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Autore: IndianaJones25    07/08/2017    3 recensioni
Di ritorno da un’avventura a Ceylon, Indiana Jones può finalmente iniziare un nuovo anno accademico. Ma, proprio quando pensa che per qualche tempo le lezioni universitarie saranno la sua quotidianità, il celebre archeologo riceve un nuovo incarico: quello di ricostruire lo Specchio dei Sogni, l’unico oggetto in grado di condurre al Cuore del Drago, un antico artefatto che non deve cadere nelle mani sbagliate. Così, affiancato dal suo vecchio amico Wu Han e da un’affascinante e misteriosa ragazza, Jones si vedrà costretto a intraprendere un nuovo e rocambolesco viaggio attorno al mondo, in una corsa a ostacoli tra mille difficoltà e nemici senza scrupoli…
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harold Oxley, Henry Walton Jones Jr., Marcus Brody, Wu Han
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4 - I SOTTERRANEI DEL CASTELLO

   Praga, Cecoslovacchia

   Non appena il sole fu calato oltre l’orizzonte un poco collinare, tramutando il cielo da un colore aranciato ad una tonalità blu scuro, quasi nera, anche le temperature si abbassarono notevolmente, come se non fosse stata una serata di inizio autunno, bensì una fredda notte di pieno inverno. Lungo le strade lastricate non si vedeva già più nessuno, e solo dalle porte di qualche locale pubblico, chiuse contro il gelo, si potevano ancora udire, soffuse e smorzate, delle voci umane, quelle di gente entrata a bere qualcosa per scaldarsi un po’.
   Stringendosi nella vecchia giacca di pelle da aviatore tutta rovinata e calcandosi meglio il cappello sulla testa, contento di essersi scelto un abbigliamento che si sapesse adattare perfettamente ad ogni tipo di clima, Indiana Jones si avviò a passo rapido verso il castello, in pieno centro urbano.
   Costruito a partire dal IX secolo, il castello di Praga era un imponente edificio che racchiudeva, al proprio interno, diverse chiese e monumenti. Sede di imperatori e re di Boemia, era stato per secoli una fortezza imprendibile; più simile ad un grande palazzo che ad un castello nel vero senso del termine, era una delle maggiori attrazioni della capitale cecoslovacca. Secondo alcuni studiosi, i suoi vasti sotterranei non erano ancora stati esplorati completamente, celando essi molti misteri e segreti.
   Raggiunto il cancello che si apriva nella cinta muraria della fortezza, l’archeologo lo trovò sbarrato, il che non si addiceva certo ad un luogo che attirava, ogni giorno, diversi visitatori; un cartello di legno attaccato all’inferriata, spiegava che il castello sarebbe rimasto chiuso a tempo indeterminato per via di alcuni lavori in corso.
   «Strano» borbottò Jones, che da lontano non aveva notato alcuna impalcatura e, adesso, non vedeva nella piazza, oltre il cancello, nessun segno del passaggio di operai: niente strumenti, niente assi, insomma, nulla che facesse pensare che alcuni lavoratori avessero appoggiato i propri arnesi nel punto in cui sarebbe stato più intuitivo. Vi era solo quel vasto cortile su cui si aprivano le porte di diversi edifici, religiosi e politici, e dove si trovava una bellissima fontana ed un monumento equestre intitolato a San Venceslao, il patrono di Boemia.
   All’improvviso, un fascio di luce balenò nell’oscurità e colpì in pieno il viso di Jones, che fu lesto a scansarsi ed a mettersi al riparo dietro un muro.
   «Alt!» gridò una voce. «Chi va là?»
   L’uomo che aveva lanciato l’intimazione, pur parlando nella lingua boema, aveva un forte accento tedesco.
   «Ancora un tedesco» bofonchiò tra sé Indiana Jones, ripensando allo spiacevole incontro di pochi giorni prima a Ceylon. «Qualcosa non va.»
   Rapidamente, si ritrasse ancora di più e si dileguò nell’oscurità, facendo perdere velocemente le proprie tracce, sicuro che non sarebbe stato affatto salutare imbattersi nell’uomo che aveva urlato; chissà perché, se lo figurava armato.
   Raggiunse velocemente uno dei pub ancora aperti e, cercando di darsi un cipiglio da nottambulo senza pensieri, vi entrò e prese posto ad un tavolo solitario, in un angolo nei pressi di un caminetto acceso e scoppiettante, ordinando una birra.
   Non prestò alcuna attenzione al locale, un’antica taverna costruita in pietra con le travi in legno del soffitto a vista e parecchi stemmi appesi alle pareti, né alla bella e prosperosa cameriera bionda che, nel servirgli da bere, gli lanciò un sorriso malizioso e carico di aspettative; in realtà, infatti, di pensieri, per la testa, ne aveva fin troppi.
   Il fatto che il castello fosse sbarrato e sorvegliato, in primo luogo, era motivo di preoccupazione; voleva dire, in effetti, che quanto previsto da Mei Ying si stava avverando. Certo, le aveva creduto, ma non avrebbe mai potuto immaginare che i pericoli iniziassero così presto. Di sicuro, non si sarebbe potuto presentare all’entrata, dichiarando di essere un archeologo incaricato di cercare un prezioso manufatto ed entrare indisturbato. Però, la storia dei lavori in corso doveva essere una menzogna fatta e finita: qualcuno, evidentemente, era molto interessato ad impedire che qualche estraneo mettesse piede entro la cinta muraria.
   E, poi, c’era da considerare l’uomo che aveva parlato con accento tedesco; non vi avrebbe prestato particolare attenzione, se non avesse saputo che quel tizio, chiunque egli fosse, stava montando la guardia al luogo in cui era racchiuso un terzo dello Specchio dei Sogni. E non aveva ancora scordato la brutta disavventura con un altro tedesco, ossia quello che cercava l’idolo della Dea del Fiume o, meglio, adesso se ne rendeva pienamente conto, il pezzo di Specchio in esso contenuto; averlo gettato in pasto al coccodrillo, dunque, non era servito a fermare i suoi complici.
   Evidentemente, concluse, non sarebbe stato solo in quella ricerca; quei tedeschi, chiunque essi fossero, stavano cercando la stessa cosa che cercava lui. E i suoi avversari non avrebbero esitato a ricorrere ai più sporchi trucchi pur di sbarazzarsi di lui. Avrebbe dovuto vincere ogni indugio ed agire come il più freddo e sadico dei calcolatori, per sopravvivere. Ci era abituato, d’altronde.
   Immediatamente, il suo pensiero corse alla Germania dove, da un paio d’anni, il potere era caduto nelle mani del cancelliere Adolf Hitler, il quale aveva tramutato la repubblica tedesca in uno Stato totalitario; e, da quel poco che ne sapeva, il Fuhrer aveva dato avvio ad una campagna di intolleranza contro gli avversari politici, che venivano arbitrariamente arrestati e condannati a morte, oppure rinchiusi in campi di concentramento, dove pure non avevano scampo. Se Hitler, che dalle informazioni trapelate nell’opinione pubblica pareva essere veramente ossessionato dall’occulto e dall’esoterismo, avesse messo le mani sul Cuore del Drago, avrebbe potuto ridurre il mondo ai propri piedi. Ecco, chi erano quei fantomatici “altri” contro cui lo aveva messo in guardia Mei Ying: nientemeno che i nazisti. E, pur non avendoli mai incontrati di persona, era più che convinto che fossero degli ossi davvero duri da rodere.
   «La mia solita fortuna» commentò Jones a bassa voce, guardando la schiuma della birra nel boccale dissolversi un poco alla volta. «Proprio contro una potenza mondiale, dovevo andare a mettermi.»
   Il comandante Kai, tuttavia, sembrava convinto che nessuno stesse veramente cercando lo Specchio e, di conseguenza, il Cuore; aveva solo accennato al fatto che la Cina lo volesse per custodirlo, magari in un museo. Indubbiamente, però, aveva torto, e l’immaginazione della sua segretaria era molto meno fervida di quanto avessero potuto pensare.
   Naturalmente, Indiana Jones non credeva che il Cuore del Drago avesse davvero dei poteri mistici; per un archeologo e studioso come lui, abituato alla concretezza ed al raziocinio, esso altro non era se non un importante manufatto storico. Ciò, però, non significava che si sarebbe ritirato, lasciandolo nelle mani dei tedeschi. Lo avrebbe preso lui stesso, per metterlo in una teca museale. Non avrebbe permesso che divenisse il vezzo di pochi gerarchi fanatici e assassini.
   «Vediamo di dare un po’ un’altra occhiatina a tutte queste carte» pensò allora l’archeologo, rimettendo mano ai fogli carichi di appunti che gli aveva passato Mei Ying ed ai quali aveva già dato una rapida lettura mentre era in volo dagli Stati Uniti all’Europa. Se c’era un indizio per penetrare nel castello senza essere scoperto, doveva trovarsi tra quelle pagine.
   I dattiloscritti contenevano un rapporto dettagliato delle scoperte di un anonimo agente segreto cinese, riguardo al castello di Praga; comprendevano varie informazioni di ordine storico e pure un resoconto sul modo in cui il monaco, dopo aver trasportato il suo pezzo di Specchio in Europa, riuscì ad entrare nelle grazie dell’imperatore del Sacro Romano Impero ed a farsi ammettere tra gli abitanti del maniero. Secondo gli appunti, l’uomo trascorse i successivi vent’anni nell’edificio, mettendo a punto, in stanze così segrete da non essere ancora state scoperte a distanza di secoli, diversi stratagemmi per celare il prezioso manufatto. L’agente cinese, dal canto suo, non aveva fatto molti passi in avanti, rispetto alle conoscenze precedenti, asserendo solamente che la strada sembrava puntare verso una torre chiamata Vega. Con tutte le torri del castello, era un po’ poco come inizio, constatò Jones.
   Ma c’era un altro problema a cui pensare, prima, perché se non lo avesse risolto non avrebbe mai potuto portare a termine la propria ricerca: il modo in cui entrare nella fortezza. L’agente segreto, in effetti, non ne parlava. Quando era stato inviato a fare il proprio sopralluogo, alcuni mesi prima, doveva aver trovato l’antico edificio ancora liberamente accessibile, e non accennava affatto alla presenza di guardie, segno che, a quell’epoca, i tedeschi non avevano ancora dato inizio alle proprie ricerche.
   «Questi castelli avevano sempre delle uscite segrete, per permettere agli abitanti di fuggire in caso di un assedio finito male» rifletté ad alta voce Jones. «Se io trovassi uno di questi passaggi, potrei percorrerlo al contrario.»
   Mentre così parlava, non s’era reso conto di essere stato raggiunto alle spalle da un uomo; fece quindi un leggero sobbalzo per la sorpresa, quando, improvvisamente, una voce gli chiese: «Tu vorresti entrare nel castello, straniero?»
   Si volse rapidamente, pronto a balzare in piedi per affrontare un eventuale nemico; era sicuro, infatti, che in qualche modo fosse stato raggiunto dai tedeschi. Invece, si trovò di fronte un anziano boemo, avvolto in un cappotto verde scuro, un berretto rosso sulla testa ed una grande barba grigia che gli arrivava al petto.
   Senza attendere risposta, il boemo indicò la birra ancora intatta sul tavolo, poi aggiunse: «Offrimi da bere e ti farò entrare nel castello.»
   Cogliendo al volo quell’occasione, Jones lo invitò a sedersi, spingendogli contro, nel contempo, il boccale colmo del liquido ambrato.
   «Per caso, ascoltavi i miei discorsi, nonno?» domandò l’archeologo, restando comunque un po’ guardingo, non potendo essere sicuro su chi fosse l’uomo che, adesso, gli si era seduto di fronte e beveva con avidità, inondandosi di schiuma i peli della barba.
   Dopo un sonoro rutto, l’uomo abbassò il bicchiere e, con voce soddisfatta, bofonchiò: «Io non origlio i discorsi altrui. Sei tu il pazzo, straniero, visto che parli da solo.»
   «Hai ragione» rispose Jones, con un sorriso. «Ma perché mi stavi alle spalle?»
   Il vecchio alzò le spalle.
   «Gironzolavo nei pressi del castello, poco fa, e ti ho visto allontanarti in fretta ed entrare nel pub. Credevo che, magari, mi avresti offerto da bere, così ti ho seguito. Saggia decisione, no? Ho ottenuto quello che volevo.»
    Insospettito, Jones domandò ancora, cercando di dare un tono noncurante alle proprie parole: «Gironzolavi dalle parti del castello? E perché mai?»
   «È mio dovere farlo!» rispose fieramente l’uomo, sollevando un folto sopracciglio. «Io, Olderico Piast, sono da cinquant’anni il custode del castello di Praga! E, prima di me, lo era mio padre! E, prima di mio padre, mio nonno! E, prima di mio nonno…»
   «Bingo!» pensò Jones, senza più badare all’elencazione di tutte le generazioni dei Piast che avevano valorosamente custodito il castello. «Se c’è qualcuno che possa davvero condurmi in quel posto attraverso un passaggio segreto, dev’essere quest’uomo.»
   Prima, però, doveva carpirgli maggiori informazioni.
   «…e pure il nonno di mio nonno» stava concludendo, in quello stesso istante, Olderico. «E pure le generazioni precedenti a queste!»
   «Adesso, però, non mi pare che tu stia facendo la guardia al castello» buttò lì Jones. «Anzi, quando sono andato al cancello, m’è parso di aver notato un custode tedesco.»
   Il viso del vecchio Piast si fece scuro.
   «È così, infatti» ammise. «Cinque giorni fa, sono stato licenziato improvvisamente, ed il castello è stato chiuso. Nessuno mi ha dato alcuna spiegazione in merito. E dire che noi Piast siamo sempre stati fedeli al castello di Praga, sì proprio noi, che da dieci e più generazioni gli prestiamo il nostro indiscusso servizio! Allontanarmi così e dare in mano il castello a degli sporchi tedeschi… maledetti loro!»
   «Cinque giorni!» esultò Jones.
   In soli cinque giorni, di certo, i nazisti non potevano aver risolto un enigma che durava da secoli; con un briciolo di fortuna, e sapeva di averne tanta dalla sua parte, avrebbe potuto anche arrivare al pezzo di Specchio prima di loro e lasciargli con le pive nel sacco. Lui, d’altra parte, aveva un punto di partenza preciso, le informazioni dell’agente cinese, che certo i tedeschi non possedevano. O, almeno, così sperava.
   «Ascolta, nonno» disse Jones, afferrando per un braccio il vecchio Olderico ed interrompendo la sua fiumana di imprecazioni. «Io ho urgente bisogno di entrare in quel castello. Entrarci di nascosto, senza che nessuno ne sappia nulla» specificò.
   «Ti ho detto che per una birra ti avrei aiutato, straniero, e noi Piast non siamo tipi da rimangiarci la parola data. Ma quello che vorrei sapere è perché tu voglia entrare là dentro. Chi è quella gente? Cosa sta succedendo al mio castello?»
   Domande, quelle, di cui neppure Jones era pienamente sicuro di conoscere la risposta; poteva anche essere, dopotutto, che la storia dei lavori in corso fosse vera, che quei tedeschi non fossero affatto nazisti, ma solamente operai specializzati nelle ristrutturazioni fatti venire dalla Germania, e che non stessero affatto cercando il pezzo dello Specchio dei Sogni. Questa sua riflessione, però, non lo convinceva affatto.
   «Non posso darti una spiegazione» rispose con sincerità. «In questo momento, infatti, sono in gioco enormi interessi. Ma posso assicurarti che, non appena avrò terminato quel che devo fare e me ne sarò andato, anche gli uomini che si trovano adesso nel castello lasceranno in fretta e furia Praga per corrermi dietro, e tu potrai riprendere il tuo posto di custode.»
   Olderico aveva ripreso a bere, tracannando avidamente, e non disse una parola né lasciò il bicchiere fino a che l’ultima goccia di birra non fu scomparsa nella sua gola; a quel punto, posò rumorosamente il boccale sulla superficie lignea del tavolo, s’alzò e disse: «Mi hai convinto, straniero. Seguimi. Ti mostrerò il modo di entrare in segreto nel castello.»

   Se Jones non fosse stato abituato ad attraversare foreste intricate od a correre per mettersi al riparo da autoctoni feroci e tombaroli infuriati, avrebbe certamente durato non poche difficoltà a tenere il passo del vecchio custode, il quale sembrava muoversi per i vicoletti bui e freddi del centro di Praga con la disinvoltura e la rapidità di un felino.
   Camminarono per circa un quarto d’ora, allontanandosi parecchio dal cancello d’ingresso del castello, per fermarsi, infine, lungo un ponte che sovrastava il fiume Moldava, che scorreva ad almeno quindici metri sotto di loro, nero e gelido.
   «Be’?» chiese Jones. «Cosa ci facciamo, qui in mezzo?»
   «Siamo arrivati, straniero» rispose Olderico, sporgendosi oltre la balaustra. «Guarda qui.»
   L’archeologo gli si avvicinò e si sporse a sua volta, cercando di capire che cosa volesse mostrargli il vecchio; nonostante avesse l’occhio acuto ed esperto, non vide altro che un tubo che correva lungo il perimetro del ponte.
   «Se è quello il passaggio» commentò con ironia, ritraendosi, «direi che è decisamente troppo stretto perché io, o qualunque altro essere umano, possa pensare di passarci. Forse un topo ce la potrebbe fare, ma anche su quello ho i miei dubbi.»
   Il vecchio sbuffò.
   «Voi stranieri non conoscete Praga né i suoi segreti, e pensate ambiziosamente di poter venire qui a svelarli. E non riuscite neppure a vedere un buco che vi s’apre di fronte agli occhi. Vieni qui, straniero malfidente, e guarda meglio. Segui il mio dito.»
   Poco convinto, Jones si affacciò per la seconda volta oltre il parapetto del ponte, e guardò nella direzione che il vecchio era intento ad indicare coll’indice. All’inizio, non notò nulla di particolare, ma infine la vide: un’apertura al di sotto del ponte, che si confondeva nell’oscurità.
   «Quello sarebbe il passaggio per entrare nel castello?» domandò l’archeologo.
   Contento che l’altro l’avesse visto, Olderico si tirò indietro, annuendo.
   «Il passaggio è quello» confermò. «Tra il piano stradale del ponte e la sua base sopra i piloni, vi è un tunnel, un po’ stretto e basso, ma praticabile. Quando arriva in fondo al ponte svolta a destra, dopodiché inizia a scendere, avanzando per qualche centinaio di metri. Continuando nel percorso, la volta del tunnel si alza. Certo, non bisogna soffrire di claustrofobia, altrimenti non ci si può entrare. Non è illuminato, ovviamente, ma non è un problema, perché vi è una sola direzione da poter seguire. In certi punti ci sono della scale da scendere, e la strada compie qualche svolta qua e là. Infine, se vorrai percorrerlo sul serio, ti troverai di fronte ad una massiccia porta di legno. Scoprirai che non è chiusa a chiave, non lo è mai stata, a quel che ne so. Spingila e ti ritroverai nei sotterranei del castello, un luogo umido e infestato dai topi, da dove, poi, potrai facilmente raggiungere il punto dell’edificio che ti pare.»
   Jones guardò nuovamente l’apertura sotto il ponte.
   «Come fai a sapere queste cose?» domandò, più incuriosito che sospettoso.
   Olderico sollevò le spalle.
   «Ti dice niente il fatto che sia dal 1885 che io stia prestando servizio come custode di quel posto? E che mio padre, prima con mio nonno, poi da solo e infine insieme a me, ci abbia lavorato dal 1874 al 1922? E che mio nonno fu guardiano del castello dal 1838 al 1879? E che, prima, dal 1813 al 1851, fu custode anche il padre di mio nonno? E che dal…»
   «Va bene, va bene, ho capito» lo fermò Jones. «Per voi Piast il castello non ha segreti. Ma, allora, forse, potresti essermi d’aiuto anche in qualche altro modo.»
   «Cercherò, ma sappi che il mio aiuto ti potrebbe costare un’altra birra.»
   Jones aveva avuto un lampo di genio, un’intuizione. Perché se la famiglia Piast lavorava all’interno del castello di Praga da intere generazioni, s’era detto, doveva essere in qualche modo informata sulla storia del monaco cinese che vi nascose un pezzo di Specchio. Tanto valeva domandarlo al vecchio.
   «Hai mai inteso parlare di un monaco cinese che si trasferì nel castello, molti secoli fa, e vi nascose qualcosa che non fu mai ritrovato?»
   L’anziano custode scosse immediatamente la testa.
   «Mai sentito, prima d’oggi, di cinesi all’interno del castello» ammise.
   Le speranze di Jones naufragarono immediatamente. Volle, però, provare a giocare un’ultima carta.
   «Sapresti indicarmi, allora, se c’è un posto chiamato torre di Vega o qualcosa del genere, nel castello?»
   La risposta del custode, questa volta, fu affermativa.
   «Niente di più facile» disse, indicando un punto in lontananza. «Vedi quella vecchia torre pericolante e fatiscente, dentro il perimetro del castello? Bene, quella è la torre che stai cercando. Ma ti avverto: nessuno ci mette piede da secoli, l’ingresso è stato murato chissà quando ed a nessuno è mai venuto in mente di riaprirlo, anche perché è un postaccio proprio brutto, in confronto al resto del castello. Credo, anzi, che prima o poi la butteranno giù, e sarà tanto di guadagnato per tutti.»
   Sul viso di Jones si allargò un ghigno; un luogo in cui nessuno entrava da così tanto tempo era proprio l’ideale, infatti, come nascondiglio per ciò che stava cercando. Si tolse una moneta di tasca e la lanciò ad Olderico, che riuscì ad afferrarla al volo.
   «Tieni, nonno. Fatti un’altra birra. Te la sei proprio meritata.»
   «Grazie a te, straniero. Ma ora, se permetti, toglimi tu, una curiosità. Come diavolo pensi di fare ad entrare nel cunicolo? Io l’ho sempre percorso dall’interno del castello, mai entrando dal ponte. Un tempo doveva esserci una passerella di legno o qualcosa del genere, ma è scomparsa. C’è solo quel tubo, ma non penserai di camminarci sopra, vero? Mi sa che dovrai farti spuntare le ali, per raggiungere l’entrata.»
   «Tu dici?» disse Jones, guardando in basso.
   Portò la mano alla borsa che teneva a tracolla, cominciando a frugarvi, fino a quando non trovò quel che cercava: un paio di spessi guanti di pelle, che infilò.
   Senza aggiungere una sola parola, scavalcò la balaustra e si lanciò nel vuoto, sotto lo sguardo stupefatto di Olderico, ben consapevole che avrebbe avuto a disposizione un solo tentativo per riuscire nella sua impresa; diversamente, sarebbe precipitato nel fiume gorgogliante, e questa volta non ci sarebbe stato il corpo di un grosso mercenario a proteggerlo. Ma, come al solito, non sbagliò.
   Le sue mani si strinsero saldamente al tubo metallico che, come aveva immaginato, era freddo e viscido a causa dell’umidità; ma i guanti lo aiutarono a mantenere la presa più salda. Adesso, però, stava dando le spalle al ponte, per cui doveva fare in maniera di riportarlo di fronte a sé. Lasciata la presa con una mano, quindi, si attorcigliò fino a che non riuscì a raggiungere la posizione desiderata; ciò, naturalmente, gli comportò seri dolori alle braccia, ma ormai era più che abituato a soffrire in silenzio. A questo punto, chiamando a raccolta tutte le proprie forze, tornò a serrare entrambe le mani al tubo metallico e cominciò a dondolarsi verso l’alto, fino a raggiungere un movimento rotatorio tale da permettere alle sue gambe di trovarsi parallele all’apertura nel mezzo del ponte. Infine, non appena si fu convinto di avere raggiunto una velocità di manovra sufficiente e non appena ebbe visto l’entrata del passaggio segreto proprio di fronte a sé, mollò il proprio appiglio.
   Si sentì lanciare nel vuoto, proprio come un uccello o, meglio, come un sasso lanciato da una fionda, o un proiettile sparato da una pistola. Velocissimo, cercando di tenere gambe e braccia rigide e distese per imprimere maggiore aerodinamicità e speditezza al proprio corpo ed al contempo ridurre l’attrito, volò verso il buco nella pietra e lo sorpassò, atterrando di schiena, piuttosto rudemente ma del tutto incolume, sulla dura pietra del pavimento dell’entrata segreta.
   «Sei ancora vivo, straniero, o sei precipitato di sotto?» udì provenire dall’alto la voce stupefatta del vecchio custode.
   Jones, prima di rispondere a quella domanda, si riservò un minuto per mettersi in ginocchio e controllare di non avere perduto nulla nel salto, ma il cappello, la frusta e la tracolla erano ancora al loro solito posto.
   «Atterraggio perfetto» comunicò ad Olderico, urlando per far penetrare la propria voce attraverso il piano stradale, che fungeva da soffitto per il passaggio. «Adesso, nonno, vai a berti qualcosa e non dire a nessuno del nostro incontro. Magari, quando uscirò da qui, verrò ad offrirti un’altra birra.»
   Sopra di sé, udì dei passi allontanarsi sul selciato, ed al contempo, nonostante la copertura, sentì chiaramente il vecchio bofonchiare: «Roba da non crederci…»
   Con un sogghigno, Jones concentrò la propria attenzione al tunnel; era buio pesto, e non appena si fosse allontanato dall’entrata non avrebbe più visto ad un palmo dal proprio naso. Sperò che le indicazioni del vecchio fossero corrette e, soprattutto, che non ci fossero dei bivi, là sotto. Non gli sorrideva affatto l’idea di perdersi, nella completa oscurità, in un intricato budello di strade sotterranee sotto Praga. D’altra parte, ormai era lì, e non poteva certo tornare indietro.
   Il passaggio, inoltre, era molto basso; fino a quando il soffitto non si fosse alzato, quindi fino alla fine del ponte, almeno, sarebbe stato costretto a camminare stando in ginocchio, il che non era certo comodo. Ma aveva rinunciato da tempo alle comodità.
   Si trascinò in quella malagevole posizione per un centinaio di metri, avvolto dall’oscurità più fitta e totale; non vedeva praticamente più nulla, e per muoversi era costretto a mettere per prima cosa le mani innanzi e poggiarle sul pavimento per accertarsi che non ci fossero ostacoli. Man mano che avanzava, però, sentendo di essere sempre più vicino alla meta, aumentava anche la propria andatura. Il che, a ben vedere, gli sarebbe potuto risultare fatale.
   Ad un certo punto, difatti, la sua mano non incontrò più la pietra, bensì il vuoto, ma Jones se ne rese conto un secondo troppo tardi, sbilanciandosi in avanti e rischiando di cadere di sotto. Fu un vero e proprio miracolo se, con prontezza di riflessi, riuscì a forzare la propria schiena a tirarlo all’indietro.
   «C’è mancato un pelo» borbottò, rimettendosi diritto per vedere cosa fosse successo.
   Non gli ci volle molto per comprendere che una sezione del passaggio era crollata nel fiume sottostante. Orientandosi con la fioca luce che proveniva dall’esterno, intuì di essere quasi giunto al termine del ponte. Ma c’era un dettaglio, adesso, che sembrava insormontabile, perché, dalla posizione in cui si trovava, non avrebbe certo potuto prendere lo slancio per gettarsi oltre la voragine di almeno quattro metri. Dall’ultima volta in cui il vecchio custode aveva esplorato il cunicolo dovevano essere trascorsi parecchi anni, altrimenti lo avrebbe certamente avvertito che non avrebbe potuto fare molta strada. In effetti, non riusciva proprio ad immaginarsi una persona tanto anziana avanzare carponi in quell’oscurità.
   «Rifletti» si disse. «Sei uscito da situazioni ben più spinose di questa.»
   Perlomeno, in quell’occasione, non stava fuggendo da qualche animale selvatico ed inferocito, né aveva alle costole uomini impazziti che mostravano una vera e propria impazienza di portarsi a casa la sua testa come un trofeo di caccia. Insomma, trovarsi sospeso all’interno di un ponte che non mostrava altre vie d’uscita all’infuori di un salto nel vuoto era una situazione davvero niente male, rispetto a quelle che gli capitavano soventemente.
   Lasciò vagare lo sguardo sull’ostacolo che gli si parava di fronte; dopo attente osservazioni, notò che, lungo la parete di destra, dove un tempo c’era il pavimento, era rimasto un bordo abbastanza sporgente da permettergli di passare. Se si fosse trattato di un passaggio più alto, avrebbe benissimo potuto accostarsi alla parete per strisciare fino all’altro lato, ma non ci sarebbe mai riuscito dovendo stare in ginocchioni; però, avrebbe potuto afferrare quel suo improvvisato passaggio con le mani, lasciandosi nuovamente penzolare nel vuoto, per poi raggiungere la meta a forza di braccia. Riconosceva, ovviamente, che comportarsi in quella maniera gli avrebbe regalato parecchi nuovi dolori muscolari, tuttavia non riusciva a vedere altra soluzione per uscire da quell’impiccio.
   «E se perdessi la presa e cadessi di sotto?» gli domandò una vocina fastidiosa dal profondo del suo cervello. «Cosa faresti a quel punto, eh?»
   «Ci penserei nel cadere» rispose ad alta voce per scacciarla.
   Certo, sapere che pochi metri sopra di lui vi era una comodissima strada che puntava nella medesima direzione in cui egli era diretto, era piuttosto scocciante; d’altra parte, però, non gli erano mai andate troppo a genio, le situazioni confortevoli. Sorpassare un abisso attaccato a mani nude ad un bordino di pietra che avrebbe potuto sbriciolarsi da un momento all’altro facendolo precipitare nel vuoto, rientrava nel suo trantran quasi quotidiano. Per l’ennesima volta, però, la sua mente contemplò tutti gli altri archeologi del mondo, ed il dottor Jones si domandò come fosse possibile che, quelle persone, dovessero affrontare, come rischio massimo, la caduta in una trincea appena scavata e male segnalata da altri colleghi. Non avrebbe mai trovato una risposta, ovviamente, ma quasi si pentì di aver scelto la strada dell’archeologia: se avesse deciso di lavorare come controfigura per gli attori del cinema, perlomeno, avrebbe corso meno rischi ed avrebbe guadagnato di più. D’altra parte, però, che vita sarebbe stata, la sua, senza neppure un briciolo di rischio?
   Decise di non indugiare oltre; non sapendo a che punto fossero i tedeschi con le loro ricerche, infatti, non poteva permettersi il lusso di sprecare tempo standosene rinchiuso per sempre in quel budello freddo e oscuro.
   Per prima cosa, allungò più che gli fu possibile il braccio destro, ed afferrò con forza il bordo frastagliato con la mano; un passo era fatto. Poi, cercando di non pensare al fatto che, se avesse sbagliato le misure, avrebbe finito i suoi giorni tra le gelide acque di un fiume della Mitteleuropa, si spostò di lato con tutto il corpo, per quanto glielo consentisse l’angusto luogo, ed al contempo lasciò scivolare in avanti la mano destra. Infine, anche la sinistra riuscì a stringersi attorno ai resti del pavimento. Adesso, era praticamente accovacciato sul limite del precipizio, con le mani, le braccia e buona parte del busto oltre ad esso e solamente le gambe a trattenerlo ancora al sicuro. Non gli restava che completare l’operazione.
   Sperando che fosse sufficiente a regalargli il giusto coraggio, trasse un profondo sospiro; non bastò, e dovette prendere nuovamente fiato. Avvertì i battiti cardiaci aumentare all’impazzata; perlomeno, adesso aveva in corpo abbastanza adrenalina per potersi permettere di compiere un’azione che, diversamente, non avrebbe mai avuto il coraggio di intraprendere veramente, nonostante tutte le sue buone intenzioni.
   Con lentezza, ostentando una calma che non ricordava di avere mai provato prima, fece avanzare le gambe verso il punto in cui il pavimento s’interrompeva; inizialmente, aveva pensato di tirarle fuori una per volta, ma aveva scartato questa idea immaginando che non sarebbe stato salubre correre il rischio di ritrovarsi con le gambe ad angolo retto in cima ad un precipizio.
   «Se è per questo, non è salubre neppure tutto il resto di ciò che stai combinando» aveva brontolato, prima di avviare quella che sarebbe potuta divenire la ultima azione nella vita.
   I piedi raggiunsero il bordo, ed egli fece in modo che continuassero a procedere, senza ulteriori indugi; improvvisamente, piombarono verso il basso come dei bolidi, trascinandosi dietro tutto il corpo come se fosse stato un sacco. Aspettandoselo, Jones aveva stretto con forza le mani al suo appiglio, cercando al contempo di assumere una posizione che limitasse eventuali danni; ma il peso della propria massa fisica, quando la caduta s’interruppe bruscamente, gli procurò lo stesso uno strappo ai muscoli, specialmente a quelli delle braccia e della schiena, il che lo fece quasi gridare per il dolore.
   In ogni caso, comunque, era appeso saldamente, e adesso sarebbe stato quasi una passeggiata spostarsi lungo il bordo per raggiungere il lato opposto. Quasi.
   Per avanzare, infatti, era costretto a muovere di solamente pochi centimetri le mani, ed ogni volta era costretto a fare una pausa per permettere alle dita di stringersi meglio e ritrovare l’appiglio sulla roccia, che sentiva sbriciolarsi troppo facilmente. In una dozzina di minuti, gli riuscì di arrivare solamente a metà strada. A quel punto, per di più, fu costretto a concedersi una sosta molto più lunga delle precedenti per permettere ai muscoli, che doloravano oltre misura, di riprendersi un poco; ma, anche stando fermo, non poteva certo impedirsi di rimanere appeso in quella scomoda posizione, per cui le sue braccia non avevano, in realtà, alcuna possibilità di ristorarsi dalle fatiche.
   Capì che, rimanersene lì immobile, non avrebbe certamente giovato alla sua causa; anzi, l’avrebbe solamente peggiorata, allungando il tempo da trascorrere in quella sospensione forzata. Riprese ad avanzare. Boccheggiava, i polmoni chiedevano ossigeno, il cuore batteva all’impazzata ed in bocca avvertiva il sapore ferruginoso del sangue; le braccia e le mani sembravano non avere più la forza di reggerlo, e le gambe, rimaste a penzoloni nel vuoto, iniziavano ad addormentarsi.
   «Cristo santo!» imprecò, cercando di trarre nuove energie tra quelle residuate che doveva ancora avere nascoste da qualche parte, sotto la sua pelle coriacea. All’improvviso, vide il pavimento ricrearsi a pochi centimetri dalla propria testa: c’era riuscito, era dall’altra parte.
   Con estrema fatica, e con molta cautela per non vanificare tutti i propri sforzi con un volo di sotto, si issò nuovamente nel passaggio, rimanendo poi sdraiato sulla fredda superficie, respirando a pieni polmoni e lasciando che i muscoli sfogassero tutto il loro dolore. Gli avrebbe concesso qualche istante di tregua, prima di domandargli nuovi sforzi.
   «Sei fuori forma, Jones» borbottò, voltandosi a guardare il pavimento interrotto che aveva appena superato; erano sì e no quattro metri, da percorrere, ma ci aveva impiegato oltre venti minuti. Un tempo lunghissimo, soprattutto se aggiunto a quello che gli sarebbe stato necessario a recuperare le energie. E, mentre lui se ne stava lì fermo col fiatone, i nazisti potevano avere già messo le mani sul pezzo dello Specchio dei Sogni ed essere intenti ad andarsene.
   Cacciò subito quei pensieri cupi, considerando di essere più intelligente di un branco di agenti segreti teutonici; o, almeno, questo era ciò che ardentemente sperava, anche se i ricordi del passato, di un terribile passato che non aveva mai cessato di perseguitarlo, continuavano ad affiorare con prepotenza nella sua memoria, costantemente. Spesso, gli era capitato di svegliarsi di soprassalto, la notte, quando quei medesimi pensieri s’incuneavano nei suoi sogni tramutandoli in incubi.
   Aveva prestato servizio come volontario durante la Grande Guerra, e non aveva mai potuto dimenticare il boato dei cannoni, le esplosioni, il fuoco, i proiettili, i gas e la morte. La morte che vedeva nei corpi straziati ed abbandonati sul terreno e negli occhi ancora accesi di quanti lo circondavano, che potevano essere benissimo gli stessi suoi occhi. E, neppure, aveva potuto cancellare dalla propria testa la freddezza del nemico tedesco, un cinico e spietato combattente del tutto impassibile di fronte alla sofferenza altrui.
   L’inferno… ecco cos’era stato, quel conflitto: un’infernale carneficina. Ed erano stati i tedeschi, i suoi attuali avversari, a scatenarla. Jones vi aveva preso parte, e non voleva che si ripetesse mai più nulla del genere. Ma se i tedeschi erano alla ricerca dello Specchio dei Sogni per rintracciare, in seguito, il Cuore del Drago, evidentemente convinti che quel manufatto avrebbe donato al suo possessore l’invincibilità necessaria a conquistare il mondo, nulla avrebbe impedito loro di scatenare un’altra guerra, ancora più devastatrice della precedente, che avrebbe annientato e cancellato per sempre dalla faccia della Terra gli ideali di libertà e di giustizia creati dall’essere umano lungo tutta la sua millenaria storia. Il pensiero che qualche giorno addietro lo aveva sfiorato, riguardo la fine delle civiltà del passato e di quelle attuali, tornò a pararglisi nella mente. Indiana Jones non avrebbe potuto permetterlo. Non poteva restarsene lì fermo, a risposarsi, con una prospettiva del genere di fronte.
   Di scatto, si rimise in moto, avanzando a tentoni nell’oscurità, deciso a raggiungere quanto prima gli fosse stato possibile l’entrata ai sotterranei del castello.
   Ben presto, si lasciò il ponte alle spalle, ed alcuni gradini ripidi e consunti lo portarono più in basso, facendo sollevare il soffitto e dandogli agio, finalmente, di poter camminare eretto, il che gli permise di accelerare l’andatura, seppure non di molto; brancolando praticamente nel buio, non voleva correre troppo con il rischio d’inciampare su qualche ostacolo invisibile e farsi troppo male per continuare a muoversi. Là sotto, inoltre, non lo avrebbe trovato nessuno, quindi non poteva certo contare sui soccorsi, in caso di un incidente; l’idea che un suo collega archeologo del futuro, magari dell’anno 2000 o più tardi ancora, s’imbattesse in uno scheletro con addosso i resti marcescenti di un cappello, di una giacca di pelle, di una frusta, di una tracolla e di una fondina contente una vecchia pistola rugginosa non lo allettava affatto. In più, qualche anno prima, aveva giurato a sé stesso che avrebbe raggiunto il 2000 ancora in vita ed in perfetta salute per constatare di persona se ci sarebbe stata oppure no la fine del mondo, come qualche millenarista dell’ultima ora sosteneva, e voleva rimanere fedele alla parola data.
   Comunque, non gli accaddero altri incidenti, e ben presto, superate salite, discese, brevi tratti di scala e corridoi più o meno lunghi e più o meno diritti, raggiunse la propria meta, ossia una porta di legno dall’aria decisamente massiccia; i suoi occhi, oramai, s’erano abituati all’oscurità, per cui non gli fu difficile vederla e poté fermarsi prima di andare a sbattervi contro.
   A tentoni, riuscì a trovare la maniglia della porta, e provò ad abbassarla, ma non accadde nulla, perché la ruggine l’aveva corrosa fino a bloccarla. Facendo ricorso a tutte le proprie forze, fece peso sulla leva, sperando di ottenere qualche risultato positivo senza fare troppo rumore. Questa volta, però, utilizzò troppa energia, e la maniglia si staccò di netto, togliendogli il proprio appiglio e mandandolo a ruzzolare sul pavimento.
   «Maledizione» borbottò, rialzandosi a fatica.
   Una volta in piedi, studiò nuovamente la porta. Be’, se non avesse voluto aprirsi con la maniglia, l’avrebbe abbattuta, anche al costo di doversi disfare le ossa prendendola a spallate. Per fortuna il vecchio gli aveva detto che gli sarebbe stato sufficiente spingerla, il che significava che essa si apriva verso l’interno dei sotterranei del castello, e non nella direzione del suo passaggio segreto.
   «Forza, Jones, non arrenderti alla prima difficoltà» pensò, mentre si accostava con il tutto corpo alla porta ed iniziava ad esercitarvi una costante pressione.
   Inizialmente, il pesante uscio rimase saldamente chiuso, come se fosse stato un tutt’uno con la parete circostante, ma poi, un poco alla volta, millimetro dopo millimetro, cominciò a cedere sui cardini rugginosi e cigolanti. All’improvviso, come se si fosse ricordata solo in quel momento che la sua funzione era quella di aprirsi e di chiudersi, la pesante porta scattò in avanti, facendo crollare per l’ennesima volta al suolo lo stupefatto archeologo. E, una volta di più, egli si alzò da terra, asciugandosi sui pantaloni le mani che gli si erano bagnate al contatto con l’acciottolato, e si guardò attorno per cercare di capire dove fosse capitato.
   Adesso, si trovava all’inizio di un lungo corridoio di pietra, le cui alte e nude pareti erano in parte rischiarate dalla fioca luce che penetrava da alcune fessure presenti all’altezza del soffitto; si udivano gocce di umidità cadere al suolo, ed uno zampettìo continuo unito, di quando in quando, a qualche squittio, lo informò che quel luogo era frequentato da topi che si mantenevano invisibili ai suoi occhi.
   «Perfetto» commentò.
   Era giunto nei sotterranei del castello, finalmente. Il che, tradotto meglio, voleva dire essere penetrato all’interno della sua destinazione facendola in barba a tutte le guardie dislocate nei pressi delle entrate superiori. Non gli restava altro da fare che trovare una via d’uscita da quel budello scavato nella terra e raggiungere la torre di Vega, la sua presunta meta finale, sperando che le difficoltà fossero finalmente superate. Se non si fosse imbattuto in un qualche tedesco, magari, le cose sarebbero filate lisce come l’olio, da quel momento in avanti.
   Avendo a disposizione una sola direzione da poter seguire, s’incamminò, deciso a scoprire dove lo avrebbe condotto quel corridoio.
   
 
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