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Autore: RaidenCold    10/08/2017    3 recensioni
Premessa: questa storia è un omaggio al film "Alien Covenant", di cui ricalca in buona parte la trama (anche il criterio con cui ho scelto il titolo è lo stesso del film), ed è ambientata in un universo alternativo dove il Third Impact non è avvenuto.
Sono passati alcuni anni dalla morte dell'ultimo angelo: dopo lunghe ricerche, viene trovato un pianeta che ospiterebbe un essere avente la stessa natura di Adam e Lilith. La Nerv decide dunque di mandare ad esplorarlo una squadra di cui fa parte anche Shinji, che con gli anni ha sviluppato una sorta di ossessione verso gli angeli. Questo nuovo mondo sarà ostile ai lilin?
Genere: Introspettivo, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rei Ayanami, Shinji Ikari, Un po' tutti
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Uno spazio artificiale dove non c’era niente, se non tenebre: tale era il mondo nel quale la Exodus era immerso.

Il computer di bordo stava calcolando già ormai da un paio d’ore la posizione nel quale avrebbe aperto il varco conducente ad HA-9081; progettato dalla dottoressa Akagi, il sistema Prophet altro non era che una riproposta del già collaudato sistema Magi creato dalla madre della scienziata. Tuttavia a differenza del Magi, Prophet era diviso solamente in due parti, chiamate rispettivamente Aron e Moses.

La stiva dell’Exodus era la parte più ampia della nave, poiché tra le altre cose doveva custodire l’Evangelion 01: silenziosamente e senza essere vista, una evanescente figura si era fermata ad osservare da alcuni minuti il colosso viola immobile nella sua gabbia. Udendo dei passi avvicinarsi a lei, Ayanami, senza girare la testa, portò lo sguardo a lato per vedere chi stesse arrivando: Shinji si fermò a qualche metro da lei, e senza dire niente si mise a sua volta ad osservare per alcuni istanti l’Eva.

“Un tempo la sola idea di questa macchina mi terrorizzava.”

Calò nuovamente il silenzio per qualche secondo.

“Adesso invece?”

Shinji chiuse gli occhi e sorrise scuotendo lievemente le spalle:

“Non saprei di preciso, però comunque mi mette molta meno paura rispetto a quando ero un ragazzino.”

“Ci risaliresti?”

“Ci salivo per sentirmi apprezzato dal mondo che mi circondava, ma ora lo farei per una ragione diversa… parte di me è rimasta nell’Eva, ma non so se avrei il coraggio di affrontarla.”

A quel punto la ragazza fece per andarsene, non perché annoiata o infastidita, semplicemente era palese non si sentisse a suo agio ad avere conversazioni con un’altra persona:

“Ayanami, volevo ringraziarti per aver appoggiato la mia presenza in questa spedizione.”

Rei si fermò:

“Saresti sicuramente riuscito a partecipare anche senza il mio intervento.” - disse col suo consueto tono monocorde.

“Forse, ma un nuovo conflitto con mio padre era l’ultima cosa di cui avevo bisogno.”

“Temi ancora tuo padre.”

“Meno di un tempo.”

“Hai provato ad avvicinarti a lui?”

“Molte volte, ma tra di noi non sembra poter esserci un ponte, e alla fine ho imparato a convivere con questa consapevolezza.”

Ayanami si voltò e lanciò un ultima indecifrabile occhiata a Shinji, dopodiché guadagnò l’uscita della stiva.

Shinji invece rimase ancora un po’ ad osservare lo 01:

essere nuovamente in quel mondo di tenebre con l’Evangelion davanti gli portava alla mente immagini confuse di una figura femminile all’interno della macchina umanoide, che aveva incontrato quando, dopo una battaglia, il suo corpo si era dissolto all’interno della macchina umanoide. Le immagini però si erano deteriorate rapidamente e dopo tutti quegli anni era rimasto ben poco a cui dare un senso. Per qualche motivo poi, associava ciò che aveva trovato nell’Eva con quella misteriosa ragazza dai capelli turchini: forse, invece di cercare risposte a miliardi di chilometri da sé, avrebbe dovuto prima capire ciò che più aveva avuto vicino in un momento cruciale della sua vita, ovvero la natura degli Evangelion.

 

Kensuke gironzolava tra i corridoi della nave, in cerca di qualcosa da fare; in quei momenti era solito dilettarsi facendo ruotare la pistola d’ordinanza per il grilletto attorno al dito, ma poiché ritenuto pericoloso gli era stato proibito di farlo – lui si era limitato ad esultare per il fatto che non gli avessero sequestrato la pistola. Tamburellò con le dita una parete, poi sbuffando si adagiò su di essa, e dopo aver ruotato il volto, vide una chioma rossa molto familiare.

Asuka osservava dalla vetrata il nero oblio infinito nel quale stavano fluttuando, e sussultò quando si sentì salutare:

“Ma sei stupido?”

“Scusa Soryu, non intendevo spaventarti!” - se la ridacchiò Kensuke.

Asuka grugnì e si appoggiò alla parete dando le spalle alla vetrata:

“Alla buon ora, pensavo che avessi intenzione di ignorarmi per tutto il viaggio!”

“Scusami, non volevo offenderti.”

“Beh lo hai fatto.” - sbuffò lei mentre lo squadrava da cima a piede - “Quando ti vedevo ai tempi della scuola vestito da soldato parevi un cretino… ora invece devo dire che quella divisa ti sta bene, Aida.”

“Ti ringrazio, io invece sono un po’ deluso: che ne è stato delle tue codine?”

“Non ho più quattordici anni.” - rispose sorridendo.

Kensuke si appoggiò alla parete opposta a quella di Asuka e si mise a braccia conserte:

“Come stai?”
“Alla grande.”
“E Ikari?”

“Perché non glielo chiedi tu?”
Kensuke abbassò lo sguardo:

“Vorrei…”

“Fallo allora!”

“Non è semplice.”

“Sì che lo è, vai da lui e gli parli.”

“Non me la sento.”

“Tu lo biasimi ancora per la morte di Kensuke?” - come al solito, Asuka era arrivata diretta al sodo senza peli sulla lingua.

“No…”
“E allora che accidenti di problema hai?”

“E’ che non ne abbiamo mai parlato, e avrei paura a riaprire quella ferita; immagino poi conoscendolo, che la cosa sia reciproca.”

Asuka si voltò facendo spallucce e chiuse gli occhi:

“Non è più un bamboccio, e neanche tu lo sei, cercate di risolvere i vostri problemi da adulti!”

“Tu invece non sei cambiata.” - sorrise il ragazzo.

“Per forza, io a differenza vostra ero già matura e competente.” - rispose in tono intenzionalmente saccente. L’autoironia era sicuramente uno dei traguardi più importanti che Asuka Soryu Langley aveva raggiunto con l’età adulta.

“Ho sentito che la capoclasse sta per sposarsi.” - disse Kensuke quasi sottovoce.

“Sì, e con un bravo ragazzo mi dicono; tu sei ancora sentimentalmente coinvolto con la tua pistola?”

“Ho provato a vedermi con una ragazza di recente… era simpatica, ma non ha funzionato.”

“Hai provato a non parlarle di armi da fuoco per cinque secondi consecutivi?”

“Anche sei!” - rispose ridendo, e di riflesso anche Asuka scoppiò a ridere.

Quando ebbero finito, videro arrivare dal corridoio una ragazza dai capelli corti, con indosso una divisa rosso scuro e un berretto nero: Maya Ibuki, l’assistente personale della dottoressa Akagi.

“Ragazzi, ci siamo.” - sorrise loro senza mascherare un certo entusiasmo - “Prophet ha tracciato le coordinate.”

Anche se non era un suo successo personale, ogni volta che Ritsuko Akagi riusciva in qualcosa Maya non poteva fare a meno di essere in giubilo; paradossalmente, la dottoressa non lasciava mai trasparire troppe emozioni neanche di fronte al proprio trionfo – in qualche modo, Maya si faceva carico della felicità di entrambe.

 

Tutti si erano radunati nella stiva, accanto a una sorta di grosso veicolo dotato di ali: si chiamava Nile, e sarebbe stato protagonista della fase successiva della missione.

Shinji osservò i diversi outfit dell’equipaggio – divise militari e tute spaziali per lo più – e lo colpì in particolare quello di Rei: una plug-suit nera, molto somigliante a quella che stava lui stesso indossando in quel momento. Guardando meglio notò che anche Asuka portava una tuta simile a quella che indossava un tempo, ma nera dal bacino in giù e bianca all’altezza dei bicipiti. Era stata un’idea della dottoressa Akagi, ma né Shinji né Asuka avevano compreso il perché di questa scelta, né soprattutto il perché oltre a loro due, ex Children, anche Rei Ayanami indossasse una plug-suit.

Senza nessun rumore o scossa, la Exodus era tornata nella dimensione reale da cui era partita, ma in un luogo completamente diverso, poco lontano dall’orbita di HA-9081 , che era possibile vedere dagli oblò e dalle vetrate della nave. Un pianeta relativamente piccolo – le analisi di Prophet avrebbero in seguito confermato che le sue dimensioni fossero di poco inferiori a quelle della Terra – con una vistosa caratteristica: un intenso colore rosso che avvolgeva gran parte del globo.

Quando vide che erano tutti presenti, la dottoressa Akagi prese la parola:

“Come potete vedere voi stessi, siamo arrivati a destinazione. La Exodus tuttavia non entrerà nell’atmosfera del pianeta, la sua mole è estremamente ingombrante e richiederebbe troppa energia, rischieremmo di non averne abbastanza per il viaggio di ritorno, quindi giungerete sul pianeta mediante la Nile, la nostra navicella ausiliaria.”

“Giungerete?” - avanzò un soldato col viso leggermente squadrato ed i capelli scuri portati alla marine.

“Già, io e Ibuki rimarremo a bordo per monitorare la situazione.”

“Cavolo, anche io voglio rimanermene qua al calduccio!” - esclamò lo stesso soldato.

“Magari HA-9081 ha una superficie bollente, Yamada!” - gli rispose Kensuke con una risatina.

“Ti aspettavi una gita in campagna, Yamada?” - lo sfotté un uomo leggermente stempiato con un paio di occhiali: Makoto Hyuga, uno dei tecnici più importanti della Nerv, nonché braccio destro di Misato.

 

Tutti, ad eccezione di Maya e Ritsuko, erano entrati disponendosi sui vari sedili della Nile; Asuka, il pilota della missione, si era messa al posto di guida della navicella.

“Non farci schiantare.” - disse Shinji canzonandola, ottenendo in risposta un’imprecazione in tedesco da parte della rossa.

 

Dopo l’iniziale scontro con l’atmosfera di HA-9081, il viaggio era stato piuttosto tranquillo, con poche turbolenze ed un cielo poco nuvoloso; i membri dell’equipaggio poterono constatare che il colore rosso del pianeta non era determinato dall’atmosfera – il cielo era perfettamente azzurro come quello della terra – ma dai suoi vasti oceani, per l’appunto completamente scarlatti.

Asuka non aveva impiegato molto tempo prima di trovare un avvallamento nel quale atterrare.

Le scansioni della Exodus non avevano trovato elementi tossici nell’aria del pianeta, ma per scoprire se c’era ossigeno era necessaria un’analisi sul campo. Dunque, appena atterrati, un ragazzo alto e piuttosto magro, coi capelli neri e un naso leggermente schiacciato, si alzò, si mise un casco e prese una grossa valigia: era Sato, il biologo della spedizione. Passato dalla porta depressurizzante, fu il primo a toccare il suolo del pianeta, calpestando dei vegetali verdastri praticamente identici all’erba terrestre; lo seguì Ayanami. Aprì la valigetta e dispose alcuni strumenti con l’aiuto della ragazza, poi dopo alcuni minuti, si alzò in piedi e si tolse il casco, prendendo un grosso respiro; a quel punto si voltò sorridente verso la navicella, e fece cenno agli altri di uscire.

“Ossigeno dunque.” - commentò Misato.

“Praticamente identico a quello terrestre…” - gli rispose Sato - “… nessun agente patogeno rilevato.”

“Rimettiti il casco, non è il momento di commettere simili leggerezze.” - lo redarguì il comandante Ikari. Mortificato, Sato si rimise il casco e sistemò i suoi strumenti nella valigia.

Makoto guardò lo schermo di un piccolo strumento palmare, ed il comandante gli si avvicinò:

“Quanto dista?

“Con precisione è impossibile dirlo, comunque sono circa trenta chilometri… il problema è che c’è un altopiano da sormontare, e non è possibile aggirarlo; questo ci rallenterà un po’.”
“Non importa.”

Il comandante prese il suo zaino, lo appoggiò sulle spalle e si mise in marcia, e dietro di lui Makoto fece cenno agli altri di seguirlo.

Shinji rimase un istante fermo ad osservare la verde vallata in cui si trovavano: un vero e proprio paradiso, come avrebbe potuto essere il giardino dell’Eden. O almeno, così appariva.

   
 
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