Libri > Harry Potter
Segui la storia  |      
Autore: Rowena_Ravenclaw    17/04/2005    0 recensioni
E' un'estate particolare quella che passa Harry dopo i tragici eventi del suo quinto anno a Hogwarts...e ancora più strani sono gli eventi che si verificano alla scuola di magia: incompresioni, liti, sospetti...ci si può fidare davvero di qualcuno?
Genere: Avventura, Generale, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L’ultimo raggio di sole sparì dietro l’orizzonte, lasciando il cielo di un infuocato rosso sangue striato di arancione e di violetto.
Malgrado il sole fosse tramontato, la temperatura tropicale di quella sera di luglio non accennava a diminuire. L’asfalto emanava un calore insopportabile, l’umidità aumentava l’afa e rendeva l’aria pesante. Lo stridio delle cicale sugli alberi era incessante e insistente: un unica nota gracchiante che si faceva strada nel cervello, senza tregua. Gli arbusti fioriti della lavanda, del gelsomino e i fiori dei garofani selvatici emanavano un intenso profumo penetrante, che stordiva se lo si annusava troppo da vicino. Ora però, tutti i fiori pendevano verso il suolo, reclamando acqua, chinando il capo davanti a quella calura estiva. Qua e là un’ape ronzava pigramente di fiore in fiore. Non si vedeva nessuno che passeggiava tra le linde strade di Little Whinging: tutti gli abitanti erano rintanati nelle proprie case, chi con un ventilatore puntato contro a massima potenza, chi con porte e finestre chiuse, ad indicare un impianto di condizionamento funzionante.
Veramente non proprio tutti i cittadini erano a casa. Faceva eccezione un ragazzo magro e non molto alto, con folti capelli neri, perennemente arruffati, e vivaci occhi verdi, seminascosti dietro un paio di occhiali rotondi.

Harry Potter si alzò dalla panchina nel giardino posteriore del numero quattro di Privet Drive e percorse il viale per uscire nella strada. Non aveva una meta precisa, immerso com’era nei suoi pensieri, camminava senza accorgersi di dove andasse. Aveva solamente voglia di alzarsi dalla panchina su cui era stato seduto così a lungo, non gli andava di richiudersi in camera. Veramente non aveva molta voglia nemmeno di camminare, ma era la cosa che, al momento, gli dispiaceva di meno fare.
Per quanto ancora sarebbe dovuto rimanere lì? Erano ormai quasi due settimane che viveva dai suoi zii. Certo, non era isolato come l’estate scorsa: riceveva spesso lunghe lettere da parte di Ron, Hermione e Lupin, i quali però si sforzavano di dilungarsi in discorsi generici e non compromettenti, nel caso i gufi venissero intercettati. Harry non sapeva nemmeno dove si trovassero. A Grimmauld Place, nella vecchia casa di Sirius? Dopotutto quello era il luogo più sicuro per un’organizzazione segreta, probabilmente avrebbero continuato ad usarlo come base per l’Ordine della Fenice. Almeno c’era da sperare che avessero sbattuto fuori Kreacher…no, non doveva pensare a Kreacher, né a Grimmaluld Place, né all’ultimo proprietario di quella tetra casa…
Ma era inutile: quei pensieri si facevano strada nella sua mente, rifacendogli vedere la tragedia consumatasi solo poche settimane fa, nell’Ufficio Misteri. Come un disco rotto, un nastro che continua a girare senza interrompersi, quei ricordi lo assillavano ogni qual volta che non era impegnato a fare qualcosa. I Dursley erano sbalorditi: Harry tagliava il prato, imbiancava la panchina, aspirava nelle camere, faceva la spesa, riparava le biciclette, tutto questo di sua spontanea volontà. Doveva avere qualcosa da fare per riuscire a non pensare…a non ricordare. Ovviamente i Dursley non lo ringraziavano, anzi, li vedeva osservarlo attentamente mentre era all’opera, probabilmente per accertarsi che non stesse sabotando le bici o comprando cibi avvelenati per ucciderli tutti. Però per il resto lo lasciavano in pace, fatta eccezione per il consueto irrigidirsi ogni qual volta entrava in una stanza e trattenere il respiro spaventati le rare volte in cui apriva la bocca per parlare. L’unica cosa buffa erano le loro preoccupazioni riguardo alla sua posta: ogni tre giorni ricordavano a Harry di scrivere a “quei suoi amici” per far sapere che stava bene. Erano terrorizzati all’idea che potessero presentarsi alla loro porta individui tanto anormali come quelli che avevano conosciuto in stazione quando erano venuti a prenderlo di ritorno da Hogwarts, e che potessero punirli perché non avevano ricevuto notizie da Harry. Ma, ad ogni modo, non si preoccupavano minimamente dell’espressione depressa del nipote, o di queste sue strane manie casalinghe. Non si chiedevano come mai mangiucchiava svogliatamente il magro pasto che gli davano, il motivo delle sue lunghe passeggiate, il fatto che ormai non reagisse nemmeno se si accennava a qualcosa di sgradevole riguardo a “quelli della sua razza”. Anzi, per i Dursley più Harry stava fuori dai piedi, meglio era. E c‘era da sperare che quei “tipi strambi” se lo portassero via il più presto possibile.
A Harry tutto questo non importava, non gli interessava come veniva trattato dai Dursley, sentiva le loro voci ovattate, come provenienti da un altro mondo. Aveva sofferto abbastanza, era diventato come insensibile ai loro maltrattamenti, non gli importava, non sapeva cosa stessero facendo nella loro stupida vita, come stesse Dudley…Si sentiva come dietro ad una campana di vetro: non poteva toccarlo più nulla, era indifferente a tutto e a tutti, tranne che al dolore che covava e alimentava.
Qualunque cosa, ogni oggetto che vedeva, ogni frase che sentiva o leggeva, gli faceva tornare in mente Sirius. Era impossibile toglierselo dalla testa, vedeva il suo viso ogni minuto, a volte corrucciato, a volte sorridente, a volte arrabbiato. L’eco delle sue risate gli risuonava nelle orecchie, così come l’immagine di lui e di suo padre da giovani, nel ricordo di Piton, che aveva visto dentro al Pensatoio. E continuava a torturarsi con le ipotesi di quello che sarebbe successo se…
Alcuni accettano la scomparsa di una persona cara perché credono che il destino o Dio, a seconda che siano credenti o meno, abbia voluto così. Sirius era destinato a morire? No. Harry non poteva pensare che un uomo di trentacinque anni, dopo dodici di questi passati ad Azkaban e due a nascondersi da tutti, meritasse anche di morire. Era troppo. Non era giusto. Ma più di imprecare e sfogarsi prendendo a calci tutto quello che gli capitava a tiro, Harry non poteva fare molto altro per cambiare le cose.

Tutto sommato, però, non poteva lamentarsi: Ron ed Hermione gli scrivevano molto spesso e aveva anche ricevuto una cartolina dalla Norvegia da Luna Lovegood, che era andata in una spedizione lì con suo padre per fare ulteriori ricerche su animali strani da pubblicare poi sul Cavillo. Anche Hagrid si era rivelato un ottimo corrispondente, sebbene fosse a volte difficile decifrare i suoi scarabocchi sgrammaticati.
Molto probabilmente, proprio in quel momento Harry veniva pedinato da un membro dell’Ordine della Fenice. Era un peccato però che mai nessuno si facesse vedere di persona, avrebbe volentieri fatto una chiacchierata con Tonks, Mundungus…perfino la signora Figg pareva evitarlo. Parlare con qualcuno diverso dai Dursley sarebbe stato un diversivo, un modo per dimenticare Sirius anche solo per cinque minuti.
Ora che era pubblicamente risaputo che Voldemort era ritornato, lui e i suoi seguaci agivano allo scoperto. Non avevano ancora raggiunto il numero e la grandezza delle stragi di maghi e babbani del periodo più cupo del suo dominio, ma c’erano stati un paio di misteriosi attentati all’estremità ovest della Cornovaglia, Harry l’aveva saputo dai telegiornali e dai quotidiani che prendevano i Dursley, oltre che dalla Gazzetta del Profeta. In entrambi i casi avevano perso la vita alcuni babbani e ne erano rimasti feriti qualche decina. La polizia Babbana cercava di far risalire gli attentati ai terroristi internazionali, ma restava il fatto che era una zona piuttosto insolita come bersaglio di organizzazioni terroristiche. E poi non bisognava sottovalutare che, secondo alcune indiscrezioni, i medici che avevano esaminato i cadaveri, non erano riusciti a dare una spiegazione scientifica della morte di queste persone, tranne una cessazione dei battiti cardiaci e un irrigidimento delle membra talmente grave che si verificherebbe solo in un grave attacco di panico e paura…o nelle vittime di un Avada Kedavra, pensava Harry. I feriti più gravi erano troppo confusi per ricordare qualcosa, quelli meno gravi avevano assistito alla scena solo da lontano, e quindi non potevano fornire dettagli illuminanti. L’unica cosa su cui tutti concordavano era uno strano simbolo verde a forma di teschio che aveva brillato nel cielo dopo l’attentato. Molti babbani pensarono agli alieni, tanto che questo fatto suscitò una “febbre da ufo” con tanto di fanatici inneggianti agli extraterrestri.
Harry avrebbe tanto voluto credere anche lui agli alieni come responsabili delle stragi, ma gli indizi combaciavano troppo bene: era tutta opera dei Mangiamorte, come ammettevano finalmente anche i quotidiani magici. Il nuovo periodo del terrore era cominciato.
E la cicatrice non aveva tardato a farsi sentire di nuovo. Spesso Harry si era svegliato in preda a incubi o aveva accusato forti fitte alla fronte, il più delle volte proprio in corrispondenza di attentati da parte di Mangiamorte.

Perso in queste riflessioni, si accorse solo allora di essere arrivato al parco giochi, deserto, a quell’ora della sera. Ora il cielo non era più così terso, anzi c’erano grosse nuvole grigie all’orizzonte. Una brezza ancora calda soffiava, portando con sé l’odore dei cespugli di lavanda, poco lontani, e di pollo arrosto, probabilmente cucinato in una delle villette a schiera intorno al parco. Le altalene, per la maggior parte rotte e inservibili, oscillavano nel vento, e cardini non bel oliati provocavano un ripetitivo rumore sinistro. Si sedette su quella dall’aspetto più solido, che scricchiolò sotto il suo peso, e cominciò a dondolarsi, più per avere qualcosa da fare che per vero divertimento. All’improvviso si sentì un forte rumore, come di qualcosa che esplodeva a pochi metri di distanza.
Harry scattò in piedi ancora prima di capire cosa fosse realmente successo, il cuore che gli martellava in petto e la netta sensazione di aver perso almeno dieci anni di vita con lo spavento che si era preso. Sfoderò la bacchetta e la puntò in direzione del rumore, notando un ammasso di lamiere accartocciate, nerastre e fumanti, coperte da uno strato di immondizia, che gli fece capire, anche dai miseri resti del cassonetto che erano sparsi un po’ dappertutto nelle vicinanze, che un bidone della spazzatura era saltato in aria. Poi si guardò intorno per individuare chi aveva fatto esplodere il cassonetto, la bacchetta ben stretta in mano, i muscoli pronti alla corsa e la mente lucida, preparata all’attacco. Che la banda di Dudley fosse passata dalle risse alla dinamite e gli stesse tirando uno scherzo?
La risposta non tardò ad arrivare: una persona con una lunga veste scarlatta, che stonava orribilmente con i suoi capelli rosa shocking, uscì da un cespuglio davanti alle altalene e corse verso l’ex-bidone. Spostò con cautela alcuni pezzi anneriti con un piede, che rivelarono resti maciullati e puzzolenti di spazzatura e un paio di topi morti.
“Smaterializzato...brutto, viscido, schifoso, carogna...oh, ciao Harry!” esclamò Tonks, smettendo di borbottare a mezza voce e usando un tono allegro, accompagnato da un bel sorriso.
Harry la guardò leggermente sconvolto. “Chi...cosa...” iniziò, incapace di decidere quale, tra le tante domande che gli affollavano il cervello, voleva esprimere per prima.
“Una spia di Tu-Sai-Chi, un grosso serpente. Ho visto che faceva capolino da questo bidone, l’ho fatto saltare in aria, ma lui deve avermi notata perché si è smaterializzato prima, quel sudicio verme!” spiegò Tonks, arrabbiata, ancora con lo sguardo rivolto ai resti del cassonetto.
“Nagini?” chiese Harry, senza pensarci.
“Chi è?” chiese Tonks, fissandolo, stranita.
“Il serpente di Voldemort, lo usava per...nutrirsi...io...l’ho visto in sogno...un paio di anni fa” rispose Harry, temendo che Tonks lo giudicasse un pazzo con le visioni.
“Silente ne è al corrente?” chiese Tonks, fissando Harry, seria.
“Sì...credo...è lo stesso che c’era anche quando...quando è risorto” ribatté Harry, sforzandosi di mantenere un tono di voce fermo e tranquillo.
“Bene...cioè, no, non va affatto bene” disse Tonks, e, sospirando, proseguì “devo fare rapporto immediatamente e avvertire il Ministero perché si accerti che nessun babbano abbia visto ed eventualmente modifichi la memoria degli spettatori. Devo andare, il che significa che tu devi tornare a casa: ci metterò poco a fare rapporto ma non sarai coperto per un paio di minuti, quindi non muoverti dal numero 4 di Privet Drive, capito?” chiese Tonks, mettendogli una mano sulla spalla.
“Ok” disse Harry, con tono piatto, ricacciando la bacchetta nella tasca posteriore dei jeans talmente larghi che stavano su solo grazie alla cintura. “Ma un serpente può materializzarsi?” chiese Harry, ricordando improvvisamente le parole di Tonks.
“Alcune specie, più potenti, sono in grado di farlo” rispose Tonks, distrattamente, guardandosi in giro per controllare che nessuno fosse nei paraggi.
Anche Harry si guardò intorno: nessuno era per strada a quell’ora di sera e con quel caldo, ma era sicuro che quel boato non era passato inosservato: poteva scorgere delle sagome dietro alle finestre delle case vicine, che sbirciavano con cautela attraverso le tende. Probabilmente molti avevano già chiamato la polizia.
Un rombo di tuono squarciò il silenzio della tranquilla cittadina. Grosse nubi nere e minacciose si addensavano velocemente. La brezza soffocante diventò più fresca e più forte. I cigolii delle altalene si fecero più rumorosi. Un penetrante odore di pioggia si diffuse, mentre il paesino veniva illuminato a tratti dalla luce spettrale emanata dai lampi. Le prime gocce cominciarono a cadere.
“Forza, ti accompagno, muoviamoci!” esclamò Tonks, prendendolo per un braccio.
Mentre correvano verso la casa dei Dursley, cerando di bagnarsi il meno possibile, Harry fece una domanda a cui da tempo voleva una risposta certa: “Tonks, tu per caso sai...sai quando potrò andarmene da qui? Voglio dire ci devo restare fino alla fine di agosto?”
Harry sperò con tutto il cuore che la risposta fosse no.
“Non ti è arrivato il gufo?” chiese Tonks, senza fermarsi. “Oh, beh, ti arriverà a momenti...a quanto pare ci rivedremo presto!” disse, fermandosi un po’ ansante davanti al numero quattro.
”Davvero?” esclamò Harry, con gli occhi che brillavano.
“Sì, certo” replicò Tonks, sorridendo. “Ora non ti muovere di lì, almeno fino a domani mattina” lo avvertì, con tono severo.
Harry promise, saluto la ragazza ed entrò in casa contento e sorridente, come non gli capitava da tempo. La prospettiva di lasciare presto i Dursley aveva offuscato l’incidente con il serpente, sebbene non l’avesse dimenticato e lo turbasse, dato che si poteva considerare un tentato attacco in piena regola. Voldemort a quanto pare non l’aveva dimenticato.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Rowena_Ravenclaw