,
avevano chinato la testa biondo oro, in maniera elegante e quasi
impercettibile, volendolo così salutare e riprendere poi a
mimetizzarsi con la
quiete notturna. Si era fermato, poco sorpreso dalla loro mansione,
sebbene lì
a Valinor fosse forse superfluo quel tipo di accorgimento difensivo,
dalla loro
presenza e dal fatto che l’avessero palesata in quel modo
così tipicamente cortese.
Aveva
ricambiato il gesto,
accennando un sorriso, per poi proseguire indisturbato. Nessuno gli
avrebbe mai
chiesto il perché di quella visita notturna non ufficiale, a
distanza di una
immediatamente precedente e sì regolata dai crismi del
cerimoniale.
Le
gambe lo avevano condotto
presso i piani inferiori, rallentando di fronte quella che sapeva
essere la
stanza che ospitava Gandalf.
Durante
la cena lo aveva
ringraziato dell’attenzione nei suoi confronti, affidandosi
ad uno sguardo di
gratitudine, piuttosto che a gesti o parole. Forse per non guastare
quello che
era il protocollo elfico, forse perché a parole non sarebbe
riuscito ad
esprimere nemmeno un terzo di quanto i suoi occhi affranti, ma
incredibilmente
belli e sinceri in quel frangente, avevano lasciato trasparire, simili
a due
gemme dall’indubbia purezza.
Aveva
lasciato vagare lo
sguardo sul legno immacolato della porta che separava la stanza di
Mithrandir
dal resto del Castello, accarezzandola virtualmente e mandandogli un
messaggio
in codice, un ulteriore segno di riconoscenza che sapeva sarebbe stato
colto,
senza indugio, da quella creatura incredibilmente solidale ed accorta
nei suoi
confronti.
“Frodo…”.
Lo
guardo profondo del Maiar, infatti, aveva captato in contemporanea
l’avvicinarsi e la sosta brevissima del piccolo Hobbit di
fronte la parete
lignea che li divideva. Aveva concentrato il suo udito finissimo sui
passi
felpati all’esterno della propria stanza. Da una sfumatura
appena accennata
aveva compreso che, nonostante la leggerezza, non era un Elfo a
percorrere
solitario i corridoi, ma uno Hobbit.
Chi
altri se non Frodo?
Aveva
avvertito la sua presenza, sorpreso per quel tornare sui propri
passi. Era un dettaglio che lo aveva portato ad intuirne, ancora di
più, se
possibile, i pensieri amareggiati e recidivi, difficili da ordinare
coerentemente, ma non si era mosso dalla finestra presso la quale aveva
passato
buona parte della nottata a fumare ed osservare il bosco rigoglioso che
cingeva
il lato Ovest della nuova dimora di Galadriel, andando a terminare in
un
declivio sabbioso che si gettava quasi direttamente nel Mare
cristallino di
Valinor.
Si
era reso conto del fatto che non poteva fare nulla di più
per Frodo, se
non fargli intendere, di nuovo, che ricambiava pienamente il suo
affetto.
“Non
è abbastanza…”, aveva mormorato tra
sé e sé, mentre una ruga più
decisa delle altre aveva deturpato la superficie dell’alta
fronte. Lo sguardo
si era incupito dalla preoccupazione e la sofferenza, per
quell’impossibilità
di agire - i suoi poteri non avrebbero risolto nulla in quel caso,
infatti - al
punto da rendere impossibile distinguere il nero della pupilla dal blu
notte
dell’iride solitamente luminosa.
Non
è abbastanza…
Tutti
coloro che avevano partecipato all’Avventura
dell’Anello e che adesso
dimoravano al di là dei Porti Grigi, avevano espresso
così la loro frustrazione
nei confronti della situazione di Frodo ed egli stesso non poteva fare
altro
che annuire in quel senso. Elrond lo aveva ribadito ulteriormente,
mentre si
congedava dai suoi ospiti, una mezz’ora dopo
l’uscita di scena di Frodo e
Bilbo. Il vederlo cantare serenamente per alcuni istanti, non li aveva
ingannati e solo parzialmente rincuorati.
Il
Signore di Gran Burrone si era così guadagnato
un’occhiata grave, ma
colma di assenso da parte di Galadriel, cosa che lo aveva rammaricato.
L’ammirazione profonda che aveva sempre nutrito nei confronti
della Signora dei
Galadhrim, madre di Celebrían, sua sposa ritrovata, lo aveva
fatto dispiacere. Il
momento di impasse era stato superato grazie ai cenni di assenso da
parte dei
convitati che si erano trattenuti più a lungo e, confortato
della stretta di
mano di Celebrían, si era con lei eclissato nella quiete
della notte, per
raggiungere la propria dimora imperitura.
Vedendo
le due figure regali e luminose allontanarsi dal Castello, Gandalf
aveva riflettuto sul fatto che quella comunanza di idee non lo faceva
sentire
meglio. Era ingiusto che il piccolo Hobbit avesse dovuto sopportare da
solo,
dapprima il fardello dell’Anello e adesso, le conseguenze di
quell’insieme di
circostanze che si erano intrecciate in maniera così
inestricabile con la sua
vita, al punto da continuare a segnarla.
That wound will never fully heal. He will carry
it for
the rest of his life…
Lo
aveva predetto moltissimo tempo prima con il Signore di Rivendell, ma
ora comprendeva appieno il significato di quella frase e desiderava
fortemente
di aver avuto torto.
Si
chiese allora fino a che punto fosse stato positivo l’aver
condotto
Frodo al di là dei Porti Grigi. L’averlo
condannato all’infelicità eterna lo
faceva sentire enormemente colpevole. Non era questo che si era
augurato per
quello Hobbit che tanto amava.
Queste
erano state le
riflessioni di Gandalf, mentre Frodo aveva proseguito il suo cammino
notturno,
fino a raggiungere il patio marmoreo e deviare poi in direzione della
fontana
dalle acque zampillanti.
Ora
avvertiva scemare poco
alla volta il dolore alla spalla che era tornato a tormentarlo anche
lì fuori,
e se prima, nella sua stanza, aveva avuto forse senso uscire per
cercare un
qualche conforto nella vastità dello spazio aperto, adesso
sarebbe risultato
assolutamente incongruo allontanarsi ulteriormente o, peggio, tornare
indietro,
accalappiato e pressato da mura opprimenti.
Rimase
dunque lì.
Solo
dopo aver preso quella
decisione inconscia, ma determinata, sembrò rendersi conto
della meta finale
del suo vagabondaggio notturno.
Era
tornato di nuovo nel
Castello della Dama di Lothlórien.
La
gola gli parve
incredibilmente riarsa ed una sete improvvisa prese a torturargli il
palato,
dal quale, da qualche minuto, il retrogusto, tanto familiare quanto
detestato,
del metallo della paura era scomparso. Facendo leva sulle braccia e
sollevandosi così un po’ dal terreno, immerse la
testa quasi completamente
nell’acqua deliziosamente fresca e bevve sorsate lunghe e
ravvicinate. Quando
riemerse, una sequela di gocce simultanee gli cadeva sul volto,
scendendo dai
capelli grondanti come tante lacrime copiose. Vi passò
allora le mani
strizzandoli grosso modo, per poi chiudere per un attimo gli occhi,
godere di
quella sensazione di sazietà e pulito, come se
l’acqua avesse mondato parte
dell’umore melanconico che avvertiva costantemente, ed infine
riaprirli, le
ciglia brune imperlate da piccole gemme trasparenti, fissandoli sulle
proprie
mani adesso immerse a loro volta nell’acqua.
Illuminate
da quella luce
notturna e complice la trasparenza del liquido vitale, apparivano quasi
opalescenti, di un bianco-rosato difficilmente riscontrabile in natura.
Forse
solo alcuni marmi riuscivano a rendere l’idea oppure la
carnagione sana
sapientemente tinteggiata dai Valar, sul volto di qualche creatura
particolarmente fortunata da questo punto di vista.
Ormai
avrebbe dovuto esservi
abituato, ma non era ancora così. Non totalmente almeno.
Ritrovarsi di fronte
agli occhi nove dita anziché dieci, non poteva essere
considerato normale. Non
era una caratteristica degli Hobbit quella. Pippin, Merry, Sam, Bilbo e
perfino
quell’antipatica di Lobelia avevano dieci dita. A lui ne
rimanevano invece
nove, e a causa dello scontro più brutale e
dell’attacco più selvaggio che
avesse mai subito da Gollum.
L’attimo
di incertezza che lo
aveva colto, quando avrebbe dovuto invece gettare senza ripensamenti
l’Anello,
era stato fatale perché aveva permesso il ritorno di un
Gollum inferocito, che
gli si era aggrappato addosso nonostante il suo essere invisibile e gli
aveva
così strappato l’Anello dal dito, mordendoglielo
con un odio spropositato e
finendo con il recidergli nettamente una buona parte del medio.
Il mio tesoro!
Il
dolore era stato
insopportabile. Sul momento però, aveva percepito solo il
fluire del sangue
dall’odore dolciastro e ferroso e reagito istintivamente,
scagliandosi contro
Gollum, facendolo finire nella lava.
Deglutendo
malamente al
ricordo di quell’attacco cattivo e onestamente feroce contro
la sua persona,
sentì tutta
l’angoscia investirlo di
nuovo, come se si fosse trovato in balia di un fiume in piena,
ingrossato da
piogge torrenziali.
Sebbene
il dolore fisico
fosse adesso un ricordo e la ferita rimarginata, quel moncherino gli
sbatteva
continuamente sotto gli occhi che lui non era più quel Frodo Baggins.
Ecco
dunque a risposta alla
domanda:
Sono
ancora io?
No.
Se
lo era a questo punto solo
formalmente di nome*, non poetava più esserlo di fatto.
Frodo
Baggins della Contea
avrebbe abbracciato spontaneamente Gandalf o chiunque altro esprimendo
gratitudine.
Frodo
Baggins esiliato dalla
Contea no.
Si
rivide solo, una volta
fatto ritorno nel verde lussureggiante di Hobbiton, a Casa Baggins, i
giorni
che passavano, il tentativo di rimettere ordine nella sua vita normale,
le ore
trascorse a scrivere il suo manoscritto da aggiungere a quello dello
stesso
Bilbo, le stanze forse troppo silenziose nonostante la presenza di Sam,
Rosie e
della piccola Elanor, la casa all’improvviso troppo grande ed
estranea, il
malessere latente che diveniva sempre più palese, la
decisione di abbandonare
la Contea e usufruire così del posto vacante, sulla nave
diretta a Valinor, che
un tempo era stato assegnato ad Arwen Undómiel.
I
suoi ricordi vennero
interrotti bruscamente da un rumore di sottofondo. L’eco
intrecciata di
centinaia di voci lamentose e piangenti. Sforzandosi di capire da dove
venissero, ebbe come l’impressione che fossero le acque della
fontana a
produrle. Gli parve di riconoscervi anche dei singhiozzi a lui noti,
sebbene
non poté dare loro un nome concreto.
Un
po’ spaesato da quelle
grida silenziose e forse frutto della sua mente non del tutto serena,
percepì
il frusciare appena percettibile, eppure inconfondibile, di lunghe
gonne
femminili.
Prima
di averla accanto, la
riconobbe per via del profumo delicato di essenze di fiori di niphredil
e miele che ne avvolgeva costantemente la persona regale. Voltandosi
allora
lentamente, ne scorse l’immagine per intero.
Galadriel,
Signora della Luce
Sempiterna, sostava a meno di tre metri dal piccolo Hobbit.
Magnificamente vestita
con un lungo abito bianco di tessuto impalpabile e iridescente, stretto
appena
intorno alla vita sottile da una morbida fascia, con scollo quadrato e
ampie
maniche a sbuffo, ricamate con lo stesso tulle prezioso che adornava
anche
l’orlo della gonna e della sottogonna, si stagliava, come la
creatura eterea
che era, su quello scenario naturale e di innegabile effetto visivo.
I
lunghissimi capelli biondo
platino le incorniciavano il volto dalla bellezza non comune e
ricercata,
seppur niente affatto costruita, scendendo come tante onde appena mosse
nei
pressi delle punte, perfettamente sfumate in una tonalità di
oro purissimo.
Il
capo era privo di
coroncine preziose o altri ornamenti e lo stesso manto setoso dei
capelli era
stato liberato dalle forcine che di giorno ne mettevano invece ordine e
con
un’arte particolarmente squisita.
Il
volto era esattamente di
quell’incarnato che Frodo aveva ricordato qualche attimo
prima, le guance lisce
e ravvivate da una sfumatura pesca appena percepibile.
Gli
occhi, leggermente
allungati nella forma, erano di un cupo blu oltremare, profondi, in
grado di
comprendere appieno e forse ancora di vaticinare, esattamente come lo
specchio
omonimo che le apparteneva, e frangiati da ciglia naturalmente lunghe e
curve.
Una
silhouette alta, aggraziata e dalle
tipiche orecchie a punta, ad
indicare la sua natura elfica.
I
suoi lineamenti assunsero
un’espressione particolarmente dolce osservando la figuretta
tenera ed un po’
smarrita del piccolo Halfling. Sorrise incrociandone lo sguardo serio
che aveva
in quel momento un misto tra l’innocenza del bambino, la
saggezza di un
novantenne mortale e paradossalmente la grazia di un Elfo.
Era
una descrizione che
corrispondeva perfettamente alla natura sfaccettata di Frodo e aveva
avuto modo
di pensarlo in più di un’occasione.
Lo
aveva amato da subito,
sorprendendosi lei stessa per prima, di un amore puro, fatto di affetto
profondo, empatia istintiva e qualcosa di simile alla cura materna o al
desiderio di proteggerlo. Un sentimento dunque al quale era difficile
dare un
nome standardizzato, ma che ben stava sotto la categoria Amore,
appunto, nella
sua accezione più ampia. E questo di per sé era
un fatto eccezionale, essendo
lei un Elfo e quindi poco propensa alla manifestazione esplicita dei
propri
sentimenti, men che meno nei confronti di sconosciuti.
Dopo
aver superato la
tentazione dell’Anello, in occasione del loro primo in contro
in quel di
Lothlórien, aveva deciso di sostenerlo con ogni mezzo
possibile, avendo chiaro
il quadro delle appena posteriori difficoltà della Compagnia
che si sarebbe,
infatti, di lì a poco divisa.
Gli
aveva donato la fiala
vitrea contenente la stella di Eärendil affinché la
utilizzasse nei momenti
difficili, ma non lo aveva aiutato solo così. Era entrata
nei suoi sogni,
cercando di confortarlo con quel legame onirico, dandogli letteralmente
la mano
in alcune circostanze. Sperava di esservi in parte riuscita ed aveva
accolto
con gioia la notizia della sua traversata del sulla nave per Valinor.
Lo aveva
aspettato lì sull’imbarcadero, con Elrond e
Gandalf e anche in quell’occasione
lo aveva salutato con un sorriso rassicurante e pieno di calore,
dispiacendosi
di averlo trovato così provato e ancora molto coinvolto
dall’eredità di
quell’esperienza così deleteria per lui.
E
nessuno meglio di lei
poteva capire cosa volesse dire solitudine, per via di una grande
responsabilità.
Lei
stessa era la Custode di
uno dei Tre Anelli Elfici.
Ne
aveva ancora chiara
l’immagine sul molo, intento a salutare commosso e diviso in
due da più voci
prive di comunanza di idee, gli Hobbit suoi amici. Poi c’era
stata la voce di
Gandalf a richiamarlo e a farlo salire sull’imbarcazione che
lentamente aveva
preso a solcare le acque limpide e di un verde dalle molteplici
sfumature.
Li
ricordava appunto così gli
Hobbit. Piccoli nella statura, ma dalla grandezza morale indiscutibile
e dotati
di una resistenza fisica che avrebbe fatto invidia al più
grande degli Uomini.
E relativamente a Frodo, lo vedeva ancora così: piccino,
vicino la fontana;
comprensibilmente sorpreso nel vederla lì, almeno quanto era
sorpreso di
trovarsi di nuovo nella sua dimora regale; confuso, perché
colto nel bel mezzo
di riflessioni che lo avevano estraniato dalla realtà
circostante.
Ore
prima, dopo aver salutato due silenziosi Elrond e Celebrían,
la figlia
che aveva infine riabbracciato, e un pensieroso Gandalf, aveva
raggiunto i
pieni superiori del Castello. Accompagnata da un rassicurante e
protettivo
Celeborn, si era congedata da quest’ultimo con
un’occhiata che aveva parlato
per lei.
Voleva
stare sola.
Il
Signore dei Galadhrim aveva sostenuto il suo sguardo ceruleo e,
chinando
appena di lato il bel capo color dell’oro più
luminoso, le aveva sorriso
comprensivo. Prendendole delicatamente una mano tra le sue, ne aveva
baciato poi
il palmo, augurandole così la buonanotte, e proseguito verso
le sue stanze,
situate appena qualche decina di metri più in là.
Aveva
aspettato che la figura reale e armoniosa di Celeborn scomparisse
dietro la porta candida dell’appartamento, prima di entrare
silenziosamente nei
suoi locali. Subito, l’ancella deputata al suo servizio
personale, l’aveva
accolta andandole incontro con un bel sorriso ad illuminare i
lineamenti
giovani del viso sbarazzino. Nel giro di pochissimo, un’altra
ancella le aveva
preparato un bagno caldo. Sulla superficie dell’acqua fumante
galleggiavano
fiori di niphredil essiccati
e dal
profumo intenso.
Improvvisamente
più scoraggiata che stanca, aveva lasciato che le due
giovani si prendessero cura di lei, godendo anche del massaggio che le
dita
abili di Miriel, la più anziana, stavano portando avanti,
aiutate da un olio essenziale.
Dopo aver indossato la sua veste da notte, le aveva congedate,
sentendosi
augurare la buonanotte e vedendole scomparire silenziose dai locali
illuminati
dalla luce soffusa di diverse candele aromatiche e dalla forma panciuta.
Di
fronte lo specchio ovale, che faceva bella presenza sulla toilette di
legno intarsiato poco lontana da una delle numerose finestre, aveva
preso a
spazzolarsi i capelli, appena umidi per il vapore del bagno,
sciogliendo così
abilmente i nodi che si erano formati e rilassandosi con
quell’operazione che
amava tanto fare.
Appoggiando
la spazzola d’argento sul ripiano di alabastro del
mobile-toilette,
aveva avvertito la fragranza inequivocabile della vegetazione che
nasceva poco
lontana dal Mare. Ne aveva dedotto che spirava una brezza appena
accennata da Est.
Piacevolmente presa da quell’odore così salmastro,
ma al tempo stesso attenuato
dalla nota più dolciastra delle gardenie che facevano
orgogliosamente mostra di
sé, sottoforma di cuscino vellutato e bellissimo a vedersi,
nel giardino
sottostante, avanzò lentamente verso la finestra.
Uno
lembo consistente di spiaggia e Mare erano visibili da
quell’angolatura.
Il
riflesso argentato di Ithil tracciava una scia luccicante sulle
tranquille acque salmastre.
La
sabbia invece appariva bianchissima per via del riflesso lunare.
Bianchissima
come le gardenie che stava appunto fissando dall’alto del suo
appartamento, orgogliosa di tanta perfezione.
Bianchissima
come la stoffa della camicia indossata dalla piccola figurina
che sostava nei pressi della fontana.
“Frodo…”, aveva mormorato a voce bassissima, stupendosi di vederlo di nuovo lì. Sembrava quasi che la sua mente lo avesse chiamato, facendogli abbandonare la nuova Bag End di Valinor in favore di quel Castello così simile, eppure così diverso, dalla sua dimora di Lórien, forse ancora più incantato e bello se possibile, data l’aura di regalità che sembrava caratterizzare ogni singolo essere, elemento o cosa nelle Terre al di là dei Porti Grigi.
La
decisione di scendere e fargli compagnia era stata logica quanto
naturale.
Frodo
aveva spalancato gli
occhi arrossati dalla stanchezza e a questo punto ombreggiati da tracce
violacee, avendo conferma che l’ambasciatrice che era stata
annunciata dalla
delicata fragranza che le sue narici ancora avvertivano, si trovasse
esattamente lì, in carne e ossa.
I
lamenti sembravano essersi
volatilizzati come una bolla di sapone nell’aria.
Deglutendo
con difficoltà, riuscì
a spiccicare parola, salutandola.
“Mia
Signora…”.
La
vide avanzare verso di sé,
dopo avergli sorriso nell’esatto momento in cui i loro occhi
si erano incontrati.
Un sorriso che non era riuscito a ricambiare e che invece spesse volte
gli era
stato rivolto dall’Elfo.
La
Dama lo aveva raggiunto
dopo aver reso nulla la distanza tra loro due con la sua tipica
andatura
forgiata nell’eleganza più pura e naturale che
potesse mai esserci.
Vedendola
praticamente a suo
lato, chinò rispettosamente il capo bruno ancora umido e poi
sollevò lo sguardo
ad incrociarne il volto sereno. Allora accennò un sorriso,
spontaneo per quanto
non esente dall’usuale malinconia.
“Frodo…”,
modulò la voce
melodiosa e senza tempo di Galadriel, toccata dal rispetto insito nel
gesto di
saluto.
“Non
riuscivate a dormire, Mia Signora?”, chiese lo Hobbit, scrutando tracce di difficoltà o
pallore
innaturale sul viso invece assolutamente privo di cruccio della sua
ospite. Si
era immediatamente preoccupato per il suo stato di salute, pregando che
non
fosse stato un malessere a turbare il suo sonno. Solo un attimo dopo si
rese
conto che non si era minimamente scusato per quella sua visita
così poco
rispettosa del protocollo. “Scusate, Dama
Galadriel…”, rimediò allora,
profondamente contrito per quel suo atteggiamento irrispettoso e poco
consono
alla sua natura di Gentilhobbit. “Non era mia intenzione
disturbare il vostro
riposo, presentandomi di nuovo al Castello senza
preavviso…”, cercò di
spiegare, rendendosi però conto che, affermare di non
essersi recato lì in
propria coscienza, ma come un sonnambulo poco consapevole di quanto lo
circondava,
avrebbe voluto dire ammettere pubblicamente i suoi problemi di insonnia.
Galadriel
si sforzò di mantenere l’espressione serena,
simulandola però evidentemente in
quel caso. Era preoccupata, ma temeva che esternarlo non avrebbe
aiutato.
Piuttosto, rimase colpita dalla preoccupazione di Frodo nei confronti
della sua
salute. Le era stato riferito che durante la sua convalescenza, le
aveva fatto
visita ogni giorno, domandando alle sue ancelle oppure a Celeborn
notizie sui
suoi miglioramenti. Era un essere incredibilmente buono
d’animo e generoso e la
riprova era che aveva subito messo da parte i propri pensieri per
interessarsi
di cosa le avesse fatto abbandonare il proprio letto a
quell’ora poco consona.
Era
stata poco bene, era vero, ma nessun malore propriamente fisico le
aveva fatto lasciare
il proprio appartamento quella notte. I suoi occhi cerulei si
soffermarono sulla
massa di riccioli bruni e lucidi del Mezzuomo, prima di rispondergli.
“Non
c‘è bisogno di scusarsi. La mia casa è
sempre aperta per te”, lo tranquillizzò
vedendolo inquieto e capendo che si era mentalmente rimproverato per il
fatto
di essersi ritrovato lì, senza poter fare nulla per
evitarlo. “No”, aggiunse
poi, rispondendo così cripticamente alla domanda postale.
Era
la verità.
Non
era di fatto riuscita a prendere sonno.
“Mi
dispiace…”, considerò Frodo, la
sincerità negli occhi che ne palesavano il
rammarico. “Posso fare qualcosa per Voi?”,
s’informò poi volendola aiutare.
Frodo
abbassò lo sguardo, comprendendo immediatamente
l’allusione.
“Non
era mia intenzione quella di… farvi preoccupare per
me”, si scusò, tornando a
focalizzare il volto dell’Elfo. “Non voglio che
nessuno si preoccupi per me. Né
Voi, né Gandalf, né nessun altro”,
continuò sentendosi a disagio ed in qualche
modo in colpa per aver creato motivi di dispiacere in quelle persone
che
stimava e amava moltissimo allo stesso tempo.
“Non
devi preoccuparti per noi”, scandì dolcemente la
Dama del Bosco d’Oro, scossa
da un moto puro di partecipazione. “Il peso che ti sta
schiacciando è
unicamente sulle tue spalle. Il nostro dispiacere per non poterti
aiutare è
poca cosa se paragonato alle memorie difficili con le quali
convivi”.
Frodo
tacque, riflettendo su quell’analisi stringata ma precisa.
“È
il risultato della convivenza forzata con
l’Anello…”, parlò brevemente,
esternando così la sua non troppa voglia di affrontare
l’argomento. Nessuna
nota lamentosa o di avvilimento aveva accompagnato quel discorso
essenziale.
La
Signora di Lothlórien
sedette allora sul bordo della vasca della fontana, i piedi sollevati
un palmo
da terra, in una posa curiosamente poco regale trattandosi di lei, il
piccolo
Hobbit silenzioso al suo fianco, con lo sguardo fisso davanti a
sé.
Era
vero, annuì mentalmente. L’Halfling era
l’erede primario di quel periodo
incredibilmente colmo di sventure, sofferenza, morte e influssi
violenti e
negativi, contro tutta Middle-Earth e contro la sua stessa persona
nonché il
suo carattere fiducioso e privo di cattiveria.
Sebbene
ne fosse già a conoscenza, sentirselo dire in quella maniera
così diretta e
priva di autocommiserazione, le fece un certo effetto. Poteva essere
piccolo di
statura, ma sulla levatura morale pochi avrebbero potuto concorrere con
lui, si
disse ancora una volta.
…Even the smallest person can change the course
of
the future…
Questo
era quanto aveva avuto modo di dirgli a Lórien, presso il mallorn.
Parole
profetiche, in un certo senso.
“Non
avrei mai voluto che anche le conseguenze di quanto hai dovuto portare
avanti
da solo, fossero, ancora una volta, tutte per te…”.
Frodo
si strinse nelle spalle.
Facendo
poi leva sulle braccia e sollevandosi con una certa fatica, sedette a
sua volta
sulla fontana, i piedi ad almeno cinque palmi dal terreno.
“È
l’Anello”, ripeté monocorde.
“L’influsso negativo più considerevole
è stato
assorbito da me in quanto Portatore. Lo stesso vale per le conseguenze.
È una
conclusione logica, immagino”.
“Logica…”,
ripeté Galadriel lentamente, come saggiando il senso
intrinseco di quella
parola. “Immagino anch’io che lo sia”,
aggiunse poi, senza che la sua
proverbiale retorica elfica le venisse incontro in quel frangente.
“Ma non sono
completamente certa che sia anche giusta”,
parlò sentendo all’improvviso
un malessere profondo coglierla di fronte
all’inutilità di quel ragionamento,
che esprimeva però indubbiamente il suo coinvolgimento.
“Avremmo dovuto
impedirlo… impedire che fossi tu il Portatore
dell’Unico Anello”.
Strano
che fosse lei a dirlo.
Lei
che aveva saputo prima di chiunque altro cosa sarebbe accaduto.
Frodo
parve comprendere ugualmente perché, contravvenendo ogni
legge, sfiorò appena
la mano bianca della Dama, dalle lunghe dita sulle quali spiccavano
unghie di
media lunghezza curatissime, appoggiata sul marmo della fontana.
“Non si può
cambiare…”, mormorò in un soffio,
semplicemente, esprimendo una considerazione
assolutamente obiettiva e volendo quasi consolare la sua ospite con
quel gesto
impercettibile.
L’Elfo
sentì un groppo in gola ascoltando quella sentenza
inequivocabile e percependo
all’improvviso la gravità e il peso
dell’angoscia del piccolo Hobbit, intrisa
di disillusione. Si concentrò istintivamente sul gesto
gentile e appena timido
che aveva fatto e ne osservò la mano a un centimetro dalla
sua. Una mano
piccola davanti ai suoi occhi, in grado di vedere andando ben oltre la
semplice
apparenza. Una mano candida, sulla quale non era possibile non scorgere
l’assenza
del medio, deturpato selvaggiamente da quella creatura che
corrispondeva al
nome di Gollum.
Le
venne da chiudere gli occhi, agghiacciata di fronte a tutto quello che
Frodo
aveva vissuto con la sola compagnia di Sam, ma si trattenne. Non era
stata lei
ad aver vissuto quell’orrore, non aveva il diritto di
mostrarsi scioccata se
Frodo affrontava invece tutto con quella maturità coadiuvata
da una nota di
dignità solenne, che lo rendeva così diverso da
un qualsiasi altro abitante
della Contea.
Un
modo di rapportarsi agli eventi quasi cerebrale.
Contro
natura?
Questo
era quanto traspariva in quegli istanti.
Capacità
quasi meccanica di affrontare quanto accadeva ed era accaduto.
Contando
semplicemente sulle proprie forze.
Non
poteva essere.
L’idea
era atroce.
Frodo
non poteva essersi trasformato in un fantasma privo di
umanità e totalmente
svuotato di volontà o sentimenti.
Era
certa del fatto che soffrisse terribilmente, dunque questo avrebbe
dovuto
polverizzare i suoi dubbi, ma quell’accettazione
così matura e appunto
disillusa, le trasmetteva un senso di oppressione ed angoscia che la
spaventava.
L’aspetto
era ancora quello dolcissimo di sempre, ma all’improvviso le
parve come
sottilissimo, fatto di materiale impalpabile, uno spettro contornato da
un’aura
opaca che veniva così a macchiarne l’usuale
candore e bellezza.
Mossa
da un’ondata pura di amore, unito a quella specie di
malessere che la impauriva
contraddittoriamente, nei confronti di quell’esserino
straordinario, alle prese
con quella gravosa lotta interiore che lo stava sfinendo, gli strinse
gentilmente la mano menomata e, con un gesto premuroso, se la
portò alle
labbra, stampando un bacio tenero sul palmo morbido ed incrociando uno
sguardo
stupito, quanto all’improvviso lucido, su un volto ora
tornato concreto davanti
alle sue iridi.
“Ti
ammiro, mellon
nîn**”, sussurrò osservandolo spalancare
gli
occhi, enormi in quel momento.
“Mia
signora…”, mormorò in
maniera appena udibile Frodo, abbassando lo sguardo sfocato dalle
tracce salate
trattenute caparbiamente, sulla mano che iniziava a scaldarsi perdendo
parte
della rigidità che la caratterizzava e tenuta ancora dalla
stretta affettuosa
dell’Elfo.
Si
rese conto all’improvviso
di come sentisse la necessità di un qualche conforto altrui,
di sentirsi dire
in maniera infantile e semplicistica che sarebbe andato tutto bene.
Un
piccolo autoinganno.
Aveva
bisogno di un qualche
contatto fisico, per quanto non intimo. Non era di
quest’ultimo che
necessitava, ma di un calore diverso, che arrivava comunque diritto in
fondo
all’anima. Realizzò che ne era stato privato
troppo a lungo, e per scelta
personale e per incapacità, visto il suo malessere costante
e per l’ambiente
per lo più elfico e formale nel quale viveva.
Galadriel,
dopo il primo
impatto immediato a Lothlórien, che lo aveva onestamente
turbato, aveva avuto
un effetto rassicurante su di lui. Lo aveva preso sotto la sua ala
protettrice,
riempito di un calore che non poteva definire come sincero. E adesso
era lì. In
carne ed ossa. Non il prodotto onirico della sua mente in
difficoltà. E anche
il suo calore era reale. Poteva percepire l’aura di
positività che la
circondava e rendeva particolarmente luminosa e bella la sua figura.
“Ammiro
il tuo coraggio…”,
confermò lei specchiandosi nelle iridi cristalline dello
Hobbit che scuoteva la
testa come a voler dire non mi sento
coraggioso. “Vorrei che ognuno di noi, coinvolto
nella vicenda dell’Anello,
portasse con sé parte della pena che stai trascinando da
solo… se così fosse,
le singole percentuali sarebbero così piccole da non
incidere negativamente su
nessuno… ma così non è, e tanto meno
esiste un incantesimo che possa
cambiarlo…”. Galadriel fece una pausa prima di
continuare. “Non negare di
possedere una straordinaria forza d’animo. È
evidente a noi tutti. Nessuno escluso”,
lo invitò quindi.
Arrabbiato
con se stesso e per
quell’apprezzamento, che a suo giudizio non meritava
pienamente.
Lui
aveva fallito.
Perché
altrimenti continuava
a vivere quegli incubi?
La
risposta dell’Elfo non si
fece attendere. Una punta di amarezza e anche sorpresa nel tono di
voce, man
mano che il suo pensiero veniva espresso. Di certo non si era aspettata
una
reazione negativa per via di quel suo commento, che aveva avuto come
intento un
obiettivo diametralmente opposto a quel risultato.
“Quello
che dici è vero...
Compi però lo sbaglio di sminuire il tuo ruolo. Il tuo
elogio nei confronti dei
Membri della Compagnia e degli Eserciti di Rohan e Gondor è
legittimo, ma dare
loro il giusto merito non vuol dire pensare alla tua impresa personale
come ad
un fallimento. È una questione di giusto mezzo. Tutti hanno
avuto la loro parte
attiva nell’Avventura. Samwise the
Brave,
come tu stesso lo hai ribattezzato, primo tra tutti. È stato
un lavoro di
squadra. Cementato dai legami fortissimi di amicizia e rispetto
reciproco che
vi hanno unito, nonché dalla comunanza di ideali. Ma non
posso non valutare
positivamente quello che tu hai
fatto
in prima persona. Quello che stai vivendo, Frodo, dovrebbe farti capire
il tuo
ruolo eccezionale. Lo intendo in maniera etimologica.
Chi
sta soffrendo le
conseguenze di quell’Azione contro il Male di Mordor?
Tu,
piccolo Hobbit della Contea.
Tu
solo.
L’aiuto
degli altri è stato di
inestimabile valore, ma perché credi sia stata creata la
Compagnia?
Nessuno
si aspettava che ce
la facessi da solo.
L’oscuro
potere dell’Anello
ha irretito me stessa; Mithrandir; ha plagiato un saggio come
Saruman… chiunque
lo avvicinasse. Non devi sentirti di aver sbagliato, solo
perché anche tu sei
stato tentato. Guarda oltre questo, Frodo. Tu hai resistito e hai
distrutto
l’Unico Anello, scagliandoti contro Gollum e rischiando di
cadere nella fornace
di magma del Monte Fato. Come puoi non definirti coraggioso? Tu sei uno
Hobbit, è vero, ma anche
un eroe a mio avviso. E non
perché non hai
avuto paura, ma perché hai portato a termine la tua impresa,
investendo tutto te
stesso, rischiando di vedere distrutti per sempre e da un giorno
all’altro, la tua
purezza e il tuo mondo”.
“Ho
sempre creduto di aver
fallito… ho sempre ritenuto il mio malore un sintomo del mio
fallimento, non
della mia vittoria su Sauron”. Le parole erano state
accompagnate da un diniego
del capo ed una voce che aveva perso ogni nota d’asprezza,
finendo in una
specie di sussurro inintelligibile.
“Tu
non hai fallito”, rimarcò
fermamente Galadriel. “Le mie parole sono sincere, ma devi
considerarle tali
anche tu. Non sono un tentativo sterile di rassicurazione. A sostegno
di quanto
ti dico ho tra le mani un’oggettività che tu non
puoi avere adesso, in quanto
coinvolto in prima persona e ancora succube delle memorie. Credimi,
Frodo.
Cerca di sfare uno sforzo in questa direzione… Capisci cosa
voglio dire?”,
concluse in un
soffio, all’improvviso sconfortata
davanti il muro di amarezza e disinganno che aveva di fronte e che le
sembrò
incorruttibile, nel suo impianto saldo e rinforzato da un punto di
vista manifestamente
erroneo, a suo avviso, eppure contro il quale non era certa di poter
lottare
alla pari. Inoltre, iniziava a temere una seconda reazione ostile e
neanche
questo rientrava nei suoi obiettivi. Il ritardo poi di una risposta che
invece
sperava, contribuiva ancora di più a farle preventivare
l’idea di un
fallimento.
“Hannon
le***”.
Le parole sussurrate in un
elfico dall’accento quasi inesistente, si resero udibili
timidamente, colme di
emozione frammista ad assenso. Frodo appariva incredibilmente indifeso
in
momento, nonostante lo sguardo fosse mortalmente serio e brillasse di
fredda
luce adamantina, senza recare più traccia alcuna di lacrime
represse. Come a
rallentatore, e seguendo un qualche istinto dettato dalla frustrazione
e dalla
solitudine interiore che lo stavano soffocando, abbassò il
capo bruno,
avvicinandosi a Galadriel. La cinse con il braccio libero
all’altezza della
vita e poi, lasciando che la stretta delle loro mani si sciogliesse,
permise
anche all’altro arto di scivolarle delicatamente dietro
schiena. Si ritrovò
così accoccolato contro il suo corpo diafano. Caldo come un
furetto
rannicchiato su se stesso, la stringeva forte, la fronte contro il suo
seno, il
volto affondato nel suo ventre, esercitando una pressione appena
percepibile e
non invadente.
La
Signora del Bosco d’Oro
rimase per un attimo ferma, trattenendo quasi il respiro, colta da
un’emozione
fortissima, paragonabile solo a quella che provava quando erano
Celebrían
oppure Arwen a stringerla in quella maniera così intima e
speciale, come a
voler rimarcare quella sorta di legame tellurico che aveva stabilito
anche con
Frodo e del quale adesso ne stava avendo ulteriore conferma, per poi
chinarsi
sulla chioma castana e morbida che si stagliava contro il candore della
sua
veste da notte e circondargli a sua volta, con le sue braccia
flessuose, le
spalle esili.
Lo Hobbit si era quasi del tutto rilassato, adesso che il calore della Dama di Lórien lo avvolgeva completamente. Tranquillizzato dal fatto che lei avesse ricambiato semplicemente il gesto, senza sentirsi offesa per quello slancio forse poco riguardoso, rimase quasi scioccato dallo stupore, quando percepì la pressione del capo regale di lei chino sul suo e poi la dolcezza di un bacio stampato sui suoi capelli, mentre mani gentili gli accarezzavano la schiena, come tempo addietro aveva fatto sua madre Primula, per consolarlo di un qualche cruccio o delusione infantile.
Seppe allora con certezza che il suo inconscio lo aveva guidato sin lì per un motivo ben preciso.Come
se nella Dama dei
Galadhrim risiedesse parte della chiave di volta della sua situazione.
Era
davvero possibile?
C’era
davvero una chiave di
volta, se non miracolosa, almeno in grado di fargli squarciare il velo
opaco
che minava l’effettiva fondatezza delle sue percezioni e
allontanava ogni
speranza positiva per l’Eternità?
* “Frodo” in Old English
significa “peaceful”.
**
“Amico mio”. Inserisco
questa nota per i non LotR dipendenti.
***
“Grazie”. Ibidem
_______________
Grazie
per i commenti graditissimi!
Ho trovato splendide le vostre metafore.
Cosa
c’entra con Tolkien e
Frodo a Valinor? Apparentemente nulla, sennonché
è stato leggendo “Poeta en
Nuova York” di F.G. Lorca che mi sono decisa a scrivere.
È una delle mie
raccolte poetiche preferite, dai toni surrealisti, piuttosto cupi.
È rileggendo
le note sulla sua morte che l’occhio mi è caduto
sul luogo della fucilazione,
appunto Ainadamar oppure Fuente Grande in spagnolo, nei pressi di
Granada.
È
una parola suggestiva, che
mi comunica una grande tristezza, insita ad un male di vivere che mi
taglia un
po’ le gambe ogni volta che la ricollego a quelle poesie. Mi
è sembrato un
titolo adatto in qualche modo. In merito alla pronuncia,
l’accento va
sull’ultima /a/.