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Autore: Just a riddle    03/08/2017    1 recensioni
Era trascorsa quasi una settimana dall’attacco ad Hogwarts ma, a quanto sembrava, erano più interessati a spettegolare sul passato di Silente o a fare ipotesi sul futuro della scuola piuttosto che domandarsi come mai il Ministero non avesse fatto nulla per impedire quell’attacco. Spense la radio e si chiese perché si sintonizzasse ancora su quella frequenza, perché comprasse ancora quei giornali. Erano passati anni dall’ultima volta che aveva sentito il suo nome e, forse, visti gli ultimi eventi, era meglio cosí.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Lyall Lupin, Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Ted Tonks | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da V libro alternativo
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 < Nessuna notizia certa sul destino di Hogwarts,>

“John.” Chiamò la donna dall’altra stanza “Potresti andare al supermercato a prendere un altro mazzo di carote?”

“Vado subito” rispose alzandosi dalla poltrona “Ti serve altro?”

“No. Solo le carote.” Rispose affacciandosi dal corridoio. “Ricordati che saranno qui tra un paio di ore.” Aggiunse vedendo i giornali aperti sul tavolino.

“Metto tutto in ordine appena torno” le assicurò.

Era trascorsa quasi una settimana dall’attacco ad Hogwarts ma, a quanto sembrava, erano più interessati a spettegolare sul passato di Silente o a fare ipotesi sul futuro della scuola piuttosto che domandarsi come mai il Ministero non avesse fatto nulla per impedire quell’attacco. Spense la radio e si chiese perché si sintonizzasse ancora su quella frequenza, perché comprasse ancora quei giornali. Erano passati anni dall’ultima volta che aveva sentito il suo nome e, forse, visti gli ultimi eventi, era meglio cosí.

~~~~~~~~~~~~~~

“Avete già pensato a una data?”

“Una data per cosa?” domandò Bill lasciando cadere una manciata di piselli nel contenitore di plastica.

“Per le nozze.” Rispose la madre come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “Non avete parlato di altro per mesi. Di quanto vi piacerebbe sposarvi in estate. Beh,” Continuò poggiando una pentola piena di acqua sui fornelli “questa estate non durerà per sempre.” Accese il fuoco “Ci vuole tempo per organizzare un matrimonio. Tanto a cui pensare, inviti da sped… “ si interruppe improvvisamente nel sentire le braccia stringerla e, prima ancora di rendersene conto, si ritrovò ad abbracciare quella ragazza che per tanto tempo si era ostinata a non voler accettare.

Se qualcuno le avesse detto che un giorno avrebbe visto Molly abbracciare Fleur, se le avessero detto che sarebbe stata felice al pensiero che Bill si sarebbe sposato con quella ragazza francese, sicuramente avrebbe riso e pensato la stessero prendendo in giro. Invece era felice, felice come non si sentiva da tempo. Nell’ultimo anno c’erano state poche ragioni per essere allegri e, dopo quello che era successo nemmeno una settimana prima, dopo ciò che gli era capitato, pensò, nessuno meritava un po’ di felicità se non lui.

“Ehi!” esclamò Charlie entrando dal cortile e vedendo sua madre tenere ancora stretta Fleur “Che sta succedendo?”

 Per un momento, assistendo a quella scena, si sentì di troppo. Molly ed Arthur erano stati gentili ad offrirgli un letto in casa loro. Aveva provato a rifiutare quell’invito. Loro avevano già abbastanza problemi, non avevano certo bisogno che lui vi aggiungesse anche i suoi ma, dopo una doccia e un pasto caldo, si era ritrovato ad ammettere che era felice loro avessero insistito. Tuttavia non avrebbe mai immaginato che anche lei si fosse trasferita alla Tana, aggiunse tra sé e sé osservando la ragazza seduta in disparte ingoiare l’ultimo boccone di pasticcio di pesce. Si avvicinò, leggermente titubante.

“Posso?”

 “Fa come vuoi.”

 Esitò un istante, quindi allontanò la sedia dal tavolo e si sedette al suo fianco. “Nin…Tonks,” disse rendendosi improvvisamente conto di quanto fosse difficile pronunciare quel nome se lei si comportava come se lui nemmeno esistesse. “dobbiamo parlare.”

“Non ho nulla da dirti.” ribatté freddamente la ragazza.

“Io…” si corresse cambiando posizione sulla sedia, un po’ a disagio. Era bastato che si avvicinasse perché il sorriso le scomparisse dalle labbra, si accorse con amarezza “ho bisogno di parlarti.”

Tutto ciò che lei gli aveva chiesto era parlare e lui era fuggito. “Qualsiasi cosa tu debba dire,” rispose posando nel piatto il pezzo di pane “non mi interessa.”

“Ti prego lascia ch…” insistette poggiando la mano sulla sua e trattenendola nel vederla alzarsi.

Aveva perso il conto delle volte in cui aveva sognato la sua mano prenderle la propria, in cui aveva immaginato la sensazione del suo tocco. In quel momento, nell’avvertire la sua presa, fu come se qualcuno l’avesse colpita. Il cuore le batteva così forte che credeva sarebbe esploso. Aveva la sensazione di sentire la propria voce urlarle nelle orecchie assordandola. Riuscire a mantenere il controllo di sé richiese più forza di volontà di quanto non immaginasse. “Buona giornata, Lupin.” Gli disse mentre liberava la mano. Si ripulì le dita dalla marmellata e prima che lui potesse dire o fare qualcosa si avvicinò a Charlie.

 Forse aveva ragione, si disse il licantropo osservando Tonks ridere alla battuta dell’amico, forse quello che aveva da dire non le interessava più. Alla fine, forse, aveva capito cosa era meglio per lei. E lui di sicuro non lo era.

“Che intenzioni hai?”

“Eh?”

“Sai che io ed Arthur siamo felici che tu abbia deciso di rimanere con noi,” rispose Molly prendendo il piatto e la tazza dal tavolo “ma se la …”

Era certo che c’era stato un momento, non troppo lontano, nel quale Molly avrebbe preferito vedere Tonks interessarsi a uno dei suoi figli piuttosto che a lui, ma aveva visto gli sguardi che si erano scambiate in passato, sapeva che l’aveva incoraggiata a non arrendersi di fronte ai suoi rifiuti.  “Non ha importanza.” La interruppe Lupin “Non vuole parlare con me. Non vuole ascoltarmi.” Abbassò lo sguardo sulla propria mano “E, dopotutto, perché dovrebbe?” spostò nuovamente lo sguardo sui ragazzi in piedi vicino alla porta. Scherzavano e ridevano eppure, osservando la ragazza che gli rivolgeva le spalle, riusciva a percepire la sua tensione. “Sarebbe stato meglio se non ci fossimo mai incontrati.”

 

 “Sei sicuro che sia una buona idea?” domandò quasi in un sussurro mentre Fred e Charlie puntavano le bacchette contro i grandi cerchi di legno facendoli lievitare a una decina di metri di altezza dal suolo “Possiamo sederci a guardare, puoi fare da arbitro…”

“Sto bene.” Le assicurò Bill con un sorriso prendendole il volto tra le mani e sfiorando col dito la sottile ruga di preoccupazione che le segnava la fronte “Non mi sono mai sentito meglio.” Ripeté baciandola prima di avvicinarsi al centro del campo e prendere il manico di scopa che la sorella gli porgeva.

Erano passati solo cinque giorni da quando era tornato e da allora era quasi sempre rimasto dentro casa. Stava bene, così aveva detto madama Chips, così continuava a ripetere lui e, probabilmente, era vero. Fisicamente stava bene ma, per quanto lui si sforzasse di comportarsi come se nulla fosse accaduto, Fleur non riusciva a togliersi dalla mente la sensazione che quelle cicatrici lo impensierissero. Forse una partita a Quidditch era ciò che gli ci voleva per distrarsi, si disse prendendo il suo posto alla destra di George.

Scartò sulla destra evitando di un paio di centimetri la palla che Bill aveva incantato in modo da simulare un bolide. Il villaggio babbano più vicino si trovava nella valle al di là della collina; nessuno li avrebbe notati. Il vento fresco del pomeriggio scuoteva appena i rami degli alberi, le appiattiva i capelli sulla fronte solleticandole le guance mentre accelerava cercando di distanziare Ginny. Era stata una giornata pesante al Ministero. Accelerò ancora puntando verso l’alto, quindi, improvvisamente, girò su sé stessa e passò la palla a Charlie. Aveva la sensazione che la sua testa fosse così affollata da essere troppo pesante per il collo. Aveva bisogno di giocare, si disse marcando Fleur che cercava di distanziarla, bisogno di non pensare. Prese la palla che Ron, parato il tiro, aveva rinviato e la passò a Fred. Riuscire a evitare i giornalisti nell’atrio, lo strano discorso di Scrimgeour… e Remus. Afferrò al volo la palla che le passava Bill e puntò all’anello di legno sospeso a mezz’aria. Chi credeva di essere per poter entrare ed uscire dalla sua vita ogni volta che voleva. Scese in picchiata dribblando George. Chi credeva di essere per chiederle di ascoltarlo quando, ogni volta che lei aveva provato a parlargli, lui si era rifiutato. Si appiattì il più possibile sul manico della scopa, la palla stretta a sé, accelerando. Chi credeva di essere per permettersi di chiamarla con quel nome che tanto odiava. Deviò improvvisamente a sinistra, passò la palla nell’altra mano e la lanciò con tutta la sua forza contro l’angolo in alto della porta spiazzando Bill. 

Un paio di ciocche di capelli gli erano sfuggite dall’elastico mentre faceva la capriola all’indietro, si rese conto osservando l’amico riportarsi i capelli dietro le orecchie e sistemarsi la corta coda alla base della nuca. La luce del tramonto li faceva sembrare ancora più rossi, faceva sembrare i segni sul suo volto ancora più evide…

“Attenta!” esclamò Fred volando verso di lei nel vano tentativo di raggiungerla più velocemente della palla che puntava verso di lei.

Si riscosse improvvisamente sentendosi chiamare, completamente ignara del fatto che avessero ripreso a giocare. Scattò lateralmente in picchiata cercando di evitare il finto bolide, ma era troppo tardi. La palla colpì la coda della scopa facendole perdere il controllo e facendola sbattere contro i rami di un albero.

 

“Credi veramente che otterremo qualcosa continuando a tenere sotto controllo Malfoy?” domandò ripensando all’ ultimo incontro dell’Ordine.

“Sono sicura che sappiano li spiamo.” Rispose Molly accettando la tazza che le porgeva “Ma per il momento è l’unica cosa che possiamo fare. Minerva pensa che…” Si interruppe accigliandosi improvvisamente “Come se non avessi già abbastanza di cui preoccuparmi!” esclamò poggiando la tazza e uscendo in cortile. “Quante volte devo ripetervi di non giocare a Quidditch nella radura!”

“Ma mamma!” protestarono Fred e George “Ci stavamo solo divertend…”

“Ginny!” chiamò portandosi le mani ai fianchi “Credevo che almeno tu avessi un po’ di buon senso. E tu” continuò rivolgendosi ai più grande dei suoi figli “sei appena uscito dall’Infermeria. Credi veramente sia il caso di piroettare a mezz’aria su una scopa?”

“Era solo una partita a Quidditch non stavamo piroett…” provò a intromettersi Ron prima che la madre lo zittisse con un’occhiataccia.

“E se un babbano vi vedesse? Se una di quelle maledette palle raggiungesse il villaggio prima che possiate fermarla?” Riprese la donna portandosi le mani ai fianchi “L’ultima cosa che ci serve in questo momento è che il Ministero si interessi a quello che succede qui. Che il Ministero metta nuovamente sotto provvedimento disciplinare vostro padre e…” le sue sopracciglia si incurvarono ancora di più quando vide Tonks sporca di terriccio “L’ultima cosa che ci serve è che qualcuno di voi si rompa l’osso del collo a causa di uno stupido gioco!”

“È solo un graffio, nulla di serio.” Provò a spiegare la giovane Auror

“Non importa!” la zittì sentendo le preoccupazioni che l’avevano assillata negli ultimi mesi prendere il sopravvento al pensiero di quanto potessero rischiare a causa di uno sport. “Nessuno di voi prenderà più in mano una scopa se non saremo io o vostro padre a dirvelo!” ordinò brusca dimenticando che non erano tutti figli suoi.

“Ma mam…” provò a protestare Fred.

“Nessuno di voi staccherà i piedi da terra senza il mio permesso.” Lo interruppe Molly “E non costringetemi a dirlo a vostro padre.” Li minacciò sfidandoli a ribattere. Quindi si fermò sulla soglia della porta e, prima di rientrare in cucina, aggiunse con tono più pacato rivolgendosi a Tonks “Metti la maglietta nella cesta del bucato e proverò a sistemare la manica.”

 

Le assi di legno scricchiolarono quando raggiunse il pianerottolo della soffitta. Chiuse la finestra, accese la luce e si inginocchiò davanti al baule di legno ai piedi del letto. Avrebbe avuto spazio più che sufficiente nei cassetti e nell’armadio per le sue cose, ma qualcosa lo tratteneva dallo svuotare i bagagli. Il modo in cui lei lo guardava. Mise da parte un libro dalla copertina consunta e continuò a cercare. Se solo lei gli avesse detto di andarsene lo avrebbe fatto. Forse sarebbe tornato a Grimmauld Place, forse alla Stamberga Strillante. Un posto valeva l’altro, si disse mentre sfiorava con la punta delle dita la superfice liscia della scatoletta di metallo che cercava.

 

Molly aveva ragione, rischiare di rompersi un osso giocando a Quidditch era stupido e se non ci fossero stati i rami ad attutire la sua caduta non se la sarebbe cavata con una spalla dolorante, pensò osservando il proprio riflesso allo specchio. Aveva commesso un errore da principianti, mai distrarsi quando si è in sella a una scopa… Uno strano luccichio attirò la sua attenzione. Si voltò incuriosita. Doveva averle portato una pomata per la spalla mentre lei era nella doccia, si disse prendendo in mano il barattolino metallico sul quale si rifletteva la luce della lampada. Svitò il tappo e intinse la punta delle dita in quella crema biancastra. Conosceva quell’odore, pensò sedendosi sul letto, lavanda e…inarcò leggermente il sopracciglio mentre cercava invano di attribuire a quell’altro aroma dolciastro che le sembrava tanto familiare.

 

Lo sbuffare del bollitore e l’aroma speziato dello stufato le diede il benvenuto non appena entrò in cucina.

“Stavo per venire da te.”  disse Molly mescolando il contenuto della pentola mentre sul tavolo alle sue spalle uno schiacciapatate riduceva in purè le patate bollite. Rimise il coperchio e ridusse la fiamma “Ti sei fatta molto male?” la guardò quasi a voler giudicare dal suo aspetto la gravità di quell’incidente. Assaggiò il purè, vi aggiunse un pizzico di sale e, prima che la ragazza potesse rispondere alla sua domanda, continuò “Sono sicura di avere qualcosa per la tua spalla. Fred e George ne comb…”

“Ma...” La interruppe Tonks “la pomata nella mia stanza…”

“Quale pomata?”

“Quella che ho trovato sul…” rispose mentre un pensiero iniziava a prendere forma nella sua testa.

“Tonks, cara,” disse la donna vedendole stringere i pugni mentre una strana espressione appariva sul suo volto “ti senti bene?”

“Sto bene.” Rispose uscendo dalla stanza senza darle il tempo di capire cosa stava succedendo, ormai certa di sapere quando aveva già sentito l’odore di quella crema.

 

“Pedone in D6.”

Poggiò il mento sul dorso della mano inclinando leggermente la testa mentre rifletteva sulla mossa migliore. “Torre in A…” Il rumore secco di qualcosa che batteva sulla dura superficie della scacchiera gli tolse le parole di bocca.

“Riprenditela.”

Osservò per un paio di secondi il barattolino di metallo, sorpreso e confuso quanto i suoi pedoni, fuggiti sul tavolo per evitare di essere abbattuti. “Dovrai usarla per un paio di giorni se vuoi che passi del t…”

“Non mi serve.” Lo interruppe spingendo il barattolino verso di lui.

Non erano solo i suoi capelli, grigi quanto i suoi occhi, o l’espressione seria e rigida del suo volto, lei era…non avrebbe saputo spiegarlo. “Volevo solo aiutarti.” Si giustificò senza averne veramente bisogno.

“Avresti lasciato che credessi fosse stata Molly a darmela.” Ribatté con voce atona ringraziando, per la prima volta, di avere perso i suoi poteri da Metamorphomagus.

Aveva sbagliato. Sbagliato a prendere tutte le decisioni da solo, partendo senza prima parlarne con lei, sbagliato a credere che lei potesse dimenticarlo, che lui potesse essere felice lontano da lei. Aveva sbagliato persino nel tentativo di aiutarla. “Non l’avresti mai usata se te l’avessi data io.”

“Per una volta,” rispose dopo un lungo istante di silenzio “hai ragione.”

La sedia strisciò contro il pavimento quando si alzò. Meritava quella ostilità, lo sapeva, ma, si disse, aveva il diritto di spiegare il perché delle sue scelte. Non si sarebbe più nascosto dietro gli ‘scusa, mi dispiace, non avrei voluto...’ perché tutto ciò che aveva fatto lo aveva fatto consapevolmente. Prima ancora di pensare a quello che faceva la raggiunse e la fermò.

 “Non voglio il tuo aiuto.”

“Non sto chiedendo il tuo permesso.” Ribatté il licantropo, stringendo la mano sulla sua e impedendole di restituirgli il barattolo.

Aveva desiderato che lui facesse qualcosa. Che facesse esattamente ciò che stava facendo, si sorprese a pensare. Eppure il fatto che lui stesse reagendo, la fece infuriare ancora di più. Per lui era solo la cugina di Sirius, la ragazzina che inciampava sui gradini, e lui era lì pronto a porgerle la mano e aiutarla a rialzarsi, a parare le sue cadute, come sempre. “Non voglio il tuo aiuto.” Ripeté, di nuovo padrona della sua voce.  Non voglio niente da te!” esclamò sentendo la preoccupazione, l’ansia e la rabbia che l’avevano oppressa nell’ultimo anno esplodere in lei, travolgendola.

“Tonks…” chiamò Charlie cercando di impedirle di dire qualcosa di cui si sarebbe pentita. Fin dai tempi di Hogwarts tutti si erano divertiti, almeno una volta, a stuzzicare Tonks, a provocarla solo per vedere i suoi capelli cambiare colore, ma poche erano le volte in cui l’avevano vista fuori di sé dalla rabbia come in quel momento. 

 Si scrollò di dosso la mano dell’amico con un gesto della spalla, quasi a voler scacciare un insetto fastidioso. “Preferirei essermi rotta il braccio piuttosto che accettare il tuo aiuto!”

Quelle parole, poco più che un sibilo, lo colpirono velenose alle orecchie; sferzanti come una frustata. Lui poteva anche spiegare, capì, ma lei, anche se fosse rimasta a sentire, non lo avrebbe ascoltato. “La verità…” ribatté mentre la determinazione lasciava spazio alla frustrazione “… è che non hai il coraggio di dirlo.”

C’era qualcosa nella sua voce che la fece rabbrividire, involontariamente, quasi il suo corpo avvertisse ciò che stava per accadere. Strattonò più forte cercando di liberarsi, ma lui non allentò la presa.

“Dillo.” La istigò avvicinandosi “Se la mia presenza ti dà fastidio...” Insistette “dimmi di andarmene.” Aveva la sensazione che la sua testa stesse per esplodere e allo stesso tempo non si era mai sentito tanto lucido. Non c’era nulla che temeva di più che sentirle pronunciare quelle parole e allo stesso tempo non desiderava nulla più che avere una risposta a quel quesito che lo tormentava. “Dimmi di andare via!” esclamò.

Per un lunghissimo istante tutto ciò che lo circondava scomparve, tutto gli sembrò irreale a eccezione del suono accelerato del proprio respiro e del bruciore sulla guancia. Era accaduto così velocemente che non si era nemmeno accorto fosse riuscita a liberarsi dalla sua presa, pensò vedendola uscire in cortile.

“Non credi di aver fatto abbastanza?” domandò Charlie bloccandogli la strada e impedendogli di seguirla.

“Si può sapere cosa ti è saltato in mente?” chiese quasi contemporaneamente Bill.

“Io...” mormorò confuso e sorpreso dal suo stesso comportamento “non lo so.”

  
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