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Autore: Stillmar    25/07/2017    5 recensioni
L'acqua gli alberi e i fulmini erano gli unici testimoni della strana creatura apparsa improvvisamente in quel luogo
chiunque fosse passato di li sarebbe senz'altro rimasto sorpreso di trovare una così bizzarra sagoma giacere sull'erba bagnata.
una storia avventurosa e a tratti inverosimile che tenevo in cantiere da un po' e che finalmente pubblico qui; è un esperimento ma spero possa piacere comunque.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2   
Un nuovo amico
Un forte battito risuonava nelle sue orecchie, non capiva cose fosse ma di certo non se lo stava immaginando. La prima cosa che Jack sentì quando riaprì gli occhi fu l’erba pungente che gli pizzicava la guancia. Una mosca solitaria svolazzò accanto al suo naso, ma si allontanò subito vedendo questo muoversi
L’uomo si mise a sedere riacquisendo lucidità un poco alla volta. Si  portò una mano alla tempia, realizzando ogni cosa. Subito iniziò guardarsi intorno, scattò in piedi barcollando in preda all’ansia. Più volte si sforzò invano di riflettere, cercando di convincere se stesso di essersi immaginato tutto. Ma non poteva perché in cuor suo sapeva che ciò che aveva visto in mezzo a quel campo era reale. –No-
 Gli tornò tutto in mente, prima l’autista dell’auto, la visione, poi il maialino ed infine il piccolo agnello in piedi di fronte a lui che lo fissava con quegli occhi meravigliati. Il respiro si fece nuovamente ansimante, era dunque davvero impazzito? Il povero Jackson West aveva dunque perso il lume della ragione?
–No, non è possibile-.
O forse quel luogo lo aveva suggestionato a tal punto da avere delle visioni. Gli parve di udire nuovamente una fioca risata correre tra le piante. Si tappò le orecchie sperando che cessasse, ma sembrava rimbombasse tutt’intorno. Addirittura gli parve per un attimo di scorgere davanti a se i piccoli occhi di quelle creature che lo scrutavano da dietro i lunghi steli. I grandi occhi dell’agnello che lo fissavano. Nella sua mente riaffiorarono i due animali, in piedi su due sole zampe e con addosso dei vestiti, cosa facevano li? E se l’avessero seguito? Ripensare allo sguardo meravigliato della piccola pecora gli procurò un senso di vuoto nello stomaco. Aggrappandosi con gli artigli alla propria forza di volontà urlò a se stesso che non esisteva alcun animale con addosso vestiti. Non potevano esistere.
Una nuova brezza più forte delle precedenti lo raggiunse, scuotendo la cima delle alte piante di mais. Il vento si stava nuovamente alzando; ma cosa peggiore il sole stava calando. Un ennesimo tuffo al cuore per Jack, ora sapeva di dover assolutamente abbandonare quel luogo, non sarebbe sicuramente sopravvissuto ad un’ altra notte all’addiaccio.  Mandò giù un groppo e  fece un passo prima di rendersi conto di essersi perso. La sua fuga lo aveva condotto si lontano, ma gli aveva anche fatto perdere l’orientamento. Lo spavento per fortuna fu di breve durata; la sua attenzione fu catturata da un nuovo rumore proveniente da oltre le piante. Un rumore decisamente familiare. Un rombo di un motore vicino, molto vicino. Il motore di un’auto  che stava passando accanto al campo di granoturco. Jack gemette e si mise a correre sperando di raggiungerlo, oltrepassò il muro di piante che delimitava il campo e quasi  si gettò sulla strada. Ma arrivò troppo tardi. La macchina era già ben lontana, se ne potevano vedere solo i fanali sparire nel crescente buio del crepuscolo. Un onda di disperazione e rabbia ruppe il silenzio:
<< No! Non di nuovo dannazione! >> Jack concentrò tutta la forza che gli era rimasta in quell’unico urlo.  Cadde in ginocchio sul bordo della strada, si prese la testa tra le mani ed infine scoppiò a piangere. Pianse, quasi come un bambino, non riusciva a pensare a nient’altro. Da quando si era risvegliato in quel luogo aveva cercato di rimanere saldo pur realizzando le difficoltà. Ma evidentemente non ne era più in grado, non dopo quello che aveva passato. Mi domando come chiunque reagirebbe ad affrontare una simile serie di assurdità nell’arco di una sola giornata, una giornata che peraltro stava volgendo al termine. Quando Jackson sollevò il capo inumidito dal pianto il sole era ormai già tramontato. Le gambe riuscirono miracolosamente a reggere il suo corpo ma era chiaro che se non avesse trovato al più presto qualcosa da mangiare non sarebbe andato lontano. Tirò su con il naso e strinse nuovamente a se la giacca con le mani tremanti. Non avendo più nulla da fare li Jack si raccolse e si rimise in marcia addentrandosi ancora di più in quel misterioso ed oscuro luogo.
Da lontano si sarebbe potuta vedere una sagoma scura che continuava imperterrita a costeggiare la strada sfidando le tenebre e la stanchezza. Ormai il buio era calato inghiottendo ogni colore attorno a lui, l’uomo dovette quindi sforzarsi di adattare la propria vista alla mancanza di luce. E questo fu un bene visto che sarebbe probabilmente andato a sbattere se non avesse notato il grosso cartello piantato nel terreno davanti a lui. La sagoma nera si delineò in un momento tanto che per poco Jack non si spaventò. Il cartello da solo sarà stato alto un paio di metri. Anche al buio si potevano notare alcune grandi lettere in rilievo. Il nome di un paese senza dubbio.  Con l’accendino in mano provò a fare un po’ di luce, le grandi lettere che componevano una frase sul cartello presero forma. La piccola fiamma tremolava circondata dal gelido buio notturno, nella penombra l’uomo balbettò alcune parole:
<< Benvenuti … contea … Bunnyburrow … >>
Dalla padella nella brace insomma. Ora Jack era ancor più certo di essere completamente perso. Mai prima di allora aveva sentito un luogo con un simile nome. Ma non riuscì ad interpellare oltre il proprio cervello. La stanchezza e la fame presero di li a poco il sopravvento. Alcuni minuti dopo essersi lasciato lo strano cartello alle spalle Jack arrancò sull’asfalto gelido esalando alcuni profondi sospiri. Alzò lo sguardo e si mise a contemplare la volta celeste che ormai era completamente decorata di stelle. Una miriade di piccoli punti luminosi che fluttuavano lassù incuranti della follia che circondava l’uomo che le fissava dal basso. Questi sperava quasi che lo compatissero, o che l’aiutassero indicandogli la strada. Del resto le stelle servivano a questo no? Ma di certo Jack non aveva la più pallida idea di come fare ad orientarsi con esse. Il suo sguardo iniziò a scendere continuando a fissare quei piccoli fori nel cielo notturno. Ma quando ebbe riabbassato la testa  credette  per un momento che una di quelle stelle avesse improvvisamente deciso di staccarsi dalle altre per avvicinarsi al suolo. Un fioco alone luminoso all’altezza degli alberi che rischiarava debolmente l’oscurità notturna. All’inizio il povero Jackson pensò all’ennesima allucinazione ma, pur non essendo del tutto lucido, non ci mise molto a capire che la luce davanti a se non era una stella ma la luce di una casa poco distante. Un vera e propria manna dal cielo. Chissà come jack riuscì a trovare la forza di rimettersi in piedi, un sorriso disperato si dipinse sul suo volto. Stanco di false speranze ed allucinazioni fin troppo reali forse aveva finalmente trovato la salvezza che ora era li di fronte a lui.
<< Vi dico che l’ho visto. >> esclamò Jeremy
<< Certo, come no. >>
<< Te lo assicuro era in mezzo al campo.>>
<< A si? E aveva anche dei lunghi denti? E gli artigli? >>
<< Beh no, ma … >>
<< Finiscila ok. Il vecchio fattore ti ha raccontato quella storia per metterti paura. Non voleva che tu e gli altri combinaste qualche guaio. >>
<< Ma papà … >>
<< Non voglio sentire altro. Sali in macchina dobbiamo tornare a casa. >>
Jeremy infilo le dita nelle tasche con sguardo torvo e si diresse a lunghi passi verso l’auto dove il resto della sua famiglia lo stava già aspettando. Salì e si sedette appoggiando la faccia contro il finestrino.
<< Non fare così Jeremy, in fin dei conti è stata una bella festa.>> disse la signora Whitewool. Da quel momento il silenzio calò per quasi tutto il viaggio di ritorno, a parte sporadici commenti sulla cortesia dei vicini e sul buon cibo consumato alla fiera agricola. Un evento molto sentito in tutta la contea. Quell’anno poi i contadini locali si erano davvero dati un bel da fare nell’organizzare tutto. Una noia mortale come sempre. Jeremy rimase col muso contro il finestrino osservando la  luce della campagna che andava pian piano spegnendosi. Non si sentì di intervenire nella conversazione, non riusciva a pensare ad altro che alla strana creatura che, almeno lui, era certo di aver visto. Quell’ essere con i vestiti logori e il viso in parte senza pelo che lo fissava con i suoi due occhi scuri. Inutile sottolineare i suoi vani tentativi di avvisare gli altri partecipanti alla festa della presenza di un mostro nel terreno del vecchio fattore. Il viaggio fu fortunatamente breve. La casa della famiglia Whitewool era una accogliente villetta situata in un piccolo appezzamento di terra circondata dalla pace della campagna. A poca distanza alla casa vi era un vecchio deposito decadente che, o per mancanza di tempo o di soldi, non era mai stato restaurato e che per Jeremy era diventato una sorta di castello dove egli si recava quando aveva voglia di divertirsi un po’.
Nel tepore della casa, la famiglia consumò una ricca cena, della quale però Jeremy si interessò ben poco.  Non appena ebbe finito corse in camera sua, si arrampicò sulla libreria e prese un vecchio libro con la copertina rugosa che conteneva la descrizione dettagliata di un’ampia varietà di mostri. Un regalo di suo zio, per la verità mai approvato da sua madre. Sfogliò pagine su pagine trovando alcune dettagli interessanti, altri disgustosi, ma nessuna immagine sembrava assomigliare al mostro con la faccia a metà. Così è come lo aveva battezzato Jeremy. La sua testardaggine era superata solo dalla sua fantasia. Immerso nella sua ricerca finì per perdere la cognizione del tempo, alzò la testa solo quando sentì qualcuno bussare alla porta. Sulla soglia si palesò sua madre.
<< Jeremy? Posso entrare? >>
<< Oh, va bene. >> si limitò a rispondere questo chiudendo il libro. Lo sguardo della madre si fece serio in un momento:
<< Che stai facendo? Sai bene che non voglio che tu legga quel libro.>>
<< Sto cercando di ritrovare il mostro che ho visto.>>
<< È per questo che prima hai mangiato così poco?>> domandò lei.
<< Non avevo fame, ma credo di aver quasi capito di cosa si trattass … hei! >>
 La signora Whitewool strappò il libro dalle mani di Jeremy: << Quel matto di un contadino  e questo libro ti hanno suggestionato anche troppo per oggi. >>
<< Ma tu mi credi, vero? >>
Dopo aver rimesso il libro a posto, la madre di Jeremy sospirò e guardò il figlio con fare stanco:
<< Jeremy, dovresti essere già abbastanza grande per sapere che i mostri non esistono. >>
 Il volto del piccolo mammifero divenne una smorfia imbronciata. Guardò sua madre per alcuni istanti poi saltò giù dal letto ed uscì spedito dalla stanza: << Non mi credi neanche tu. >>
<< Jeremy, non fare così. Per favore. >>
Jeremy parve non sentire. Uscì di casa per sbollire la rabbia e decise di dirigersi verso il vecchio deposito dietro casa sua. La stradina che lo raggiungeva era di terra battuta, contornata da due soli lunghi cespugli. Scivolò dentro da un’ apertura segreta che solo lui conosceva. Si trovò solo nel buio del capanno adibito ormai solo a stipare cianfrusaglie, che a volte però diventavano ottimi oggetti di svago. Jeremy del resto aveva una mente dalle mille idee, e quando il mondo attorno a lui perdeva, per così dire, l’entusiasmo egli lo reinventava sfruttando anche la sua ottima parlantina. Tutte qualità che però non trovavano spazio nelle relazioni sociali; per questo Jeremy non vantava un gran numero di amici. Preferiva starsene per i fatti suoi ricercando la gioia che solo la sua immaginazione era in grado di procurargli. Tra quelle quattro pareti insomma viveva le sua migliori avventure in una vita per lui a volte noiosa. Si mise in cerca di una piccola lucerna posta su una mensola accanto all’ingresso segreto. Non un granché ma era sufficiente per fare un po’ di luce sulla situazione. Jeremy pose a terra il lume e si diresse verso il centro del capanno continuando a bofonchiare ancora arrabbiato, non tanto per il fatto che tutti gli avessero riso in faccia, ma per come nemmeno sua madre gli credesse. Aveva sempre dato per scontato l’appoggio dei propri genitori, ma un diniego espresso in modo così deciso gli suonava in qualche modo strano. Del resto è spesso difficile per un bambino comprendere le decisioni di un adulto. Un cigolio proveniente da chissà dove distolse l’attenzione di Jeremy. Un secondo cigolio seguì, poi un terzo ed un quarto sempre più forti, ed infine un sordo tonfo come un sacco di patate che cade. Jeremy già in piedi con la lanterna in mano si guardò intorno con gli occhi sgranati. Il rumore proveniva da una delle finestre che si trovavano dall’altro lato del deposito. << Chi va la? >> biascicò Jeremy. Si avvicinò tremolante alla finestra, sentiva caldo nonostante la sera fosse piuttosto fredda. Superò un vecchio baule polveroso e diresse il fascio di luce davanti a se, illuminando la sagoma della creatura che non avrebbe mai trovato sul suo libro, una grottesca figura a quattro zampe e con gli occhi spiritati e gli abiti logori che gli ansimava contro. Il mostro con il volto a metà era di fronte a lui. Non si capì bene chi urlò più forte. Jeremy lasciò cadere la lanterna e scappò verso l’uscita, Jack incespicò sbattendo la testa contro una trave di legno e finendo a terra stordito. L’agnello si precipitò fuori dal capanno, si fermò e guardò dietro di se ma una zampa lanosa sulla spalla lo fece sobbalzare: << Jeremy, ti ho sentito urlare, stai bene? >> il signor Whitewool prese il figlio tra le zampe. << Sembri terrorizzato, cos’è successo?>>
Jeremy disse la verità, una mezza verità. Sapeva bene cosa sarebbe successo se avesse cercato di descrivere quello che aveva davvero visto. Avrebbe voluto certo, ma non avrebbe ottenuto altro risultato se non quello di fare arrabbiare ulteriormente suo padre. No, questa volta se la sarebbe cavata da solo, così si limitò a dire;
<< Io ho … ho … visto un grosso ragno. >>
<< Un ragno, dove? >> chiese il padre.
<< Nel deposito, avresti dovuto vederlo, sarà stato grande così. >> disse Jeremy allargando le zampe. Il padre apparentemente sollevato lo riprese:
<< Mi hai fatto preoccupare, quante volte ti ho detto di fare attenzione quando entri li dentro? >>
<< Scusa papà. >> disse Jeremy chinando la testa.
<< Forse è meglio che controlli … >>
<< Oh no, non credo. Anche il ragno si è preso un bello spavento. Sono certo che è già scappato. >> affermò l’agnello con un sorriso. Il signor Whitewool alzò un sopracciglio: << Credo sia meglio chiudere questo posto per oggi. >>
<< Oh no. >> azzardò Jeremy. poi riprese: << Voglio dire, ho lasciato un paio di cose li dentro vado a prenderle. >>
<< Va bene, ricordati di chiudere la porta quando avrai finito. >>
<< Ma certo. >> disse Jeremy sfoderando il suo migliore sorriso. Il padre si incamminò verso la porta di ingresso, e quando Jeremy fu certo di essere solo scivolò di nuovo dentro il deposito. Felice in cuor suo all’idea di aver avuto ragione, recuperò la luce e raggiunse lo spazio sotto alla finestra. La sagoma era ancora li, inerme ma il suo respiro pesante era ben udibile anche a distanza. Non sembrava essere pericoloso, la sua ossuta e pallida zampa era riversa lungo il suo fianco. Il piccolo si avvicinò con cautela, cercando di emettere meno rumore possibile.
La prima cosa che Jack vide quando si riprese dal tremendo mal di testa, fu il bastone che l’agnello impugnava rivolto verso la sua faccia, ancora rossa per le precedenti lacrime. Trasalì e arrancò, accorgendosi però di trovarsi con le spalle contro la parete del granaio. L’animale non si scompose, continuò a fissarlo con malcelata ansia. Il silenzio proseguì finché il mammifero lanoso parlò:
<< Tu … capire mia lingua? >>
Jackson rimase interdetto, quasi convinto che quell’ agnello lo stesse prendendo in giro, riuscì però a rispondere con una certa sicurezza: << Amico, abbassa quel coso prima di farti male. >>
In un secondo infatti il bastone cadde a terra, gli occhi del piccolo animale  parvero riempirsi di emozione. Si tappò la bocca con entrambe le zampe e fece un passo indietro.
<< Tu sai parlare … >> bisbigliò.
 L’uomo si mise in piedi appiattito contro la parete. L’agnello non sembrava essere spaventato, egli tuttavia non aveva idea di come comportarsi. Portò le mani  aperte davanti a se e disse con un filo di voce:
<< Ok, non voglio farti del mal … >>
<< L’hai fatto ancora … ah ha! Lo sapevo che esistevi, lo sapevo! >> l’agnello cambiò espressione in un istante diventando euforico per l’emozione. Contemporaneamente Jack si fece perplesso:
<< … di che stai parlando? >>
Il mammifero lanoso parve non sentire:
<< Wow! Che cosa sei !?Da dove vieni!? Dov’è la tua coda? E il tuo pelo? Hai fame? Sono così emozionato che … che …>>
Di pari passo con l’entusiasmo del piccolo, la mente di Jack cedette definitivamente. L’uomo iniziò a vaneggiare, massaggiandosi convulsamente le tempie:
<< NO. No, no non esistono animali parlanti, è solo un parto della mia immaginazione. Tu non esisti! >> le voci dei due si sovrapposero creando un gran trambusto che proseguì per alcuni minuti, fin quando entrambi non iniziarono a fare dei profondi respiri per calmarsi. Subito dopo però l’agnello ricominciò con le domande: << Che cosa sei? >> chiese infine.
Jackson si sentì quasi offeso da quella domanda:
<< Cosa sono io? Ma cosa sei tu!? >> chiese Jack, il cui cuore stava saltando da tutte le parti.
<< Te l’ho chiesto prima io. >> disse l’agnello;
<< Oh scusa, ma sai di solito non parlo con gli agnelli. >> disse Jack in tono sarcastico.
<< Come sai che sono un agnello? >>
<< Lascia perdere. >> disse l’uomo accompagnando la frase con un gesto della mano; - ok devo essere completamente impazzito- pensò. Ma realizzò in quel momento una cosa molto strana: << Scusa ma … non ti faccio paura? >>
<< No. >> fu l’immediata risposta dell’animale.
<< Neanche un po’? >> chiese nuovamente Jack.
<< Più che altro sembri disperato. >> disse il piccolo mettendosi le zampe in tasca.
<< In un certo senso lo sono. >> ammise l’uomo con un sospiro. L’agnello fece nuovamente finta di non sentire:<< Non mi hai ancora risposto, che cosa sei? >>
Jack rispose con sincera irritazione:
<< Non cosa, chi sei. E comunque sono un essere umano  >>
<< Cos’è un essere ulano? >> chiese Jeremy inclinando il capo a destra
<< Essere umano! Ed è quello che sono io. >> Jack stava iniziando a perdere la pazienza, l’agnello lo squadrò dalla testa ai piedi, poi disse: << Sei un alieno per caso? >>
<< No. >>, rispose subito Jack poi fece una pausa e riprese:<<  Almeno non credo. >>
<< Se non sei un alieno, da dove vieni e come sei arrivato qui? >>
<< Cos’è un interrogatorio? >> rispose Jack ormai esasperato, << Accidenti quanto parli, ma non lo sai che non si deve parlare con gli estranei? E poi … come diavolo è possibile che tu sappia parlare? >>
<< So farlo e basta. >> si difese il mammifero, <<  E poi ora sei tu quello che fa troppe domande. >> Jack accusò il colpo ed entrambi rimasero in silenzio, poi l’agnello ricominciò:<< Quindi, hai anche un nome? Il mio è Jeremy. >>, Jack abbozzò un mezzo sorriso e rispose: <<  Sei imprudente a dire il tuo nome a chi non conosci. >>
<< Me lo dicono spesso. >> rispose con leggerezza l’animale. Jack ghignò e rispose: << Bene … Jeremy, io sono Jack e il piacere e tutto tuo. >>
<< Siete sempre così scontrosi voi esseri ulani ? >>
<<  … oh lasciamo perdere. >> borbottò Jack. Si passò la lingua sul labbro inferiore, poi riprese:
<< In ogni caso non credo che anche tu saresti molto cordiale se ti trovassi nella mia stessa situazione; mi sono perso … e poi non so neanche dove accidenti mi trovo … >>
<< Per questo stavi piangendo? >> Chiese il piccolo animale.
<< Non stavo piangendo. >> rispose Jack con malcelato imbarazzo;
<< Sembrava il contrario. >> disse l’agnello in tono ironico. C’era qualcosa di incredibile in quell’animale: non solo non aveva idea di cosa fosse la paura, ma aveva anche un’eccellente spirito d’osservazione.
<< Che c’è, vuoi farmi perdere la pazienza piccoletto? >>
<< Hei non chiamarmi piccoletto. >>
<< Scusa … piccoletto. >>, un sorriso di sfida si dipinse sul volto di entrambi.
<< Ma come sei arrivato qui? >>, chiese nuovamente l’agnello. Jack non sapeva che dire, ma se quel agnello aveva così tanta voglia di fare conversazione, forse poteva ricavarne qualche informazione importante, così allargò le braccia e rispose: << Beh, te lo spiegherei volentieri se lo sapessi, ma purtroppo non è così, e ormai mi sono stancato di chiedermelo. Inoltre, sarei ben contento se mi dicessi dove ci troviamo. >>
L’agnello incrociò le zampe e si mise a guardare l’uomo con un’espressione che Jack comprese dopo cinque secondi. Con sincera irritazione esalò un: << Per favore. >>
L’agnello sorrise e subito rispose:
<< In questo momento ti trovi al confine della contea di Bunnyburrow. >> rispose il mammifero; a quel punto Jack ricordò il cartello visto giù in strada:
<< Quindi questa è la contea di Bunnyburrow? >>
Il piccolo annuì e proseguì:
<< Anche se a dire il vero siamo più vicino alla città. >> aggiunse l’altro. A quelle parole gli occhi di Jack ebbero un guizzo: << Quale città? >>
<< Zootropolis. >> concluse il mammifero.
Jackson lo fermò con un cenno della mano:
<< Aspetta, quindi qui vicino c’è una intera città abitata da animali parlanti? >>
<< Si … se la metti così. >> rispose il mammifero annuendo.
<< E … non ci sono altri … umani? >> chiese l’uomo in preda all’ansia.
<< No, direi proprio di no. >>
Jack si mise una mano sullo stomaco e si appoggiò alla trave li accanto.
<< Cos’hai? >> chiese Jeremy allarmato.
<< Sto per sentirmi male. >> disse Jack con voce roca.
<< Vuoi un po’ d’acqua? Oppure … >>
<< Mi serve solo un attimo. Non … sono in forze. >>
<< Posso portarti da mangiare. >> disse l’agnello.
<< Lo faresti? Grazie … >> disse l’uomo con uno sguardo sincero.
<< Aspetta qui. >> il piccolo animale corse fuori dal granaio. Jack osservò la sua sagoma sparire dietro l’angolo prima di bisbigliare:
<< E chi si muove? >>
Con un ultimo rantolo l’uomo si sedette a terra con la schiena appoggiata alla parete.
   
 
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