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Autore: Testechevolano    07/08/2017    1 recensioni
Una bambina viene abbandonata misteriosamente sulla porta di un monastero con una croce che sembra portare il peso di quell'azione. Viene chiamata Suryan, come il sole che sembra portare dentro.
Sembrava che quella croce le volesse cadere addosso ma era solo un'incisione, non poteva. Ma la donna sapeva che se avesse potuto l'avrebbe già schiacciata[...]Se lo meritava.
Ella viene allevata dalle suore del convento e segue le loro orme insieme alla sua inseparabile amica Judit.
Judit, nonostante fosse contro le regole, aiutò Suryan a sistemarsi. Sapevano che la vera arma per mantenere un segreto era quella di non farne parola nemmeno fra di loro.
Il passato di Suryan però non ha niente di più lontano dalla chiesa, anzi. Il suo passato parla di perseguitazioni, di superstizione, mistero ma soprattutto di una profezia.
Beatrix fece volare il bicchiere con un solo gesto e lo face finire in grembo al cugino, che sorridendo lo fece fluttuare alzando semplicemente lo sguardo. Il contenuto del bicchiere tremò. I due cugini si guardarono negli occhi.
Bombe. Spari. Urla.
-Benvenuto all'inferno, cugino.

Coppie principali femslash ed het.
Genere: Guerra, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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IX


I civili si apprestavano a lasciare libera la piazza per l'ora di cena; piano piano la folla accalcata ad alcune bancarelle cominciava a sciamare, lasciando un silenzio interrotto talvolta dai borbottii dei negozianti o dal miagolio di alcuni gattini. Accarezzò il pelo di uno di quei gatti, morbido come lo ricordava.
Hector avrebbe trascorso la vita intera ad accarezzare quei morbidi felini, non si curava assolutamente dell'immagine di lui che poteva crollare agli occhi dei delinquenti con cui aveva a che fare.
Il micio miagolò entusiasta, prima di chiudere gli occhi verdissimi. Se prima non avesse scorto quelle gemme luminose, non avrebbe identificato la presenza felina: il pelo nero lo nascondeva agli occhi.
Lo sollevò pian piano ed osservò una parte del suo corpicino. - Sei una femminuccia, eh? Vorresti venire con me? Non ho molte ladies intorno al momento.
Con le zampette finalmente al suolo, la gattina strofinò una di esse sul musetto. Era un sì?
Hector strinse le spalle e la sollevò di nuovo, la avvolse nel mantello e proseguì, diretto in un posto a lui familiare. Sperò che i compagni non l'avessero abbandonato, di nuovo.
La mocciosetta aveva ceduto e l'aveva fatto rilasciare, o meglio scappare, e ancora non riusciva a trovare il perché del suo gesto.
La prima volta che l'aveva vista, l'aveva trovata semplicemente bella nella sua aura di arroganza. Lo aveva squadrato dall'alto al basso al di là delle sbarre più di una volta, o almeno era quella l'impressione che gli aveva dato inizialmente. Si era accorto, con l'aumentare delle visite, che quello sguardo tradiva pietà. E sofferenza. Un mondo a cui lui non avrebbe potuto, in nessun modo, avere accesso.
Ascoltò il miagolio della gatta, che non sembrava trovarsi a disagio, e guardando quegli occhi verdi e quel pelo nero un nome gli sovvenne. - Sai, credo proprio che dovresti chiamarti così.
Chissà se Judit, in qualche modo, aveva avuto a che fare con quella scenata della fuga.
Non ebbe il tempo di proseguire oltre con i suoi pensieri che si ritrovò davanti la sua meta. L'insegna di un pub abbandonato da anni, recava l'incisione di un sole tagliato quasi a metà. Leggendo il titolo - Sole di Mezzanotte - non v'erano dubbi circa il motivo della chiusura. Per chiamare un pub in quel modo, il coraggio non doveva di certo mancare al proprietario.
Poggiò la gatta per terra e le parlò, come se potesse comprendere ogni sua parola: - Resta qui, ora un deficiente mi attaccherà.
Bussò e, come di previsione, una figura scattò nella sua direzione. Prontamente Hector la schivò e sfruttò l'incredulità di quest'ultimo per afferrargli il braccio teso in avanti e immobilizzarlo dietro la schiena. Il secondo pugno era pronto per essere assestato, ma Hector, conoscendo la forza dell'amico, giocò la carta delle parole. - Ciao Kirkretino, sono felice che voi non mi abbiate abbandonato.
Il pugno rimase fermo a mezz'aria. Kirk si voltò di scatto ed Hector poté scorgere i suoi occhi neri come la pece, dopo tanti mesi.
- Sei.. sei tu?! Cielo, entra!
Lo afferrò dal mantello, ma il maggiore oppose resistenza. - Aspetta, devo scortare la mia lady.
Kirk capì al volo, Hector glielo lesse negli occhi esasperati, prima di riprendersi la gatta.
Entrarono immediatamente nel pub, non prima di essersi guardati attorno, nessuno li aveva visti.
Una volta dentro, Kirk non si curò più della discrezione e subito i suoi passi pesanti risuonarono per tutto il pub. Una Globisplendente galleggiava sopra un bancone abbandonato al suo destino, i gomiti di un ragazzo magrolino erano poggiati su di esso. Hector ne vedeva il profilo: un volto scavato, graffiato sulla guancia, ciocche color pesca.
- E questo qui chi è?
Il ragazzo si voltò lentamente. Non sembrava sorpreso di vedere lì un estraneo. Hector notò che gli occhi erano di un azzurro intenso e le orecchie a punta. Capì immediatamente.
- È una fata sopravvissuta alle incursioni degli uomini di Genevieve, i suoi poteri sono stati sigillati durante l'attacco, l'abbiamo recuperato dopo la tua cattura. È più intelligente di te!
Dumont accigliò lo sguardo. Le fate vivevano nei boschi della Luna, erano autonome e raramente si intromettevano nella vita delle streghe; preferivano stuzzicare gli ignoranti. Quegli esseri, se prima non si domavano, erano capaci di incantare i viventi, eccezion fatta per le streghe di tenebra, che potevano arrestare i loro poteri con i propri.
Quella fata, in quel momento, gli sembrava impotente, come se gli avessero strappato via le ali. E chi gli assicurava che non fosse proprio così? - Come ti chiami?
- Daraen - rispose, con assoluta calma.
Non ebbe il tempo di fare altre domande che Olivia entrò noncurante nella stanza. Aveva tinto i capelli di una scura tonalità di verde, ben si adattavano agli occhi scuri. Lanciò uno sguardo veloce in direzione di Hector, poi borbottò: - Toh, alla fine sei evaso.
L'uomo mise la sua migliore espressione sarcastica. - Toh, che accoglienza. Potreste fingere di essere contenti? - si fece serio - Piuttosto, che ci fate qui se non per me?
Kirk si sedette vicino a Daraen, che continuava a guardare Hector con curiosità. I due compagni di avventure non avevano perso tempo a sostituirlo quando lui era stato catturato, con che personaggio, poi!
Con i loro vent'anni suonati, Hector e Olivia erano i membri più grandi del loro gruppetto. Kirk, diciassette anni, era quello piccolo e coccolato, Dumont l'aveva incontrato anni prima insieme a Olivia: erano amici d'infanzia, scampati ad un assalto improvviso, entrambi venivano dalla Luna. Hector si era preso cura delle loro ferite e quei due lo avevano seguito. "Tanto non abbiamo un posto in cui tornare".
- Con il tuo misero piano, avevamo perso l'occasione di prendere quei soldi. Dopo aver arruolato Daraen, ci abbiamo riprovato. Abbiamo impiegato mesi, ma il piano non ha fatto acqua da nessuna parte ed ora abbiamo un bel gruzzoletto - asserì Olivia.
- E poi siamo stanchi di doverti sempre tirare fuori, solo perché tu ami il rischio e ti fai sempre prendere come un salame - continuò Kirk.
Hector si arrese. - Okay, okay, da oggi si farà sul serio. Ottimo lavoro Dar, ma ancora ci serve denaro, dopotutto arrivare al Tempio richiederà tempo e morire di fame o di freddo non è nei miei piani.
Olivia sbuffò. - Sempre che il Tempio esista. Dumont si avviò verso la porta che conduceva alle camere, fingendo di non aver sentito. - Io vado a farmi un bagno e poi dritto a letto. Voi prendetevi cura della mia principessina - indicò la gatta.
- Come si chiama? - gli chiese Kirk. Hector sorrise nuovamente, furbo. - Judit, si chiama Judit.





Beatrix si fermò al confine tra la neve e il bosco incantato, privo di essa. Voltandosi, vide che Suryan si era fermata di colpo, quasi fosse stata distratta fino a quel momento. Quando i loro occhi si incontrarono, la suorina sussultò, reazione che fece scaturire un sorrisetto da parte della corvina.
- Niente velo oggi? Ti senti forse una ribelle?
L'espressione sul volto della ragazza si corrucciò immediatamente, ma non le diede il tempo di ribattere. - Potrai ostentare tutta la sicurezza di questo mondo, ma davanti a me è assai difficile, lo sai? Hai ancora bisogno di una balia, il fortunato sembrerebbe Jasperino... - si rese conto che quelle parole non avevano esattamente un senso e si meravigliò. Solitamente sapeva sempre cosa dire, non era solita lasciarsi guidare dalla sua bocca senza interpellare prima il cervello.
Quella ragazza doveva sicuramente avere un potere straordinario per stordirla in quel modo.
- Che cosa vuoi da me?
L'espressione di Suryan era mutata. Lanciava lampi dagli occhi verdi, quelli magici a confronto facevano meno male, pensò mentre un'idea attraversava la sua mente.
- Voglio capire che razza di potere hai, una volta per tutte.
Senza aspettare risposta, si gettò su di lei e le afferrò le braccia. La spinta fece cadere entrambe per terra, sull'erba fresca. I mugolii di protesta di Suryan si persero nel rumore dei loro corpi, l'uno sopra l'altro, che rotolavano per terra.
Rallentarono e poi si fermarono. Suryan non l'aveva fermata con il suo potere, non ne era stata in grado e adesso Beatrix si trovava con il grosso seno schiacciato a quello piccolo di lei e con le labbra a pochi centimetri dalle sue; probabilmente, durante la ruzzolata, le aveva sfiorate.
Non appena gli occhi dell'apprendista si spalancarono, Beatrix venne respinta malamente, atterrando accanto a lei.
Si alzò a fatica giusto il tempo di vedere le guance dell'altra tingersi lievemente di rosso. - Ma che ti è saltato in mente, Santo Cielo!
Riprese il fiato e, con un po' di amarezza, girò i tacchi. - Niente, eh? - si guardò in giro, poi riprese a guardare lei: - prima di arrivare al monte Dargos ci recheremo dalle Ninfe per ritirare una cosuccia che potrebbe servirci. Mettiamoci in marcia, adesso.
Suryan non mancò di risponderle male, ma Bea non l'ascoltava più. Pensò che l'unico potere che per il momento era certa fosse in possesso di quella ragazza, altro non poteva essere che la capacità di attirare la sua attenzione, qualunque cosa facesse.





- Una cena a corte? - sibilò Judit, che non si premurava di fingersi interessata.
Aveva trascorso tutto il pomeriggio nella stanza di Carol a guardarla leggere, sbuffando di tanto in tanto nella speranza di essere cacciata. I capelli biondi di quella ragazza le rammentavano una biondina conosciuta quando ancora frequentava l'istituto pubblico, una bambina altezzosa e antipatica.
Alle campane del vespro, per poco non si era alzata per tirarle i capelli, quando la signorina se ne era uscita con un "Domani sera presenzieremo ad una cena qui a corte" senza distogliere lo sguardo dal tomo verde. Il fastidio che aveva provato fino a quel momento mutò in curiosità.
- Saranno presenti il Tesoriere, il figlio e alcuni nobili del Paese. Domattina ti dedicherai alla memorizzazione dei loro nomi e di pomeriggio ti allenerai sulla postura e il comportamento a tavola. Prima ci sarà un ballo, mi auguro tu sappia ballare. È tutto, puoi ritirarti.
Judit non se lo fece ripetere. Scappò da quella stanza di corsa, senza inchinarsi, troppo presa da un pensiero che si faceva largo nella sua mente. Il suo sogno: lei che ballava fasciata da un bellissimo vestito, Hector che la guidava in quella danza.
Se era vero che i suoi sogni erano profetici, allora non aveva nulla da temere: lui sarebbe venuto, l'avrebbe visto!
Si gettò sul letto, ancora euforica si strappò il nastro dai capelli e si coprì gli occhi con le mani. Magari l'avrebbe fatta evadere, sarebbero tornati a Osternia e si sarebbe ricongiunta con Suryan!
- Ah, ma che sto dicendo?
Si alzò aiutandosi con entrambi i gomiti, una volta ricompostasi. Si avvicinò alla finestra e osservò l'immenso panorama che si stagliava oltre il giardino. Tante piccole luci illuminavano la città, che doveva essere molto grande. Hector doveva essere ancora lì, da qualche parte, per qualche ragione lo immaginò nascosto in uno dei tanti punti scuri lontani dalle luci.
Si chiese quanto fosse lontana dal monastero, dalla vita che era stata sua per molti anni. In quel palazzo, nulla le apparteneva, neanche la sua vita. Era costretta a pendere dalle labbra di altre persone, come del resto faceva al monastero. Sembrava una condanna, la sua.
Pensò ad Hector, a quanto si fosse sentita libera parlando con lui. Avrebbe dato qualsiasi cosa per riassaporare quella libertà.





In mezzo al verde e agli alberi, Suryan guardava sbigottita cotanta bellezza. Fin da piccola adorava i boschi, le campagne; purtroppo però poteva visitare solo il piccolo spiazzale del monastero che non aveva alcuna vegetazione; raramente era salita da piccola con Judit in montagna. Vide poco più avanti un cespuglio di rose rosse, dietro un albero. Erano così belle.
- Ti piace molto qui?
Jalice le si avvicinò prendendola a braccetto, ridendo di gusto quando vide la reazione spaventata di Suryan.
- Ti spaventi proprio di tutto, tu!
Suryan fece un respiro profondo e rispose stizzita: - Vorrei vedere te nella mia situazione. Sono arrivata qui e mi hai fatto vedere come sapevi far fluttuale una radio e la mia amica è ancora dispersa, dopo aver ucciso un uomo..
- L'ha fatto per difendersi, non era una brava persona, fa parte dei seguaci del Sole.
- Magari aveva famiglia ed era solo obbligato nell'essere parte di tutto ciò. Non credo gli abbiano dato scelta, esattamente come tutti voi. Se aveste potuto scegliere non apparterreste alla Congrega dell'Occhio ma a qualcosa di più rilevante. Sbaglio?
Jalice non fiatò, lì intervenne Helga. - Non puoi parlare di cose che non sai.
- Ha il diritto di farlo, la stiamo trattenendo quasi contro la sua volontà in un posto speciale che non conosce, con persone che non le dicono nulla e che ancora non hanno mosso un dito per lei se non farle dare delle lezioni generali sulla nostra storia. Mi sbaglio, Suryan? Dove vorresti essere ora?
Beatrix guardò dritta negli occhi di Suryan, benché non fu lei a parlare. Jasper aveva espresso quel pensiero che aveva riscaldato il cuore di Suryan. Aveva così tanto bisogno di comprensione, di qualcosa di umano e Jasper, senza che lei glielo chiedesse, l'aveva appena fatto.
Dopo attimi di un silenzio pesante, Suryan guardò Beatrix ma seguì poi il suo cuore, tornando su Jasper.
- Mi sento così incompresa qui. Tu, Jalice, quando ci siamo conosciute mi hai detto "io morirei se al posto di Judit ci fosse stata Beatrix", nonostante ciò nessuno mi ha proposto un piano per ritrovarla, se ancora viva! Avete solo pensato che so neutralizzare i vostri attacchi, di trovare la mia famiglia, parlare con le suore che mi hanno cresciuta... non sono una macchina da guerra, non credo di aver alcun potere perché penso si sarebbe mostrato, ma non è mai uscito fuori nulla se non neutralizzare voi! Io voglio trovare la mia amica, non partire in missioni che non mi interessano. Mi avete ospitata, è vero - fece un respiro profondo e poi continuò, stringendo attorno al suo pugno il Crocifisso situato attorno al collo - ma nessuno di voi ha cercato di aiutarmi.
Un rumore fece girare tutti verso Beatrix, che aveva appena lanciato una pietra contro un albero, che magicamente si era aperto mostrando una porta.
- Ne parleremo più tardi a casa. Siamo appena arrivati dove dovevamo arrivare. Jasper, visto che sei l'unico a capire le esigenze di questa ragazza, riportala a casa. Chiama mia madre e parlale di questa sua amica. Gli altri per favore, con me.
Suryan stava per obiettare quando Beatrix la fulminò: - È meglio se non dici altro.
Dopo di che si avvicinò alla porta-albero, entrando seguita da tutti gli altri a parte Jasper, che delicatamente aveva preso con sé Suryan avvolgendo un braccio intorno alle sue spalle.
- Non preoccuparti per lei, le passerà. Hai detto cose vere, ed è per questo che se l'è presa così tanto, credo tenga un po' a te e sapere di essere una cattiva amica le ha fatto del male.
Suryan annuì e tornò verso il Pub Hidden guardando per terra, non ascoltando tutte le chiacchiere di Jasper. Aveva bisogno di piangere, era frustata e triste. Stava andando tutto male e dopo mesi di silenzio a inghiottire sempre il boccone amaro che era diventato la sua vita, voleva solo tornare a casa.
Salì le scale di legno scricchiolanti entrando poi nella sua camera, si sedette davanti alla specchiera e iniziò a pettinarsi i lunghi e scuri capelli. I suoi occhi, quel giorno grigi, sembravano spenti. Come se davanti a sé non vedesse altro che disperazione e neanche una via d'uscita.
Chiuse gli occhi e immaginò una bellissima rosa rossa, vista quel pomeriggio nel bosco. Il profumo, il colore accentuato dalle gocce d'acqua sui petali...
Aprì gli occhi sbarrandoli dopo aver visto davanti a sé uno stelo. Una rosa era poggiata sulla sua specchiera.


Beatrix vide davanti e attorno a sé legno di cedro. Quel posto faceva puzza di muffa e il silenzio non prometteva nulla di buono.
- Che puzza, ragazzi.
Jalice si copriva il naso con la manica del suo maglione verde.
- Sembra che qualcuno sia morto qui dentro.
Helga ansiosa si avvicinò a Beatrix; quest'ultima cautamente uscì un coltellino con l'impugnatura in argento a forma di occhio.
- Siamo della Congrega dell'Occhio. Vorremmo parlare con Ursola. Abbiamo con noi l'erba Maga.
Una donna apparve dal nulla davanti a Beatrix. Aveva i capelli azzurri fin sopra le caviglie ed aveva un vestito altrettanto lungo bianco.
- Ursola è malata. Con cosa volete scambiare le erbe?
La sua dolce voce fece rilassare tutto il gruppo che poco prima era in allarme.
Avevano letto di queste Ninfee solo nei libri, vederne una dal vivo era fantastico.
Gli occhi azzurri della Ninfa incitarono Jalice a parlare.
- La pozione dell'esplosione silenziosa.
La Ninfa scosse la testa: - Non creiamo più pozioni da guerra. Non distruggiamo più nulla. Tempo fa vi abbiamo già dato le nostre ultime pozioni di teletrasporto.
- Siamo noi i buoni. Ma va bene, sicuramente non avete così tanto bisogno dell'erba Maga, se ne avrete bisogno chiederete voi a quei Conigli aggressivi. O alla loro padrona.
Jalice fece per andarsene quando la risposta della Ninfa le diede una speranza.
- Sai benissimo che non abbiamo buoni rapporti.
Beatrix prese parola con il suo solito tono aggressivo e arrogante: - So anche che Ursola sta per partorire un mezzosangue. Una cosa davvero disonorevole e pericolosa, probabilmente avete trovato una soluzione all'erba Maga, create forza con qualche vostro intruglio?
- Basta così, uscite dalla mia casa.
All'improvviso un fumo rosa rivelò un'altra ninfa con in mano una pozione dal liquido giallo.
- Andate via e datemi le erbe.
- Rosy, cosa fai?!
- È mia sorella, quella. Mia sorella.
La Ninfa Rosy mise tra le mani di Beatrix la pozione, continuando a discutere con la ninfa azzurra.
Jalice approfittò della situazione e diede subito l'erba a Rosy, i ragazzi uscirono velocemente prima di un cambio di programma.





Il nero dei suoi capelli sembrava essersi adattato allo sfondo, o forse era il contrario. La sua veste aveva assunto tonalità bianche e grigie, spiccava in quel mare oscuro.
Judit camminava, ogni passo le gambe si appesantivano, rendendole quasi impossibile procedere. Stanca, si era fermata in un punto da cui era visibile una sfumatura violacea all'orizzonte, da cui una debole scia di fumo si era alzata. Era rimasta ferma, a contemplarla. Un odore familiare la pervadeva, non sapeva dire se si fosse diramato da quella scia o da dietro. Il fumo si era condensato ed una figura indistinta aveva allungato una mano, verso di lei.
- HIDDEN!


Saltò letteralmente sul lenzuolo, l'orecchio le fischiava ancora. Si portò una mano sul viso sudato e, ancora ansante, sospirò: - Oh, Signore.





- Vuoi una cioccolata calda?
Jasper si sedette accanto a Suryan, sul divano al piano inferiore. I pantaloni marroni del ragazzo erano piuttosto carini come il maglione blu. I capelli erano composti e lucenti, chissà come li lavava, si chiese un attimo la bruna, prima di tornare alla sua preoccupazione.
- Mi sembri piuttosto turbata. Cosa c'è che non va? Farai pace con gli altri, stai tranquilla.
Suryan non rispose e guardò incessantemente la rosa tra le sue mani.
- Questa dove l'hai presa? Non ricordavo ne avessi presa una dal bosco.
- Se ti dico un segreto... resterà tra noi per sempre?
Jasper si alzò dal divano e urlò: - Mano sul cuore! Guarda, ogni volta che ci facciamo una promessa o ci riveliamo qualcosa possiamo poggiare il nostro indice sul cuore. Vieni, dammi il tuo dito.
Suryan rise per la sua risposta e avvicinò la mano. Jasper prese l'indice facendole chiudere le altre dita, per poggiarselo poi sul cuore.
Suryan sentì i suoi battiti accelerati e arrossì per la loro vicinanza.
- Posso anche io?
Suryan stranamente annuì e Jasper fece lo stesso. Prese il suo indice e lo premette sul petto di Suryan che stava morendo di vergogna. Una suora poteva tenere un comportamento simile? Era consueto?
- Prima ero arrabbiata e ho chiuso gli occhi.
Si fermò perché la voce iniziò a tremarle. Non riusciva più in nulla, prima era così fredda e controllata; da quando era arrivata alla locanda il suo modo di essere era stato per metà oscurato, sentiva di non riconoscersi più pienamente.
- Sur, ti ascolto.
Jasper prese la sua mano tra le sue e le sorrise, facendo cenno di continuare.
La sua mano era così calda che Suryan quasi quasi sentiva di doversi staccare. Ma non lo fece.
- Ho immaginato il colore delle rose, lo stelo, i petali e...
Alzò con la mano libera la rosa.
Jasper rimase in silenzio e in modo serio e deciso iniziò a parlare: - Non devi dirlo a nessuno. Né agli Anziani, né alla tua insegnante, né a Helga, Jalice e Theron. Soprattutto a Beatrix. Devi tenerlo per te o ti useranno e faranno di te uno stupido oggetto, non ti ci senti già un po', ora? Figurati dopo. Questo deve rimanere il nostro segreto.
Suryan annuì convinta e si sentì felice di averne parlato con Jasper. Era però così stanca. Il ragazzo la fece appoggiare alla sua spalla e ancora con le mani unite, Suryan si addormentò.
Dei passi nell'atrio la ridestarono dal suo sonno e non ebbe il tempo di realizzare il tutto che vide davanti a sé Beatrix ed Helga. Quest'ultima aveva i capelli color fuoco e corse al piano di sopra, quasi singhiozzante di rabbia. Beatrix con i suoi occhi scuri guardò dritta negli occhi chiari della ragazza per poi andarsene via, urlando in sala: - Non passate dal salone, c'è un momento romantico e nessuno dovrebbe rovinarlo!
Suryan però sapeva che più che agli altri ragazzi, quella frase urlata, era per lei.





Hector si svegliò di soprassalto, per poco non finì ai piedi del letto. Si alzò a fatica e andò a rovistare tra le scorte che i suoi compagni gli avevano passato, in cerca del suo amato aceto di mele.
Voleva distrarsi, cercare di non pensare a quanto aveva visto in sogno. Una ragazzina, in lontananza, vestita di bianco, avanzava a fatica sospirando, e quel sospiro Hector l'avrebbe riconosciuto tra mille. Ascoltandolo, si era addormentato con serenità ogni singola notte in quella cella buia.
La bottiglia gli cadde di mano.
Judit era Hidden.
Se si fosse trattato di qualsiasi altra, avrebbe riso divertito e avrebbe additato quello come un semplice sogno. Judit non poteva tuttavia essere considerata un semplice sogno: era una discendente della Prima, colei che poteva considerarsi la Madre della Luna, ne era certo, nessuno all'infuori della sua stirpe poteva permettersi di possedere la preveggenza, gliel’aveva detto Olivia: era un segreto degli abitanti della Luna.
Si fiondò nel pub e vi trovò Kirk e Daraen, il secondo stava parlando a bassa voce di chissà cosa. Fu ovviamente la fata scaltra ad accorgersi di lui.
- Hector, qual buon vento? - esordì Kirk. - Stavo giusto pensando di rinomarci: "Il Sole di Mezzanotte". Non male per una banda!
Dumont sospirò. - Devo parlarvi, idiota.





   
 
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