XI
A mia madre
«Un
drago da cui
estrarre il cuore ora ce l’hai, senza bisogno di prendere i
cuccioli» gli fece
notare Krugar.
«Non è così
semplice» sospirò Adam davanti
all’inettitudine e alla superficialità
dell’altro, «Il cuore deve essere estratto ancora
funzionante. Non mi serve a
nulla un cuore fermo, perché non pompa e non produce
energia.»
«Quindi ti servono
draghi vivi» concluse l’orco,
«Fantastico!»
Perché
mi sono imbarcato in questa faccenda?
Si maledisse tra sé.
L’impresa stava
risultando più rischiosa del previsto. Non che si aspettasse
di vedere i draghi
salire a branchi sulla propria nave, ma stava iniziando a dubitare che
sarebbe
riuscito ad uscirne vivo.
In quel momento un
suono agghiacciante attraversò l’aria, gelando il
sangue nelle vene all’orco:
aveva già sentito quel verso sordo e gutturale, simile ad un
tuono che romba in
lontananza, era il suono che emettevano gli Ardrir poco prima di
attaccare.
«Capitano» balbettò
uno dei suoi sottoposti, tremando come una foglia, «Ne stanno
arrivando altri.»
All’orizzonte si
profilarono tre ombre filamentose, che assunsero lentamente i contorni
di tre
Ardrir: erano più piccoli di quello che avevano appena
abbattuto, e più
giovani, il rosso delle loro estremità era brillante e
lucido e non cupo come
il vermiglio che chiazzava le ali del loro predecessore, segno che
avevano
iniziato da poco a produrre a accumulare veleno.
«Sono i fratelli
maggiori» osservò Adam.
«Sarà molto più
semplice abbatterli» commentò Krugar, facendo
roteare la spada con aria
baldanzosa.
L’aver ucciso
l’Ardrir l’aveva insuperbito: se era riuscito ad
eliminare un drago di quelle
dimensioni, sconfiggere quei draghetti, che erano grandi la
metà e poco
esperti, sarebbe stato semplice e veloce come svuotare un boccale di
rum.
«Preparatevi all’impatto!»
ordinò,
nello stesso istante il primo dei draghi si slanciò contro
lo scafo, trovando
il duro osso ad accoglierlo.
«Ma sono tutti così ritardati?» si
domandò, scorgendo la bestia retrocedere confusa e stordita,
«È già il
secondo che ci prova»
«Non penso siano abbastanza intelligenti da distinguere
una nave di legno da una fatta di ossa di balena» fece notare
Adam.
«Tanto meglio!»
replicò Krugar assumendo la posizione di guardia,
«Più sono stupidi, più cadono
facilmente.»
Gestire tre Ardrir
contemporaneamente si rivelò essere più
complicato: dovevano difendersi su più fronti dal
momento che attaccavano da punti diversi, cercando di far ribaltare o
precipitare la
nave, fustigandone i fianchi con le code serpentine e tentando di
tranciare chiunque
provasse ad avvicinarsi.
«I cannoni!» urlò
qualcuno, «Provate ad allontanarli con i cannoni!»
I boati delle
detonazioni iniziarono a riempire l’aria, mentre volute di
fumo grigio,
oscurarono il cielo. I colpi, però, sembravano avere effetto
e gli Ardrir
sferravano attacchi in maniera meno accanita, impegnati a schivare le
palle di
cannone.
«Facciamo vedere loro che non basta una lucertola troppo
cresciuta per abbatterci!» urlò Krugar iniziando a
ridere
sguaiatamente, dondolando dalla sartia a cui era appeso, sporto verso i
draghi.
Gli assalti degli
Ardrir si erano affievoliti, volavano nervosamente attorno al vascello,
cercando un punto vulnerabile in cui sferrare l’attacco, ma i
fischi delle esplosioni gli facevano ritrarre spaventati: quelle strane
uova nere e dure
avevano già provocato danni più o meno gravi, la
coda di uno dei draghi aveva
perso una delle pinne e un’altra palla aveva lacerato il
fianco di un altro
Ardrir, ma senza ferirlo gravemente.
Improvvisamente, uno
scossone sconvolse l’imbarcazione e un tonfo terribile si
propagò nell’aria e
nelle assi, che tremarono come in preda alle convulsioni. Una massa
azzurra e
snella era piombata tra gli uomini urlanti.
Il primo Ardrir che
aveva attaccato, più piccolo e agile, si era insinuato tra
il sartiame ed era
precipitato direttamente sul ponte.
«Merda» fu il
lapidario commento di Adam. Il corpo del drago si contorceva
convulsamente. I
movimenti della creatura erano limitati dallo spazio ristretto, ma
proprio per
questo risultavano più devastanti: ad ogni suo spostamento
mieteva vittime. I
pirati iniziarono a fuggire, gridando come dei forsennati, cercando di
sottrarsi alle ali letali dell’animale, e calpestandosi
l’un l’altro nel
tentativo.
«Smettetela di
comportarvi da checche» sbraitava Krugar, cercando di
ristabilire un minimo di
ordine.
Gli altri due draghi
non avevano smesso di attaccare, e l’equilibrio
dell’Andromeda, gravata da quel
peso supplementare, era seriamente compromesso. Il drago flagellava il
ponte
con la coda, cercando di abbattere gli alberi, ma questi,
fortunatamente, erano
stati rinforzati da un’armatura di acciaio per resistere alle
correnti più
violente e alle tempeste. Nonostante questo, se non si fossero
sbarazzati di
quel drago impazzito si sarebbero sfracellati: l’Andromeda
stava perdendo
quota, scossa e sfiancata dai colpi dei draghi, e Ariel riusciva a
fatica a
mantenerla stabile. Si aveva come l’impressione di essere su
una giostra, e gli
uomini venivano scaraventati da una parte all’altra
dell’imbarcazione come
marionette a cui fossero stati tagliati i fili. I pirati erano abituati
a
quegli sballottamenti, avevano affrontato tempeste e mareggiate, e
riuscivano a
contrastare gli strappi bruschi e improvvisi, ma Adam veniva scagliato
con
forza da una parte all’altra, simile ad una bambola di pezza,
e il suo volto
abbronzato era virato ad un inconsueto pallore per stabilizzarsi su una
sfumatura verdognola. Aggrappato al parapetto, cercava di trattenere
nello
stomaco ciò che risaliva ostinatamente.
«Mozzategli la coda»
comandò Krugar, slanciandosi contro il drago.
Questi si avvide del
suo arrivo e gli sbarrò la strada con le ali membranose.
Adam, si trovò improvvisamente davanti
agli occhi quella muraglia membranosa color acquamarina, e solo per un
miracolo
era riuscito a schivarla all’ultimo. L’ala era una
struttura portentosa,
sostenuta da uno scheletro sottile che si intuiva in trasparenza, le
cui
appendici andavano oltre la membrana, decorando l’ala con
spuntoni d’osso
letali, incastrati tra le assi del ponte. L’orco non
si era fatto cogliere di sorpresa e, aggrappatosi ad una sartia per
evitarla, ruotava sopra il drago, facendolo imbestialire. Il mostro
muoveva freneticamente la coda, nella speranza di abbattere quel
moscerino verde che gli ronzava attorno. La nave si inclinò
paurosamente e Adam si ritrovò l'osso della balausra
conficatto nello stomaco già provato.
Il tuono di una detonazione e il fischio di una palla, che lacerava
l’aria, sovrastarono la cacofonia sonora che aveva perturbato
il silenzio quasi sacrale delle Kal Schelas . La coda del
mostro, che si contorceva
convulsamente nell’aria, venne squarciata nel bel mezzo del
suo movimento, in
un’esplosione di sangue verde e squame. Adam
rotolò su un fianco per sottrarsi
al mozzicone, che cadde con un tonfo a poca distanza da lui in una
pioggia di
sangue vischioso. Il rimasuglio sobbalzò e
strisciò per qualche metro,
spargendo un rigagnolo verde tutto attorno, per poi rimanere immobile,
immersa
in un viscido lago.
Il Dragoron vomitò.
L’Ardrir emise un
verso straziante e infuriato si torse, spandendo le sue ali letali
tutto
attorno, con l’intenzione di vendicare la sua
perdita.
«Bisogna
colpirli in
mezzo agli occhi, nel cervello, o al cuore» riferì
un altro.
Con
una capriola,
Krugar atterrò sopra la testa dell’animale, con
grande disappunto di
quest’ultimo.
L’attenzione
del
drago era stata distolta dalla nave, concentrandosi solo sulla formica
verde
che danzava sulla sua testa, aggrappata a uno dei corni, per mantenere
l’equilibrio. L’Ardrir iniziò a
dibattersi per tentare di scrollarsi di dosso
l’ospite indesiderato, ma Krugar resistette. In equilibrio
precario sulla
fronte dell’animale, la percorse fino a giungere a poca
distanza dagli occhi
gialli e squamosi, lacerati da un sottile squarcio verticale che
costituiva la
pupilla.
Allargò
le gambe per
stabilizzarsi e sotto lo sguardo strabiliato di Adam sollevò
la spada e infilzò
l’Ardrir.
Il
mostro emise un
verso acuto e straziante di dolore e disperazione, ma l’orco
non si fece
impietosire e affondò ancora di più la lama nella
pelle sensibile e
vulnerabile. La bestia aveva smesso di dibattersi, completamente
assoggettata al
dolore indicibile che si irradiava dalla sua fronte. Con uno scatto,
Krugar
rigirò la lama e la estrasse, assieme ad uno spruzzo di
sangue verde e
cervella.
Il
drago smise di
divincolarsi e giacque immobile.
Gli
altri due
draghi, addolorati per la perdita del fratello, intensificarono le
cariche,
incuranti dei proiettili.
«Abbiamo
finito le
munizioni» fu il grido angosciato di uno dei pirati.
L’Andromeda
era
ormai in balia della furia degli Ardrir. Privi di munizioni, avevano
rinunciato a lanciarsi contro di loro con le armi sguainate: i
movimenti improvvisi dei draghi e della nave
modificavano la traiettoria, facendo andare a vuoto i colpi.
«Mi
spiace molto,
Duca» Krugar si avvicinò ad Adam. Quest'ultimo era
ancora piegato su se stesso, sebbene avesse smesso di
vomitare, ma solo perché non era rimasto più
nulla da rimettere.
«Temo
che
l’ultima immagine che avrò di te sarà
quella di un damerino vestito da idiota
che vomita sul ponte della mia nave. Non molto lusinghiera, in
effetti…Mi
spiace solo che sia finita così.»
In
quel momento il
cielo venne rischiarato da una vampata e un forte odore di zolfo si
diffuse
nell’aria.
I
colpi alla nave
erano diminuiti e solo un Ardrir ancora si accaniva contro di essa.
«Che
sta
succedendo?» era la domanda che rimbalzava di bocca in bocca.
Krugar non si
interessò alla questione: ciò che contava in quel
momento per lui era che
potesse finalmente affrontare l’Ardrir ed eliminarlo,
approfittando del
vantaggio temporaneo.
«Aprite
le bocche di
fuoco!» fu l’ordine repentino.
Gli
uomini
richiamati all’ordine scemarono sotto coperta e azionarono
gli argani con cui
il fianco dell’Andromeda si squarciò, rivelando
una fila di pozzi neri come la
pece e dall’aria minacciosa.
All’apparenza
potevano sembrare cannoni qualsiasi, ma quei gioielli di ingegneria
sputavano
un fuoco che non poteva essere estinto con l’acqua, e anzi si
nutriva della
stessa.
La
formula di quel
prodigio era costata cara a Krugar, ma si erano rivelati soldi molto
ben spesi:
il fuoco inestinguibile mandava in confusione persino i suoi nemici
più
ostinati e coraggiosi.
«Io
attirerò il
drago all’altezza delle bocche. Pronti a fare
fuoco!»
L'abbraccio
delle fiamme
avrebbe avviluppato quel mostro.
Non
si serviva
spesso delle bocche di fuoco, dal momento che i materiali per produrlo
erano
difficili da reperire, ma quella era un’emergenza e grazie
all’agevolazione
provvisoria, sarebbero riusciti ad ustionare lo scocciatore, quel tanto
che
bastava perché battesse in ritirata.
Krugar
si gettò
contro il drago e svolazzò attorno alla sua testa: aveva
recuperato una pistola
e scaricava i colpi contro la testa dell’animale, per
infastidirlo e attirare
la sua attenzione.
L’Ardrir
si avventò
contro di lui e l’orco proiettò il suo corpo verso
il fianco. Le bocche erano
spalancate, mostrando i loro neri abissi rigurgitanti fuoco e fiamme.
«ORA!»
sbraitò il
capitano, nel momento stesso in cui il corpo serpentino del mostro si
inerpicava lungo il fianco, per raggiungere quel fastidioso moscerino e
schiacciarlo.
Le
bocche si
accesero e una fiammata colossale partì dal fianco della
nave e colpì la pelle
sensibile dell’addome e del torace del drago. Un forte odore
di carne bruciata
si diffuse nell’aria assieme ad un gemito acuto e straziante.
L’Ardrir
si innalzò
verso l’alto, la parte anteriore che fumava e sfrigolava, il
capo ritorto
all’indietro, la bocca schiumante e la sofferenza impressa in
ogni membra. Il
mostro rimase sospeso per un momento, stagliandosi contro il cielo
terso, per
poi precipitare.
«Dove
è finito
l’altro?» domandò Krugar. Aveva i
vestiti anneriti e i capelli bruciacchiati,
ma per il resto era illeso.
«Un
drago!» esclamò
qualcuno, «Un drago di rame sta attaccando
l’Ardrir!»
Il
pirata si fiondò
sulla poppa, dove sembrava essersi spostato il combattimento:
l’unico
superstite si stava accanendo contro un drago di sembianze simili,
anch’esso
filiforme e sinuoso. Ma le squame di quest’ultimo
risplendevano di una luce
metallica e il suo corpo era percorso da tubicini in cui era
convogliato un
liquido giallognolo, sulla fronte scintillava una runa che spandeva una
luce
viola ogni qualvolta il drago si apprestava ad attaccare.
Una
nuova fiammata
venne eruttata dalla gola del drago in direzione degli Ardrir ed una
delle ali
accessorie venne bruciata, facendo emettere all’offeso un
latrato lacerante di
dolore.
«Chi
è?» domandò uno
dei suoi sottoposti, osservando l’apparente maestria e
facilità con cui
riusciva a sottrarsi ai tentativi dell’Ardrir di abbatterlo.
L’orco
aveva
riconosciuto il drago e non voleva credere ai propri occhi: aveva
ucciso quel
bastardo, l’aveva visto cadere in mare, venire inghiottito
dalle onde e l’acqua
tingersi di rosso!
Con
un ultimo colpo
il drago di rame costrinse alla ritirata anche l’ultimo
sopravvissuto che si
dileguò in un lampo azzurro.
L’animale
meccanico
si avvicinava inesorabilmente, puntando l’Andromeda, i
contorni del suo
cavaliere si fecero man mano più nitidi e terribili: da
un’indistinta
macchietta scura prese forma una figura slanciata, circondata da lunghi
capelli
rossi, come il sole al tramonto. La gamba sinistra era abbandonata
mollemente
contro il fianco del drago e all’altezza della caviglia, un
rigonfiamento
segnava la presenza di una fasciatura.
Un
rigonfiamento si
intravedeva anche all’altezza del braccio destro, rilassato
contro il dorso del
drago.
«Arandil»
esalò
Krugar, incredulo.
«Ma
non era morto?»