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Autore: nuvolenere_dna    09/08/2017    6 recensioni
[POV multipli di Freezer, Vegeta e Nappa]
Mi trattengo con tutte le mie forze per non ridere.
Lotti con tutte le tue forze per non gridare.
Lo so, mio dolce bambino... l’oscurità non ha mai fine.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Freezer, Nappa, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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pretty primo capitolo
Ciao a tutti, amici! :)
Innanzitutto voglio ringraziare chi ha messo nelle preferite, nelle seguite e chi ha recensito il prologo, mi avete dato molto sostegno e incoraggiato a proseguire!
Purtroppo non sono molto soddisfatta di questo primo capitolo, non so, c’è qualcosa che non mi convince... spero comunque che sia di vostro gradimento e vi invito a lasciare il vostro parere nelle recensioni, ho sempre bisogno di un feedback!
Grazie di leggermi ancora!
Un bacio,
Nuvole
<3
 
Pretty When You Cry
 
Capitolo I
[Vegeta’s POV]

 
 
Avanzo su questa terra, rigido come un robot, rinchiuso fra le ossa e i muscoli, spasmodicamente tesi nel tentativo di trattenere la mia anima rabbiosa.
Ho il volto in fiamme, macchiato da un livore ardente che scaturisce dalla profondità delle mie viscere.
Un altro pianeta, l’ennesimo, ridotto in cenere con un gesto pigro del braccio.
Ho quattordici anni, da nove non faccio che distruggere, radere al suolo, annientare e conquistare.
Sottili eufemismi per celare l’unica cosa che racchiude il potere di darmi piacere: incutere terrore e infine uccidere, eccitato come una bestia, tossico del potere e dell’adrenalina che corrodono avidamente le mie vene.
Come un vampiro, rubo molecole di vita dalla morte degli altri, sublimandola, divorandola, estirpando da essa l’ossigeno che mi serve per respirare.
Sopporto le mie catene facendo a pezzi quelle degli altri. Mentre guardo le rovine, coperte dal fumo delle esplosioni gemmate dalle mie mani indifferenti, mi abbandono a una sensazione di piacere e frustrazione, morbosamente mescolati nella furia calda del sangue che pompa impazzito in tutto il mio corpo.
 
«Io sono fortunato, Vegeta. Non ho bisogno di aprire le gambe a nessuno per godere... sei già tu, la mia puttana.»
 
Nel ricordare quella frase la bile mi corrode l’esofago. Sento lo stomaco contrarsi in un crampo, le dita che si chiudono repentinamente nel pugno, talmente serrato da tremare.
La vergogna arde di nuovo sul mio volto, come se fossi ancora lì, immobile in quell’istante, paralizzato di fronte alla presenza ghignante di tutti.
Vorrei soltanto vedere i loro occhi spegnersi, ingozzarmi di quella luce, sfamandomi con l’ultimo delizioso barlume prima della morte. Il mio nome, il mio nome si moltiplicherebbe come un virus sulle loro bocche, fra i lamenti, incastonato fra le suppliche patetiche di guerrieri senza patria e senza onore, privi di spina dorsale, del tutto incapaci di scalfirmi.
Non sarebbero che lagne pietose di esseri miseri, inferiori, come lattanti dalla forza sovrumana, ancora imboccati dalle illusioni futili di una vita al soldo di Freezer, il cervello spappolato dalle sue false lusinghe.  
Non risparmierei nessuno, nessuno merita neppure un briciolo della mia pietà.
Il mio piede calpesta un tessuto scarlatto, probabilmente un brandello di una tenda, mischiato al pulviscolo e a un fiorire di cavi elettrici tranciati di netto, come vene riverse nella terra chiara. Stringo i denti, la mandibola che si contrae nervosa in uno schiocco.  
Anche tu... in fondo, non eri che un verme, un ectoplasma liquido la cui voce gridava inascoltata sott’acqua.
Sono stanco, sento le gambe indolenzite, ma la mia forza immensa, incommensurabile, si agita ancora indomita nelle mie membra troppo immature per contenerla senza scoppiare. Ho sterminato tutta la popolazione, infranto l’ennesima civiltà come un dio malevolo, stizzito per le imperfezioni delle creature inette, incapaci di imporre la propria volontà. Tuttavia, io non sono che un emissario spezzato, un’aberrazione, oggetto della distruzione altrui e soggetto di altra distruzione, troppo infatuato della morte per preoccuparmi di costruire qualunque cosa. I miei passi si ripetono in infinite eco, onde di suono che non incontrano nulla oltre alle macerie.
Mi domando se il mio pianeta, nell’attimo prima di frantumarsi al contatto con il meteorite, apparisse così, fragile e indifeso, intimidito di fronte all’ira di una divinità perversa, incurante delle vite strappate senza alcuna ragione. In questo mondo conta soltanto la forza e se non sei in grado di sopravvivere muori, sbranato vivo. E i Saiyan non sono stati abbastanza forti, non abbastanza intelligenti da sopravvivere in questo gioco diabolico.
Abbasso lo sguardo sui miei stivali chiari, insozzati dal sangue marcio, dalla terra ambigua, un tempo così solida, immutabile, deflagrata come polvere al vento per effetto di un mio desiderio.
«Vi ordino di rientrare immediatamente. Avete già sprecato fin troppo tempo.»
La voce tagliente di Freezer mi attraversa il timpano sinistro, provocandomi un brivido doloroso.
«Ai suoi ordini, Lord Freezer.» Nappa e Radish rispondono all’unisono, le parole metalliche, disturbate dai fruscii dei campi elettromagnetici di Hagalaz. Sono lontani, a qualche centinaia di chilometri da me. Ci siamo divisi non appena siamo atterrati su questo suolo inutile, per conquistarlo più in fretta. Rimango in silenzio, come stordito, barcollando per la stanchezza. Da quando ci siamo alzati dalle nostre brande abbiamo già conquistato tre pianeti, uno dopo l’altro, lasciandoci alle spalle nient’altro che devastazioni rosse.
Deglutisco, la bocca prosciugata in un deserto pungente. Mancano ancora due missioni per terminare la giornata e poter finalmente riposare, silenziosi in un anfratto della navicella di Freezer.
«Vegeta? Ti consiglio di rispondere se non vuoi vedertela con me!»
Un’altra coltellata nell’orecchio.
 
«Io sono fortunato, Vegeta. Non ho bisogno di aprire le gambe a nessuno per godere... sei già tu, la mia puttana.»
 
Un orgasmo di boria, malcelato nel sorriso sghembo che gli tagliava la bocca, il fulgore dei suoi occhi sarcastici, sorgenti di veleno vivo e bruciante il cui solo ricordo mi provoca l’impulso di vomitare.
Un colpo di stato, una ribellione silenziosa viene combattuta all’interno del mio corpo, la mano destra scatta in alto a disattivare lo scouter, gettandolo a terra a frantumarsi sotto l’impeto di uno stivale stizzito. Il suono del vetro frantumato, dell’elettricità che muore, dilaniata dai circuiti, mi suscita un assurdo piacere che mi infiamma la faccia e contorce i miei lineamenti in un ghigno.
«Bastardo!» sibilo fra i denti, nel vuoto del vento che sferza la mia figura, sollevando la sabbia nera sul mio volto. La sensazione piacevole svanisce in fretta, travolta dall’impeto delle viscere che si contraggono, un riflesso condizionato di quando il suo volto bianco si ricompone come un mosaico nella mia testa. Immagino le sue labbra violacee contrarsi dall’indignazione, tormentate dai denti, il pugno ferreo che affonda nel bracciolo della poltrona. Il mio volto si riassesta in un’espressione inquieta, attraversato dalla tensione che pulsa furente, entrando e uscendo dai miei confini.
Non ho dubbi sul fatto che pagherò ogni secondo di questa insubordinazione.
Sono solo su questa terra, l’unico essere vivente rimasto fra i cadaveri, ma uno strano senso di fibrillazione contraddice l’ultima rilevazione effettuata con lo scouter. Nel radar si rifletteva soltanto un silenzio di morte, non interrotto neppure dal ki insignificante degli abitanti di questo pianeta, conosciuti per i poteri psichici e la chiaroveggenza. Freezer odia le creature che indulgono nella contemplazione del futuro e si affretta a sterminarle, come se avesse in qualche modo paura di sapere della propria inevitabile fine.
Che senza dubbio arriverà, un giorno, per mano mia.
Cammino ancora, cauto, gli occhi prudenti nell’ispezionare il minimo particolare che possa indicare la presenza di qualcuno.
Mi fermo di fronte alle rovine del Palazzo Reale, ridotto a un cumulo di rocce esanimi, scardinate dalle fondamenta, un bolo informe di vetri e di travi, la cui colonna vertebrale è stata spezzata. Penso alla mia casa, un fantasma tremante nella mia memoria, il posto in cui la mia ingenuità di bambino ha strillato, circondandosi del lusso, dell’oro, della schiavitù, di vane illusioni e sogni ridicoli che si sono rivelati presto un macabro inganno.
Una sfumatura verde.
Come un’ombra scivola di fronte ai miei occhi per poi disciogliersi nel grigiore della pietra frantumata.
Il cuore mi si contrae nel petto, travolto da un brivido di eccitazione e di piacere. Sento la salivazione aumentare, la mente che lavora febbrile al pensiero di essere temuto, supplicato ancora una volta, quella volta in più che è sempre meglio della prima.
Sono solo, nel buio della trasgressione. Mi aggiro fra le macerie, le onde del vento che si increspano sollevando i detriti.
«Chi sei? Vieni fuori!» grido, baldanzoso, leccandomi le labbra.
«Principe Vegeta»
Una voce limpida, femminile, recide l’aria come una coltellata. Mi giro di scatto, ritrovandomi di fronte un’aliena dallo sguardo smarrito, come rapito in un’altra dimensione. Mi guarda, trapassandomi infinite volte, come se a ogni secondo che passa potesse strapparmi un velo, una delle strutture coriacee che mi proteggono.
Incalzo lentamente, intenzionato a godermi il più possibile la caccia. Voglio sentirmi di nuovo potente, insensibile, una fiera da supplicare, verso cui inchinarsi fino a spezzarsi i denti contro il pavimento.
Ho ancora due ore prima che Freezer invii qualcuno a cercarmi qui e voglio sfruttarle fino all’ultimo secondo.
«Ciao bellezza, ti è piaciuto lo spettacolo?» sogghigno, le labbra piegate in un sorriso malevolo.
Ma lei non indietreggia, continua a fissarmi, allucinata. La osservo con attenzione, il suo volto è più grazioso di quello delle altre donne incontrate su questo pianeta, la sua veste è illuminata da pietre preziose, incastonate sulle sue spalle e lungo i fianchi snelli, il seno procace avvolto da un’ombra di organza, impudica nel mostrare i suoi capezzoli scuri.
Una sensazione simile alla fame risale lungo la mia gola, il basso ventre pulsante, sempre più rigido. Deglutisco ripetutamente, cercando di reprimerla. Non sono ancora abituato a questo cambiamento, è da poco tempo che le mie membra ambiscono anche a un tipo diverso di piacere, un piacere umido e pulsante, talmente intenso da farmi perdere la testa. Lei mi guarda, dondolandosi sui piedi, il vento che gonfia e rilascia il suo vestito mostrando la curva dei suoi fianchi. Non riesco più a trattenermi e mi scaravento su di lei, brutale, sfracellando il suo corpo a terra sotto il mio. Sbrano con le dita la consistenza liscia della sua pelle, graffiandola, strappando i suoi vestiti per poi scendere ad abbassarmi i pantaloni con impazienza, l’eccitazione talmente dura da farmi male.
Alzo lo sguardo per riflettermi nel suo volto, nel suo terrore, ma dentro le sue pupille dorate non c’è nulla. La sua espressione assente si tramuta lentamente in un ghigno, gli occhi spalancati in un’espressione folle, straripante nella delicatezza del suo volto, dissonante rispetto al sorriso dolce che si apre sulla sua bocca.
La sua nuca si solleva da terra per avvicinarsi alla mia spalla e la sua voce non è altro che un sussurro, appena percepibile dai miei timpani.
«Lo sai, vero? Che... morirai per mano sua
Non fa nessun tentativo per allontanarsi, per ricoprire le nudità del suo corpo. Rimane semplicemente immobile, sotto di me, il volto adombrato da una gioia torva, minacciosa, che inspiegabilmente risale lungo la mia schiena in un brivido gelido.
«Come osi rivolgerti a me in questo modo?» ringhio, furente, stringendo i pugni intorno alle ossa fragili delle sue clavicole.
«Freezer ti ucciderà.» le sue iridi scintillano, ebbre di piacere, scomponendosi in una risata che rimbomba fra le macerie del suo popolo, i cui cadaveri tempestano il terreno, dissezionati dai miei colpi spietati.
Sento la mia anima vibrare, come se fosse stata scardinata dalle vene e dai ventricoli, lontana dalle ossa e dai muscoli, galleggiante nell’etere. Qualcosa cerca di sfiorarmi dentro, scivolando e schivando la coltre di spilli che mi circonda. All’improvviso non riesco più a respirare, annaspo alla ricerca di aria, tutto diviene lontano, le braccia incerte, le ginocchia vacillanti nei calcinacci, cerco di urlare ma dalla mia gola non esce alcun suono, impiccata da forze invisibili.
Uno spiraglio si apre e vengo colpito, invaso da un vuoto divorante, che mi risucchia.
Nei suoi occhi vedo la mia fine, la mia morte, il mio corpo profanato, spezzato, privo di vita, ormai impotente di fronte alla sua mano tesa, il volto adombrato da un’ira talmente profonda da illividirgli anche le labbra scarlatte, contratte in una smorfia.
La donna sbatte le palpebre, socchiudendo maliziosa le ciglia lunghe.
«Hai visto? Alla fine la ruota girerà anche per te, schifoso!» mi sputa in faccia, mentre mi irrigidisco sempre di più, impossibilitato ad alzarmi.
No! Non è altro che una sporca menzogna!
Contraggo la mascella mentre tremo per lo sforzo di vedere ancora, soffocando ansante a pochi centimetri dal suo viso, incurante dell’energia tagliente che mi sferza implacabile.
 «Non ti vendicherai mai, Saiyan!»
Ghigna, soddisfatta, mentre altre immagini si affollano nel buio delle sue pupille.
Il viso algido di Freezer non compare più, sbranato da brandelli di visioni confuse, un caleidoscopio danzante di volti e di cieli, uno stormo roboante di colori, di oro e di nero, del sangue vermiglio.
La terra inizia a tremare sotto i miei gomiti, disciogliendosi in un fragore che mi frantuma i timpani. Solo la sua risata si staglia, imponente, mentre le sue mani mi circondano il volto, ustionanti, caustiche come acido. Sento infiniti pugnali trapassarmi, coltelli che mi scuoiano vivo, il sangue scarlatto mi cola lungo il mento, sporcando la sua pelle nivea.
«Sei caduto in una trappola, stupida scimmia!»
All’improvviso realizzo che spegnere lo scouter è stato un grosso errore, un errore fatale.
Ma il mio sguardo non abbandona mai le sue pupille umide, grondanti di piacere.
Una bambina corre, un sorriso estasiato dipinto sul suo piccolo volto, incorniciato da riccioli azzurri che si agitano leggiadri nell’aria. Dice qualcosa, sorridendo, le labbra che si sporgono all’infuori, come in una pernacchia. Stringe fra le mani una scatola cilindrica di colore rosa. Corrugando le sopracciglia in un’espressione concentrata, le sue piccole guance soffiano con determinazione, gli occhi blu attraversati da uno spiffero luminoso. Soffia così forte da sgretolare le bolle ancor prima che nascano.
Assurdo, cosa me ne può importare di una mocciosa?
Qualcosa mi trapassa il costato, mozzandomi il fiato. Singhiozzo, cercando di carpire l’ossigeno che abbandona inorridito i miei polmoni, le membra lontane, come arti robotici i cui collegamenti sono stati tagliati.
Il caos si ferma, di nuovo, collassando su se stesso.
Altri occhi azzurri, dello stesso blu intenso, di un blu che non ho mai visto da nessuna parte in questa galassia, ma svuotati, mortificati da un pianto inarrestabile che trabocca copioso lungo gli zigomi pronunciati, appena sfiorati dai capelli lilla, lunghi fili che gli accarezzano il petto. La sua bocca si apre in un urlo, subito zittito da un calcio di uno stivale bianco simile al mio. Mi osservo afferrare il mento del ragazzo, stritolarlo fra le dita per poi lasciarlo andare, sfracellato in un bianco accecante, mentre le sue labbra ripetono insistenti la stessa parola, sempre più flebile, come una cantilena.
Dov’è Freezer?
Dov’è la mia vendetta?
Indietreggio, incespico pieno di terrore. Il terreno si sbriciola sotto i miei piedi, il cielo avvolto in un caleidoscopio di mura e di cieli intermittenti si ricompone nel soffitto candido di una stanza, illuminata da un elegante candelabro. Mi vedo sdraiato fra le lenzuola, addormentato, la spalla nuda che si alza e si abbassa, chiara nella penombra. La mia mano è intrecciata a quella di una donna stupenda, i capelli azzurri rovesciati sul cuscino, di un azzurro ancora più intenso dei precedenti, gli occhi vividi come oceani in tempesta, di un blu indescrivibile, lucido ma non di pianto, come se intrappolasse la luce al suo interno, prigioniera in un gioco di vetri scintillanti. La donna mi guarda e si avvicina con cautela, finendo per baciare il mio volto ripetute volte, sulle guance, sulla fronte e sul naso.
Giochi con le bolle di sapone?
Piagnistei?
Patetiche smancerie?
E infine, la morte per mano di Freezer?
Sono veramente caduto in una trappola, ingenuo fino al midollo, talmente ossessionato dalla vendetta da indugiare in questo assurdo specchietto per le allodole, una messinscena nutrita dalla mia stessa, svenevole curiosità. Non ho combattuto con tutte le mie forze, tradito dall’ardente desiderio di scorgere quell’immagine, di vederlo sconfitto, fatto a pezzi, sanguinante ai miei piedi, impotente di fronte alla mia forza indistruttibile.
Sono veramente patetico.
Tremo e vomito sangue, una colata di porpora risale dalla mia gola per infrangersi sul suo volto sempre più crepitante, incerto, come se l’energia dentro di esso stesse per esplodere.
Tutto si interrompe, in un breve istante in cui il tempo sembra fermarsi, come congelato.
La donna sorride amabilmente, i denti come zanne di una fiera che sta per attaccare.
«Divertiti, feccia!»
Tutto finisce, in un nulla oscuro che mi taglia le carni, spezzandomi le ossa.
 
Continua...
 
  
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