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Autore: Bethan__    03/08/2017    4 recensioni
“E’ una cosa talmente più grande di noi…”, mormorò, disgustata dal suo tono di voce instabile.
Si sentiva una codarda.
Sirius le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, lasciando indugiare la mano sulla sua guancia, sfiorandola appena per qualche secondo.
“Certo che lo è. Ma c’è poco da fare, e io so di voler partecipare. Dare un contributo.”
“Ma tu sarai in grado di farlo. Guarda me, credi che riuscirei a ostacolare questa follia?”.
Il ragazzo accennò un sorriso.
“Io sarò in grado di farlo? Ho paura quanto te, Bronwen. E non sono intelligente neanche la metà di quanto lo sia tu.”
Lei sbuffò.
“Sta’ zitto, se volessi saresti tra i migliori della classe.”
“Ma guarda, l’ombra di un complimento. Sono sconvolto.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Fieri sentio

I.


Il lago nero rifletteva la luce della luna in modo placido e stranamente tranquillo: nessuno sembrava agitarsi sotto l’acqua scura. Probabilmente dipendeva dal fatto che fosse mezzanotte passata e che tutti fossero a dormire già da un bel po’, umani e non.
Bronwen quella sera aveva però bellamente ignorato quelle stesse regole che aveva passato una vita a seguire, aveva finto di andare a letto e poi era sgusciata via senza far rumore, portandosi come unica compagnia un asciugamano su cui sedersi, la sua bacchetta e il libro che le aveva prestato Charlie Atkin.
Non aveva preso precauzioni, non aveva chiesto a nessuno di coprirla e non aveva idea di come avrebbe fatto a tornare nel suo dormitorio senza che Gazza o uno dei fantasmi la vedessero.
Non ce l’aveva mica un mantello dell’invisibilità, lei.
In quel momento, comunque, non le importava più di tanto.
La luce della bacchetta illuminava fiocamente le pagine del libro che era intenta a leggere, la leggera brezza autunnale le accarezzava pigramente il viso e ogni tanto riusciva a sentire il verso di qualche cicala in lontananza.
Aveva scelto quella postazione perché erano ormai giorni che nel castello sentiva un’inspiegabile sensazione di soffocamento, ovunque andasse.
Poteva avere a che fare con la discussione che aveva avuto con quell’imbecille di Sirius Black e dei suoi amici, ma si rifiutava di pensare che potessero esercitare una simile influenza su di lei.
No, riflettè: inutile negarlo, era furiosa.
Per quanto fossero insopportabilmente egocentrici e menefreghisti, avevano ragione su di lei.
Era una persona insignificante alla quale piaceva nascondersi dietro la finta soddisfazione di osservare le regole, di rispettare il dovere, di tenersi alla larga da guai e complicazioni di ogni genere.
La infastidiva il modo in cui si ponevano nei confronti della scuola, non sopportava la loro mancanza di serietà né il modo in cui si prendevano gioco di chi invece ci teneva ad una buona condotta.
Erano degli sbruffoni, su questo non avrebbe mai cambiato idea, ma avevano ragione.
Se n’era accorta dalle occhiate stanche che si erano scambiate le sue compagne di stanza quando, dopo l’ennesima discussione, era tornata alla torre dei Grifondoro per raccontare loro l’accaduto con toni furenti.
Nelle loro espressioni aveva letto perplessità: era chiaro che per loro niente di quello che facevano fosse poi tanto grave, un po’ come per il resto della scuola.
Non si arrabbiavano se James Potter in biblioteca sottraeva loro i libri solo per il gusto di interromperle.
Non erano infastidite dal tono di voce superiore e oltremodo irritante che Sirius Black aveva ogni volta che apriva bocca.
Peter Minus e Remus Lupin prendevano parte a praticamente qualunque sfortunato episodio “divertente” finisse poi per spedirli tutti e quattro in punizione, eppure tutti li trovavano eccezionali.
L’intera scuola li definiva piacevoli e divertenti, aveva parlato con persone che si sarebbero fatte mettere volentieri in punizione dalla McGranitt se avesse significato prendere parte ad una delle loro “avventure”, come tutti chiamavano le loro bravate.
Così aveva ufficialmente deciso di lasciar perdere.
Si era arresa al fatto che fosse lei quella fuori luogo, non loro.
Non aveva più aperto bocca per lamentarsi di qualcosa, improvvisamente disgustata dalla natura polemica e battagliera che da sempre l’aveva caratterizzata.
Se n’erano accorti quasi tutti ma evidentemente la cosa non dispiacque a molti, perché non si ritrovò a dare spiegazioni a nessuno.
Non era sicura di come sarebbero andate le cose, ma per il momento sentiva solo un’inspiegabile tristezza.
Non aveva mai dubitato delle sue capacità o di essere nel giusto, ma quella scuola era riusciva a far crollare ogni sua certezza su come fosse percepita dagli altri.
Si sentiva umiliata e imbarazzata per tutte le volte che aveva discusso con quegli idioti, prendendosela per le cose più insignificanti.
Per tutte le volte che aveva fatto notte fonda per finire compiti che il giorno dopo erano stati a malapena considerati.
Per l’importanza che aveva dato all’essere sempre ligia alle regole.
Si chiedeva con vergogna quanto ridicola fosse sempre sembrata agli occhi dei suoi amici e degli altri studenti.
Voleva cambiare, essere diversa, ma non aveva idea di come cominciare.
Un fruscio interruppe i suoi pensieri non troppo felici e, di riflesso, chiuse il libro con un tonfo sordo.
“Nox”, sussurrò, rimanendo con la sola luce della luna ad illuminare il prato circostante.
Alla sua destra, una macchia scura si avvicinava trotterellando.
La ragazza socchiuse gli occhi nella speranza di mettere a fuoco qualcosa di amichevole e non una bizzarra creatura scappata dalla Foresta Proibita.
Con suo grande sollievo, si accorse che si trattava di un cane.
Beh, fuori dalla norma sicuramente viste le dimensioni, ma pur sempre un cane.
Vedendola, rallentò il passo, fino a fermarsi ad osservarla.
“Mi hai fatto prendere un colpo”, sospirò lei, riappoggiando la bacchetta sull’asciugamano.
Vedendo che l’animale non si schiodava di lì, si mosse leggermente, a disagio.
“Beh, che hai da guardare? Siamo in due a essere nel posto sbagliato. Che ci fai qui? Non ci sono cani al castello.”
Si sentiva mediamente pazza a conversare amabilmente con un animale, ma non poteva negare che fosse sollevata.
Il cane si lasciò andare ad un leggero latrato che lei, totalmente arresa al seme della follia, interpretò come una risata.
Perciò gli sorrise.
“Visto che ti diverti così tanto, potresti almeno venire qui a farmi compagnia”, lo invitò, picchiettando sul posto vuoto accanto a lei.
L’asciugamano gli sembrò probabilmente abbastanza soffice e invitante da avvicinarsi e acciambellarsi di fianco alla ragazza, senza però smettere un attimo di guardarla.
Lei prese ad accarezzarlo con dolcezza, cosa che sembrò apprezzare.
“Probabilmente sei l’unico essere vivente che non sia felice di starmi lontano, in questi giorni”, riflettè piano Bronwen, sentendo di dover dire qualcosa sotto quello sguardo grigio e inquisitorio.
“Ho recentemente scoperto di essere una persona noiosa e insignificante, non so come funzioni nel mondo dei cani ma ti assicuro che nel mio la cosa non mi diverte troppo.”
L’animale sbuffò leggermente, le sembrò quasi di vederlo alzare gli occhi al cielo.
Bronwen, che ci aveva preso gusto ad esternare il proprio stato d’animo, continuò imperterrita.
“Mi è stato detto che mi ritengo superiore a tutti in questa scuola, ma come faccio a spiegare che è esattamente l’opposto? Mi sento a disagio perché non riesco ad integrarmi, mi sono sempre reputata solo una studentessa seria, niente di più. Non sono mai stata tanto arrogante da credermi migliore di qualcuno, figuriamoci se litigo con quei quattro idioti perché li ritengo inferiori o qualche sciocchezza simile. Oh, scusa”, mormorò la ragazza in risposta ad un colpetto che il cane le aveva dato con il muso, infastidito dal fatto che avesse smesso di grattargli la testa.
Bronwen sospirò, ricominciando ad accarezzarlo.
“Mi sono sempre preoccupata così tanto di raggiungere i miei obiettivi che non mi sono mai accorta di come le persone mi percepissero. E, ti dirò, mi percepiscono come una fastidiosa e petulante palla al piede. Come ti dicevo, non molto divertente.”
L’animale mugolò, alzandosi e appoggiando le zampe sulle gambe della ragazza.
Bronwen gli sorrise ancora, sollevando il braccio parecchio in alto per affondare nuovamente le dita nel pelo scuro e morbido.
“Grazie del sostegno, ma ti assicuro che hanno ragione. Ero solo troppo cieca per accorgermene. Però non sono cattiva, sai? Voglio dire, non ho mai fatto del male a qualcuno. E’ già qualcosa. Beh, tranne la volta in cui ho tirato un’enciclopedia di seicento pagine in faccia a Bill Belcher di Tassorosso. Non la piantava di provare a baciarmi con la forza, un’esperienza agghiacciante.”
Un altro latrato, più profondo e prolungato del precedente.
La ragazza si strinse nelle spalle, come a giustificarsi.
“Meno male che a te sono simpatica, forse dovrei solo cambiare giro di amicizie. Probabilmente la piovra gigante o gli Avvincini mi troverebbero di ottima compagnia, che ne dici?”.
Il cane, inaspettatamente, si avvicinò e le leccò una guancia.
Bronwen scoppiò a ridere, asciugandosi con il dorso della mano e ricambiando grattandogli il sottomento.
“E’ davvero un peccato non poterti portare al castello con me, sai?”, riflettè, guardandolo raggomitolarsi nuovamente, standole però in braccio.
Sentì un altro latrato, più basso e gutturale, ma non riuscì ad interpretarlo.
Era così grande e pesante che le gambe le si intorpidirono dopo pochi minuti, ma continuò comunque ad accarezzarlo e a parlargli con dolcezza, raccontando del più e del meno con assoluta naturalezza.
Si accorse che non parlava con qualcuno da tanto tempo ed era piacevole avere un ascoltatore silenzioso e amichevole.
Notò che aveva chiuso gli occhi e sperò vivamente che non si addormentasse, o non sarebbe mai riuscita a spostarlo.
“Probabilmente non ti rivedrò più una volta che sarai tornato nella Foresta, ma che ne diresti se ti dessi un nome?”, gli domandò sovrappensiero.
Il cane sollevò la testa e si voltò a guardarla, la lingua penzoloni.
Sembrava in attesa.
Bronwen ricambiò lo sguardo, pensierosa.
“Vediamo, sei grosso. E scuro. Ma non posso darti un nome che suoni minaccioso, visto che sei mansueto quanto un volpino.”
L’animale sembrò offendersi, perché scoprì immediatamente i canini ed emise un ringhio sommesso.
La ragazza sorrise, niente affatto intimidita.
“Oh, andiamo, guarda che era un complimento. E poi i volpini sono insopportabili, ti assicuro che preferisco te.”
Questo sembrò calmarlo, anche se lo sguardo rimase circospetto.
Bronwen cercò di farsi perdonare grattandogli nuovamente la testa e capì che il gesto fu di suo gradimento da come aveva immediatamente socchiuso gli occhi e appiattito le lunghe orecchie.
“Che ne pensi di Blackie? Troppo scontato?”, propose.
L’animale sbuffò, con evidente scetticismo.
“D’accordo, non c’è bisogno di fare il drammatico. Come ti sembra Asterion? E’ una stella della costellazione Cani da Caccia, si trova poco prima dell’Orsa Maggiore. Un po’ ce l’hai l’aria da cane da caccia.”
Sembrò molto più contento della seconda scelta e manifestò la sua approvazione frustando ripetutamente l’aria con la coda.
Poi si rimise in piedi, senza smettere di scodinzolare, e abbaiò un paio di volte.
La ragazza sgranò gli occhi.
“Shhh, sei impazzito? Gazza farà mettere in punizione a vita me e scuoierà vivo te se ci fai beccare!”.
L’animale mugolò, come a darle ragione, e si passò una zampa sul muso a mo’ di scuse.
Bronwen si alzò per pulirsi la divisa dall’erba, poi si chinò a raccogliere asciugamano, libro e bacchetta.
“Devo proprio tornare al castello, è tardi e domani ho Trasfigurazione alle prime due ore. Non credo tu sappia cosa sia, ma ti assicuro che la McGranitt rende il tutto molto meno divertente di quanto sarebbe altrimenti”, borbottò intenta a ripiegare l’asciugamano e ad infilarselo sotto al braccio.
Il cane le mostrò una fila di denti con fare niente affatto minaccioso: sembrava quasi un ghigno divertito.
La ragazza non dovette neanche chinarsi per accarezzarlo un’ultima volta.
“E’ stato un piacere conoscerti, Asterion. Cerca di tornare da dove sei venuto senza farti vedere dal guardiacaccia, d’accordo?”.
L’animale emise un piccolo sbuffo, poi le diede un paio di colpetti affettuosi sulla mano e si voltò, allontanandosi di fretta nella stessa direzione da cui era arrivato.

Bronwen si avviò verso il castello con passo spedito, arresa all’idea di dover fare il giro lungo: l’ufficio di Gazza era troppo vicino ai bagni e alle aule perché potesse sperare di passarci davanti senza dare nell’occhio.
Quindi si diresse verso il cortile, rientrò e attraversò velocemente un infinito corridoio che terminò facendola sbucare davanti alla torre di Divinazione.
Proprio mentre stava per proseguire, a pochi passi dal ritratto della Signora Grassa, si fermò.
Una figura scura appoggiata pigramente al muro di Infermeria la osservava con braccia incrociate e un sorriso beffardo.
Bronwen abbassò la bacchetta, sua unica fonte di luce, e sospirò sonoramente.
Prima che potesse lasciarsi andare ad un qualsiasi tipo di commento, il ragazzo la anticipò con il suo solito tono canzonatorio.
“Ma guarda un po’ chi ha deciso di ribellarsi al sistema e girare di notte per i corridoi. Sicura che non sia la nostra cattiva influenza, Layton?”.
“Sirius, levati dai piedi, non è proprio il momento”, mormorò lei, decisa a tornarsene a letto il prima possibile.
Lo sguardo del ragazzo vagò per qualche secondo sull’asciugamano e il libro che lei teneva tra le mani.
“E’ proprio da te”, commentò, lasciandosi andare ad un sorriso.
Cosa?”, sussurrò lei, seccata, facendo del suo meglio per non svegliare i quadri.
“Infrangere le regole per andartene a leggere un libro da qualche parte. Sei assurda.”
Bronwen si morse l’interno delle guance, ricordandosi che stava disperatamente cercando di evitare un qualunque tipo di confronto con lui e il suo maledetto gruppetto di idioti avventurieri.
“Buonanotte, Sirius”, fu la sua risposta lapidaria.
Gli passò davanti senza degnarlo di uno sguardo ma lo sentì ridacchiare, cosa che la irritò precisamente a morte.
Prima che potesse pensare di mandare al diavolo i suoi buoni propositi e voltarsi giusto il tempo di mostrargli uno specifico dito, vide un cerchio di luce ballare sul muro alla sua sinistra.
Il respiro le si bloccò in gola.
“Chi c’è? Vi ho sentiti! Potter, giuro che se sei di nuovo fuori dal letto a quest’ora di notte non ci sarà parola del preside che riuscirà a risparmiarti una punizione con me!”, la voce di Gazza tuonò nel corridoio buio, infastidendo e svegliando più di un quadro.
“Nox!”, sussurrò la ragazza per la seconda volta quella sera, la voce carica di panico.
Si guardò freneticamente intorno ma non ebbe il tempo di pensare a dove nascondersi, perché Sirius la afferrò per la manica della divisa e tornò indietro, trascinandola velocemente nel piccolo spazio che intercorreva tra Infermeria e torre di Divinazione.
Si chiese vagamente come facesse a non farli sbattere entrambi contro più di un muro, visto che si stavano muovendo nel buio più assoluto.
Si rese conto che entrarono nella torre di astronomia solo grazie alle ampie finestre che lasciavano entrare la luce della luna piena, la stessa che aveva osservato riflettersi sul lago qualche ora prima.
“Fermati un attimo!”, sussurrò, tirando via il braccio e fermandosi a riprendere fiato.
Il ragazzo si appoggiò alla ringhiera, anche se non sembrava minimamente affaticato dalla corsa.
“Visto che divertimento ti perdi?”, domandò con un po’ di fiatone e lo stesso sorriso beffardo di poco prima.
Che faccia tosta.
“Non so quale sia la tua idea di divertimento ma ti assicuro che la mia non prevede il principio d’infarto”, rispose la ragazza passandosi una mano sulla fronte fredda e sudata.
“Quante storie. Gazza non lo ammette ma in realtà ci adora, senza di noi si annoierebbe a morte.”
“Mi sembrava strano che non avessi ancora esternato il tuo solito egocentrismo. Che ci fai in giro a quest’ora? Avete un’altra delle vostre bravate in programma?”.
Sirius la scrutò, divertito, poi si strinse nelle spalle.
“In realtà sono di ritorno, ci siamo divertiti abbastanza per stanotte.”
“E i tuoi fedeli compagni dove sono? Non mi dirai che ti hanno abbandonato.”
“Attenta, Bronwen, potrei iniziare a credere che ti preoccupi per me.”
La ragazza alzò gli occhi al cielo, divertita da quell’ipotesi assurda.
“L’unica cosa che mi preoccupa, al momento, è tornare nel mio dormitorio. Quindi…”.
Lui la guardava, in attesa, le braccia nuovamente incrociate e un sopracciglio inarcato.
“Non potresti farmi strada?”, sbottò, infastidita dal dovergli chiedere un favore.
“Tra un minuto, Gazza starà ancora pattugliando i corridoi. La mia compagnia non è abbastanza piacevole da trattenerti?”.
“Se la memoria non mi inganna qualche giorno fa mi hai definita, con toni di voce piuttosto alti, un’arrogante presuntuosa. Quindi fossi in te ci darei un taglio.”
Parlò con più rancore di quanto avrebbe voluto far trapelare ma era stanca, irritabile e spaventata.
Era stata una pessima idea, che diavolo le era saltato in mente?
Se Gazza l’avesse sorpresa sarebbe stata la fine, non osava immaginare come l’avrebbe punita.
Il silenzio di Sirius la convinse ad alzare lo sguardo, cercando il suo, fisso sul pavimento.
Decise di non proseguire oltre con la conversazione e nessuno dei due parlò per un tempo che le sembrò fastidiosamente lungo.
Stava per staccarsi dal muro a cui si era appoggiata e chiedergli nuovamente di darle una mano a trovare la strada per evitare che si spiaccicasse su qualche parete di mattoni o rotolasse giù per le scale, ma quando lo guardò di nuovo notò un dettaglio allarmante.
“Sirius, il braccio!”, esclamò, sorpresa, avvicinandosi per riflesso.
Lui seguì il suo sguardo e aggrottò le sopracciglia, notando la macchia cremisi che gli stava bagnando la manica della camicia immacolata.
La sollevò con cautela, notando il taglio che James aveva provato a richiudere qualche ora prima.
Evidentemente non aveva funzionato poi così bene.
“Cos’è successo?”, si sentì domandare da una Bronwen preoccupata ma pur sempre esitante.
“Niente di grave. Dovresti vedere gli altri”, sorrise il ragazzo, cercando di ignorare il fastidioso bruciore della ferita.
Si chiese come stesse Remus, se gli avesse fatto troppo male.
“Non è divertente”, mormorò lei, cercando disperatamente di ricordarsi un incantesimo utile.
“Ormai credo di aver appurato che io e te abbiamo un’idea molto diversa di divertimento, giusto?”.
Ma Bronwen non lo ascoltava.
Recuperò la bacchetta dal tavolo in legno su cui aveva deposto tutto quello che si era portata dietro, e gliela appoggiò dolcemente sull’avambraccio.
“Epismendo”, disse con decisione, guardando la ferita smettere di sanguinare all’istante e rimarginarsi il giusto da sembrare vecchia di qualche giorno.
Il ragazzo increspò le labbra, preso alla sprovvista.
Si calò nuovamente la manica della camicia e le rivolse uno sguardo incerto, quasi imbarazzato.
“Grazie”, disse come se pronunciare quella sola parola gli costasse tutto il suo orgoglio.
Lei annuì, altrettanto a disagio.
“Beh, possiamo andare, Gazza si sarà tolto dai piedi”, annunciò il ragazzo, volenteroso quanto lei di mettere fine a quel silenzio imbarazzante.
Bronwen raccolse le sue cose e lo seguì fuori dalla torre, ritrovandosi nuovamente nell’oscurità più totale, poiché non accesero le bacchette per non rischiare che un quadro li notasse.
Per fortuna, senza che dovesse chiederglielo, Sirius le strinse nuovamente la manica della divisa per guidarla attraverso il corridoio silenzioso, fino all’ingresso della torre di Grifondoro.
“Sei soddisfatta della tua primissima trasgressione?”, sussurrò il ragazzo, più vicino di quanto si aspettasse.
Bronwen sbuffò, irritata: sembrava davvero che quell’idiota amasse fare conversazione nei momenti meno opportuni.
“Sì, è stata l’esperienza più esaltante della mia vita. Compreso il salvarti dal dissanguamento”, mormorò con pesante sarcasmo.
Non poteva vederlo, ma lui sorrise.
“Io sarò egocentrico, ma tu sei un po’ troppo melodrammatica.”
“E sulle note del tuo ennesimo complimento, ti auguro una buonanotte”, borbottò la ragazza.
La Signora Grassa sbadigliò, aprendo gli occhi.
“Vi pare questa l’ora di rientrare? Accidenti, stavo dormendo così bene. Parola d’ordine?”, brontolò, la voce impastata dal sonno.
La ragazza le rivolse un sorriso di scuse.
“Zuppa di nocciole.”
Il quadro si spostò senza far rumore e Bronwen si lasciò andare ad un sospiro di sollievo.
Entrarono entrambi, trovando la Sala Comune deserta e il fuoco del camino ormai praticamente spento.
La ragazza si diresse spedita verso il suo dormitorio, sentendo di colpo tutta la stanchezza della giornata.
“Buonanotte, avventuriera”, furono le ultime parole che sentì prima di richiudersi la porta alle spalle.


 

Questa è una storia che ho iniziato a scrivere con la precisa speranza di realizzare uno stralcio sensato e il più possibile veritiero delle vite dei Malandrini. Nessuno di loro ha avuto vita facile (o lunga abbastanza da diventarlo) ma Sirius Black ha dovuto passare anni di agonia e solitudine chiuso in una cella con la consapevolezza che tutti lo ritenessero un omicida psicopatico, perciò questa storia è per lui. Ho voluto regalargli un po' di felicità, un po' di fiducia.
Non scriverò altro perchè trovo che i messaggi degli autori a fine capitolo rovinino un po' la magia della storia, perciò ci rivediamo alla fine. Spero davvero che vi piaccia e che vi prendiate qualche secondo per farmi sapere cosa ne pensate dei miei vaneggiamenti. 

  
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