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Autore: PattyOnTheRollercoaster    15/06/2009    2 recensioni
Ellen ha perso la memoria e ora vive a Daret. Quando due sconosciuti si presentano nella città lei ha un flashback. Siccome nulla la può convincere a restare a Daret, città devastata e che verrà presto invasa dagli Urgali, li segue. Così Brom ed Eragon si ritrovano appresso questa ragazza, dalla memoria perduta e dalle straordinarie capacità nell'arte della spada. Grazie al suo viaggio Ellen scoprirà il suo passato, legato con un filo sottile, ma indistruttibile, a quello di Eragon e Brom.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eragon, Murtagh, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato Presente & Futuro'
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Capitolo 11: Imprigionati

Saphira ruggì e si agitò. Ellen, Eragon! State pronti! Potrebbe attaccarvi da un momento all’altro!
Ellen si voltò a guardarla con stupore. Murtagh sospirò, come sa si aspettasse quella reazione. Eragon non sapeva cosa fare. Il figlio di Morzan! Come poteva non essere un alleato di Galbatorix? Conosceva il re? Lo aveva aiutato? Perché era lì con loro? Per spiarli? Lo aveva mandato Galbatorix, come in una specie di missione speciale? E allora perché alla fine aveva rivelato tutto, e li aveva aiutati per così tanto tempo?
Ellen prese in mano le redini di Dimitri e guardò dritto davanti a sé. “Andiamo. Non abbiamo più molto tempo”. Eragon, come ripresosi da un sogno, la seguì. Murtagh, con fare rassegnato, lo imitò.
  Ellen! La chiamò Saphira.
La ragazza schermò la mente e la dragonessa, per quanto si sforzasse, non riusciva a parlarle. Alla fine sbuffò e prese a volare accanto a loro, lanciando occhiate a Murtagh di quando in quando.
Presero a galoppare velocemente. Ormai erano avvolti dalla nebbia umida che emanava la cascata. Eragon, una volta giunti affianco alla parete di roccia, prese un pietra da terra e la batté tre volte sulla sua dura superficie, pronunciando alcune parole nell’antica lingua. Non accadde niente.
“Eragon! Stanno arrivando!”. Riuscivano a vedere i primi Kull apparire di fronte a loro.
“Non funziona!” disse Eragon. “Non capisco”. Ripeté di nuovo le parole, ma non accadde ancora nulla. Eragon si voltò disperato. I Kull erano a pochi metri da loro. Eragon stimò che, viste le poche forze che gli rimanevano, non poteva usare per molto la magia. Sguainò Zar’roc. Saphira ruggì e disse qualcosa ad Eragon.
“Eragon!” esclamò Ellen guardandolo. “Non possiamo combatterli tutti. Riprova!”.
“Devo andare dall’altra parte del fiume. Siamo sulla riva sbagliata!”.
“Cosa?”. Ellen osservò il muro di roccia dietro di sé, come se quello potesse confermarlo. “Dì a Saphira di portarti! Qui ci pensiamo noi” disse scoccando un’occhiata a Murtagh. Eragon annuì e chiamò mentalmente Saphira, che lo raccolse sul dorso. Nel frattempo i Kull erano quasi arrivati.
“Murtagh?” chiamò Ellen.
“Si?” rispose il ragazzo, che dal momento della rivelazione della sua identità non aveva proferito parola.
“Sappi che non m’importa chi sei. Potresti anche essere il fratello di Galbatorix, per quanto mi riguarda”.
Murtagh la osservò per un’istante, poi sorrise debolmente.
“Grazie” rispose.
In quel momento un Kull si lanciò su di loro. Lo scontro iniziò. Più feroce e più duro che mai. Ellen mozzò la testa a due Kull e ne ferì un terzo. Murtagh ne uccise uno con grande abilità, poi colpì altri tre Kull, ferendoli gravemente. All’improvviso videro uno sciame di soldati comparire dal nulla dietro di loro. Ellen rimase spiazzata per un secondo ma Murtagh imprecò e continuò a combattere. Uccise un altro Kull, che lo ferì ad una spalla con una lama lunga e ritorta. Il ragazzo gridò, sentendo qualcosa che gli premeva la ferita. Si girò e vide un piccolo nano dall’aria riottosa chiamarlo e fargli segno si seguirlo. Vide che Ellen stava sparendo in quel momento dietro la spessa coltre di nebbia della cascata.
Velocemente lui e il nano si allontanarono dalla battaglia. Passarono vicinissimi alla cascata e Murtagh sentì l’umidità appiccicarsi a lui con sollievo. Finalmente un po’ di fresco dopo tutta la fatica che aveva fatto! Quello era forse l’unico lato positivo di tutta la storia. Avanzando un po’ alla cieca, dato che la coltre di umidità era molto spessa, Murtagh si ritrovò all’improvviso in una sala dal soffitto basso, con pareti di pietra aspra e grigia. Davanti a lui c’erano già Eragon, Ellen e Saphira, insieme a qualche soldato e un uomo calvo con una tunica arancione e rossa, sicuramente un mago.
Il nano affianco a Murtagh si avvicinò subito all’uomo e gli sussurrò qualcosa. L’uomo gli rispose aspramente, poi si rivolse ai nuovi arrivati.
“Cavaliere, signore e … signorina, ci rincresce ma dobbiamo sondare le vostre menti. Per sapere se possiamo fidarci di voi” disse osservandoli malevolmente.
“No” disse subito Ellen. “Non guarderete nella mia mente”. Una volta Brom aveva detto che la mente era l’ultimo rifugio dell’uomo, l’ultima cosa che fosse solo sua. Non voleva che degli estranei la esaminassero. In più aveva delle informazioni che sarebbero risultate scomode se rivelate.
“Nemmeno io mi farò controllare” aggiunse poco dopo Murtagh. L’uomo calvo si infuriò.
“Se vi rifiutate non preoccupatevi che mi prenderò i vostri ricordi con la forza!”.
Ellen, improvvisamente, si sentì colpire da un dolore lancinante al cervello, come se un ago le stesse entrando nelle orecchie. Strinse gli occhi e, senza accorgersene, mise tutti i muscoli in tensione. Si concentrò su un muro e cercò di pensare solo a quello. Dopo quasi un minuto di quella tortura la forza che cercava di sondarle l’animo si ritirò. Aprì gli occhi, spossata. L’uomo calvo la guardava con rabbia poi, chiudendo gli occhi e traendo un grosso respiro, si concentrò su Murtagh. Eragon guardò come i suoi amici venivano sottoposti al dolore, anche fisico, di una mente sondata, e provò rabbia verso quell’uomo, che li costringeva a dare una parte di loro che non volevano svelare. Si rendeva conto, però, che lui doveva sottostare alla legge. In più, con l’aiuto di Saphira, poteva facilmente nascondere i pensieri che non voleva svelare a nessuno. Gli insegnamenti di Brom, l’incontro con Angela, le parole di Solembum e l’identità di Murtagh.
“Cavaliere ..” disse l’uomo calvo con voce rabbiosa quando ebbe finito con Murtagh, con risultati nulli.
“Sono pronto” disse il ragazzo.
Dopo che l’uomo ebbe visionato la sua mente il nano gli disse qualcosa sottovoce. “Se non volete farvi esaminare saremmo costretti a usare la violenza” disse poi l’uomo a Murtagh ed Ellen.
“Non dire sciocchezze!” intervenne a quel punto il nano, furente. “Non sanno nemmeno usare la magia!” disse indicandoli. “Non possono fuggire o nuocerci in alcun modo” concluse. “Ajhiad non sarebbe d’accordo”.
“So io cosa vuole Ajhiad” sussurrò l’uomo guardando storto il nano. Poi, rivolgendosi a due soldati: “Portateli in cella!”.
Murtagh ed Ellen vennero circondati da guardie e condotti fuori dalla sala attraverso una piccola porta nascosta nella parete. Eragon li guardò preoccupato, scambiando con loro un ultimo sguardo. I soldati li condussero per diversi corridoi stretti e bui, illuminati fiocamente da lampade appese alle pareti. Arrivarono in un salone circolare con diverse porte.
“Entrate” disse bruscamente uno dei soldati aprendo una porta. Ellen e Murtagh furono praticamente spinti dentro la cella, poi la porta venne loro chiusa in faccia.
Murtagh sospirò e si guardò intorno. La cella era spoglia e umida, un rettangolino grigio non troppo spazioso e vi era un solo letto. “Prego, te lo cedo” disse a Ellen indicandolo.
“Oh non essere sciocco!” disse lei sedendosi a gambe incrociate su un lato del letto e dicendogli di fare lo stesso. “Non ti farò dormire per terra”.
“Grazie” disse Murtagh sedendosi a sua volta. Rimasero un po’ in silenzio, poi Ellen sbadigliò forte. “Anche se siamo in cella puoi dormire. Anzi, puoi fare praticamente solo quello” le disse il ragazzo nel vederla così stanca.
“Già”. Ellen si distese, seguita subito dopo da Murtagh, che le cinse un fianco con le braccia. Erano uno di fronte all’altro. “Sai qual è la cosa buona di tutto questo casino?” chiese al ragazzo.
“Devi essere veramente ottimista per trovare qualcosa di buono”.
“Non ci vuole poi molto … almeno sono insieme a te” disse la ragazza accoccolandosi addosso a lui. Murtagh sorrise tra sé e sé e baciò la testa di Ellen.
Poco dopo si addormentarono, l’uno fra le braccia dell’altro.

Un forte rumore fece sobbalzare Murtagh, che si svegliò di soprassalto. Si guardò intorno disorientato, poi ricordò dove fosse. Al suo fianco Ellen aprì gli occhi.
“Cos’è questo rumore?” chiese, la voce intrisa di sonno.
La porta della cella si aprì cigolando. Entrarono due guardie dall’aria severa, armate di spada e sguardo poco rassicurante. Una di loro gli si parò davanti e fece un piccolo inchino sia a Murtagh che ad Ellen. I due rimasero grandemente stupiti.
“Ajhiad, capo dei Varden, desidera parlare con entrambi. Vi preghiamo di seguirci nel suo ufficio”. Ellen e Murtagh si guardarono per un istante, poi si alzarono dal letto e si avviarono, insieme ai soldati che, nonostante le buone maniere, li scortarono verso i tunnel di pietra in ranghi serrati.
  E io che pensavo fossimo prigionieri, pensò Murtagh appena prima di arrivare da Ajhiad. Di fronte all’ufficio, una porta grande, di legno massiccio intarsiata con altorilievi, uno dei soldati chiese loro di aspettare e li lasciò per qualche minuto insieme al suo compagno. Dopo un po’ le porte di fronte a loro si aprirono e diedero spazio ad una camera dal soffitto alto a volta, con varie librerie stracolme addossate alla parete e una grossa scrivania in mogano esattamente al centro della stanza.
“Ajhiad è pronto a ricevervi” disse il soldato da dietro un battente della porta. Murtagh ed Ellen si sedettero di fronte alla scrivania, su due comode poltrone rosse e beige. I soldati dietro di loro chiusero il portone e, Ellen se ne accorse, li affiancarono, le mani alle armi. Murtagh non ci fece nemmeno caso, era nervoso, non era sicuro che quell’incontro con Ahjiad andasse a buon fine.
“Buona sera” una voce profonda proveniente dall’angolo fece sobbalzare entrambi i ragazzi, che si voltarono a guardare da chi mai provenisse. Un uomo nero, slanciato ma muscoloso, veniva verso di loro. Aveva occhi penetranti che scrutavano a fondo i due stranieri, sopracciglia folte leggermente corrugate e un portamento degno di un re. Era arrivato da una porta laterale nascosta alla vista. Si sedette alla scrivania con un sospiro e prese a guardare Murtagh, che, sentitosi preso in causa, resse lo sguardo, spavaldo.
“Murtagh, vero?” chiese osservandolo.
“Si” rispose il ragazzo senza aggiungere altro. Ajhiad sospirò.
“Riconosco la tua voce … allora, vuoi, per favore, mostrarmi la schiena o confessi di tua spontanea volontà?”. A quelle parole il ragazzo abbassò nuovamente lo sguardo e prese a tormentarsi le mani.
“No … no, sono io. Sono Murtagh, unico erede di Morzan, l’ultimo dei rinnegati”. Ellen affianco a lui era nervosa.
“Mi dispiace Murtagh, ma finchè non permetterai ai gemelli di sondare la tua mente temo che dovrò tenerti come un prigioniero” disse Ajhiad unendo le mani e appoggiando un gomito al bracciolo della sua poltrona.
“Capisco. Però ti dico solo una cosa: non è il figlio a scegliersi il padre Ajhiad, capo dei Varden e, per quanto questi sia una figura importante nell’infanzia di un bambino, non potrò mai perdonare al mio quello che ha fatto”.
“Ne sono sicuro Murtagh, ma purtroppo le regole per entrare nel Farthen Dur sono chiare. Era stato stabilito da me e da Rothgar quando ci diede asilo nella montagna e, visto che i tempi non sono cambiati, non credo che dovremmo fare un strappo alla regola”.
“Capisco” ripeté Murtagh.
“Naturalmente ti porteremo in un luogo più confortevole d’ora in poi e, siccome sono sicuro che ognuno di voi due voglia la propria intimità, vi daremo una camera ognuno” disse Ajhiad scoccando un’occhiata anche ad Ellen.
“Oh no, non è necessario” si affrettò a dire Murtagh. L’uomo lo guardò per un secondo, certamente stupito. “Noi stiamo bene anche così, non ce n’è bisogno, davvero”.
Ajhiad li osservò qualche istante poi acconsentì, fece un gesto in direzione di uno dei soldati, che s’inchinò e uscì dalla sala.
“Ora … capisco il desiderio di Murtagh di non far conoscere il suo passato, ma tu?” chiese rivoltosi ad Ellen. “E’ forse una presa di posizione contro ciò che facciamo, hai qualcosa da nascondere o vuoi solo proteggere anche tu i tuoi ricordi?”.
“Io … credo tutte queste cose” disse Ellen. “E poi, anche se cercaste, non trovereste nulla di prima dei miei tredici anni”. Ajhiad la guardò interrogativo, così Ellen prese a spiegare. Raccontò di Gellert e Monica e degli Urgali, della sua memoria sopita, che non era stata risvegliata nemmeno da Saphira. Non disse nulla riguardo a Brom, al giorno in cui incontrò lui ed Eragon, ma dovette subito inventarsi un motivo alla domanda di Ajhiad: “Perché hai seguito Brom ed Eragon?”.
“A Daret non c’era nulla per me. Pensavo che fossero dei semplici viaggiatori. Li seguii e Brom mi suggerì di viaggiare con loro. All’inizio pensavo che lo facessero perché avevo visto Saphira, e loro non potevano permettersi che qualcuno andasse in giro a dire di aver visto un drago, o l’Impero avrebbe sicuramente trovato conferma il suoi dubbi, ma, dopo la morte di Brom, mi sembrò naturale proseguire il viaggio con Eragon. Ormai noi due eravamo diventati amici, e anche con Saphira abbiamo ... legato”.
“Voi sapevate di Murtagh?” chiese Ajhiad dopo aver fatto una pausa, in cui aveva ponderato le parole di Ellen.
“Hm … si, ha cercato più volte di dircelo, ma l’abbiamo saputo appena prima di arrivare nel Farthen Dur”.
“Non glielo hai voluto dire? Eppure avete viaggiato assieme per tanto”.
Murtagh trafisse Ajhiad con lo sguardo. “Tutti hanno sempre la stessa reazione quando dico di essere figlio di Morzan” disse con astio. “Non vedevo che bisogno c’era di farmi disprezzare”.
Ajhiad sospirò. “Capisco” disse abbassando lo sguardo. “B’è … io ho finito, potete andare”.
Ellen e Murtagh si alzarono e il soldato si accostò subito vicino a Murtagh. “Ajhiad” chiamò il ragazzo prima di uscire. L’uomo alzò o sguardo su di lui. “Se non mi darai mai fiducia non avrò mai occasione di provarti che io non sono mio padre”.
“Ci sarà un’occasione, vedrai” disse Ajhiad con un sorriso triste. Murtagh annuì e si voltò per andarsene, con Ellen al seguito e il soldato affianco.
Ancora una volta furono guidati attraverso cunicoli e strette vie. Ellen pensò che, se fosse stato per lei, di sicuro si sarebbero persi alla prima curva. Alla fine del tragitto giunsero di fronte ad una porta di pietra. Il soldato la aprì con una grossa chiave.
“Formalmente … siete ancora prigionieri” disse stringendosi nelle spalle. Quindi aprì la porta. Ellen non aveva mai visto una stanza così, pensò che avrebbe dovuto farsi imprigionare dai Varden più spesso. La stanza era abbastanza grande da contenere due letti muniti di morbide coperte, una scrivania con sopra fogli, un vasetto d’inchiostro, una penna d’aquila e alcuni libri, e un piccolo lavabo con sopra uno specchio.
Ellen emise un fischio sommesso. Il soldato sorrise alla sua incredulità e le fece segno di entrare.
“Se avete bisogno di qualcosa chiedete pure. Io starò qua fuori … basta che bussiate”.
“Ok … allora … ci vediamo” disse Ellen alquanto imbarazzata per quello strano incontro. Non sapeva bene se doveva essere amichevole con quel soldato, che sembrava molto giovale, o fredda, siccome la stava rinchiudendo in una cella, per quando grande e spaziosa.
“Aspetta!” Murtagh lo fermò.
“Si?”.
“Non è che potrei farmi un bagno?” chiese Murtagh.
“Giusto! Pure io, e magari potrei prendere altri vestiti dalla mia borsa, se mi è permesso” intervenne Ellen.
“Certo. Aspettate qui solo un minuto” disse il soldato richiudendo la porta. Dopo meno di cinque minuti tornò e disse loro di seguirlo.
Portò Ellen davanti all’entrata di un grosso bagno e condusse Murtagh a quello attiguo, dicendo che, quando avrebbero finito, avrebbero trovato vestiti puliti, e che lui li avrebbe aspettati lì fuori.
Murtagh, una volta nella vasca di pietra si rilassò completamente, distendendo i muscoli in tensione. Si lavò i capelli e il corpo con oli profumati e, quando ebbe finito e si fu asciugato, una volta fuori dalla stanza con la vasca, trovò dei vestiti comodi e che sapevano di pulito. Una camicia bianca con grossi bottoni e dei pantaloni di pelle nera, resistenti e davvero comodi.
All’entrata dei bagni incontrò il soldato di prima che parlava con uno dei suoi compagni. Nel vederlo quest’ultimo si alzò e condusse Murtagh alla cella. Non era simpatico come l’altro e non disse una sola parola per tutto il tragitto. Dopo circa venti minuti arrivò Ellen.
“Ok, ci vediamo. Ciao” la ragazza salutò il soldato ed entrò nella cella. Era simpatico.
“Ce ne hai messo di tempo!” esclamò Murtagh. “Vanitosa”.
“Non è vero!” Ellen si sedette sul letto affianco a lui. “E’ perché era rilassante. E poi io … ho i capelli più lunghi”.
“Che vuol dire scusa?!”.
“Che ci metto di più a lavarli” rispose la ragazza come se fosse ovvio.
“Come no. Guarda che capisco che tu sia vanitosa … e, a proposito, come sei vestita?”.
“Lo sapevo che avresti fatto commenti!” disse Ellen stropicciando il vestito con le mani.
“No ferma. Fa vedere” disse Murtagh alzandosi dal letto e tirandola su con una mano. La ragazza si alzò e fece vedere bene il vestito, in più Murtagh la fece girare con una mano, come se stessero ballando.
Ellen indossava un vestito verde con maniche alquanto vaporose, un nastro rosso acceso sotto il petto lo stringeva per poi farlo gonfiare fino alle ginocchia, dove finiva con piccoli ricami rossi anch’essi.
“Ti sta bene” commentò Murtagh.
“Davvero? E’ da un sacco che non ne indosso uno. Più di due anni” disse la ragazza mettendosi di fronte allo specchio.
“Hai visto, quindi? Ecco la prova” disse Murtagh mettendosi dietro di lei.
“Cosa?”.
“La prova che dimostra che sei vanitosa” disse il ragazzo ghignado.
“Uff … e se anche fosse? Non è proprio un vestito che indosso tutti i giorni, sai? Me lo posso permettere per questa volta” disse Ellen voltandosi verso lo specchio.
“Meglio che tu lo faccia spesso, perché sei davvero bella quando ti guardi allo specchio” disse Murtagh cingendole la vita da dietro e dandole un bacio sul collo.
Ellen si rigirò nella sua stretta e lo baciò delicatamente. Presto il bacio, da delicato e casto, divenne più approfondito. Murtagh sollevò Ellen e la fece sdraiare sul letto, posandosi poi sopra di lei. Cominciò a trafficare con i lacci rossi del vestito, ma la ragazza fu più veloce e gli slacciò subito la camicia. Quando, alla fine, gliela tolse del tutto, Murtagh fece per sfilarle il vestito.
“E’ un peccato però … lo hai appena messo” disse bloccandosi.
“Eh già, potrebbe sentire la mia mancanza, poverino”.
“Non credo … vi conoscete da poco”.
Ellen fece finta di pensarci su. “Uhm … allora va bene”.
Murtagh sorrise e le sfilò il vestito, osservando il corpo esile ma forte di Ellen sotto di lui. Lanciò il vestito in un angolo della stanza e le prese le mani nelle sue, dandole un altro bacio.




Oddeo! In una delle celle dei nani si consuma un atto peccaminoso! XD XD Allora, che mi dite di questo capitolo? Non potevo far infuriare Ellen, povero Murtagh altrimenti (è già abbastanza sfigato di suo, non aggiungiamoci pure questa! XD)

Spring Thunder: hai proprio ragione W Murtagh! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, come vedi Ellen fa passi da gigante con il nostro Murtagh heheheh!

Thyarah: ovviamente tu ci sei sempre! Grazie mille! Credo che se Ellen avesse deciso di picchiare Murtagh per la sua discendenza avrebbe vinto lei XD ... Mhauhahahah! Ellen for president!

Cavolo, ho appena visto che il prossimo capitolo è lungo O.O Non mi ricordavo di scrivere capitoli così lungosi .... b'è non importa, al prosismo capitolo;
Patty
   
 
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