< Nessuna notizia certa sul destino di
Hogwarts,>
“John.”
Chiamò la donna dall’altra stanza
“Potresti andare
al supermercato a prendere un altro mazzo di carote?”
“Vado subito”
rispose alzandosi dalla poltrona “Ti serve
altro?”
“No. Solo le
carote.” Rispose affacciandosi dal corridoio.
“Ricordati che saranno qui tra un paio di ore.”
Aggiunse vedendo i giornali
aperti sul tavolino.
“Metto tutto in ordine
appena torno” le assicurò.
Era trascorsa quasi una settimana
dall’attacco ad Hogwarts ma,
a quanto sembrava, erano più interessati a spettegolare sul
passato di Silente o
a fare ipotesi sul futuro della scuola piuttosto che domandarsi come
mai il
Ministero non avesse fatto nulla per impedire quell’attacco.
Spense la radio e si chiese perché si sintonizzasse
ancora su quella frequenza, perché
comprasse ancora quei giornali. Erano passati anni
dall’ultima volta che aveva
sentito il suo nome e, forse, visti gli ultimi eventi, era meglio
cosí.
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“Avete già
pensato a una data?”
“Una data per
cosa?” domandò Bill lasciando cadere una
manciata di piselli nel contenitore di plastica.
“Per le nozze.”
Rispose la madre come se fosse la cosa più
ovvia del mondo. “Non avete parlato di altro per mesi. Di
quanto vi piacerebbe
sposarvi in estate. Beh,” Continuò poggiando una
pentola piena di acqua sui
fornelli “questa estate non durerà per
sempre.” Accese il fuoco “Ci vuole tempo
per organizzare un matrimonio. Tanto a cui pensare, inviti da
sped… “ si
interruppe improvvisamente nel sentire le braccia stringerla e, prima
ancora di
rendersene conto, si ritrovò ad abbracciare quella ragazza
che per tanto tempo
si era ostinata a non voler accettare.
Se qualcuno le avesse detto che un
giorno avrebbe visto
Molly abbracciare Fleur, se le avessero detto che sarebbe stata felice
al
pensiero che Bill si sarebbe sposato con quella ragazza francese,
sicuramente
avrebbe riso e pensato la stessero prendendo in giro. Invece era
felice, felice
come non si sentiva da tempo. Nell’ultimo anno
c’erano state poche ragioni per
essere allegri e, dopo quello che era successo nemmeno una settimana
prima,
dopo ciò che gli era capitato, pensò, nessuno
meritava un po’ di felicità se non
lui.
“Ehi!”
esclamò Charlie entrando dal cortile e vedendo sua
madre tenere ancora stretta Fleur “Che sta
succedendo?”
Per
un momento, assistendo a quella scena, si sentì di
troppo. Molly ed Arthur erano stati gentili ad offrirgli un letto in
casa loro.
Aveva provato a rifiutare quell’invito. Loro avevano
già abbastanza problemi,
non avevano certo bisogno che lui vi aggiungesse anche i suoi ma, dopo
una
doccia e un pasto caldo, si era ritrovato ad ammettere che era felice
loro
avessero insistito. Tuttavia non avrebbe mai immaginato che anche lei
si fosse
trasferita alla Tana, aggiunse tra sé e sé
osservando la ragazza seduta in
disparte ingoiare l’ultimo boccone di pasticcio di pesce. Si
avvicinò,
leggermente titubante.
“Posso?”
“Fa
come vuoi.”
Esitò
un istante,
quindi allontanò la sedia dal tavolo e si sedette
al suo fianco. “Nin…Tonks,”
disse rendendosi improvvisamente conto di quanto fosse difficile
pronunciare
quel nome se lei si comportava come se lui nemmeno esistesse.
“dobbiamo
parlare.”
“Non ho nulla da
dirti.” ribatté freddamente la ragazza.
“Io…”
si corresse cambiando posizione sulla sedia, un po’ a
disagio. Era bastato che si avvicinasse perché il sorriso le
scomparisse dalle
labbra, si accorse con amarezza “ho bisogno di
parlarti.”
Tutto ciò che lei gli
aveva chiesto era parlare e lui era
fuggito. “Qualsiasi cosa tu debba dire,” rispose
posando nel piatto il pezzo di
pane “non mi interessa.”
“Ti prego lascia
ch…” insistette poggiando la mano sulla sua
e trattenendola nel vederla alzarsi.
Aveva perso il conto delle volte in
cui aveva sognato la sua
mano prenderle la propria, in cui aveva immaginato la sensazione del
suo tocco.
In quel momento, nell’avvertire la sua presa, fu come se
qualcuno l’avesse
colpita. Il cuore le batteva così forte che credeva sarebbe
esploso. Aveva la
sensazione di sentire la propria voce urlarle nelle orecchie
assordandola.
Riuscire a mantenere il controllo di sé richiese
più forza di volontà di quanto
non immaginasse. “Buona giornata, Lupin.” Gli disse
mentre liberava la mano. Si
ripulì le dita dalla marmellata e prima che lui potesse dire
o fare qualcosa si
avvicinò a Charlie.
Forse
aveva ragione,
si disse il licantropo osservando Tonks ridere alla battuta
dell’amico, forse
quello che aveva da dire non le interessava più. Alla fine,
forse, aveva capito
cosa era meglio per lei. E lui di sicuro non lo era.
“Che intenzioni
hai?”
“Eh?”
“Sai che io ed Arthur siamo
felici che tu abbia deciso di
rimanere con noi,” rispose Molly prendendo il piatto e la
tazza dal tavolo “ma
se la …”
Era certo che c’era stato
un momento, non troppo lontano,
nel quale Molly avrebbe preferito vedere Tonks interessarsi a uno dei
suoi
figli piuttosto che a lui, ma aveva visto gli sguardi che si erano
scambiate in
passato, sapeva che l’aveva incoraggiata a non arrendersi di
fronte ai suoi
rifiuti. “Non
ha importanza.” La
interruppe Lupin “Non vuole parlare con me. Non vuole
ascoltarmi.” Abbassò lo
sguardo sulla propria mano “E, dopotutto, perché
dovrebbe?” spostò nuovamente
lo sguardo sui ragazzi in piedi vicino alla porta. Scherzavano e
ridevano
eppure, osservando la ragazza che gli rivolgeva le spalle, riusciva a
percepire
la sua tensione. “Sarebbe stato meglio se non ci fossimo mai
incontrati.”
“Sei
sicuro che sia
una buona idea?” domandò quasi in un sussurro
mentre Fred e Charlie puntavano
le bacchette contro i grandi cerchi di legno facendoli lievitare a una
decina di
metri di altezza dal suolo “Possiamo sederci a guardare, puoi
fare da arbitro…”
“Sto bene.” Le
assicurò Bill con un sorriso prendendole il
volto tra le mani e sfiorando col dito la sottile ruga di
preoccupazione che le
segnava la fronte “Non mi sono mai sentito meglio.”
Ripeté baciandola prima di
avvicinarsi al centro del campo e prendere il manico di scopa che la
sorella
gli porgeva.
Erano passati solo cinque giorni da
quando era tornato e da
allora era quasi sempre rimasto dentro casa. Stava bene,
così aveva detto
madama Chips, così continuava a ripetere lui e,
probabilmente, era vero.
Fisicamente stava bene ma, per quanto lui si sforzasse di comportarsi
come se
nulla fosse accaduto, Fleur non riusciva a togliersi dalla mente la
sensazione
che quelle cicatrici lo impensierissero. Forse una partita a Quidditch
era ciò
che gli ci voleva per distrarsi, si disse prendendo il suo posto alla
destra di
George.
Scartò sulla destra
evitando di un paio di centimetri la
palla che Bill aveva incantato in modo da simulare un bolide. Il
villaggio
babbano più vicino si trovava nella valle al di
là della collina; nessuno li
avrebbe notati. Il vento fresco del pomeriggio scuoteva appena i rami
degli
alberi, le appiattiva i capelli sulla fronte solleticandole le guance
mentre
accelerava cercando di distanziare Ginny. Era stata una giornata
pesante al
Ministero. Accelerò ancora puntando verso l’alto,
quindi, improvvisamente, girò
su sé stessa e passò la palla a Charlie. Aveva la
sensazione che la sua testa
fosse così affollata da essere troppo pesante per il collo.
Aveva bisogno di
giocare, si disse marcando Fleur che cercava di distanziarla, bisogno
di non pensare.
Prese la palla che Ron, parato il tiro, aveva rinviato e la
passò a Fred. Riuscire
a evitare i giornalisti nell’atrio, lo strano discorso di
Scrimgeour… e Remus. Afferrò
al volo la palla che le passava Bill e puntò
all’anello di legno sospeso a mezz’aria.
Chi credeva di essere per poter entrare ed uscire dalla sua vita ogni
volta che
voleva. Scese in picchiata dribblando George. Chi credeva di essere per
chiederle di ascoltarlo quando, ogni volta che lei aveva provato a
parlargli,
lui si era rifiutato. Si appiattì il più
possibile sul manico della scopa, la
palla stretta a sé, accelerando. Chi credeva di essere per
permettersi di
chiamarla con quel nome che tanto odiava. Deviò
improvvisamente a sinistra,
passò la palla nell’altra mano e la
lanciò con tutta la sua forza contro
l’angolo in alto della porta spiazzando Bill.
Un paio di ciocche di capelli gli
erano sfuggite
dall’elastico mentre faceva la capriola
all’indietro, si rese conto osservando
l’amico riportarsi i capelli dietro le orecchie e sistemarsi
la corta coda alla
base della nuca. La luce del tramonto li faceva sembrare ancora
più rossi,
faceva sembrare i segni sul suo volto ancora più
evide…
“Attenta!”
esclamò Fred volando verso di lei nel vano
tentativo di raggiungerla più velocemente della palla che
puntava verso di lei.
Si riscosse improvvisamente
sentendosi chiamare,
completamente ignara del fatto che avessero ripreso a giocare.
Scattò
lateralmente in picchiata cercando di evitare il finto bolide, ma era
troppo
tardi. La palla colpì la coda della scopa facendole perdere
il controllo e
facendola sbattere contro i rami di un albero.
“Credi veramente che
otterremo qualcosa continuando a tenere
sotto controllo Malfoy?” domandò ripensando
all’ ultimo incontro dell’Ordine.
“Sono sicura che sappiano
li spiamo.” Rispose Molly
accettando la tazza che le porgeva “Ma per il momento
è l’unica cosa che
possiamo fare. Minerva pensa che…” Si interruppe
accigliandosi improvvisamente
“Come se non avessi già abbastanza di cui
preoccuparmi!” esclamò poggiando la
tazza e uscendo in cortile. “Quante volte devo ripetervi di
non giocare a
Quidditch nella radura!”
“Ma mamma!”
protestarono Fred e George “Ci stavamo solo
divertend…”
“Ginny!”
chiamò portandosi le mani ai fianchi “Credevo che
almeno tu avessi un po’ di buon senso. E tu”
continuò rivolgendosi ai più
grande dei suoi figli “sei appena uscito
dall’Infermeria. Credi veramente sia
il caso di piroettare a mezz’aria su una scopa?”
“Era solo una partita a
Quidditch non stavamo piroett…” provò
a intromettersi Ron prima che la madre lo zittisse con
un’occhiataccia.
“E se un babbano vi
vedesse? Se una di quelle maledette
palle raggiungesse il villaggio prima che possiate fermarla?”
Riprese la donna
portandosi le mani ai fianchi “L’ultima cosa che ci
serve in questo momento è
che il Ministero si interessi a quello che succede qui. Che il
Ministero metta
nuovamente sotto provvedimento disciplinare vostro padre
e…” le sue
sopracciglia si incurvarono ancora di più quando vide Tonks
sporca di terriccio
“L’ultima cosa che ci serve è che
qualcuno di voi si rompa l’osso del collo a
causa di uno stupido gioco!”
“È
solo un graffio, nulla di
serio.” Provò a spiegare la giovane Auror
“Non importa!” la
zittì sentendo le preoccupazioni che
l’avevano assillata negli ultimi mesi prendere il sopravvento
al pensiero di
quanto potessero rischiare a causa di uno sport. “Nessuno di
voi prenderà più
in mano una scopa se non saremo io o vostro padre a dirvelo!”
ordinò brusca
dimenticando che non erano tutti figli suoi.
“Ma
mam…” provò a protestare Fred.
“Nessuno di voi
staccherà i piedi da terra senza il mio
permesso.” Lo interruppe Molly “E non costringetemi
a dirlo a vostro padre.” Li
minacciò sfidandoli a ribattere. Quindi si fermò
sulla soglia della porta e,
prima di rientrare in cucina, aggiunse con tono più pacato
rivolgendosi a Tonks
“Metti la maglietta nella cesta del bucato e
proverò a sistemare la manica.”
Le assi di legno scricchiolarono
quando
raggiunse il pianerottolo della soffitta. Chiuse la finestra, accese la
luce e
si inginocchiò davanti al baule di legno ai piedi del letto.
Avrebbe avuto
spazio più che sufficiente nei cassetti e
nell’armadio per le sue cose, ma
qualcosa lo tratteneva dallo svuotare i bagagli. Il modo in cui lei lo
guardava. Mise da parte un libro dalla copertina consunta e
continuò a cercare.
Se solo lei gli avesse detto di andarsene lo avrebbe fatto. Forse
sarebbe
tornato a Grimmauld Place, forse alla Stamberga Strillante. Un posto
valeva
l’altro, si disse mentre sfiorava con la punta delle dita la
superfice liscia
della scatoletta di metallo che cercava.
Molly aveva ragione, rischiare di
rompersi un osso giocando
a Quidditch era stupido e se non ci fossero stati i rami ad attutire la
sua
caduta non se la sarebbe cavata con una spalla dolorante,
pensò osservando il
proprio riflesso allo specchio. Aveva commesso un errore da
principianti, mai
distrarsi quando si è in sella a una scopa… Uno
strano luccichio attirò la sua
attenzione. Si voltò incuriosita. Doveva averle portato una
pomata per la
spalla mentre lei era nella doccia, si disse prendendo in mano il
barattolino
metallico sul quale si rifletteva la luce della lampada.
Svitò il tappo e
intinse la punta delle dita in quella crema biancastra. Conosceva
quell’odore, pensò
sedendosi sul letto, lavanda e…inarcò leggermente
il sopracciglio mentre
cercava invano di attribuire a quell’altro aroma dolciastro
che le sembrava
tanto familiare.
Lo sbuffare del bollitore e
l’aroma speziato dello stufato
le diede il benvenuto non appena entrò in cucina.
“Stavo per venire da
te.” disse
Molly mescolando il contenuto della
pentola mentre sul tavolo alle sue spalle uno schiacciapatate riduceva
in purè
le patate bollite. Rimise il coperchio e ridusse la fiamma
“Ti sei fatta molto
male?” la guardò quasi a voler giudicare dal suo
aspetto la gravità di
quell’incidente. Assaggiò il purè, vi
aggiunse un pizzico di sale e, prima che
la ragazza potesse rispondere alla sua domanda, continuò
“Sono sicura di avere
qualcosa per la tua spalla. Fred e George ne comb…”
“Ma...” La
interruppe Tonks “la pomata nella mia
stanza…”
“Quale pomata?”
“Quella che ho trovato
sul…” rispose mentre un pensiero
iniziava a prendere forma nella sua testa.
“Tonks, cara,”
disse la donna vedendole stringere i pugni
mentre una strana espressione appariva sul suo volto “ti
senti bene?”
“Sto bene.”
Rispose uscendo dalla stanza senza darle il
tempo di capire cosa stava succedendo, ormai certa di sapere quando
aveva già sentito
l’odore di quella crema.
“Pedone in D6.”
Poggiò il mento sul dorso
della mano inclinando leggermente
la testa mentre rifletteva sulla mossa migliore. “Torre in
A…” Il rumore secco
di qualcosa che batteva sulla dura superficie della scacchiera gli
tolse le
parole di bocca.
“Riprenditela.”
Osservò per un paio di
secondi il barattolino di metallo,
sorpreso e confuso quanto i suoi pedoni, fuggiti sul tavolo per evitare
di
essere abbattuti. “Dovrai usarla per un paio di giorni se
vuoi che passi del
t…”
“Non mi serve.”
Lo interruppe spingendo il barattolino verso
di lui.
Non erano solo i suoi capelli, grigi
quanto i suoi occhi, o
l’espressione seria e rigida del suo volto, lei
era…non avrebbe saputo
spiegarlo. “Volevo solo aiutarti.” Si
giustificò senza averne veramente
bisogno.
“Avresti lasciato che
credessi fosse stata Molly a darmela.”
Ribatté con voce atona ringraziando, per la prima volta, di
avere perso i suoi
poteri da Metamorphomagus.
Aveva sbagliato. Sbagliato a prendere
tutte le decisioni da
solo, partendo senza prima parlarne con lei, sbagliato a credere che
lei
potesse dimenticarlo, che lui potesse essere felice lontano da lei.
Aveva
sbagliato persino nel tentativo di aiutarla. “Non
l’avresti mai usata se te
l’avessi data io.”
“Per una volta,”
rispose dopo un lungo istante di silenzio
“hai ragione.”
La sedia strisciò contro
il pavimento quando si alzò. Meritava
quella ostilità, lo sapeva, ma, si disse, aveva il diritto
di spiegare il
perché delle sue scelte. Non si sarebbe più
nascosto dietro gli ‘scusa, mi
dispiace, non avrei voluto...’ perché tutto
ciò che aveva fatto lo aveva fatto consapevolmente.
Prima ancora di pensare a quello che faceva la raggiunse e la
fermò.
“Non
voglio il tuo
aiuto.”
“Non sto chiedendo il tuo
permesso.” Ribatté il licantropo,
stringendo la mano sulla sua e impedendole di restituirgli il barattolo.
Aveva desiderato che lui facesse
qualcosa. Che facesse
esattamente ciò che stava facendo, si sorprese a pensare.
Eppure il fatto che
lui stesse reagendo, la fece infuriare ancora di più. Per
lui era solo la
cugina di Sirius, la ragazzina che inciampava sui gradini, e lui era
lì pronto
a porgerle la mano e aiutarla a rialzarsi, a parare le sue cadute, come
sempre.
“Non voglio il tuo aiuto.” Ripeté, di
nuovo padrona della sua voce. Non
voglio niente da te!” esclamò sentendo la
preoccupazione, l’ansia e la rabbia che l’avevano
oppressa nell’ultimo anno
esplodere in lei, travolgendola.
“Tonks…”
chiamò Charlie cercando di impedirle di dire
qualcosa di cui si sarebbe pentita. Fin dai tempi di Hogwarts tutti si
erano
divertiti, almeno una volta, a stuzzicare Tonks, a provocarla solo per
vedere i
suoi capelli cambiare colore, ma poche erano le volte in cui
l’avevano vista
fuori di sé dalla rabbia come in quel momento.
Si
scrollò di dosso
la mano dell’amico con un gesto della spalla, quasi a voler
scacciare un
insetto fastidioso. “Preferirei essermi rotta il braccio
piuttosto che
accettare il tuo aiuto!”
Quelle parole, poco più
che un sibilo, lo colpirono velenose
alle orecchie; sferzanti come una frustata. Lui poteva anche spiegare,
capì, ma
lei, anche se fosse rimasta a sentire, non lo avrebbe ascoltato.
“La verità…”
ribatté
mentre la determinazione lasciava spazio alla frustrazione
“… è che non hai il coraggio
di dirlo.”
C’era qualcosa nella sua
voce che la fece rabbrividire, involontariamente,
quasi il suo corpo avvertisse ciò che stava per accadere.
Strattonò più forte
cercando di liberarsi, ma lui non allentò la presa.
“Dillo.” La
istigò avvicinandosi “Se la mia presenza ti
dà
fastidio...” Insistette “dimmi di
andarmene.” Aveva la sensazione che la sua
testa stesse per esplodere e allo stesso tempo non si era mai sentito
tanto
lucido. Non c’era nulla che temeva di più che
sentirle pronunciare quelle
parole e allo stesso tempo non desiderava nulla più che
avere una risposta a
quel quesito che lo tormentava. “Dimmi di andare
via!” esclamò.
Per un lunghissimo istante tutto
ciò che lo circondava
scomparve, tutto gli sembrò irreale a eccezione del suono
accelerato del
proprio respiro e del bruciore sulla guancia. Era accaduto
così velocemente che
non si era nemmeno accorto fosse riuscita a liberarsi dalla sua presa,
pensò
vedendola uscire in cortile.
“Non credi di aver fatto
abbastanza?” domandò Charlie bloccandogli
la strada e impedendogli di seguirla.
“Si può sapere
cosa ti è saltato in mente?” chiese quasi
contemporaneamente Bill.
“Io...”
mormorò confuso e sorpreso dal suo stesso
comportamento “non lo so.”