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Autore: Elphie94    22/07/2017    2 recensioni
[Modern!AU] Considerato il più grandioso genio del nuovo secolo, Erik Danton vive recluso, nascondendo al mondo la ragione della sua volontaria segregazione. La sua vita cambia quando vi entra a far parte Meg Giry, una ragazza spavalda e apparentemente senza regole, che diverrà la sua nuova (quanto involuta) allieva. Tra i due non scorre buon sangue, ma nessuno, neanche Erik, può prevedere il futuro...
[Edit 2020: lievi correzioni e modifiche al testo.]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Erik/Il fantasma
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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xiv.


Erik accavalla le gambe sulla poltrona, pronto a vincere il suo disagio. Non ti curar di loro, ma guarda e passa… scriveva Dante in un contesto ben diverso. Lui cerca di mettere in pratica questo pensiero, per il bene di Meg, almeno.
La suddetta tamburella le dita sulle ginocchia con grande impazienza, in attesa che lo spettacolo cominci. Lo sbarco a New York è stato più rapido del previsto, ma Erik si è costretto a trattenersi e non dare in escandescenze ogni qualvolta gli altri passeggeri gli lanciavano occhiate curiose, stranite o sospette. Il fatto che, imbacuccato in quel modo, assomigli all'Uomo Invisibile non ha aiutato. I controlli alla dogana sono stati, se è per questo, ancor più severi. Erik si chiede per l'ennesima volta se  abbiano sospettato che fosse un terrorista.
Si è potuto godere le strade di New York solo di notte, quando la sua mascherata sarebbe stata meno in vista, malgrado le luci sempiterne della città. Il fatto che non possa mostrarsi troppo al sole o portare Meg in uno dei ristoranti più celebri della città lo esaspera. Ma alla ragazza non importa: di giorno, rimane in albergo con lui, e consumano i pasti nella camera di Erik. Questi ha prenotato due stanze in uno dei migliori alberghi di New York: inutile dire che Meg è rimasta senza parole dinanzi a tanto lusso, e lo ha giocosamente rimproverato di viziarla troppo.
«Finché sono con te, non ci saranno problemi» gli ha detto quando lui si è scusato di non poter essere per lei un buon compagno di viaggio — il perché è sottinteso.
Quando il sipario si solleva e ha inizio il numero d'apertura, Erik si concede di rilassarsi. Durante lo spettacolo, però, fa più attenzione a Meg, al suo viso arrossato dall'entusiasmo, le labbra che si muovono a tempo per sillabare le parole delle canzoni; l'inglese di Meg è molto rudimentale, ma Erik lo parla perfettamente, quindi non ci sono problemi.
Quella sera, in albergo, Meg gli sventola sotto il naso gli autografi dei principali membri del cast e gli mostra le fotografie che ha scattato all'Empire Building e al ponte di Brooklyn, entusiasta come potrebbe esserlo Dany davanti a una scatola di cioccolatini.
Dopo la cena — rigorosamente in camera — Meg chiede se può restare un altro po' con lui.
«Fa' con comodo.»
Meg sorride e, con indosso solo un pigiama leggero che, a dire il vero, mette Erik piuttosto a disagio, si accoccola vicino a lui sul letto. Per un po' giocherella con il telecomando e cerca di carpire qualche parola dai programmi in TV, ma il suo inglese non è sufficientemente buono, e pertanto si annoia subito.
«Cantami qualcosa.»
«Cosa?»
«Quello che vuoi. Non riesco a prendere sonno, e la tua voce ha un effetto calmante sulle persone — lo sapevi?»
Erik ridacchia — certo che lo sa — e intona una nenia gitana che, con le sue abilità di ventriloquo, risuona direttamente nella testa di Meg. Per un attimo la giovane appare tramortita, poi i lineamenti del suo viso si rilassano e poggia il capo sul suo petto. Mentre canta, Erik non si accorge che lei lo rimira dal basso, come incantata, paralizzata dai suoi stessi pensieri… Una meraviglia che sa di epifania.
«La tua pelle è così fredda…» mormora lei, ancora trasognata. Gli sfiora la gola con le dita, ed è a quel punto che Erik non è più in grado di cantare.
La parte più sana di lui vorrebbe fuggire, o scacciarla via; l'altra — quella che non ha nome — grida di prenderla lì, su quel letto di albergo, di farla sua e di stringerla tra le braccia come lui non è mai stato in grado di fare.
Meg non lo guarda negli occhi. Invece, gli fissa le labbra, e sembra anche lei in conflitto con se stessa. Si avvicina, tanto che Erik potrebbe contarle le pagliuzze negli occhi…
Poi lo bacia.
È un bacio lieve come una piuma, puro come il cristallo. La mano che gli accarezza il volto mascherato trema, mentre lui è talmente raggelato che ogni pensiero logico gli sfugge.
Il bacio si fa più ardito, ed è allora che Erik sente… tutto. Il calore della donna che lo abbraccia, le esili dita tra i suoi capelli che scorrono lentamente fino ad arrivargli al  petto. E fa qualcosa che la ragione gli nega: ricambia il bacio.
Le sue mani sono impacciate sul corpo di lei, che le guida a lambirgli le cosce — sembra argilla che possa plasmare a suo piacimento, come un contorto Pigmalione — mentre si fa sfuggire un gemito e lo attira a sé con fervore. Il sangue gli ribolle nelle vene, il basso ventre in fiamme…
È quando fa per sbottonargli la camicia che Erik capisce cosa sta accadendo, e si arresta all'istante, ponendo una distanza ragionevole tra i loro corpi fin troppo concitati.   
Lei sussulta, come destata da un sogno troppo — troppo per essere reale. Lui balza giù dal letto e deglutisce pesantemente, cercando di calmare il calore che sente circolare in corpo come lava incandescente.
«Maledizione!» impreca, e prenderebbe a calci e pugni qualcosa — qualsiasi cosa — se non si trovasse in un albergo che evidentemente non è di sua proprietà. Sfascerebbe la camera come vorrebbe squassare il suo corpo, e il cuore che non cessa di palpitargli in modo così udibile nel petto.
Meg è sconvolta, ancora accovacciata sul letto, e non accenna a muoversi. Alla fine, percependo la sua aura furiosa — Erik crede sia avvertibile anche a metri di distanza — si porta una mano alla bocca, quasi a liberarsi del sapore, certamente mortuario, delle labbra di lui sulle proprie.
«Io…» balbetta, e sembra una bambina spaventata. Erik non l'ha mai vista in uno stato di tale agitazione, neanche quando si è precipitata a casa sua il giorno (o sarebbe meglio dire, la notte) dell'anniversario del suicidio di suo padre.
«Maledizione, Meg!» ringhia lui, e lei sobbalza, ancor più impaurita. Solo, non per causa sua.
«Perdonami, io…»
Un altro battito di ciglia, poi sgattaiola nella sua camera, senza voltarsi indietro. Codarda come non è mai stata prima.
Erik si culla il capo tra le mani, gli occhi pieni di lacrime. Ma non minacciano di colargli sul viso mascherato: è troppo scombussolato per quello.
«Oh, Signore» dice, e si accascia sul letto, impregnato ancora del profumo di lei.


Il viaggio di ritorno è il più imbarazzante che Erik possa immaginare: fa di tutto per non sfiorarla, anche solo con un dito; lei, in cambio, non gli rivolge la parola.
A casa, è il Daroga a trovare Erik accasciato sul divano di pelle nera, e si avvede immediatamente che c'è qualcosa che non va.
«Mi ha baciato.»
Se avesse qualcosa in mano, Nadir lo lascerebbe cadere a terra per lo sgomento.
«Cosa?»
«Mi hai capito bene.»
Ed è allora che Erik sfoga il nembo mefitico di emozioni che ora ha al posto del cuore. «Difficile immaginarlo, vero? Una donna — una ragazza con quasi la metà dei miei anni che di sua spontanea e completa volontà bacia il mostro invece di lasciare che il cavaliere senza macchia e senza paura lo uccida.»
«Erik, se ti ha baciato… deve pur esserci un motivo.»
«É confusa» ribadisce lui, ostinato. «Sono l'unico uomo con cui abbia mai condiviso una tale sintonia emotiva. E la mia voce…» Scuote il capo. «Voleva che le cantassi qualcosa per farla rilassare. L'ho fatto. E poi lei mi ha…» Fa un gesto vago con le lunghe dita pallide.
«E qual è stata la tua reazione?»
«Prego?»
«Tu che cosa hai fatto?»
Erik rimane per qualche attimo in silenzio, a ponderare. Ricorda le proprie mani sulle sue cosce, sulla schiena, e gli gira la testa. Certo, è stata lei a guidarlo, ma lui ha tacitamente acconsentito.
«Se non mi fossi fermato…» Sarebbe potuto accadere qualcosa di ancora peggiore.
Le tempie gli pulsano dolorosamente. «Indecente. È indecente. Perdere la testa per una ragazza così giovane — alla mia età, poi…»
«Quindi ammetti di aver perso la testa per lei.»
Erik schianta il pugno sul tavolino più vicino, ma Nadir non sobbalza, abituato a scenate di furia ancora peggiori.
«Ogni cosa che tocco si distrugge. Daroga, mi hai guardato bene in faccia?»
Nadir elude quella domanda retorica. «Credo che dobbiate parlarne.»
«E per cosa? Per ricordare a me stesso che razza di mostro io sia? Sono certo che lei sia troppo sconvolta anche solo per discuterne civilmente — cosa in cui, dovresti saperlo, nessuno dei due eccelle.» Si ferma per riprendere fiato. «Il mio destino è guardare la vita da lontano, essere un uomo senza far realmente parte della razza umana. Non posso caricarle questo peso sulle spalle. In più, lei non prova… che affetto e pietà per me. Di quelli che si riversano su un animale domestico. Le faccio soltanto pena.»
«Non dire così.»
«E allora spiegami, Daroga, perché mai una giovane brillante e di gradevole aspetto dovrebbe avere qualcosa a che fare con un mostro di una manciata d'anni più giovane di sua madre!»
Nadir non risponde, meditando per un attimo. «In te c'è molto più di un mostro, Erik.»
«É vero. Sono più di un mostro e meno di un uomo. Più di un morto e meno che vivo.»
A queste parole, Nadir non sa cosa rispondere.
«Chi mi dice che non mi abbia… che non abbia fatto quel che ha fatto per una curiosità morbosa? Deve essere interessante, sapere quel che si prova nel baciare un cadavere vivente…»
«Stai delirando. Meg non lo farebbe mai.»
Una pausa terribile in cui Erik si crogiola nel suo dolore, nei suoi dubbi. Vorrei crederlo. Pensavo di conoscerla, e invece ecco che quella ragazza mi stupisce ancora.
«Adesso lasciami solo, Daroga. Ho bisogno di pensare.»
«Questa impasse non andrà avanti per sempre, Erik. Sarà lei stessa a infrangerla.»
Sì, perché ha capito quel che provo per lei, e di conseguenza ne è ripugnata.
Sulla soglia, Nadir si ferma un attimo per guardarsi alle spalle. «Tu la ami, Erik?»
Questi non proferisce parola, reso muto dal rimorso e dall'angoscia. Per il Daroga, è una risposta sufficiente.



Scena VII

MEG: Non so cosa sarebbe potuto accadere se non mi avesse fermato. Anzi, lo so, ma non voglio pensarci.
DOTTORESSA LAURENT: Cosa provi davvero, Meg? Poniti questa domanda.
MEG: Mi è difficile analizzare le mie emozioni. Illuminatemi.
DOTTORESSA LAURENT: (incrociando le braccia al petto) Quando gli sei vicino… ti sembra forse che… che ogni cellula in te muti in elettricità statica? Che vi sia una corda a legarvi? Come ti sentiresti se questa si spezzasse?
MEG: (con le lacrime agli occhi, si massaggia le tempie quasi le dolessero) Come se avesse spezzato anche me.
DOTTORESSA LAURENT: E allora hai la risposta che cerchi.
MEG: Ma come? La sua faccia è impossibile, ve lo garantisco. Non sembra neanche umana. Ma la sua voce… Mi chiama a sé, e non riesco a resisterle. E non sto parlando solo della sua vera voce, ma anche di quella della sua anima. A New York… (si prende la testa tra le mani) gli avrei concesso tutta me stessa, al diavolo il suo aspetto. E questa cosa mi uccide, perché lui è così problematico, e tanto più grande di me…
DOTTORESSA LAURENT: Dovete chiarire e parlarne.
MEG: Lui ama Christine Daaé, non me. Cosa sono io in confronto? Un anatroccolo sparuto, ecco cosa.
DOTTORESSA LAURENT: Non esserne tanto sicura.
   
 
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