Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: demonsparadise    28/07/2017    0 recensioni
Eleanor è una ragazza di 19 anni, all'ultimo anno di istituto poiché bocciata l'anno prima. Ribelle, scanzonata, dice spesso parolacce e fondamentalmente depressa. Non ama la vita, non ama le persone, conduce una vita sregolata alla ricerca costante di qualcosa che la smuova.
Andras è uno dei demoni più potenti degli inferi. Un giorno, per via di avvenimenti che poi scoprirete, rimane sprovvisto di corpo, quest'ultimo viene fatto a pezzi e in un ultimo gesto disperato ma premeditato, trasferisce la sua anima in un essere umano appositamente scelto da lui. Eleanor inizia quindi a sentire una voce nella propria testa, che le parla, che la stuzzica, che tenta di impartirle ordini. Un demone da un lato sarcastico e "umano", dall'altro, profondamente saggio e stanco. L'anima di Andras ormai vive dentro Eleanor, vede ciò che lei vede e sente quello che lei sente, riesce a comunicare soltanto con lei ma non ha alcun controllo sul corpo della ragazza. Perché il demone ha scelto proprio lei? Riusciranno i due a trovare un modo per convivere insieme nello stesso corpo, oppure cercheranno un modo per tornare ad avere ognuno una propria identità?
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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"Cazzo, sono già le 16:00?" La sveglia aveva appena suonato, e io l'avevo accolta come facevo sempre, con trepidante entusiasmo. Era colpa della suoneria, quella squillante suoneria. Possibile che nel 2017 producessero ancora sveglie senza possibilità di cambiare melodia? In realtà, non potevo dire di averci provato, avevo fatto qualche tentativo premendo tasti a caso nella speranza di indovinare quello giusto, ma la mia pazienza era stata poca e non ero giunta ad alcuna soluzione, e per di più le istruzioni erano in cinese, solo in cinese. L'avevo acquistata su uno di quei siti dove vendono cianfrusaglie di ogni tipo provenienti dalla Cina, pagata una miseria. Con il senno di poi avrei preferito andare in un negozio locale e pagare qualche soldo in più, almeno la melodia l'avrei scelta in base al mio gusto e non avrei dovuto subire questo strazio ogni mattina.
Lentamente buttai giù un piede dal letto, questo atterrò delicato quanto una zampata d'elefante. Mi stropicciai gli occhi e notai sulle nocche il nero dell'eyeliner e mascara. Non mi ero struccata la sera prima, ero rincasata tardi ed ero stanca, un po' ubriaca anche. Rivolsi uno sguardo allo specchio. Gli occhi da panda di un trucco ormai sfatto, capelli arruffati che era evidente avessero litigato fra loro perché ogni ciocca andava in una direzione diversa, e un calzino solo ai piedi, l'altro era probabile fosse finito disperso nel letto. Se mi fossi messa a cercare tutti i calzini perduti fra le lenzuola, ne avrei estratto un'intera collezione.
"Te l'ho mai detto quanto sei brutta la mattina?" Stronzo, pensai, ma non proferii alcunché. La mattina non avevo voglia di rivolgere parola a nessuno, avevo bisogno di starmene da sola fra me e me, di ridestarmi dal sonno, di accettare e metabolizzare l'idea che un'altra giornata di merda era appena iniziata.
"E poi da quant'è che non ti fai una doccia? Puzzi in maniera indecente." Zitto, doveva starsene zitto. Portai le mani alle orecchie per tapparle, in un gesto istintivo benché razionalmente io sapessi che non serebbe servito a nulla. Quella voce non era mia madre, non era il ragazzo che mi ero portata a letto la sera prima, quella voce era nella mia testa, e non c'era alcun tasto ON-OFF.
"È da ore che non parlo con nessuno, prova a capirmi." Lui insistette, cercando in me una qualche compassione.
"E quand'è che sarei diventata il tuo animaletto da compagnia?". Ribattei, con una grossa punta di acidità nel tono, dopo che mi aveva urtato il sistema nervoso più del previsto. "E comunque hai ragione...", affermai, alzando il braccio per annusarmi l'ascella. "Puzzo da morire". Sfilai la maglietta iniziando così a spogliarmi per poi recarmi in bagno. Non sarei potuta uscire in queste condizioni, mi avrebbero classificata fra le armi di distruzione di massa.
"Quand'è che ti sono cresciute le tette?". Niente peli sulla lingua, mi aveva avvertito d'essere così quel primo giorno del nostro "incontro", quando per la prima volta udii una voce nella mia testa. Avevo creduto d'esser pazza sul momento, e che quelle non fossero altro che allucinazioni sonore, dovute, eventualmente, all'uso occasionale che facevo di droghe. Avevo creduto d'essermi fottuta il cervello e la cosa mi aveva spaventato a morte. Non avrei mai e poi mai desiderato passare la vita in uno di quegli istituti, imbottita di medicine , con migliore amico un bugiardo patologico e una sociopatica. La vita da Ragazze Interrotte non faceva per me.
"Sta per arrivarmi il ciclo, idiota. È un rigonfiamento normale ma tanto poi torno piatta."
Non avevo mai immaginato che sarei riuscita a parlare con una qualsiasi persona della mia intimità in maniera talmente spontanea e naturale. Non avevo problemi a spogliarmi e fare sesso, ma parlarne... Quando si trattava di toccare l'argomento, approfondire aspetti sulla mia intimità, mi chiudevo a riccio sentendomi a disagio. Erano cose mie, era un mettere a nudo non solo il corpo ma scavare più a fondo, e la cosa non mi era mai piaciuta. Ora invece, per cause di forza maggiore, inevitabilmente ero costretta a condividere parte di quell'intimità con l'essere che aveva preso dimora dentro di me. 
"A me piacciono ugualmente". Grugnii a quella sua affermazione, conscia che fosse nient'altro che una sua provocazione per avere una reazione da parte mia. Grazie alla sua insolenza il sonno si era fatto da parte totalmente, funzionava meglio del caffè ma era anche il triplo - e forse anche di più -  più irritante di qualunque altra cosa irritante io avessi provato sulla mia pelle. Avete presente il rumore delle unghie che scivolano sulla lavagna? Moltiplicate quella sensazione, quel brivido che si insinua sulla vostra schiena, per dieci volte tanto. Eppure, nonostante i difetti fossero i primi a balzare all'occhio, aveva anche dei lati positivi. Strambo a dirsi, e forse ero io l'anormale a pensarla una cosa del genere, riguardo a un demone, creatura notoriamente malvagia e senza scrupoli, eppure il fatto che avessi sempre qualcuno a cui poter chiedere qualcosa, o semplicemente esternargli un delirio che in un determinato momento stava attraversandomi la mente, era liberatorio. Non ero mai sola e dopo esserlo stata per gran parte della mia vita, era una sensazione nuova.
Naturalmente questo non glie l'avrei mai detto. Andras poteva percepire determinate mie sensazioni, ma non era in grado di leggermi nel pensiero. Quando mi aveva spiegato questa cosa, la mia risposta era stata: "Grazie per la privacy eh.".
Entrai nella doccia, l'acqua iniziò a scivolare via sulla mia pelle e io chiusi gli occhi per godermi uno dei pochi momenti in cui tentavo di dimenticare quanto l'esistenza faccia schifo. Ero stanca della solita routine, ero  stanca delle solite persone. Ne incontravo di diverse nei locali ma in fondo  erano sempre le stesse maschere di ipocrisia e menefreghismo, come d'altronde lo era la mia. Come facesse la gente a trovare la voglia di alzarsi la mattina sorridente, sarebbe rimasto uno dei misteri a cui non avrei trovato mai risposta.  Basta, stavo crogiolandomi nei miei soliti pensieri tristi e che avrebbero fatto suicidare chiunque al solo ascolto.
"Perché improvvisamente te ne stai zitto?" Domandai, accorgendomi del silenzio improvviso, e anche per distrarmi da quel turbinio di pensieri.
"Non era quello che volevi?" Non aveva torto. "Beh ora sono sveglia, voglio dire, davvero sveglia, quindi puoi parlare".  Non avevo il coraggio di dirgli che la sua voce era l'unica cura nei momenti in cui la mia mente guardava dentro l'abisso e desiderava caderci. 
"Come stai?". Che domanda banale, che meritava una risposta altrettanto banale, che gli fornii: "Bene".  Risposi in maniera secca e poco convinta, spegnendo il getto dell'acqua dato che ormai avevo terminato e si stava facendo tardi. "Voglio dire.... come stai veramente, come ti senti? Non fare la bambina." Non stavo facendo la bambina... Ok, forse leggermente. In realtà stavo facendo la "persona", insomma, quante persone rispondono "bene" ma poi quante effettivamente stanno bene? Erano chiacchiere di circostanza, in realtà a nessuno importava veramente del tuo stato d'animo. Presi l'asciugamano e violentemente lo passai sulla testa per asciugare quel nido di paglia comunemente chiamato capelli, per poi soffermarmi sul resto del corpo. 
"Sono viva, e in più il mondo mi ha fatto un bellissimo regalo mandandomi te, e stasera mi ubriacherò tanto da perdere i sensi e domani mi risveglierò ancora in un'altra splendida giornata. Cosa si può desiderare di più dalla vita?" Il sarcasmo era il metodo che utilizzavo per celare quello che realmente sentivo, benché ben intuibile dalla furia delle mie parole.
Mi fermai nuovamente davanti allo specchio, il trucco era colato lungo il viso. Finalmente mi struccai,  ma durò poco l'effetto acqua e sapone dato che il momento dopo stavo già ri-truccandomi, sempre di nero, l'unico colore che i miei occhi conoscevano, l'unico colore dal quale mi sentivo rappresentata. Scelsi un colore cremisi per le labbra, mi pettinai in fretta per dare un senso ai miei capelli per poi vestirmi prendendo i primi stracci trovati appoggiati sulla sedia in camera. D'altronde ero monotona persino nel vestiario: tutti abiti scuri e con uno stile che ricordava il punk, o quello gotico. Ero pronta, per modo di dire. Afferrai la mia giacchetta nera di pelle, caricai lo zaino in spalla e uscii dalla mia stanza, scendendo poi le scale.
"Stasera vedi di tornare a casa, che mangiamo insieme. Ti sto preparando il tuo piatto preferito." No, questa volta non trattavasi di Andras, era mia nonna che stava già armeggiando con i fornelli.
"Sììì nonna!" Risposi, anche se già sapevo che non sarei rincasata se non a notte fonda, e lo sapeva anche lei, lo capii dal lamento di rassegnazione che emise alle mie parole. Varcai la soglia di casa, chiudendo la porta alle mie spalle senza premurarmi di essere delicata.
"Non dovresti tornare in quel locale."  Corrugai le sopracciglia contrariata. Non gli avrei mai dato il permesso di influire sulle mie scelte, e quindi sulla mia vita."
"Se devi farmi la ramanzina puoi tornare a startene zitto." 

Un'altra incredibile giornata era appena iniziata.
   
 
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