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Autore: Fiore di Giada    01/08/2017    3 recensioni
Partecipante al contest - Di vecchi e polverosi ricordi - indetto da Hermit_ sul forum di efp. Fandom scelto: Bryger, Prompt scelto: F.
Con passo calmo, Steven Boy camminava, seguendo una direzione precisa, un mazzo di fresie* bianche nella mano destra. Quella serata estiva era magnifica e aveva bisogno di solitudine, lontano dalle voci di I9.
Un sorriso melanconico sollevò le sue labbra e, con un gesto brusco, allontanò dal volto alcune lacrime, che avevano rigato le sue guance. Certo, i suoi compagni gli volevano bene e lo rispettavano, ma, in quel momento, il suo cuore richiedeva raccoglimento e solitudine.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cyn, Isac Gudonov, Steven Boy
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il cimitero di Saint Lake City era immerso nell’oscurità di una calda sera estiva, illuminato dalla luce dorata delle luci delle tombe e da quella argentea delle stelle, che erano incastonate nell’azzurrità del cielo.
Con passo calmo, Steven Boy camminava, seguendo una direzione precisa, un mazzo di fresie* bianche nella mano destra. Quella serata estiva era magnifica e aveva bisogno di solitudine, lontano dalle voci di I9.
Un sorriso melanconico sollevò le sue labbra e, con un gesto brusco, allontanò dal volto alcune lacrime, che avevano rigato le sue guance. Certo, i suoi compagni gli volevano bene e lo rispettavano, ma, in quel momento, il suo cuore richiedeva raccoglimento e solitudine.
I suoi amici, vedendo l’inusuale tristezza sul suo volto, gli avrebbero fatto delle domande inopportune, a cui lui non voleva rispondere.
Forse Isac non gli avrebbe chiesto nulla, ma non riusciva a essere sicuro di niente.
E già quando aveva letto la notizia sul giornale aveva fatto fatica a controllarsi…
Si fermò e si appoggiò ad un cipresso, lo sguardo volto verso il cielo stellato. In quei lunghi giorni d’attesa aveva mantenuto una maschera di allegria che era lontana dai suoi sentimenti.
In quel cimitero, immerso nell’oscurità di una notte estiva, poteva finalmente togliersi quel paramento, che era diventato opprimente per lui.
Se fosse ancora rimasto su I9, quel suo falso buonumore sarebbe svanito e lui non poteva permettere che i suoi compagni lo vedessero in quello stato.
Sospirò e chinò la testa. Erano passate circa tre settimane e ricordava ancora bene il terribile momento in cui aveva appreso quella notizia che lo aveva prostrato.


Aveva accompagnato Cyn, da tempo sofferente di dolori ai denti, dal dottor Williams, uno dei più famosi dentisti dei quartieri spaziali.
Ci sarà molto da aspettare. – aveva mormorato sconfortato, lanciando uno sguardo rapido nella sala d’aspetto. C’erano tante persone, attirate dalla affabilità e dalla bravura di quel medico di origini anglo – tedesche, e impegnavano il proprio tempo ora leggendo, ora parlando.
Già, per fortuna ho il modo di passare il tempo. – aveva replicato il bambino e aveva cominciato a giocare con un videogame.
Per un po’, l’aveva osservato, poi aveva preso un giornale dal tavolo e, con movimenti distratti, aveva cominciato a sfogliarlo.
Non è possibile... – aveva sussurrato, il volto pallido e le mani tremanti. Quel giornale riportava una notizia che non avrebbe mai voluto leggere.
Suor Maria, la donna che, per lui, era stata una madre adottiva, era morta, consumata da una forma assai aggressiva di cancro al cervello.
L’articolo, pur con uno stile enfatico e magniloquente, sottolineava la sua dolcezza verso i bambini, che quel male terribile non aveva distrutto, anzi aveva accentuato.
Si era irrigidito, cercando di placare il tumulto del suo cuore. In quegli istanti, voleva restare solo col suo dolore, ma non si era dimenticato della presenza di Cyn.
Cosa sarebbe successo se si fosse accorto del suo improvviso turbamento?
Era un bambino sveglio ed era sicuro che non avrebbe esitato a parlarne col resto della squadra I9.
Non metteva in dubbio la buonafede di Cyn, ma non gli piaceva mostrare il lato più fragile della sua indole.
Anche se era consapevole dell’affetto dei suoi compagni, la sua reticenza non svaniva.
Una mano posata sulla schiena lo aveva scosso dai suoi pensieri, come una potente scossa elettrica.
Di scatto, si era girato e aveva scorto Cyn, che lo fissava preoccupato.
Stai bene? Sei pallido. – aveva chiesto il ragazzino.
Pur con fatica, aveva sorriso. Quello sforzo, in quegli istanti, era per lui innaturale e doloroso, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non mostrare la sofferenza che, in quel momento, gli stringeva l’anima in una morsa.
Sì, non preoccuparti. Pensa solo alla tua visita. – aveva risposto e, poco tempo dopo, un’infermiera era uscita, annunciando il turno di Cyn.


Con fatica, si rialzò e riprese il suo cammino. Quelle tre settimane, per lui, erano state un incubo.
Aveva vissuto con la paura di una domanda inopportuna e aveva faticato a fingere il suo contegno gioviale e spensierato.
Nessuno, per fortuna, gli aveva chiesto niente e questo silenzio era stato per lui una tenue consolazione.
Nemmeno Isac, che pure era dotato di un fine intuito, aveva mostrato di sospettare qualcosa.
O forse faceva finta di non accorgersene?
Ma cosa gli importava?
Finalmente, aveva la pace che cercava e niente l’avrebbe disturbato.
Raggiunse una semplice lapide di forma rettangolare, sulla quale era posata la foto di una anziana suora dai grandi occhi neri, che fissavano decisi l’obiettivo della macchina fotografica.
Steven si chinò e, per alcuni istanti, sfiorò il nome impresso sul marmo candido.
Suor Maria Alexandra del Sacro Cuore di Gesù.**
Eccomi qui… Spero mi perdoniate per il ritardo... – sussurrò e tentò di sorridere, ma il suo volto si contrasse in una maschera grottesca.
Scosse la testa e, con delicatezza, appoggiò il mazzo di fiori davanti alla lapide. In quell’oscura solitudine, non era necessario mantenere un falso sorriso sul suo volto.
Nessuno gli avrebbe fatto domande imbarazzanti, a cui non avrebbe voluto o saputo rispondere.
Già… Qui non ho bisogno di mentire... – singhiozzò e, d’istinto, si coprì gli occhi con le mani. Suor Maria aveva la capacità di andare oltre le apparenze che, molto spesso, portavano le persone a giudizi affrettati.
Lei era riuscita a capire la sua anima e l’aveva salvato da dei poliziotti che lo avevano accusato di furto e volevano portarlo in prigione, perché, per loro, lui era un delinquente.
La sua condizione di orfano e ragazzo di strada era un marchio di infamia, che niente avrebbe potuto cancellare.
La sua parola, anche se era vera, non aveva alcun valore.
Grazie… Senza di voi non so dove sarei finito... – sussurrò, le guance rigate di lacrime. Lei, dandogli fiducia, gli aveva fatto capire che non era condannato ad un destino scritto da altri.
Lei gli aveva insegnato che l’opinione delle persone non contava niente, dinanzi alla verità della propria anima, e questo gli aveva consentito di crescere e di realizzare i suoi sogni.
Tutto quello che lui era diventato lo doveva alla sua ferma dolcezza e al suo amore.
Quella donna meravigliosa era stata animata, nella sua vita, dal fuoco dell’amore verso il prossimo, che l’aveva portata a compiere scelte durissime, pur di salvare la vita a quelli che lei, con dolcezza di madre, chiamava «i suoi figli in Cristo».
Per lei, i ragazzi di strada non erano perduti e, in loro, vedeva un riflesso di Gesù.
Steven sollevò il braccio destro e le sue dita si posarono sulla foto. Suor Maria era morta e questo gli faceva male, ma doveva ammettere che la morte per lei era stata una liberazione.
Sapeva bene che il cancro, in certe, aggressive forme era una malattia incurabile, anche per le potenti tecnologie del ventiduesimo secolo.
E una donna come lei non meritava di soffrire senza alcuna speranza di miglioramento.
Spero che siate in Paradiso... – mormorò.
Il giovane pilota giunse le mani e cominciò a sussurrare una preghiera. Per lui, era duro credere nell’esistenza di una divinità buona e generosa, ma desiderava che lei potesse godere delle gioie promesse ai cristiani virtuosi.
Qualche minuto dopo, si alzò e, per un po’ di tempo, fissò la foto, un sorriso malinconico sulle labbra.
Se potrò tornare, tornerò… State tranquilla, madre mia. – promise e, dopo avere accostato le dita alle labbra, le posò sulla foto. Il suo lavoro di ranger rendeva la sua esistenza assai precaria e ogni missione poteva essere l’ultima.
Ma, se la fortuna avesse continuato ad assisterlo, sarebbe tornato a trovarla e a deporre fresie sulla sua tomba.
Girò le spalle e si diresse all’uscita del cimitero. Sentiva il suo cuore libero dal peso che, per tre settimane, lo aveva oppresso e ne era felice.
Finalmente, poteva tornare dai suoi amici.


Qualche minuto dopo, il giovane raggiunse l’entrata del cimitero e, tratta una lima dalla tasca, cominciò ad armeggiare con la serratura.
Il cancello d’ingresso, con un rumore secco, si aprì, Steven uscì e, con cura, lo richiuse.
All’improvviso si fermò e, con un gesto veloce, trasse una pistola. Gli era parso di sentire un rumore di passi e poteva essere solo un criminale di piccola taglia.
Ma non gli importava.
Non avrebbe esitato a fare fuoco in quel momento.
Non riconosci più nemmeno il tuo capo? – domandò una voce roca, vibrante di benevola ironia.
Steven sussultò e la mano gli tremò. Cosa ci faceva lui lì?


Qualche istante dopo, da dietro un albero uscì Isac.
Steven sbarrò gli occhi, esterefatto, e, d’istinto, abbassò la mano che reggeva la pistola.
Co… Cosa fai qui? – domandò. Isac era dotato d’un intuito assai fine, ma non poteva conoscere i segreti del suo passato, in quanto non li aveva rivelati a nessuno.
Il russo sospirò bonariamente. Da quando aveva accompagnato Cyn a quella visita dal dentista, Steven era cambiato e, di questo, se ne erano accorti tutti.
Il suo sorriso, di solito così luminoso, aveva perduto la sua spontaneità e sembrava una maschera di friabile gesso, prossima alla distruzione.
Qualcosa lo aveva sconvolto, anche se lui, testardo, non aveva mai rivelato niente e aveva continuato a fingere allegria per tre lunghe settimane.
Poi Cyn aveva rivelato loro il contenuto dell’articolo da lui letto nello studio dentistico, e, grazie a tale particolare, avevano capito in parte l’origine del cambiamento del loro compagno.
Quella suora era stata per Steven una persona importante e la sua morte, dopo una terribile agonia, lo aveva scombussolato.
E lui, con ostinato pudore, aveva cercato di nascondere il suo dolore.
Steven, se non vuoi parlare, non posso costringerti, però non fare l’errore di fingere un’allegria che non provi. – disse Isac con tono pacato. Quelle tre settimane erano state un incubo per tutti, in quanto si erano trovati divisi da un muro apparentemente invalicabile.
A fatica era riuscito a contenere l’ansia di Jotaro, Mei, Poncho e Machiko, che volevano prendere di petto la situazione, e aveva garantito che lui gli avrebbe parlato.
Steven sospirò. Era stato stupido a credere di potere ingannare i suoi compagni, che lo conoscevano bene.
Non vi si può nascondere niente... – constatò con triste ironia.Eppure, quella chiarezza lo faceva stare bene.
Per tanto, troppo tempo aveva represso il bisogno di un sostegno e le semplici parole di Isac facevano riemergere quel desiderio assai forte, che aveva ritenuto un segno di debolezza.
Grazie. – si limitò a dire poi. Isac, ancora una volta, aveva compreso il suo desiderio di non parlare e non lo aveva forzato.
Ed era sicuro che avesse spiegato questo anche agli altri.
Come aveva potuto non fidarsi di lui?
Andiamo via. Gli altri ci stanno aspettando su I9. –dichiarò Isac ed entrò nella sua auto, presto imitato dal compagno.
Due auto, ben presto, si allontanarono dal cimitero e scomparvero nella notte.


*le fresie, nel linguaggio dei fiori, rappresentano la nostalgia
** nome inventato da me, come anche la congregazione a cui la suora appartiene. Questo background di Steven è ipotetico, basato sulla puntata 25 di Bryger «Buon Natale, Boy!», in cui si scopre parte del passato del personaggio (ossia l'incontro con i poliziotti prima e la suora poi). Anche lo stato di orfano e ragazzo di strada del personaggio è una mia ipotesi, basata sugli abiti da lui indossati nel flash back, che sono quelli stereotipati dei ragazzi poveri dell'800 (si vedono nel film Oliver Twist di Roman Polansky).
La sua poca voglia di parlare di sé si vede nella puntata, quando Jotaro e Machiko notano la sua poca parlantina e lui risponde con sarcasmo.




   
 
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