Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    01/08/2017    6 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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~ 42 ~ 
GHOST
 
“Don’t you hold your breath,
Cause I’m not coming down
The battlefields have left me only scars
I’m floating in the dark
I’m swimming in the sound
Of voices that should never been apart.
Darker than the blood
Higher than the sun
This is not the end
You are not the only one.”
(Steve Aoki feat. Linkin Park – Darker than blood)
 


Pete si asciugò rabbiosamente la goccia di sangue che gli colava sul viso, trattenendo il respiro. Era dolorante e confuso per il colpo in testa che aveva preso poco prima, ma fu il primo a riscuotersi da quegli infiniti attimi di torpore che sembravano aver colto tutti i presenti sul campo di battaglia.
In quel momento, il fatto che quella guerra orrenda fosse finita era l’ultimo dei suoi pensieri.
Il cuore gli perse parecchi colpi e si sentì quasi morire, mentre fissava allibito il leone immobile.
Sakon richiamò immediatamente il contatto di Briz sul monitor principale della plancia: la ragazza era inerte quanto Balthazar, prona, imprigionata dentro la sua armatura.
 – Fanciullina… svegliati, forza… – la incitò Pete, quasi sottovoce – Svegliati, maledizione! Briii! – gridò poi, non ricevendo risposta – Vado a prenderla! – annunciò infine deciso, alzandosi in piedi di scatto, per uscire dalla plancia.
Arrivò a fare forse due passi, prima che un’ombra nera gli offuscasse la vista e una fitta di dolore dietro agli occhi lo facesse crollare a terra. Jamilah lo raggiunse svelta inginocchiandosi accanto a lui, per controllare le sue condizioni, passandogli una mano tra i capelli, per verificare l’entità della ferita alla testa. Nonostante il sanguinamento pareva una stupidaggine, constatò con un certo sollievo: un piccolo taglio all’attaccatura dei capelli; ma lui non sembrava molto in sé.
– Sakon, fai una bio-scansione della carlinga di Balthazar e controlla i parametri vitali di Briz – ordinò Daimonji, il pensiero fisso a lei e a Midori.
L’ingegnere obbedì prontamente.
– Lasciami andare, Jami – si lamentò Pete, agitandosi, tentando di rialzarsi.
– E dove vorresti andare? Non vedi che non ti reggi in piedi?
– Devo andare da Briz! Lasciami…
– Hai una ferita alla testa, anche se piccola; stai calmo. Oltretutto non potresti nemmeno entrare in carlinga da lei, con Balthazar in quella posizione! Stiamo controllando il suo stato…
In quell’attimo, la voce metallica del bio-scanner diede il suo responso sulle condizioni di salute di Briz:
“Comandante Fabrizia Cuordileone. Funzioni vitali: assenti”. 
– No! Non è vero! – urlò Pete, rialzandosi in piedi di scatto e spingendo via Jamilah sgarbatamente, facendola cadere seduta a terra, per poi precipitarsi di fronte al monitor – Bri! Bri! Svegliati! Non puoi farmi questo, non puoi!  
Gli altri non erano meno allibiti e devastati di lui, e non poterono fare a meno di pensare che anche di Midori non avevano notizie. Era mai possibile che proprio alla fine di quel maledetto conflitto, le uniche vittime dell’equipaggio del Drago Spaziale, dovessero essere le loro belle e coraggiose ragazze guerriere?
Pete respirava a fatica, era pallidissimo, le mani piantate sulla consolle e gli occhi fissi al grande monitor. Una lacrima gli scese silenziosa lungo una guancia, seguita da un’altra… e un’altra ancora; ciò che aveva provato su Marte, al pensiero di dover morire, era stato nulla al confronto di questo. Crollò seduto sulla sua poltroncina di pilotaggio, lo sguardo appannato sull’immobile armatura bianca e dorata.
Non poteva, non voleva crederci. Nessuno di loro, ci riusciva, ma lui meno ancora degli altri…
– Sakon, riprova! Per favore!
L’ingegnere in realtà stava già ripetendo l’operazione da ancora prima dell’esortazione di Pete, ma il responso del bio-scanner non cambiò.
Pete scosse la testa, lo sguardo vitreo, come ipnotizzato: il suo cuore rifiutava a prescindere quella risposta, ma la sua mente razionale sapeva di doverla accettare. Il tono della sua voce suonò spezzato e rassegnato, ancor più che disperato.
– Bri, ti prego, non mi mollare. È per questo che sono sopravvissuto, su Marte? Che sono sopravvissuto a questa guerra? Per veder morire te?
L’armatura che racchiudeva la ragazza, rimase silenziosa ed inerte.
Daimonji era come raggelato; Jamilah si rialzò in piedi lentamente, scuotendo incredula il capo, le labbra tremanti; Sakon si avvicinò al suo capitano ed amico, e gli posò una mano su una spalla, sentendosi totalmente impotente.
Pete chinò la testa, i gomiti sulle ginocchia e le mani tra i capelli e, incurante della presenza degli amici, lasciò che le lacrime gli scorressero sul volto senza ritegno.
–  Dio, fanciullina… cosa faccio adesso, senza di te?
 
* * *
 
La preoccupazione per Fabrizia gli attanagliava il cuore, ma Sanshiro diede la priorità, per forza di cose, all'ansia per Midori. Daimonji gli aveva detto che a Briz avrebbero pensato loro e lui, fermato il Gaiking ai margini dell’ospedale da campo allestito per portare i primi soccorsi, era sceso a terra in pochi istanti.
Fortunatamente sembrava che i feriti fossero meno di quel che si era temuto, e le vittime un numero ancora più esiguo, anche se ciò non lo rincuorò; molti feriti, i più gravi, venivano rapidamente trasferiti, tramite grandi elicotteri, negli ospedali più vicini e attrezzati.
I medici e i paramedici militari non si sorpresero più di tanto, quando videro il pilota del Gaiking piombare nell’improvvisato ma efficiente campo di pronto soccorso.
– Sto cercando Midori Fujiyama, la pilota precipitata con l'Infinity! Dov'è? È ferita? Midori! Midori! – gridò, aggirandosi tra i mezzi di soccorso e le barelle improvvisate.
– Venga con me, Comandante! – gli ordinò un giovane Tenente medico che gli corse incontro.
Sanshiro lo seguì, lasciandosi guidare stordito, faticando a mettere in ordine i propri pensieri: la guerra era finita, ma non riusciva ancora a capacitarsene, non era questo che gli importava, in quel momento.
Il medico lo indirizzò verso una grande ambulanza, dai portelloni posteriori aperti; all’interno, un'immobile macchia di colore colpì il suo sguardo: un giubbotto color azzurro acqua.
Per un attimo il cuore gli si fermò… poi la macchia di colore si mosse, e il suo battito cardiaco riprese furioso, mentre ricominciava a correre per raggiungerla.
Midori, distesa su una lettiga dentro il mezzo, incrociò i suoi occhi nello stesso momento, e fece per mettersi seduta; Sanshiro la raggiunse a bordo per impedirglielo, poiché, giunto al portellone spalancato, aveva notato la medicazione sulla fronte, il livido su uno zigomo, una fasciatura al polpaccio sinistro e il braccio destro immobilizzato in un tutore. La ragazza lo ignorò, incurante delle ferite, e in un attimo si ritrovarono abbracciati, lui in piedi e Midori seduta sulla lettiga, che lo cingeva col braccio sano e con le lunghe gambe, incapaci di credere di essere entrambi ancora vivi, e di essere giunti, in quel caldo giorno d'estate, alla conclusione di quello sfiancante conflitto.
Sanshiro la strinse a sé, attento a non farle male, accarezzandole i capelli e baciandole la guancia sana e la parte di fronte lasciata libera dal vistoso cerotto.
– Dio, credevo che fossi morta…
– Anch’io, credimi; è stato l’atterraggio di fortuna più difficile della storia, non so come abbia fatto e non voglio nemmeno pensarci: è già un miracolo che non mi sia ammazzata, ma sto bene. Adesso che sei qui, e che è finito tutto, sto bene. Cioè… ho un taglio in fronte, uno a una gamba e un braccio rotto in due punti, e ho male dappertutto, ma chissenefrega! Guarirò… Tu, piuttosto… – rispose lei confusamente, guardando i graffi sul suo viso e la ferita al braccio. Sanshiro minimizzò, e lasciò che gli accarezzasse la guancia e gli baciasse il volto graffiato e le labbra; si baciarono a lungo, in modo tenero, inframmezzando ai baci sorrisi incerti, carezze sul viso e vaghe rassicurazioni sul loro stato di salute.
Nella superattrezzata ambulanza c'erano, su altre due lettighe, una soldatessa ferita non gravemente a una gamba, e un altro militare con una spalla malamente contusa, insieme a un infermiere. Tutti li guardarono incuriositi, sorridendo fra loro: quella scena fece prendere consapevolezza ai soldati del fatto che i guerrieri del Drago Spaziale, alla fine di tutto, non fossero dei supereroi come tanti li immaginavano, ma solo giovani uomini e donne, uguali a loro, che avevano nel cuore sentimenti come ogni altro. Ed era bello vedere che l'orrore che avevano vissuto, non aveva impedito a questi sentimenti di uscire allo scoperto, né aveva permesso che venissero annientati. Anche loro soffrivano, sanguinavano, amavano, ed erano riusciti, nonostante tutto, a rimanere esseri umani.
– Sanshiro… – disse a un certo punto Midori, come tornando di colpo alla realtà e cercando il suo sguardo – Briz…? Balthazar… è…
– Non lo so, Dori. Doc ha detto che se ne sarebbero occupati loro… ma sono in ansia quanto te. Ma tu come fai a saperlo?
– Guarda, abbiamo seguito la battaglia da qui – disse la ragazza mostrandogli un sofisticato computer, montato a bordo del mezzo, che trasmetteva le notizie che cominciavano ad accavallarsi l'una sull'altra.
– Permettete? – fece Midori al paramedico mentre, muovendosi con cautela e aiutata da Sanshiro, andava a sedersi di fronte al monitor; l’infermiere e i due feriti la guardarono interessati, e Sanshiro intervenne.
– Specialista delle comunicazioni del Drago Spaziale: possiamo fidarci – spiegò conciso.
Midori inserì con la tastiera alcuni codici ed entrò nel circuito di comunicazione del Drago, che comprendeva anche il contatto audio con i piloti di Nessak, Bazzora e Skylar. Sullo schermo apparve Sakon.
– Midori! Dottore, è Midori! È viva! Stai bene? Sei ferita? – gridò concitato, mentre anche Daimonji si avvicinava per vederla.
– Poteva andare peggio. Voi?
Il volto di Daimonji, apparso accanto a quello di Sakon, si rianimò per un attimo nel vedere Midori, ma le loro espressioni addolorate e gli occhi pieni di lacrime non preannunciavano nulla di buono. Sakon parlò in tono fermo, ma cupo e rassegnato.
– Fan Lee, Bunta e Yamatake hanno solo qualche ammaccatura. Pete ha preso un colpo in testa, sanguina un po’ ma non e grave, ma è in stato semi confusionale, anche perché… Briz… –  la voce gli si spezzò, e non riuscì a continuare.
Midori e Sanshiro sentirono un colpo al cuore, quasi rimasero senza respiro, ma Midori si riprese quasi subito: inserì altri codici, e sullo schermo del computer apparve l'interno dell'abitacolo di Balthazar, con Briz riversa sul lato della carlinga rovesciata, ancora dentro all'armatura.
Perfettamente immobile.
 
* * *
 
Briz aveva visto i globi luminosi, staccatisi dalla criniera di Balthazar, ricoprire interamente il corpo di Darius e, contemporaneamente, aveva sentito la coscienza di Alessandro allontanarsi da lei. Era arrivata anche a rendersi conto che Sanshiro aveva colpito il punto debole del mostro col suo lancio magico, prima che lo sfinimento totale del suo fisico e della sua mente, la facesse precipitare nell'oscurità.
E adesso si sentiva fluttuare nel nulla assoluto.
Non riusciva a muoversi, a parlare, a pensare… si era smarrita in una specie di limbo, e si sentiva completamente svuotata di tutto. Anzi, in realtà… non si sentiva; nella mente della ragazza il nulla si fece strada inesorabilmente, cancellando sensazioni, immagini e ricordi. Si era perduta, e non trovava più la strada del ritorno.
Il buio era totale e sembrava accentuare il rombo cupo che sentiva nelle orecchie; era una sensazione stranissima, nonostante le sembrasse di non avere più un corpo, avvertiva un pulsare sordo e pesante: Tu-tum, Tu-tum, Tu-tum…
…come sangue caldo e scuro, che palpitasse comunque in lei, come se lei stessa fosse quel battito. Non riusciva a dire se tutto ciò fosse piacevole o inquietante: il tepore in cui era immersa non era fastidioso, non provava nessun dolore, e questo non le sembrava un fatto negativo. Anche se… forse… avrebbe dovuto esserlo…?
All’improvviso l’oscurità sembrò spezzarsi, aprirsi in sprazzi di azzurro, fino a diventare una luce bianca che all’inizio le ferì la vista, poi diventò come un piccolo sole, caldo e rilassante. Si sentì ruzzolare, come se stesse facendo una capriola all'indietro, fino a ritrovarsi praticamente in piedi, anche se non avvertì la sensazione di qualcosa di solido, sotto di sé; l’effetto del battito incessante si attenuò, facendola sentire ancora più leggera, eterea. Eppure, anche se in modo totalmente diverso, percepiva ugualmente il suo corpo.
Non aveva addosso l'armatura, ma una specie di tunica corta, di morbida seta color crema, stretta in vita da una lenta cintura dello stesso tessuto, annodata da un lato; ed era scalza.
– Oh, Dio! Stavolta è andata, sono morta davvero! – si sentì esclamare, con una tranquillità che la sorprese.
– Ehi, Folletta – disse una voce calda e famigliare alle sue spalle.
Briz chiuse gli occhi, o almeno così le parve, sentendo il battito del proprio cuore aumentare e pensando che non fosse possibile. O forse sì… in fondo, se era davvero morta, era più che normale che lì ad accoglierla ci fosse…
Si girò, lentamente, riaprendo gli occhi… e lui era lì, di fronte a lei.
Alessandro.
Il suo gemello, il sangue del suo sangue, che in quegli ultimi tre anni, ora lo sapeva, non l’aveva abbandonata un attimo: l’aveva vegliata, protetta, fortificata… Se lei era riuscita a distruggere Ashmov, e a immobilizzare Darius perché Sanshiro potesse finirlo, il merito era soprattutto di Alessandro.
E se per questo, alla fine, aveva pagato con la vita, allora andava bene così.
Ogni guerra ha i suoi eroi e i suoi martiri, e in questa era toccato a lei.
Si stupì della serenità che provava: la morte non faceva poi così male, né paura; ma in fondo, la presenza di suo fratello l’aveva sempre fatta sentire così.
Gli si avvicinò di un passo, senza riuscire a smettere di guardarlo, quasi beandosi, della sua vista. Dio, quanto le era mancato! E ora era lì, di fronte a lei: alto, bello, i capelli scuri, corti e dritti sulla testa, come li aveva sempre portati; gli occhi verdi come i suoi, luminosi e caldi; le labbra morbide e piene, piegate in un sorriso tenero; una manciata di lentiggini sul naso. Portava un paio di calzoni bianchi e una camicia di seta dello stesso colore e, come lei, era a piedi nudi. Certo, che bisogno c’era di scarpe? In fondo, stavano camminando sulle nuvole…
Briz avanzò di due passi e lo abbracciò, sorpresa e felice di poterlo fare. O almeno, la sensazione fu questa, mentre anche lui le chiudeva le braccia attorno.
Niente e nessuno avrebbe più potuto farle del male, ora: era con suo fratello, e lui l’avrebbe riportata a casa, da mamma e papà.
 
Briz-e-Ale-Heaven

Certo, si sarebbe portata dietro parecchi rimpianti, lo sapeva, primo fra tutti, non aver detto a Pete che lo amava. Ma non si portava nessun rimorso, e questo era l’importante… Andava davvero bene così.
– Sono morta, vero? – gli chiese, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Alessandro la scostò appena, e le accarezzò il viso.
– In realtà, Gnappetta, non sei davvero morta, finché non ti infili giù di lì.   
Briz guardò il punto che lui le indicava: sembrava un tunnel, anzi, il tunnel: quello famoso di cui si raccontava e fantasticava di dover imboccare, per raggiungere l’Aldilà: sembrava persino invitante, con quella strada azzurrina e luminosa che spariva al suo interno, portando… sicuramente in un bel posto.
Ma se quel posto era davvero il Paradiso, o quello che le persone chiamavano così, allora perché Ale non era ? Non le risultava che, imboccato quel sentiero, si potesse tornare indietro. La risposta le giunse di colpo.
– Tu… non hai ancora percorso quel tunnel, vero? Sei stato… qui, tutto questo tempo? Tre anni?
Alessandro, tenendole un braccio attorno alle spalle, cominciò a camminare, avvicinandosi all’imbocco del tunnel, e rispose alla sua domanda.
– Diciamo di sì, anche se… qui, è un concetto relativo, e il tempo scorre in modo diverso, rispetto alla Terra. E poi, io ho avuto… non so come spiegartelo… una specie di… permesso speciale, perché avevo lasciato qualcosa in sospeso, nella mia vita terrena. Non potevo lasciarti del tutto sola ad affrontare questa guerra, anche se la parte più difficile è stata senza dubbio sulle tue spalle. Di qui non è sempre facile interagire con voi… laggiù. Ma quando tu combattevi, una parte di me, riusciva a raggiungere i connettori neurali di Balthazar, anche se non sempre con la stessa intensità.       
– Sì, lo so, ti ho sentito. Sempre, fin da un anno fa, quando mi hai fatto conoscere il Thunderbolt, e forse anche da prima. Ma negli ultimi tempi la tua presenza si era fatta più forte, molto più forte.
– Infatti; probabilmente era dovuto al fatto che tu stessa eri diventata più forte e determinata, avevi imparato meglio a destreggiarti con la connessione, ma soprattutto, eri molto disposta a credere in ciò che ci accadeva, e così risultava più facile. Oggi poi… è stata l'apoteosi: era da tanto che cercavo di passarti il Supernova Starfire, senza riuscire mai a raggiungerti a sufficienza. Ashmov lo abbiamo distrutto insieme, io ero davvero lì con te.
– Era così doloroso, e difficile, disconnettermi. L’ultima volta è dovuto venire Pete a… svegliarmi, ecco.
– Sì,lo so… in un certo senso, ero lì… Mi dispiace, per tutto il malessere fisico che hai dovuto subire, fin dall’inizio: gli effetti collaterali dei primi tempi, e poi quelli che si erano aggiunti di recente. Io non so spiegarti cosa fosse… forse qualcosa di inconscio, una parte di noi non voleva che ci separassimo, e non so se dipendesse da me, o da te; so solo che ogni volta soffrivo con te, nel vederti stare così male. Ma ora è finita, Folletta.
Briz si fermò e lo guardò incerta: sembrava davvero un film fantasy… ma come sarebbe mai potuto finire?
– Allora, adesso…? Che succede? Vengo con te? – gli chiese, accorgendosi che l'idea di percorrere il tunnel luminoso insieme a suo fratello la spaventava sempre meno, anzi, diventava sempre più tentatrice: avrebbe riavuto Ale, suo padre, la mamma… Perché no, dopotutto?
Poi guardò il suo gemello negli occhi e azzardò un’alternativa pazzesca.
– Oppure… puoi tornare tu… giù… con me? – osò domandargli.
– No, no, tesoro, non è così che funziona – si affrettò a rispondere Alessandro, con le labbra tese in un sorriso sereno e triste allo stesso tempo.
– Però… hai detto tu che, finché non percorri il tunnel… – ci provò ancora Briz, pur sapendo già che, come suo solito, tentava di arrampicarsi sugli specchi.
– Fabrizia… io non posso fare diversamente: sono passati tre anni… il mio corpo non esiste nemmeno più. Tutto quello che dovevo fare, l'ho fatto, ho concluso la mia missione, non ho più niente in sospeso.
– Tu credi? E Jessica?
– Nemmeno Jessie ha più bisogno di me, lo sai. Ha sofferto tanto, è vero, ma è anche grazie a te, se ora sta bene. Lei è a posto, adesso, ha la sua vita da vivere… e mi piace il ragazzo col quale ha scelto di dividerla.
– Sai già tutto, tu, vero? Anche di Tom…
– Più o meno… Non è che vedo tutto, di qui, sia chiaro, ma certe cose si sentono, diciamo così. Infatti so anche che tu, come Jessie, e al contrario di me, hai ancora una marea di cose da fare, sulla Terra.
– E che cosa, di grazia? – chiese Briz, abbracciando di nuovo il fratello, poco convinta.
– Beh, laurearti in Veterinaria, tanto per dirne una. E sposare il tuo bravo ragazzo e fare quei bambini che hai sempre desiderato, per dirne un'altra. E poi credo che insieme, tu e lui, farete un mucchio di altre belle cose.
– Anche nel caso esistesse, potrebbe non volermi, questo bravo ragazzo – rispose Briz, abbassando lo sguardo, e rendendosi conto che Alessandro sapeva benissimo di chi stessero implicitamente parlando.
– Dovrai correre il rischio, Rompina, tanto so che avevi già deciso di dirgli quello che provi per lui. Che, fra l'altro, lui è anche il fratello di Tom.
– Sì, lo so che lo sai! È sempre stato così, fra noi due.
– Ma… da oggi in poi, non lo sarà più. Io… devo lasciarti andare, Briz. Lo capisci questo, vero?
– Sì – fu la sommessa risposta, appena un soffio.
Briz sapeva di non potersi opporre a questo destino: Ale era morto, e doveva andare; mentre lei era viva, e doveva tornare.
– Brava, piccola – le disse Alessandro, con le mani sulle sue guance, dandole un bacio sulla fronte.
– Mi fa ridere che mi chiami piccola: è vero che, in un certo senso, tra i due eri tu il fratello maggiore, ma ora… io sono più vecchia di te di tre anni.
– Sarai sempre la mia Gnappetta, anche quando ne avrai novanta e sarai una super bisnonna sprint.
Nonostante la situazione surreale e drammatica, al pensiero di sé stessa bisnonna novantenne, attorniata da un numero imprecisato di pronipotini urlanti, Briz scoppiò a ridere e anche Ale la seguì: risero insieme di gusto, come quando erano ragazzini, per le sciocchezze trovate su Internet, per le partite alla Playstation, per le nuotate e i tuffi alla pozza del torrente al Rifugio degli Elfi, e le galoppate sfrenate in sella ai loro cavalli. Risero fino a rimanere ansanti, col respiro corto e gli occhi lucidi.  
Ale la strinse di nuovo tra le braccia e a quel punto le risate si spensero: la consapevolezza che quello era un addio, crollò loro addosso come un macigno. Fabrizia si impose di non lasciarsi andare a pianti disperati, non dopo che Alessandro era riuscito a far sì che l’ultima cosa condivisa, fossero state quelle risate incontrollabili e divertite. Quello era l’ultimo ricordo che voleva di lui: aver riso insieme ancora una volta.
In mezzo alla luce lattiginosa, altre figure, vestite come loro, comparvero un po’ alla volta ai margini del campo visivo di Briz, e con volti radiosi e sereni, salutandosi e parlando fra loro, si incamminarono verso l’ingresso del Tunnel, che era diventato improvvisamente più vivido e luminoso. Anche Alessandro percepì che era ora di incamminarsi: il suo tempo era scaduto.
– Devo andare, Fabrizia: devo continuare la mia strada e, come vedi, non sarò solo, lungo il cammino – sussurrò il ragazzo, sciogliendosi dal suo abbraccio ma tenendola ancora per mano.
A lei non restò che annuire, facendo un passo indietro. A dispetto della promessa fatta a sé stessa, un altro paio di lacrime le sfuggirono mentre, con lentezza, camminando all’indietro, si allontanava da lui e le loro mani, scivolando una sull’altra, si separavano definitivamente. Caparbiamente, Briz continuò a sorridere: voleva che fosse quella l’ultima espressione di lei che Alessandro si sarebbe portato via, ovunque fosse il misterioso luogo che lo attendeva.
Suo fratello si allontanava lentamente, camminando all'indietro, ma anche lui le sorrideva, probabilmente per lo stesso motivo.
– Ale! – lo chiamò un'ultima volta, facendo due passi verso di lui.
– Dimmi, piccola.
– Quando vedrai mamma e papà… di' loro che gli voglio bene.
– Loro lo sanno già, ma lo farò. E tu, quando vedrai Jessie, dille che l'ho amata moltissimo, anche se eravamo solo ragazzini; e che le auguro una vita lunga e serena. Sono contento di affidare le mie donne a due persone in gamba come i ragazzi Richardson.
Il sorriso sulle labbra di Briz si allargò, mentre si sforzava di ritrovare una vena ironica.
– E se il mio Richardson non mi vuole, dove vengo a cercarti per reclamare? L'hai pensata bene, eh, furbacchione?
Ale rise di nuovo, felice di portare con sé il ricordo dell’ironia della sorella.
Poi la voce di Briz si spezzò di nuovo.
– Grazie, per essermi stato accanto in questo casino.
– Dovere. E Amore di fratello gemello, naturalmente. Vivi e ama anche per me, Folletta, e fallo più intensamente che puoi – rispose Ale, prima che i contorni della sua figura cominciassero a sfocarsi.
Briz ebbe la netta sensazione che lui le dicesse ancora qualcosa, ma fu solo come un’eco lontana e indistinta.
La sagoma luminosa di Alessandro si scompose in innumerevoli luci, come quelle di tutte le altre, fino a diventare come tante stelle che danzavano insieme, per poi fondersi definitivamente con il riverbero azzurro che proveniva dal Tunnel.
La ragazza si ritrovò per qualche istante completamente sola, spaesata…
“E adesso?” stava per chiedersi.
Non ebbe il tempo per provare sgomento, né paura: tutto a un tratto, fu come se qualcuno l’avesse afferrata da dietro e si sentì trascinare via. L’oscurità tornò ad avvolgerla, il battito sordo e profondo di un cuore pulsante tornò a rimbombarle nelle orecchie.
Tu-tum… Tu-tum… Tu-tum…
 
***
 
Un fremito riscosse il corpo di Fabrizia, e dalle labbra screpolate le sfuggì un ansito, quando l'aria le riempì i polmoni.
Insieme alla coscienza ritornò anche la sensibilità fisica: sentiva dolore dappertutto, anche se non le sembrava di avere qualcosa di rotto.
– Bri… Bri, svegliati, ti prego!
Non era più Alessandro, che le parlava… era Pete!
Le sarebbe venuto da ridere, se non che, si rese conto che le sarebbe costata una fatica improba; ma era già la terza volta, quel pomeriggio, che la voce del Capitano Richardson la riportava nella realtà. Le faceva male la testa e non riuscì nemmeno a rispondere subito, si rese solo conto di essere a pancia in giù, dentro all'armatura e, con uno sforzo che le costò un paio di gemiti soffocati, riuscì a sollevare appena la testa.
Pete, dopo il suo ultimo disperato richiamo, aveva chinato la testa, ormai rassegnato ad aver perso la sua fanciullina.
– Pete, si è mossa! È viva! – gridò Jamilah, al colmo della gioia, mentre la voce metallica del bio-scanner, rimasto collegato a Balthazar in quegli ultimi concitati e disperati momenti, si faceva nuovamente sentire.
“Comandante Fabrizia Cuordileone. Rilevamento dei parametri vitali. Funzioni cerebrali e neurologiche: nella norma. Funzioni cardiovascolari: nella norma. Funzioni respiratorie: nella norma”.
– Sì, l'ho vista anch'io! – esclamò Midori quasi all’unisono, ancora collegata, insieme a Sanshiro, sia con il Drago che con Balthazar, dal mezzo di soccorso.
Pete risollevò di scatto la testa, in tempo per vedere Briz che si agitava.
– Ma porc… ahia, boia di una miseriaccia ladrona… che male! – imprecò Fabrizia, rotolando su sé stessa e finendo supina, tentando inutilmente di rimettersi in piedi; cosa che, si rese conto, non sarebbe mai riuscita a fare, senza rialzare prima il robot.
Il Capitano Richardson e i suoi compagni non riuscivano a credere a ciò che vedevano: poco prima Briz era morta, almeno secondo il bio-scanner. E ora, sempre secondo il sofisticato macchinario, era non solo viva, ma nel pieno di ogni sua facoltà, sia fisica che mentale.
– Briz, come stai? Stai bene? Dicci come ti senti!
Le voci dei componenti dell’equipaggio si sovrapponevano l’una all’altra, tranne quella di Pete, che non riusciva ancora a credere a ciò che vedeva e sentiva: sembrava paralizzato.
– Cacchio… ma urlate piano! Sono completamente suonata – brontolò Briz, facendo scoppiare tutti a ridere.
– Beh, niente di nuovo allora, fanciullina pazzoide – esclamò finalmente Pete.
– No, niente di nuovo! – concordò lei divertita, nonostante fosse ancora distesa di traverso.
– Accidenti, mi hai fatto prendere un colpo! Credevo di averti perduta… – gli scappò detto – Sì, insomma, tutti lo credevamo – si corresse poi, tornando ad indossare la solita maschera di riservatezza.
A Briz sfuggì un sorrisetto ironico: appena possibile aveva intenzione di fare i conti, con lui e con la sua maledetta reticenza a lasciarsi andare!
Realizzò finalmente che per raddrizzare Balthazar le sarebbe bastato il pensiero, visto che era ancora connessa: si concentrò e lentamente, fra ondeggiamenti e stridii di metallo, il grande leone rotolò e si riassestò sulle quattro zampe mentre lei, nell'abitacolo, faceva lo stesso seguendo il suo movimento e aggrappandosi ai comandi.
Ai suoi piedi si allargava la chiazza scura di cenere, su cui campeggiavano i resti metallici, anneriti e consunti, di ciò che era stato Darius il Grande. Finalmente quell'ultima consapevolezza prese possesso della sua mente: era finita, questa volta sul serio.
L'incontro avuto con Ale, le si affacciò alla mente: le sembrava fosse durato parecchio, ma qui, nella realtà, non parevano passati più di un paio di minuti… Era stato vero, o solo un sogno delirante?
Decise che, in fondo, non avesse nessuna importanza, ma capì anche che Alessandro, davvero non c'era più. Non lì con lei, per lo meno; non sulla Terra.
E a quel punto, Briz urlò; e lo fece da sola, stavolta.
Aveva sperato ancora, per un attimo, con quel richiamo disperato, di riportare a sé Alessandro. In quel grido risuonò tutta la tristezza che provava per la sua mancanza, che sentiva in modo quasi tangibile;
ma Balthazar, di nuovo trasformò quell'urlo in un potente ruggito che non fu più di disperazione, ma vittorioso e trionfante.
A bordo del Drago, di Bazzora, Nessak e Skylar, e nell'ambulanza, tutti tirarono sospiri di sollievo, che si trasformarono anch'essi in strilli di gioia ed esultanza, nel rivederla in piedi.
La ragazza sollevò la celata del casco e fece accucciare il maestoso felino. In piedi, anche se barcollante, ai comandi del suo robot, si portò una mano alla fronte dolente, ma si lasciò andare a un altro sorriso, lasciando che la sua natura scanzonata riprendesse il sopravvento.
– Richardson, sto per disconnettermi e scendere a terra: non mi dispiacerebbe trovarti ad attendermi.
Pete si passò il dorso di una mano su una guancia, sulla quale era rotolata un’ultima lacrima involontaria, lasciandosi poi andare a una risata liberatoria, subito seguito da tutti gli altri.
Briz era davvero tornata!
– Tranquilla, bestiola selvatica, sto arrivando!
 

> Continua…


Nota:
Da dove io abbia copiato il titolo di questo capitolo è piuttosto palese, ma è anche doveroso citarlo comunque: dal film del 1990 "Ghost", di Jerry Zucker, con Patrick Swayze, Demi Moore e Whoopi Goldberg.
 
  
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