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Autore: Scarlett Morgenstern    26/07/2017    2 recensioni
"Io non voglio il mondo, io voglio te".
Da questa frase di Alec ho preso l'ispirazione per scrivere una raccolta di storie sulla vita quotidiana di questa bellissima coppia. Ho visto che molti lettori della saga li notano maggiormente per la loro tragicità, io voglio mostrarli invece nella loro normalità.
Genere: Comico, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era passato già un mese da quando Magnus e Alec avevano portato a casa il piccolo Max e si vedeva: il salotto era invaso da scatole di pannolini e biberon, i vestitini da neonato erano sparsi ovunque e, come se non bastasse, c’era una macchia rimasta sul piano da cucina in marmo di Carrara, tanto grossa, che nemmeno la magia più potente era riuscita ad eliminarla.

Alec aveva rinunciato quasi subito all’abitudine di tenere l’arco e la spada in casa, visto che il bambino mostrava già un particolare interesse per quegli oggetti: inizialmente il ragazzo aveva provato a nasconderli, ma, inspiegabilmente, questi finivano sempre tra le paffute mani di Max. Alle continue richieste di Magnus di tenere le armi fuori dalla portata del bambino, Alec cedette e le lasciò in custodia a Jace perché le portasse nell’armeria dell’Istituto.

Era qualche tempo ormai che succedevano cose strane in casa, piccole stranezze, come il cambio di colore del divano o le tende tagliuzzate: Alec attribuì questi eventi agli esperimenti magici mal riusciti del suo fidanzato, mentre Magnus li considerava allucinazioni dovute alla mancanza di sonno.

Alla fine entrambi erano troppo stanchi per indagare oltre.

Una mattina Alec si svegliò sul divano a causa delle urla di Max e, come spesso ormai capitava, vide Magnus di spalle in cucina che preparava un biberon per il piccolo stregone.

Per un momento Alec cercò di capire cosa ci facesse nel mezzo del soggiorno, poi si ricordò improvvisamente che da quando era arrivato il bambino, lui e Magnus crollavano quasi sempre sfiniti sul divano una sera sì e una no.

Il ragazzo strizzò gli occhi e sbadigliò rumorosamente , poi, ancora intontito, si alzò e raggiunse Magnus in cucina.

<< Buongiorno >> disse Alec, baciando prima la guancia sinistra di Magnus e poi la piccola fronte blu di Max, che in quel momento era in braccio al suo papà e si godeva il suo enorme biberon.

<< Buongiorno. Hai dormito stanotte? >> rispose Magnus con gli occhi ancora semi-chiusi.

<< Un pochino. Stasera lo guardo io, così ti riposi. >>

Magnus rispose con un sorriso, poi abbassò lo sguardo e fissò amorevolmente il figlio, che succhiava il latte con fare vorace.

“Sembra quasi un velociraptor - pensò Magnus- un adorabile velociraptor. Fatta eccezione per le … zanne.”

Alec si avvicinò alla macchinetta del caffè e ne preparò una quantità decisamente esorbitante, ma necessaria, ormai senza non riusciva ad accendere il cervello la mattina- presume che uno shadowhunter debba avere la mente sveglia.

I due si stavano abituando alle sveglie notturne, dolci e con vago sentore di pannolino sporco, tipiche del neogenitore, ma anche il piccolo Max cominciava ad avere orari più stabili: per il momento il bambino non aveva dato ancora segni di avere poteri magici, anche se Magnus era consapevole che fosse solo una questione di tempo.

I due erano talmente insonnoliti per la maggior parte del tempo, che quegli strani eventi non li avevano minimamente preoccupati.

In quel momento Alec notò l’orologio e si accorse di essere in un notevole ritardo, quindi corse in bagno per una doccia veloce, si vestì, salutò Magnus e Max con un bacio cadauno e uscì.

L’Istituto era vicino a casa loro, quindi Alec optò per una passeggiata, approfittando per respirare aria fresca, o almeno con un odore diverso da quello dei pannolini pieni di pipì di Max. Arrivato di fronte al cancello della chiesa, oltrepassò il giardino ed entrò dal pesante portone d’ingresso. Si avviò verso l’armeria, dove, ne era sicuro, avrebbe trovato Jace.

 

 

Alec aveva ragione: trovò Jace in armeria, intento a dare pugni al sacco per gli allenamenti, ed era tanto concentrato, da non rendersi conto dell’entrata del suo parabatai. La stanza dell’armeria era particolarmente grande, gli scaffali con le armi riempivano i muri e c’erano tavoli sui quali si dovevano pulire le armi usate nelle battaglie, spesso sporche di icore demoniaco e che quindi non potevano essere subito riposte. Le pareti avevano lo stile gotico della chiesa con delle colonne che sorreggevano il soffitto e una zona centrale dove era stato posto il tappeto per fare allenamenti: lì di solito si facevano esercitazioni di corpo a corpo, ma c’erano anche strumenti per gli allenamenti individuali come il sacco che stava usando jace in quel momento.

<< Ehi, non si saluta? >> scherzò Alec.

Jace si voltò e un sorriso gli attraversò il volto alla vista dell’amico. Da quando era arrivato Max, Alec si faceva vivo meno spesso del solito.

<< Ehi, finalmente! È una settimana che non ti vedo, pensavo di organizzare una squadra di salvataggio! >>

I due si avvicinarono e si abbracciarono.

<< Sì hai ragione, sai il bambino … >> fece Alec, tentando di giustificarsi in maniera impacciata. Non era ancora abituato a vedersi in veste di padre.

<< Non scusarti. Piuttosto, come sta il mio nipotino? >> chiese Jace, che adorava il piccolo Max.

<< Beh, urla, dorme e fa la pipì- rispose Alec – ma è un amore >>

<< Allora sarai lieto di sapere che oggi è una giornata liscia: castighiamo un paio di demoni al ponte di Brooklin e abbiamo finito. Ti alleni con me? >> disse Jace.

<< Vuoi fare del corpo a corpo, dì la verità >> rispose Alec, con fare sornione. Ora riusciva a scherzare molto di più sulla piccola attrazione che aveva avuto per Jace anni orsono e l’amico stava al gioco senza problemi.

<< Ovviamente >> rispose Jace con un sorriso e aprendo le braccia.

Ad Alec piaceva allenarsi di prima mattina, ma le sue nuove responsabilità gli toglievano parecchie energie … e attenzioni. Jace infatti aveva approfittato della guardia abbassata di Alec per riuscire a sferrargli un gancio sul naso; l’altro barcollò all’indietro con la mano sulla faccia e tirando un gemito di dolore.

<< Ti vedo distratto, fratellone >>  disse Jace.

<< D’accordo, vuoi la guerra? >> e Alec si mise in posizione, ma la sua mente era sempre rivolta a Max e a Magnus.

 

 

Nel frattempo …

<< Ecco fatto, ora facciamo il bagnetto, d’accordo Max? >> disse Magnus, dopo aver finito di sfamare il bambino.

Il piccolo sorrise e fece un verso che lo stregone considerò di assenso, quindi lo mise nel box e andò a preparare la vasca. Magnus aveva l’abitudine di infilarsi anch’egli nella vasca insieme al bambino per giocare con la schiuma e le bolle, cosa che a Max faceva ridere più di ogni altra cosa. Gli faceva ancora uno strano effetto occuparsi di un bambino, sebbene ormai la cosa andasse avanti da un po’ e gli piacesse anche molto- aveva “curato” parecchie volte i vampiri e i licantropi appena trasformati e aveva aiutato tanti piccoli stregoni in difficoltà; nessuno di loro però era rimasto a lungo con lui, Magnus alla fine era sempre da solo.

Lo stregone mise un paio di dita nell’acqua per controllare la temperatura: era pronta. Alec era stato categorico su certe cose, in particolare sulle temperature a cui Max veniva esposto: era un padre premuroso, cosa che inspiegabilmente, sebbene lo ammettesse solo con se stesso, faceva eccitare Magnus da morire.

Dopo il controllo si avviò in salotto per recuperare Max.

<< Sei pronto, mio piccolo mirtillo? Andiamo a fare il bagn … >>

Magnus si interruppe bruscamente perché il bambino era sparito: nel box era rimasto solo il suo orsacchiotto e “etta”, la sua copertina azzurra senza la quale non dormiva.

Com’era possibile? Qualcuno era entrato senza che Magnus se ne rendesse conto?

Impossibile. Da quando Max era arrivato, Magnus aveva eretto delle barriere magiche aggiuntive che non potevano essere oltrepassate da persone che avessero cattive intenzioni. Era una magia estremamente potente, impossibile da ingannare, per suo figlio ogni protezione non era sufficiente.

E allora? Magnus si mosse con circospezione, evitando di fare il benché minimo rumore e con le scintille blu che sprizzavano pronte dalle dita.

Passò per la cucina. Tutto normale.

Quindi si avviò verso il corridoio che portava alla camera da letto sua e di Alec e sentì un MIAO forte ed energico provenire dalla stanza.

La porta era stata chiusa la sera prima, mentre ora era spalancata, quindi lo stregone corse dentro e non si capacitò subito di quello che vide.

 

 

Dopo l’allenamento Alec e Jace andarono in cucina per una bella colazione: in realtà l’unica cosa commestibile che trovarono in frigo era una busta con gli avanzi del thailandese della sera prima. I due non si fecero problemi, si prepararono due grossi piatti e due tazze di caffè e si sedettero a tavola.

<< Come va con Magnus? >> chiese Jace

<< Sai, siamo molto impegnati con Max- rispose Alec che faceva ancora un po’ di fatica a rievocare quel nome e il piccolo fratellino a cui un tempo apparteneva- diciamo che non passiamo molto tempo da soli >>

<< Credo sia abbastanza normale. Se vuoi, io e Clary possiamo tenere il bambino una sera, così potete uscire >>

<< Davvero? Sarebbe fantastico, grazie! >> rispose Alec con un sorriso.

<< Forse dovrei chiamare Magnus >> aggiunse borbottando e dando una veloce occhiata al telefonino. Nessun messaggio.

<< Perché? >>

<< Per controllare che vada tutto bene- rispose Alec- di solito a quest’ora mi ha già mandato dieci foto di Max >>

<< Va bene papà, ma non esagerare con l’apprensività >> rispose Jace, dando una gomitata al suo parabatai.

Alec gli rispose con un mezzo sorriso e alzando gli occhi al cielo, ma non si era comunque tolto dalla testa l’idea di chiamare il suo ragazzo. Prese quindi il telefono dalla tasca, di nuovo, digitò il numero di casa e lo portò all’orecchio: il segnale suonò per circa un minuto, poi partì la segreteria telefonica con la voce familiare di Magnus:

 

*BIP* Ciao, siamo Magnus, Alec e Max: in questo momento ci stiamo godendo la vita e non possiamo rispondere, ma se ci lasciate un messaggio, forse vi richiameremo. O anche no. *BIP*

 

 

Nel messaggio si sentiva in sottofondo la risata di Max e ad Alec comparve automaticamente un sorriso ebete stampato sulla faccia, pensando al suo bambino che rideva.

Decise di lasciare un messaggio.

<< Ciao amore, tutto bene? Non ho ancora ricevuto il solito book fotografico delle dieci. Mi richiami quando puoi? Ti amo e dai un bacio a Max da parte mia >>

Alec riappese e poggiò il telefono sul tavolo.

<< Non ha risposto? >> chiese Jace

<< No >> rispose laconico Alec

<< Chi non ha risposto? >>

Era Isabelle: era entrata velocemente e silenziosamente in cucina e si era seduta vicino al fratello.

<< Magnus- disse Alec- voglio solo assicurarmi che Max stia bene >>

<< è con suo padre, fratellone! Un uomo che ha più di quattrocento anni ed è il Sommo Stregone di Brooklin: datti una calmata >> rispose Izzy, toccando affettuosamente il braccio di Alec: sapeva quanto il fratello potesse diventare nevrotico sotto stress.

<< Sì, lo so, è che non li lascio spesso >>

<< Appunto, dovresti invece- intervenne Jace - Clary dorme? >> chiese, rivolto a Izzy.

<< No, è già sveglia >>

<< Allora vado a prendere le spade, tra dieci minuti si esce >>

I fratelli Lightwood fecero un cenno di assenso e Jace sparì dalla stanza. Per quanto Alec si fosse ripromesso di non preoccuparsi, non riusciva a evitare di pensare a cosa stesse accadendo a casa in quel momento.

 

 

Nel frattempo …

<< Max- disse Magnus con un sospiro- smettila di tirare la coda al Presidente Miao! >>

Magnus aveva trovato suo figlio sul lettone, dove il gatto si era appisolato: Max rideva, tirando la coda al gatto, mentre quest’ultimo era decisamente offeso per il mancato rispetto alla sua persona e miagolava disperato.

Magnus si avvicinò a Max e il bambino tese le braccia grassottelle per farsi prendere in braccio dal padre.

<< Sei proprio una peste- disse Magnus, prendendo il bambino- ti lascio nel box per cinque minuti e … un momento … >>. Magnus fissò il bambino, poi ripercorse il corridoio a ritroso e si fermò di fronte al box: le sbarre erano ancora tirate su e non c’era segno che Max si fosse arrampicato. È vero, il bambino stava già accennando qualche passetto, ma non aveva certo la forza, l’agilità e l’equilibrio necessari per uscire dal box da solo.

<< Come sei riuscito ad arrivare fin là? >> chiese Magnus

Il bambino rise e agitò la manina dalla quale uscirono delle scintille blu: improvvisamente Max non era più tra le braccia di Magnus, che si girò freneticamente per cercarlo e lo vide in cima alla libreria.

<< MAX! >> urlò Magnus

Si avviò alla libreria e con una severa occhiata fece volare giù il bambino, facendoselo ricadere tra le braccia.

<< Tale padre, tale figlio. Non ricordo tanto scompiglio in casa da quando il tuo papà mi chiese di uscire la prima volta >> disse Magnus con un sorriso compiaciuto.

<< Aspetta che lo venga a sapere papino … >> e accarezzò i riccioli corvini del figlio, che aveva l’aria molto soddisfatta per i suoi progressi magici.

Improvvisamente l’appartamento iniziò a tremare e le tende, i mobili e le pareti cominciarono a cambiare colore: la risata di Max si disperdeva come un eco lontano per tutta la stanza, mentre le scintille blu sprizzavano come fuochi d’artificio dal suo corpicino.

Magnus era impreparato a tutto questo, posò il bambino nel box e cercò di riflettere sul da farsi. Come se non fosse già abbastanza difficile concentrarsi, il telefono iniziò a squillare: Magnus lo ignorò, cercando di trovare una soluzione al problema che si stava creando, nel frattempo i colori della casa continuavano a cambiare e il pavimento non smetteva di tremare.

Il telefono cessò di squillare e partì la segreteria telefonica:

 

*BIP* Ciao, siamo Magnus, Alec e Max: in questo momento ci stiam…

 

Magnus zittì con un gesto della mano la segreteria e ad un tratto la soluzione arrivò alla sua mente come un lampo.

Corse verso l’armadio delle pozioni e tirò fuori una fiala con un liquido rosa scintillante: dato che all’interno del mobile vi erano pozioni pericolose, le ante erano state sigillate con un lucchetto magico, per evitare che Max si facesse male. Il lucchetto riconosceva solo la traccia magica di Magnus: era stata una delle sue idee più brillanti.

Magnus afferrò un calderone e vi versò all’interno il liquido rosa, dopodiché fece apparire un piccolo braccialetto con un ciondolo a forme di fulmine fatto interamente di rame. Lo stregone fece bollire il contenuto e agitò le dita sopra il calderone, mormorando qualche parola. Poi immerse il ciondolo.

 

 

La vista dal ponte di Brooklin quel giorno sembrava particolarmente affascinante per Alec: c’era una leggera nebbiolina e l’aria era fredda.

I mondani non se ne rendevano conto, ma l’acqua del fiume era verde in conseguenza dell’attività demoniaca che cercava di avvelenarla.

Le autorità avevano comunque notato che l’acqua non era più potabile e cercavano spiegazioni in qualche tubatura rotta o in una fuga di gas, ma ancora non erano riusciti a risolvere il problema.

Certamente le limitazioni di accesso al fiume rendevano più agevole il lavoro degli shadowhunters, che avevano quindi più libertà per elaborare un piano ben congeniato.

Jace stava già tirando fuori dal fodero la spada e Alec aveva già incoccato una freccia.

<< Secondo le nostra informazioni i demoni sono sottoforma di uccelli >> disse Izzy

<< E quindi dobbiamo decimare tutta la popolazione aviaria di New York per scovarli >> rispose Jace con un tono leggermente sprezzante, che tradiva però una gran paura.

<< Ovviamente no- disse Izzy, sbuffando – gli uccelli che cerchiamo dovrebbero avere un terzo occhio. Sono mimetizzati bene però …  >>

<< Ci vuole un occhio da arciere allora >> azzardò Clary con un sorriso, girandosi verso Alec.

Isabelle e Jace imitarono Clary e Alec scrutò tutti e tre con aria interrogativa, perché non aveva sentito una sola parola di tutto il discorso: stava pensando a Magnus e a Max.

<< Cosa? >> disse Alec, appena ridestato dai suoi pensieri.

<< Sveglia amico- disse Jace, sventolando la mano davanti agli occhi di Alec- ci serve la tua vista. Vieni, ti ripasso la runa >>

Alec porse il dorso della mano destra a Jace, che usò lo stilo per ripassare e potenziare così la runa a forma di occhio che aumentava la vista agli shadowhunters. Nel caso di Alec, la sua vista era già portentosa normalmente, grazie a quella runa sarebbe stata incredibile.

<< Pronto? >> chiese Jace

<< Sì. Allora, io salgo in cima a questo palo e vi dico quali uccelli sono da abbattere. State pronti >>

<< Un po’ come il tiro al piattello! >> scherzò Clary

<< Il cosa? >> chiese Alec

Anche se i due ora erano grandi amici, Alec a volte faticava a capire il gergo mondano che spesso Clary si lasciava sfuggire, questo creava momenti di sguardi sospesi e silenzi imbarazzanti.

<< Lascia stare >> rispose Clary

Con un’alzata di spalle Alec si arrampicò senza problemi in cima al palo e si appollaiò, scrutando il cielo. La vista inizialmente era appannata, ma dopo poco gli occhi dello shadowhunter divennero potenti come quelli di un’aquila e riusciva a scorgere anche il più minimo dettaglio.

Si alzò in piedi con l’arco e le frecce pronti a colpire: vedeva tanti uccelli volare in maniera disorientata di fronte a lui, ma riconobbe subito gli intrusi.

<< JACE- urlò Alec- A SINISTRA, QUELLO CON L’ALA GRIGIA, CLARY AL CENTRO BECCO ARCUATO, IZZY QUELLO ACCANTO >>

Non serviva dire altro, in un batter d’occhio i ragazzi spiccarono un salto quasi all’unisono e si lanciarono verso lo stormo.

Alec aveva già adocchiato il suo bersaglio: era un uccello più grosso rispetto agli altri ed era nella parte più interna del gruppo.

Mentre Jace, Clary e Izzy infilzarono con le loro lame gli obiettivi adocchiati, Alec incoccò la freccia e centrò in pieno il bersaglio. Gli animali sparirono in uno scintillìo argentato e gli shadowhunters ricaddero elegantemente a terra senza problemi.

<< Un gioco da ragazzi >> disse Jace

<< Già >> rispose Alec

Istintivamente Alec mise la mano in tasca e prese il cellulare: ancora nessun segno di Magnus.

Il ragazzo compose quindi il numero di casa e, esattamente come successo in precedenza, scattò la segreteria telefonica.

 

*BIP* Ciao, siamo Magnus, Alec e Max: in questo momento ci stiamo godendo la vita e non possiamo rispondere, ma se ci lasciate un messaggio, forse vi richiameremo. O anche no. *BIP*

 

 

La risata del figlio risuonava di nuovo dall’altro capo del telefono e Alec non poteva smettere di preoccuparsi, era più forte di lui.

 

Nel frattempo …

 

Magnus lo sapeva, il ciondolo avrebbe bloccato la magia involontaria di Max, ma non in eterno. Si era trovato impreparato a tutto ciò, molto più di quanto si aspettasse, anche perché la maggior parte degli stregoni iniziava a mostrare i segni della magia molto più avanti, almeno dopo aver imparato a distinguere la saponetta dall’asciugacapelli. In quel caso era facile insegnare ai neofiti a controllare i propri poteri, ma Max era troppo piccolo per capire ciò che il padre gli diceva e le uniche parole che pronunciava erano “no”, “papi e “miao”. E nessuna di queste tre espressioni avrebbe aiutato Magnus in quella situazione. C’era solo una persona che poteva venire in suo soccorso: Catarina.

Catarina era amica di Magnus da secoli ormai, forse la più vecchia che avesse, e insieme al loro ormai defunto compare Ragnor ne avevano davvero fatte di tutti i colori. A volte si sentiva la mancanza del Principe di Smeraldo, così Magnus chiamava Ragnor, nel loro piccolo gruppo, ma a loro piaceva pensare che lui ci fosse lo stesso in spirito. Anche la splendida Tessa si era unita a loro, molto più di recente e dopo aver tentato di superare la morte di Will, suo marito e suo grande amore.

Le due streghe tuttavia erano molto meno scalmanate dei due ragazzi, ed in particolare Catarina aveva una grande attitudine a curare e ad accudire chi ne aveva bisogno. E chi c’era più bisognoso di Magnus in quel momento? Del resto Catarina era sempre stata quella che aveva usato meglio i suoi poteri- ammise Magnus con se stesso.

Magnus si sentiva comunque un po’ restìo  a chiedere aiuto all’amica, non perché non la considerasse degna di fiducia o di affetto, ma per ben altri motivi: principalmente perché temeva di risvegliare in lei il ricordo del bambino che aveva allevato e che aveva in seguito visto morire, e poi perché aveva accolto con talmente tanto stupore la notizia della sua paternità, che era certo gli avrebbe rinfacciato qualsiasi richiesta di aiuto per il resto dell’eternità.

Magnus notò che la segreteria telefonica stava lampeggiando: c’erano un messaggio e tre chiamate perse di Alec. Azionò il tasto rosso della segreteria, che disse con voce metallica “hai UN nuovo messaggio”:

 

*BIP*  Ciao amore, tutto bene? Non ho ancora ricevuto il solito book fotografico delle dieci. Mi richiami quando puoi? Ti amo e dai un bacio a Max da parte mia

*BIP*

 

Si avviò alla libreria e recuperò il cellulare che era rimasto sullo scaffale: dieci messaggi. Il contenuto era più o meno lo stesso in ogni messaggio: “State bene?”, “Perché non mi rispondi?”, “Quando torno, ti uccido”, cose così.

<< Papino si è fatto prendere dal panico >> sussurrò Magnus al figlioletto, che per tutta risposta rise e disse “Pa-pi”, alzando le braccia con aria felice. Si rallegrava sempre quando sentiva parlare dei suoi papà.

<< Prevedo un uragano in arrivo di nome Alexander - disse fra sé e sé Magnus - faremmo bene a preparare gli impermeabili >>.

Magnus provò a chiamare Alec, ma il telefono era spento. Probabilmente lo aveva scaricato nei vari tentativi di raggiungerlo.

 

 

<< Porca merda >> esclamò Alec

<< Che c’è!? >> rispose Jace con gli occhi sbarrati: non era abituato a sentire il suo parabatai dire parolacce e quando capitava, bisognava stare molto calmi e non disturbare il leone che dormiva.

<< Si è scaricato il cellulare – rispose Alec – dannato aggeggio demoniaco! >>

<< Calmati e dagli tregua, in tutta la giornata non hai fatto altro che tentare di chiamare Magnus, perfino il telefono si è stufato >> intervenne Isabelle

<< Già, Magnus. Che non mi ha risposto. Ancora. >> aggiunse Alec con la sua consueta pignoleria.

<< Devo romperti un altro telefono? >> scherzò Jace

<< AHAH >> fece Alec

<< Vuoi una runa di calma- rabbia? >> si aggiunse Clary

<< Non fai ridere.- rispose Alec – Io … voglio solo sentire mio figlio >>

<< Senti, se proprio non resisti, vai a casa. Non sei utile a nessuno in queste condizioni. È normale avere paura, essere padre è un’esperienza terrificante. Ci farai l’abitudine >> rispose Clary, poggiando una mano sulla spalla di Alec.

Alec fissò prima lei, poi la sorella, infine Jace.

<< Sicuri? >>

<< Certo Alec. È il vostro primo figlio, è normale essere apprensivi e col tempo sarà più facile. Non preoccuparti. Se ci riesci. >> rispose Izzy

<< Va bene … grazie! >> disse Alec visibilmente sollevato, quindi corse verso casa.

L’aria fredda gli scompigliava i capelli e gli pungeva la pelle. Mentre correva, Alec pensava che sicuramente avrebbe trovato tutto a posto. Si convinse di essere solo un genitore alle prime armi, sicuramente Magnus aveva un motivo valido per non avergli risposto. Attraversò il quartiere e girò l’angolo che divideva la strada in cui si trovava l’Istituto dalla via di casa.

Il fiato cominciava a mancargli e il sudore gli gocciolava da una tempia, quando arrivò di fronte al suo palazzo e si fermò bruscamente.

Cercò le chiavi di casa in maniera frenetica, ma accecato dalla fretta non riusciva a trovarle.

Sospirò.

Sfondare la porta era decisamente fuori discussione, quindi Alec si guardò prima a sinistra poi a destra, infine estrasse lo stilo dalla tasca ed iniziò ad incidere righe e ghirigori sulla serratura del portone. Questi si aprì dopo qualche secondo e Alec salì di corsa le scale, sbattendo la porta e infischiandosene del rumore che avrebbe dato fastidio alla padrona di casa- era stata categorica “Non si sbatte il portone”.

Fece i gradini due a due, suonò il campanello e attese col fiatone appoggiato allo stipite della porta. Questa si aprì di scatto e Alec per poco non cadde in avanti, poi vide Magnus che disse:
<< Ciao amore >> con aria completamente rilassata

<< Ti ho … chiamato … e … lasciato mille messaggi >> disse Alec, respirando a fatica

<< Lo so, lo so, ho visto ma … >>

<< Hai visto?!- chiese Alec, che entrò in casa, buttandosi sul divano- e perché accidenti non mi rispondevi?  Mi sono preoccupato, pensavo vi fosse successo qualcosa, pensavo … >>

<< Pensavi cosa? Amore, sii ragionevole, siamo due stregoni con incantesimi di protezione per tutta la casa. Probabilmente siamo più al sicuro qui che all’Istituto >> rispose Magnus, sorridendo.

<< Sì, ma Max non ha ancora i poteri >> ribattè Alec

<< Ecco, a proposito di questo … >>
<< Cosa?! Cosa gli è successo!? >>

<< VUOI DARTI UNA CALMATA? Max sta alla grande, ora sta dormendo >> rispose Magnus, tentando di calmare il suo fidanzato che aveva un’evidente crisi di panico.

<< E allora si può sapere cosa sta succedendo? Parla, Magnus Bane! >> rispose Alec, alzandosi dal divano di scatto.

<< Allora … >> e Magnus raccontò ad Alec l’accaduto, senza tralasciare il minimo dettaglio.

<< Quindi Max … >>

<< Esatto >> rispose Magnus.

Dal box si videro due braccia paffute spuntare in aria ed Alec si avvicinò e prese il suo bambino.

<< Pa-pi >> disse Max, tutto contento. Adorava Alec.

<< Piccolo mio. Scusa amore, sono andato nel panico >> disse, prima rivolto a Max e poi a Magnus.

<< Non preoccuparti, sono esperienze nuove per entrambi >> rispose Magnus, avvicinandosi e dando una carezza al bambino.

Max battè le mani ed improvvisamente Magnus ed Alec si avvicinarono finchè le loro fronti non si toccarono.

<< Credo che Max voglia che i suoi papà facciano pace >> disse Alec, sorridendo.

<< E non solo lui- rispose Magnus – vieni qui >> e gli stampò un bacio sulle labbra, breve ma intenso.

Ad un certo punto Magnus si accorse che con quel battito di mani Max aveva fatto avvicinare ancora di più i suoi papà, quindi disse:
<< Il ciondolo ha smesso di fare effetto >>

<< Allora sai cosa dobbiamo fare, vero? >> chiese Alec

<< Mmmmmhh e va bene >> rispose Magnus, riluttante, e mandò un messaggio a Catarina.

 

 

Dopo un paio d’ore sul muro comparve un vortice blu e viola e nell’aria si sentì il consueto odore di zucchero che indicava l’uso di un portale.

Max iniziò a piagnucolare, ma Alec gli girò la testa verso il suo petto, quindi il bambino si calmò, poggiando le manine sul suo papà.

Una figura attraversò il portale e nella stanza apparve un’affascinante donna dalla carnagione blu e dai capelli bianchi.

<< Catarina è qua, stronzette! -disse lei, alzando le braccia- cosa avete fatto al mio nipotino, voi due degenerati? >> e Catarina prese subito dalle braccia di Alec il piccolo Max che, non appena vide “Zia Tina”, fece un sorriso gigante.

<< NIENTE!- protestò Magnus con sguardo offeso – comincio a credere che sia una pessima idea >> borbottò.

<< Piantala! – disse Alec – Cat, ci serve il tuo aiuto >>

<< Raccontate, sono tutta orecchi >> rispose Catarina, sedendosi sul divano assieme a Max.

I due ragazzi si cimentarono in un racconto lungo e confuso e quando ebbero finito, Catarina scoppiò a ridere.

<< Ahahahah, sulla libreria. Max, sei un amore >> disse, pizzicando la guancia del bambino, che rispose con una risata.

<< Ancora certo che sia una buona idea? Sa l’Angelo se abbiamo detto qualcosa di buffo >> sussurrò Magnus ad Alec.

<< Silenzio e ascolta- rispose Catarina – ci sono una brutta notizia e una bella notizia. Quale volete per prima? >>

<< La cattiva >> dissero in coro i due.

<< Allora, la cattiva notizia è che non c’è un modo per bloccare le magie accidentali di Max. Di solito gli stregoni sviluppano i poteri più avanti, quindi nessuno si è preso il disturbo di pensare a questa eventualità >>

<< E … la buona? >> chiese Alec

<< La buona è che ci sono dei modi per controllare il raggio di espansione della sua magia. Almeno non provocherà un terremoto accidentale in Cina! >>

<< E sarebbero? >> chiese Magnus.

Catarina spiegò allo stregone che esistevano degli incantesimi speciali, che aiutavano gli stregoni alle prime armi come Max.

Fu un pomeriggio molto intenso che vide Magnus e Catarina impegnati con libri e pozioni e alla fine, quando Catarina fece per andarsene, trovò lo stregone ed il figlio addormentati sul divano in ingresso.

<< Penso io a loro- le disse Alec - grazie per l’aiuto >>

<< Sei un bravo papà e un bravo marito, Alexander Lightwood. Entrambi lo siete. >>

Lui rispose con un sorriso, lei si girò e riaprì il portale.

Una volta sparita Catarina, Alec si girò verso il suo fidanzato e suo figlio: li guardò per qualche minuto, chiedendosi se ci fosse una visione più bella di quella.

Prese una coperta e, posandola sopra di loro, sussurrò << Vi amo >>

<< Mmmhhh … vieni >> rispose Magnus semiaddormentato.

Alec si accoccolò lì accanto, abbracciando Max e facendosi a sua volta abbracciare da Magnus. Alec sentiva in quel momento la pace assoluta, sentiva che non doveva preoccuparsi di nulla. Non aveva mai pensato che avrebbe avuto una famiglia tanto speciale, o una famiglia in generale.

Se era un sogno, avrebbe ucciso chiunque avesse tentato di svegliarlo.

 

 

 

 

 

   
 
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