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Autore: lisi_beth99    05/08/2017    1 recensioni
Lane si risveglia nella Radura, inizialmente non comprende ciò che la circonda ma, dopo i primi flash-back, tutto diventa più chiaro...
Dal primo capitolo:
"Sentii dei rumori provenire da sopra la scatola, come dei passi, poi delle voci. Si aprì una botola e vidi una decina di ragazzi che guardavano me. Uno si fece avanti, aprì la grata ed entrò. Era un ragazzo alto, magro, con gli occhi scuri e i capelli biondo scuro. Mi studiò per alcuni secondi poi mi sorrise e mi porse la mano –Vieni, ti porto fuori da qui!-. afferrai subito quella che sembrava la cosa più amichevole che avessi mai visto e scoprii, con mia grande sorpresa, che era calda e rassicurante."
NOTA: Mi sono basata sul film, ci sono alcune riprese nella storia
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Newt, Nuovo personaggio, Thomas, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Live, Fight, Win'
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Mentre mi avvicinavo al ragazzo che mi avrebbe dato delle informazioni più approfondite sul luogo in cui eravamo, guardai attentamente il giovane, i suoi capelli neri, gli occhi scuri, il corpo muscoloso ma non troppo, quando lui alzò lo sguardo su di me mi venne un flash.
 
Sto guardando Thomas e lui guarda me. È seduto ad una scrivania con un’enorme pannello trasparente davanti. Le mani sono appoggiate su una tastiera e, mentre mi guarda, sta finendo di digitare qualcosa su di essa. C’è rumore di motori di computer e di tasti digitati. Non siamo soli. Mi guardo attorno e vedo una stanza abbastanza grande da contenere dodici scrivanie con lo stesso pannello trasparente e un modellino in plastica di un labirinto. Torno a guardare il ragazzo e noto che indossa una tuta aderente bianca con scritte le iniziali W.C.K.D. sul lato del cuore. Mi avvicino e guardo cosa appare sul pannello che scopro essere un monitor. Ci sono delle immagini video di un luogo erboso: capisco essere la Radura. Poi concentro la mia attenzione verso l’angolo inferiore sinistro della schermata e vedo delle cartelle con vari nomi: Gally, Ben, Alby, Chuck, Minho, Frypan e Newt. Rimango a fissare quell’ultimo nome, imbambolata. Thomas passa il maus su di esso e apre una serie di documenti sul ragazzo. Età, peso, altezza, colore degli occhi, colore dei capelli, sesso, data di nascita, data di entrata nel labirinto e altre informazioni che non riesco a leggere. “Perché ci sono tutte queste informazioni?” – Ciao Lane, benvenuta nel centro del laboratorio- una voce fastidiosa mi distoglie dai miei pensieri. Mi volto nella sua direzione e vedo una donna alta e magra, con i capelli biondi raccolti in uno chignon basso. Anche lei è vestita completamente di bianco e viene verso di me con un finto sorriso di gentilezza. Mi si raggela il sangue nelle vene e sento il desiderio di scappare ma so che non andrei lontano. Così mi giro verso Thomas che mi sta ancora guardando nello stesso modo.

-Lane! - la voce di Newt mi riscosse dalla mia visione – Lane che hai? - era preoccupato e mi stava guardando negli occhi, cercando di capire le mie emozioni. Io ero persa fra i ricordi della mia mente e la realtà. Lo stavo guardando ma non lo vedevo bene. Le immagini si confondevano e si sfuocavano. - Presto! Portate uno sgabello! - ordinò il biondo agli altri. Mi fece sedere su una di quelle scatole di frutta e mi prese le mani. –Fai respiri profondi-. Lo ascoltai e dopo poco andò meglio. Ricominciai a dividere il vero dal ricreato e mi accorsi di avere la nausea. Cercai di concentrarmi il più possibile sul volto del ragazzo ma tutto quello che potevo vedere era la sua paura che gli rendeva lucidi e, allo stesso tempo, opachi gli occhi. – Sto bene…- dissi alla fine. Lui mi guardò intensamente e fece un sospiro di sollievo – Era un’altra visione? - domandò sottovoce così che gli altri non sentissero. Io annuii lentamente cercando di rilassarmi. – Dopo mi racconterai- disse prima di rialzarsi e allontanarsi. Mi guardai un po' in torno cercando di riprendermi completamente e mi accorsi che non c’era più né Thomas né Minho. – Dove sono? - domandai, più a me stessa che a Newt. – Sono andati nel bosco, non so a far cosa. Probabilmente roba da velocisti…- percepii una vena di rancore quando pronunciò quella parola ma decisi di sorvolare per il momento.
Uscimmo dall’edificio e subito due ragazzi ci corsero incontro. Erano affannati e eccitati allo stesso tempo e dissero a Newt che la ragazza si era svegliata. Subito Newt si agitò e si mise a correre dietro ai due. Istintivamente lo feci anch’io e, mentre correvo, sentivo che la mia mente si liberava da tutti i pensieri: ero libera! “Sei matta, non libera! Ti senti gasata solo perché lo hai fatto rischiando la morte e chissà cosa nemmeno tre ore fa, è ovvio che sei così!” odiavo la vocina della mia coscienza, però probabilmente aveva ragione. Rischiando tutto mi ero immedesimata in qualcuno che non ero. Poteva rivelarsi un gioco pericoloso.
Arrivammo sotto ad una torretta che si trovava un po' spostata rispetto al centro della Radura: era una torre di legno, alta una trentina di metri, in cima alla quale c’era una piattaforma. C’erano diversi Radurai che guardavano in su, verso la piattaforma. Uno di loro gridò al cielo – non preoccuparti, nessuno ti farà del male. -
Una testa nera spuntò dalla paratia e vidi la sagoma di una ragazza, capii immediatamente che era la giovane arrivata poche ore prima di me. Newt si rivolse a uno dei due ragazzi che erano venuti a chiamarci – Quando si è svegliata? - il giovane continuò a guardare la torre – Una decina di minuti fa. Appena ci ha visti è scappata e si è rifugiata lassù! - si mise a ridere però io non ci trovavo nulla di divertente, probabilmente avrei reagito anch’io così se mi fossi svegliata circondata da persone sconosciute senza avere la minima idea di dove mi trovassi; fortunatamente io ero cosciente quando la gabbia si era aperta e avevo avuto un po' di tempo per mettere a fuoco la situazione. Per non contare sul fatto che avessi quelle specie di flash-back che mi “aiutavano” nel dare un senso a tutto.
Mentre mi facevo tutti questi giri mentali, quella ragazza cominciò a gettare sassi, pezzi di legno e tutto quello che trovava su di noi. I ragazzi presero degli scudi per proteggere. Chi prese delle assi di legno, chi dei coperchi e qualcuno corse in un edificio poco lontano tornando con una padella in mano. Newt si proteggeva inizialmente con il braccio sinistro ma, quando un sasso mi colpì secco sulla spalla desta, mi corse vicino e mi protesse col suo corpo. – Non serve che tu mi protegga…- cercai di protestare però in fondo mi piaceva che fosse disposto a donare il suo corpo per salvarmi. – Così sospetteranno di qualcosa- gli sussurrai all’orecchio. Lui si sporse indietro per guardarmi meglio – E lascia che sospettino! - mi sorrise con fare ammiccante e io non potei fare a meno di scoppiare a ridere.
Capii che dovevo darmi un contegno quando i presenti si voltarono a guardarmi. Inizialmente mi bloccai poi pensai fosse meglio fare una battuta con l’intento di distrarli dalla verità. – Appena arrivata volevo fare lo stesso! - tutti scoppiarono a ridere. “Fiu… te la sei cavata!” questa volta ero perfettamente d’accordo con il mio subconscio.
I ragazzi cercavano di calmare quella giovane in preda all’isterismo che continuava a gettare oggetti. Poco dopo arrivarono Thomas e Minho che erano stati avvisati da due ragazzi. –Chuck che succede? - il moro si rivolse ad un bambino paffutello che avevo intravisto solo una volta da quando ero li. Questo scoppiò a ridere e gli rispose – Adoro le femmine! - indicando la cima della torre. Mi sentii leggermente offesa da quell’affermazione che suonava tanto come un insulto però decisi di lasciar stare. Nel frattempo Gally si beccò una pietra di medie dimensioni secca in fronte, la cosa lo fece arrabbiare e diventare di una sfumatura porpora su tutto il viso. Sia io che Newt scoppiammo a ridere ma il ragazzone non ne fu molto contento. – Cosa avete da ridere? - ci domandò con aria di sfida. – Nulla! - gli rispose il biondo accanto a me – Solo che avrei voluto farlo io tempo fa!- ci rimettemmo a ridere mentre Gally sbuffava esasperato.
Thomas, intanto, si era avvicinato alla base della torre e riuscì a salirvici dopo aver urlato il suo nome alla giovane lanciatrice di oggetti che, dopo aver sentito quel nome, smise di far volare pezzi di cose varie giù dalla piattaforma. Perplessa mi rivolsi a Newt – Perché lui lo lascia salire? - lui mi rispose rimanendo con lo sguardo fisso nel cielo – Quando è arrivata, ha detto il nome di Thomas e poi è svenuta. Non sappiamo perché, se lo conosce e cosa…però sembrerebbe che siano collegati. - io abbassai lo sguardo e ridussi la mia voce ad un sussurro - E io sono collegata a Thomas…- Il biondo sgranò gli occhi – Forse è meglio se ne parliamo in un luogo più isolato…- disse. Percepii il suo tentativo di rimanere calmo, però sapevo quanto era difficile. Stando a quello che mi avevano raccontato, nessuno si era mai ricordato qualcosa della vita prima del Labirinto e io ero in grado di ricordarmi persino di una persona che, guarda caso, era arrivata pochi giorni prima di me? C’era sicuramente qualcosa sotto. – Va bene se ci vediamo…- stava continuando lui, ma io lo interruppi – Vorrei prima schiarirmi le idee, se per te va bene. Magari farmi una doccia? - inizialmente fu sorpreso dalla mia richiesta ma poi annui e mi fece segno di seguirlo.
Attraversammo mezza Radura fino ad arrivare ad un edificio piccolo e basso dove c’erano le docce. – Bene. Queste sono le nostre favolose docce. Io ti aspetto qui fuori! - entrai e trovai uno spazio un po' buio con quattro tende su un lato. Ne scostai una e vidi il soffione di una doccia, un po' vecchio ma sperai funzionante. Mi spogliai e mi piazzai sotto al getto d’acqua. Scoprii essere congelata e per un attimo avrei voluto schizzare fuori da lì e asciugarmi al più presto. Decisi però di rimanere là sotto. L’acqua che batteva sulla testa e scivolava lungo i miei capelli, mi dava un senso di pace. I miei capelli… pensai. Non avevo la minima idea di come fossi e di certo non ci sarebbe stato uno specchio in tutta la radura. È risaputo che i maschi tendano a non guardarsi molto nelle superfici rispecchianti, specialmente se si hanno molte altre cose a cui pensare.
Un nodo allo stomaco mi sorprese in un momento che pensavo fosse di tranquillità. Fui colpita da un attacco di panico che mi fece cominciare a piangere. Mi girai così da appoggiare le braccia sulla parete e l’acqua potesse scivolarmi dalla testa alla schiene. Le lacrime calde si mescolavano al getto freddo e le mia testa cominciò a pulsare insistentemente. Da quando avevo avuto l’ultimo flash back mi era venuto un leggero mal di testa che si era aggravato negli ultimi minuti. Non riuscivo a smettere di singhiozzare e non sapevo nemmeno perché lo stessi facendo quando, all’improvviso, si bloccò tutto.

Sono rannicchiata in un angolo di una stanza buia, la porta si apre ed entra una donna bionda. Per fingere che non ci sia, mi metto a guardarmi una mano, è piccola, quella di una bambina… Sono terrorizzata da quello che sentirò. Quella donna si avvicina lentamente e mi costringe ad alzare lo sguardo sul suo volto mettendomi una mano sotto al mento. – Dov’è la mia mamma? - mi scopro avere anche la voce di una bimba ed è incrinata dalla paura. Quella fa una specie di ghigno e mi risponde – Tua madre non tornerà! È scappata e ti ha abbandonata. Sai questo cosa vuol dire vero? - mi guarda con malignità e non riesco a trattenermi dallo scoppiare a piangere. – Certo che lo sai, Lane…Questo vuol dire che tu ora sei proprietà della W.C.K.D. e dovrai fare tutto quello che vorremo noi. - quella frase mi mozza il fiato in gola – No…- riesco a sussurrare – E invece sì! Mia cara…tua madre ha tradito l’organizzazione e rubato del materiale dai nostri laboratori. Dobbiamo pur trovare un modo per risarcirci da ciò che ha fatto. Non credi? - il suo volto è il ritratto del malefico. Non riesco più a sopportare quegli occhi e le urlo di andare via. Comincio a tirare calci e pugni, così quell’essere è costretto ad allontanarsi. La vedo aprire la porta e penso se ne voglia andare. In realtà entrano due figure scure, una ha in mano una siringa piena di un liquido incolore. Si avvicina a me e mi inietta la sostanza nel collo. Per quanto io tenti di divincolarmi non riesco a scappare dalla presa dell’uomo. I miei sensi si affievoliscono e comincio a vedere tutto sfocato. Mi sento sollevata e tenuta fra le braccia di qualcuno. Poi sento la voce di quella donna che gli parla – Portatela in laboratorio finchè è incapace di muoversi e legatela. Dite al dottore di cominciare quando gli effetti sono svaniti. I test devono essere fatti da svegli e coscienti. - chiudo gli occhi e mi sento morire. So che sarebbe meglio. Conosco cosa fanno nei laboratori. Ne ho già sentito parlare.

Spalancai gli occhi. – Lane? Posso entrare? - era Newt. Cercai di controllarmi, chiusi l’acqua della doccia e uscii per asciugarmi. – Lane mi senti? - il ragazzo aprì lentamente la porta mentre finivo di infilarmi la maglietta sgualcita che avevo da quando ero arrivata. – Hey, ci stavi mettendo un po' troppo, mi sono preoccupato…va tutto bene? - non ero in grado di rispondergli. – Lane che hai? - mi appoggiò una mano sulla spalla. A quel contatto non riuscii quasi a trattenermi dal ricominciare a piangere ma decisi fosse meglio non mostrarsi deboli. Eravamo pur sempre in un cavolo di posto assurdo! Non c’era bisogno che aggravassi quel peso di tristezza che avevo letto negli occhi di Newt.
Cercai le forze per rispondergli, per dirgli che stavo abbastanza bene e che non doveva preoccuparsi per me, però ogni volta che aprivo la bocca, mi sentilo le lacrime crescere sempre di più. Così feci una cosa che mai e poi mai si dovrebbe fare: scappai. Mi misi a correre prima verso la porta e poi verso il bosco più vicino, per trovare un posto isolato dove stare. Appena scattata mi accorsi che la mano di Newt sulla mia spalla aveva cercato di bloccarmi e che lui mi aveva urlato di fermarmi, ma io non potevo farlo. Sarei scoppiata a piangere come la bambina che avevo visto nella mia visione. Quella che sapevo sarebbe stata torturata in qualunque modo possibile per ripagare un torto che aveva commesso la madre.
   
 
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