Nel piccolo monolocale si lavorava senza sosta.
Da
una parte c'era Nick che cuciva rapidamente i batuffoli di
imbottitura su una base di tessuto, usando un ago malandato
raccattato dal fondo di un cassetto; dall'altra Judy, carta e penna
alla zampa, gli occhi che saettavano dallo schermo del portatile al
foglio, riportava meticolosamente le parole della mail, controllando
ossessivamente che fosse tutto giusto.
Di
tanto in tanto, sollevavano la testa e si scambiavano un'occhiata
fugace e un breve sorriso, che poteva dire tutto o niente, poi
ritornavano in fretta ai loro compiti.
C'era
la pressione del tempo, non potevano rimanere ancora per molto
lì
dentro, si sentivano esposti a sapere che qualcuno conosceva la loro
ubicazione, seppure avendoli avvisati potesse essere un alleato.
Non
seppero per quanto tempo lavorarono, ma ad un tratto esultarono
simultaneamente di gioia: Nick abbandonò il costume sul
letto e si
avvicinò immediatamente a Judy, sbirciando al di sopra della
sua
spalla.
“Hai
scoperto il messaggio?”
Gli
occhi di Judy scintillavano, il suo nasino rosa fremeva.
“Penso
di sì. Ricordi l'oggetto della mail? Cernita.”
Gli
mostrò la pagina scarabocchiata, le parole segnate e
cancellate.
“Non
vuol dire selezionare qualcosa tra tante?” domandò
Nick un po'
confuso.
“Sì,
esatto. E quindi se ci pensi vuol dire scartare delle cose tra tante.
Mi sono ricordata di quando da piccola facevo giochi di enigmistica
coi miei fratelli e-”
“Sul
serio? Per divertirvi facevate giochi di enigmistica?” lo
interruppe Nick con un sopracciglio alzato e un ghigno sul muso.
Judy
rollò gli occhi al cielo e poi gli mandò
un'occhiataccia prima di
continuare.
“In
enigmistica la cernita è uno schema di doppio scarto, vuol
dire che
le lettere uguali si cancellano due a due, finché non
restano
lettere uniche e quindi un messaggio!”
Ora
le cancellazioni sulla pagina avevano più senso, ma non le
lettere
rimaste, cerchiate per risaltare sulle altre.
“Pitoaz?”
lesse Nick titubante, pronunciandola come se fosse una parolaccia.
“Che cavolo di messaggio sarebbe? Se è una parola
straniera siamo
fregati, io parlo solo il volpese.”
Judy
sorrise divertita.
“Deve
essere un codice o una-”
Si
bloccò, spalancando gli occhietti viola folgorata da
un'improvvisa
ispirazione. Cliccò in fretta sul pc, chiudendo la pagina
della
mail, frugando tra le cartelle finché non trovò
il file bloccato.
“O
una password!” concluse trionfante.
Digitò
le lettere nello spazio vuoto della schermata e premette invio: la
pagina si caricò per qualche attimo, poi apparve una scritta
che non
si era aspettata e che smorzò immediatamente il loro
entusiasmo:
“Errore,
password errata. Hai ancora due tentativi a disposizione.”
Un brivido li percorse da capo a
piedi.
“Forse
non era la password per
questo file” tentò Nick. Judy scosse la testolina,
gli occhi
ancora fissi sullo schermo.
“No,
sento che è la strada
giusta. Abbiamo un messaggio cifrato e un file bloccato, è
ovvio che
siano connessi, ma sto sbagliando qualcosa.”
In silenzio
ricontrollarono la
mail e le parole, assicurandosi di non averle trascritte male nella
fretta e aver così pregiudicato il messaggio, ma tutto
combaciava e
le lettere finali erano proprio quelle.
“Pitoaz.
Pitoaz, Pitoaz”
ripeté Nick, sentendo il suono sulla lingua alla ricerca di
qualche
significato nascosto.
Continuava a non avere senso,
tuttavia.
“E
se-” esordì Judy,
prendendo il foglio di carta. “Se lo anagrammassimo? Non
riesco a
ricordare bene, ma mi pare che alla fine si dovessero anagrammare le
lettere rimaste per trovare una parola di senso compiuto.”
Provarono tutte le combinazioni
possibili, scomponendo in sillabe, agglomerando a tre a tre,
spostando le lettere avanti e indietro, ma alla fine solo una parola
sembrava avere senso:
“Topazi.”
“Ok,
non so cosa c'entri, ma
almeno è una parola vera” disse Nick, facendo
spallucce.
“Allora
proviamo?”
Judy
digitò la nuova parola
lentamente, solo un po' dubbiosa, le labbrucce strette mentre
aspettava l'esito.
La pagina si caricò nuovamente
e la stessa schermata apparve dopo qualche secondo:
“Errore,
password errata. Hai ancora un tentativo a disposizione.”
Il panico si fece sentire
prepotentemente.
“Ok,
forse... forse è meglio
che stacchiamo un attimo e pensiamo bene. Se sbagliassimo ancora,
probabilmente non potremmo più provare o il file si
distruggerebbe
o-”
“Ok,
James Bond, non credo
proprio che il CD prenda fuoco se sbaglieremo”
rimbeccò Judy
sarcastica, rollando gli occhi al cielo.
Anche se forse, un pochino di
possibilità c'era eccome.
Comunque,
il consiglio era
ottimo in quel momento di stress, perciò si allontanarono un
momento
dal pc, rimuginando a fondo: Judy percorreva a piccoli passetti il
poco spazio a disposizione, mentre Nick controllava distrattamente il
suo costume, in realtà assorto sulla parola misteriosa.
“Le
lettere sono giuste,
abbiamo già controllato. E sono sicura che bisogna
anagrammarle per
ottenere la parola giusta, ma nessuna ha senso. Manca qualcosa, ma
cosa?” farfugliava la coniglietta senza freno, sempre
più
frustrata.
Nick
aggiustò un punto di
cucito in una parte che non lo convinceva, mentre le parole di Judy
si facevano strada dentro di lui. In effetti, sembrava sempre che
mancasse qualcosa, risposte, prove, consigli, aiuti... mancava sempre
qualcosa.
Mancava qualcosa.
Mancava qualcosa!
I suoi occhioni verdi si
spalancarono e quando Judy si voltò lo trovò
così, immobile con
gli occhi spalancati a fissare il vuoto, mentre cercava di afferrare
un'idea.
“È
giusto: manca qualcosa.
Nella parola! Passami il foglio!”
Judy si fiondò a prenderlo, spronata dal suo tono urgente e poi rimase lì al suo fianco a guardarlo mentre scarabocchiava.
“Sin
dall'inizio, la parola mi
era sembrata familiare, aveva un suono conosciuto, ma non sapevo
perché. Se aggiungiamo due O e anagrammiamo, viene
fuori...”
“Zootopia”
lesse Judy
stupita. “Ma non ha senso, non ci sono le due O in
più, non può
essere, a meno che... a meno che, non sia stato fatto
apposta!”
Si guardarono, entrambi
emozionati, entrambi sulla stessa lunghezza d'onda.
“Sì,
perché nella cernita le
due O si eliminavano necessariamente l'una con l'altra, un piano
perfetto per confondere chiunque fosse entrato in possesso della mail
e avesse provato a decifrarla.”
“Anche
un programma di
decriptaggio sarebbe caduto nella trappola, molto furbo!”
Si
avvicinarono in fretta al pc,
ma Judy si bloccò con le zampine a mezz'aria sui tasti,
timorosa.
“Siamo
sicuri? Sicuri sicuri?”
Nick allungò una delle sue
zampe e digitò la prima lettera, premendo delicatamente
sulla sua.
“Sicuri.”
Judy aggiunse il resto con un
po' più di baldanza, poi premette invio e trattenne il
respiro,
ignara che anche Nick, lì al suo fianco, lo stesse facendo.
La pagina si caricò per la terza volta, e forse era il magone, ma sembrò metterci secoli: poi, lo schermo bianco diventò improvvisamente nero e dopo un secondo un video partì in automatico, mostrando un caribù in camice da laboratorio seduto ad una grande scrivania.
“Ciao,
Renato” disse il
dottore, la sua voce era molto profonda e calma. Lo sguardo invece
era spaventato, con profonde occhiaie sotto gli occhi castani.
“Se
stai guardando il video
significa che sono sparito dalla circolazione, e spero di essere
riuscito a scappare, perché l'altra alternativa è
che sono morto.
Non sono stato completamente
sincero con te, mi vergognavo molto a raccontarti tutto quello che
avevo fatto, me ne vergogno ogni giorno; dirmi che non avevo una
scelta non mi ha alleviato la coscienza.
Sai già che in seguito alla
modifica dei collari, questi possono ora essere tracciati: non
c'è
un predatore in tutta Zootopia che si possa nascondere,
ormai.”
Judy e Nick si scambiarono una breve occhiata sorpresa e spaventata e le zampe di lui corsero inconsciamente al collo; avrebbero commentato la fortuna che li aveva colpiti nel momento in cui Judy aveva deciso di toglierglielo, se Tarandus non fosse in procinto di continuare.
“Ovviamente
so che è
sbagliato, ma sembrava un male minore. Quello che non ti ho
raccontato è molto, molto più grave. A mia
discolpa posso dire solo
che allora non sapevo a cosa servisse la modifica richiesta.
Nell'aggiornamento dei collari è
stato inserito non solo un tracciatore, ma anche un distorsore:
è un
programma che agisce sul possessore, ancora non so in che modo, ma
che serve ad alterare lo stato mentale. Potrebbe farlo impazzire,
potrebbe renderlo aggressivo, potrebbe perfino ucciderlo. Basterebbe
solo premere un piccolo pulsante e ogni predatore della
città
sarebbe spacciato, senza possibilità di scampo.
Non ho prove a riguardo, non ho
potuto impossessarmene: nel momento stesso in cui hanno capito che
sospettavo qualcosa, mi hanno tagliato fuori. Ma so dove trovarle.
Nell'ufficio del sindaco, dietro un quadro, c'è una
cassaforte:
all'interno ci sono delle chiavette con tutti i dati e tutte le
prove: c'è tutto, nomi e conversazioni, studi e progetti. E
il
telecomando.
La combinazione è 3171984. Ho
faticato molto per trovare queste informazioni e so che mi costeranno
la vita, se mi trovano.
Ma mi fido di te, solo di te.”
A quel punto il dottore sembrò crollare sotto il peso di tutto quello e si incurvò, stanco, molto stanco, passandosi una zampa sul viso mentre prendeva un grande sospiro.
“Non
avrei mai voluto
invischiarti in tutto questo, ma so che hai amici che possono
aiutarti. So che c'è qualcosa di grande, in movimento. So
che se non
faremo niente succederà qualcosa di brutto ai predatori.
Prendi
quelle prove e ferma tutto questo, ripara al mio errore, ti prego.
E per favore, stai attento.
Addio, Renato. E grazie.”
Il video si interruppe, ma lo
schermo rimase nero.
Gli occhi
di Judy erano
attraversati da un velo umido e anche Nick sembrava turbato.
Nel silenzio la ventola del
computer sembrava la turbina di un aereo.
Non avevano mai conosciuto
Tarandus, ma sapevano che sorte gli era toccata, e vederlo, sentirlo,
conscio di quello che gli sarebbe successo, senza poter fare nulla
per cambiarlo, era triste e ingiusto. Lui e Manchas erano finiti in
qualcosa più grande di loro e forse nessuno dei due aveva
mai saputo
la sorte dell'altro, anche se per ironia erano morti praticamente
nello stesso istante.
E adesso in tutto quello c'erano
finiti loro e la fine avrebbe potuto essere la stessa.
Nick
spezzò per primo il
silenzio, schiarendosi la gola dall'emozione; Judy sussultò
e si
voltò a guardarlo e per la prima volta, nei suoi occhioni
viola
lesse la paura.
Rimasero così per un istante.
“Non
riesco a crederci.”
“I
collari.”
“Il
sindaco!”
“Tracciati,
che scandalo!”
“Non
è possibile.”
“E
il distorsore per fare
impazzire i predatori!”
Lo sguardo di Judy si addolcì
un secondo.
“Sono
contenta di avertelo
tolto, ancora più di prima” confidò,
sincera.
Nick si
passò una mano sul
collo, di imbarazzo, e le sorrise grato.
“Se
tutto questo è vero, e
non vedo perché Tarandus avrebbe dovuto mentire a Manchas,
la cosa è
molto grave. I predatori sono in pericolo. E c'è il sindaco
dietro a
tutto, ma non capisco perché sia stato messo in mezzo
io.”
“Tu
sei il perfetto capro
espiatorio, è evidente che chi ha creato quel programma ha
intenzione di usarlo e non vuole essere incolpato: e qui entri in
scena tu. Un predatore, con un parco clandestino per i predatori in
cui i collari sono disattivati: attribuire tutto a te è
facilissimo,
probabilmente il primo omicidio e poi quello di Tarandus servivano a
incastrarti e creare la base per l'accusa finale.”
“Ma
non abbiamo prove per
scagionarmi, se non recuperiamo il materiale dentro la cassaforte. Ma
questo vuol dire...”
“Entrare
nell'ufficio del
sindaco” finì Judy per lui, ugualmente preoccupata.
Se già entrare di nascosto
nell'ufficio del sindaco dovesse essere difficile, di certo in una
giornata come quella doveva essere praticamente impossibile: tutto il
Palm Tree Hotel era di certo sotto controllo totale della polizia, in
vista delle celebrazioni del ventennale.
“Col
tuo costume avremmo più
possibilità, no?”
Nick
infilò il travestimento e
no, non avrebbero avuto più possibilità.
Lui sembrò notare il suo
mutismo e aprì le braccia, come un'esortazione.
“Allora?”
La sua testa era il doppio del
normale, una nuvola candida e così fissa da sembrare panna
montata,
che confondeva i suoi tratti somatici: il finto manto spuntava anche
fuori dal colletto e dai polsi del grande cappotto nero che
fortunatamente nascondeva l'assenza di zoccoli. Sembrava uno zucchero
a velo con gli arti e due scintillanti occhi verdi.
Judy non
sapeva se ridergli in
faccia o piangere.
“Perfetto,
sul serio” riuscì
a dire miracolosamente.
Riuscì a vedere il sopracciglio
di Nick alzarsi sarcasticamente anche sotto l'imbottitura.
“Sul
serio? Non mentire, so
che stai mentendo. Come sto, carotina?”
Lei si lasciò scappare un
sorriso, presa in castagna.
“Ok,
ok, da vicino si vede
benissimo che è finto. Hai una testa di imbottitura di
piumone!”
rise incredula, “Ma se non ti avvicini troppo a qualcuno,
andrà
tutto bene.”
“Dobbiamo
solo andare
dall'altra parte della città senza incontrare nessuno,
allora...
facile” commentò Nick, ondeggiando il testone
cotonoso. “E si
muore già di caldo, qua dentro, a Sahara Square
sarà terribile.”
Nonostante
le lamentele, la
paura, quello che sentivano e l'incertezza della riuscita, dovettero
mettere tutto nel piccolo bagaglio che si portavano dietro e lasciare
quel rifugio sicuro, alla ricerca della verità.
In quello che sembrava dovesse
essere il viaggio più lungo della loro vita.
Bogo
parcheggiò e rimase un
attimo poggiato al volante, pensieroso.
Benché fosse ancora a Downtown,
la parte più costosa e ambita di Zootopia, dove si trovava
in quel
momento era tutto fuorché alla moda. O sicuro. O pulito.
A ridosso del confine con il
Rainforest District, la zona era umida, ombrosa, semi-abbandonata e
degradata: le case erano piccole e basse, attaccate una all'altra
così che le stradine non erano altro che stretti viottoli,
molti dei
quali senza via di uscita. La polizia non passava spesso da quelle
parti e la sola vista della sua macchina d'ordinanza era bastato a
far sparire chiunque dalla circolazione.
Quando scese si diede comunque
una rapida occhiata intorno, giusto per essere sicuro che non fosse
una trappola. Vide solo un montone che si allontanava, già
un
piccolo puntino bianco.
L'indirizzo
fornitogli era poco
più avanti, alla fine di un vicolo in discesa: quando
arrivò suonò
il campanello, ma si chiese cosa avrebbe mai potuto dire se qualcuno
avesse risposto.
“Salve,
uno sconosciuto che gioca al cappellaio matto mi ha dato questo
indirizzo, mi può dire cosa sa di una volpe fuggiasca e di
una
coniglia poliziotta scomparsa?”
No, non aveva senso. Come tutto
quello che stava facendo, del resto.
La sua mente andò solo una
volta a Clawhauser, che in quel momento probabilmente era sotto le
grinfie della T.U.S.K. Lo stomaco si strinse per un attimo.
Suonò
di nuovo, con un po' più
di insistenza. Gettò veloce uno sguardo a destra e sinistra
e poi,
non vedendo cosa altro potesse fare, buttò la porta
giù.
Non aveva più tempo per giocare
e se qualcuno lo aveva mandato lì, doveva essere importante.
Ci vollero tre spallate
poderose, inferte a denti stretti per resistere al dolore, per farla
saltare dalla guida: si aprì cigolando, con un colpo secco.
L'interno era un buco
maleodorante e ingombro di sporcizia, pareva una tana di un
accumulatore seriale, c'era caos ovunque.
Facendo
attenzione entrò con la
zampa sulla pistola, per sicurezza. E per lo stesso motivo si
annunciò e chiese se ci fosse qualcuno. La sua voce si
spense
subito, senza risposta.
L'ambiente era tutto lì, perciò
escluse che qualcuno potesse essere nascosto all'interno e dopo
un'occhiata al bagno più piccolo che avesse mai visto in
vita sua,
ne fu certo. Allontanò la mano dall'arma e
ispezionò l'area,
confuso su cosa potesse mai trovare lì e arrabbiato con
sé stesso
per aver creduto ad messaggio anonimo.
Si accorse
immediatamente del
piumone squarciato e dell'imbottitura sparsa un po' ovunque, ma in
quel caos non era di certo la cosa più strana,
perciò non ci fece
caso: quello che lo interessò, tra tutto il ciarpame, era il
volantino di una pizzeria un po' stropicciato poggiato sul divano
letto aperto e sfatto, con noncuranza.
Lo prese e lo studiò, sorpreso
nel trovare una fitta serie di parole nel retro, segnate e risegnate,
cancellate, per poi trovare in fondo, in una grafia diversa, la
scritta 'Zootopia'.
Ma la prima grafia era
indubbiamente di Hopps. Aveva letto troppe volte i suoi zelanti
rapporti dei casi per non riconoscere le sue lettere tondeggianti.
Era un indizio? Un messaggio per
lui?
No, Hopps non sapeva di certo
che sarebbe arrivato. Ma era sicuramente stata lì.
Uscì
dall'appartamento come una
furia, veloce come non era mai stato prima e si guardò di
nuovo
attorno, trafelato; non c'era nessuno. Scattò in avanti per
la via,
nella direzione inversa in cui era arrivato, seguendo un istinto,
forse, qualcosa che il suo subconscio aveva già inteso prima
di lui.
Il suo sguardo angosciato si
posò su un puntino candido in lontananza e qualcosa
scattò nella
sua mente.
Ridusse la distanza in un
attimo, anche troppo per un bufalo di quarantacinque anni che si
lamentava in continuazione degli acciacchi, ma l'adrenalina gli
scorreva nelle vene e non vedeva che quel punto bianco di cotone
diventare grande, sempre più grande via via che si
avvicinava.
La pistola era già nella zampa,
ma razionalmente non sapeva quando l'avesse presa.
“Ferma,
Wilde!”
Il cotonoso
batuffolo si congelò
dalla paura, incapace perfino di girarsi ad affrontarlo.
In un secondo un paio di occhi
viola e grandi, pieni di risoluzione e sfida, lo fronteggiarono con
rammarico, insieme al foro di una pistola.
Judy Hopps stava puntando l'arma
contro il suo capitano.
Non l'aveva nemmeno vista
arrivare, non sapeva nemmeno da dove fosse spuntata, non c'era un
attimo prima, ma in quel momento era tra lui e Wilde, ritta in tutti
i suoi novanta centimetri scarsi, orecchie escluse, con la sua
pistola di ordinanza puntata dritta sulla sua faccia.
“Hopps”
riuscì a dire e il
suo tono poteva dirsi sorpreso quanto confuso. E anche enormemente
sollevato nel vedere la sua agente sana e salva.
La palla di cotone si mosse
appena e voltò la testa e Bogo riuscì a vedere
tra le cuciture mal
fatte lo sguardo colpevole e impaurito di Wilde.
Non guardava lui, era fisso
sulla piccola coniglietta che gli faceva da scudo.
“Hopps,
abbassa la tua
pistola!” ordinò Bogo, riprendendo compostezza.
“Nick
è innocente, capitano”
rispose Judy, la voce deferente in contrasto con le sue azioni. Le
sue zampe non vacillarono nemmeno per un attimo dalla posizione.
“Nick?
Ti sei lasciata
coinvolgere?”
La domanda
suonò come un'accusa
alle lunghe orecchie di Judy, ci sentì dentro accuse sporche
che non
venivano da Bogo, lo sapeva, ma dai pregiudizi di Zootopia.
“Non
è come sembra.”
“Gli
hai tolto il collare!”
“Nick
è innocente!” ripeté
convinta, quasi rabbiosa. Disperata.
Non
sembrava nemmeno la stessa
Hopps con cui aveva parlato la mattina prima. Poteva essere stata
plagiata fino a quel punto? Conosceva gli effetti della Sindrome di
Stoccolma, ma non poteva essere scattata così in fretta... o
sì?
Tanto da gettarsi davanti alla
sua pistola per proteggere Wilde col suo corpo? Non da proiettili
sedativi o altro, ma da proiettili veri, che penetravano la carne da
parte a parte, mortali.
E Hopps lo sapeva bene.
“Abbassa
la tua arma e
parliamone, allora” propose come ultima risorsa, se poteva
convincere la sua poliziotta a collaborare.
“Conosco
il suo tono da
mediatore, non funziona come me. Io e Nick adesso ce ne
andiamo.”
“Non
scappare, Hopps, non
costringermi a spararti.”
“Non
mi costringa a farlo per
prima, capitano.”
Nick era
pietrificato. Osservava
senza nemmeno respirare lo scambio tra i due poliziotti, lo scontro
tra due parti nel giusto, eppure diametralmente opposte.
Sentiva la sua fine vicina,
sempre più vicina, e voleva solo scappare e nascondersi per
sempre.
Ma era pronto ad arrendersi per
salvare Judy.
Fece un
passo in avanti, la
pistola di Bogo si sollevò su di lui, per istinto, e Judy
reagì
immediatamente alla minaccia: una detonazione riempì l'aria
e il
capitano indietreggiò di un passo, sorpreso.
Un dardo scintillava nel suo
collo nerboruto, piccolo ma nocivo.
Nell'unico secondo di lucidità
prima che le pupille si dilatassero, i suoi occhi mostrarono stupore
e amarezza, poi la pistola cadde a terra dalle zampe molli e il corpo
massiccio seguì con un tonfo.
Il sedativo
non era forte
abbastanza da addormentare uno della sua statura, sarebbe rimasto
cosciente, ma lo avrebbe intorpidito e rallentato quel tanto che
bastava alla loro fuga.
Judy non riusciva a distogliere
lo sguardo dall'unico suo occhio visibile, confuso e arrabbiato; la
mano con la pistola era mollemente al suo fianco, l'altra zampina
sulla bocca, sconvolta lei stessa dal suo gesto.
“Mi
dispiace, capitano. Mi
dispiace.”
Lo
mormorò come una nenia, per
alcuni istanti. Poi la zampa di Nick la prese per un polso e
iniziò
a portarla via, quasi di peso.
Uscì dal suo stato di trance
quando erano già distanti qualche metro e lei si
voltò verso di
lui, rapidamente.
“Andiamo
a prendere le prove!
Glielo giuro, capitano. Torneremo con le prove!”
urlò con tutta
l'aria dei piccoli polmoni.
Divenne un piccolo puntino,
sempre più piccolo.
“Mi dispiace!” fu l'ultima cosa che Bogo sentì prima che sparissero dalla sua vista, lasciato lì a fissare un pezzo di strada e uno di cielo, entrambi sfocati.
Note:
Buona sera a tutti.
Nuovo capitolo e finalmente le due parti della storia hanno un punto di contatto, anche se breve e intenso: capitano e sua sottoposta si tengono sotto tiro e infine Judy spara a Bogo. Se avete notato lei ha ancora la pistola a sedativi, mentre il capitano ha proiettili veri; diciamo che ho pensato che generalmente hanno quelle a sedativi o a taser, ma che in casi speciali e pericolosi, come questo, vengano attrezzati con proiettili veri. Judy ha reagito per prima, ma io non credo che lui avrebbe mai sparato davvero, non vuole far loro del male.
La pista è fresca e sembra promettente, adesso ai due fuggiaschi tocca vedere dove li porterà.
Alla prossima, vi abbraccio forte, fortissimo.