Oggi per me è un vecchio
anniversario triste, e mi regalo una shot drammatica. E’ insensata, OOC,
banale e patetica, ma la volevo scrivere e l’ho scritta.
A quelli che se ne vanno senza
chiedere il permesso.
A presto.
suni
Te lo prometto
Il corridoio sotterraneo
è buio, umido. Da qualche parte un gocciolio costante indica una perdita
d’acqua nel sottosuolo, forse tubature troppo vecchie. Non c’è
quasi luce.
Naruto non ha potuto vedere il
viso dell’ANBU che lo sta guidando, coperto dalla maschera, e non riesce
a riconoscerlo dal portamento. Comunque non ha importanza, ciò che conta
è arrivare in fretta.
Sasuke è stato
dichiarato ufficialmente nukenin poco prima di tornare a Konoha, e
quell’infame etichetta non gli è stata tolta dopo la caduta del
governo folle di Danzo. Nessuno a Konoha rivuole il discepolo di Orochimaru,
nessuno è disposto a credere che davvero si sia schierato a favore del
villaggio e non contro di esso nella battaglia finale. Quei pochi che sanno non
sono fonti obiettive, sono tutti coinvolti nel colpo di stato. Sakura Haruno,
Shikamaru Nara, Shizune, e poi Choji, Rock Lee, persino il Nanadaime Hokage,
Kakashi.
Il Consiglio e la maggior parte
dei civili vogliono vedere Sasuke Uchiha morto, possibilmente in fretta. Che
l’incubo del clan maledetto finisca, per non riprendere più. Che
il criminale paghi, e l’equilibrio torni.
Kakashi si è opposto e
si sta ancora opponendo, ma nemmeno un Hokage può molto contro il
tribunale, a meno di instaurare un’altra dittatura. E questo, Naruto lo
sa, Kakashi non lo farà mai. Per fortuna. Il massimo che potrebbe
riuscire ad ottenere sarebbe di commutare la pena di morte in segregazione a
vita, e non è un granché.
E’ tutto in mano sua,
adesso, c’è soltanto lui che possa fare qualcosa.
“Eccoci, è
qui,” lo apostrofa l’ANBU, sbrigativo.
La porta è in legno,
massiccia, compatta. Soltanto una stretta feritoia all’altezza del volto
ne interrompe la possanza, e si sente il campo magnetico che blocca il chakra,
per impedire ogni genere di fuga. E’ tutto ben fatto, tutto preciso.
“Posso entrare?”
chiede lui, con foga.
L’altro scuote la testa,
fermo.
“Puoi parlare da fuori.
Ma non farti illusioni, lo stronzetto non risponde alle domande.” Gli
volta le spalle. “Dieci minuti. E se fai gesti avventati avrai modo di
pentirtene, eroe.”
La voce non è nemmeno
sarcastica, solo indifferente. Lì, sottoterra, non deve davvero avere
molta importanza che lui abbia fermato l’Akatsuki, Madara, Danzo.
Guarda la porta ancora per
qualche istante mentre i passi dell’altro si allontanano, poi appiccica
il viso alla fessura e guarda dentro, sgranando gli occhi per vederci qualcosa.
C’è appena un filo di luce che piove dall’alto, infimo, e
dapprincipio non si vede nulla. Poi scorge la sagoma umana, seduta per terra
con la schiena addossata alla parete. Lo riconosce unicamente dal modo in cui i
capelli gli ricadono lungo il viso, non si vedono nemmeno gli occhi.
“Mi hai sentito arrivare,
no?” chiede, scherzoso. Ma è uno scherzare che fa pena.
Sasuke, perché è
lui, rimane perfettamente immobile.
“Devi aver riconosciuto
la mia voce a chilometri,” continua Naruto, accolto dallo stesso silenzio
immoto. “Dai, teme, rispondi. Non vorrai dar ragione a quel cretino di un
ANBU, no?”
Ha così tanto bisogno di
parlargli, e non c’è stato abbastanza tempo l’altra sera.
C’era la battaglia, e dopo erano feriti, ci sono state macerie,
l’arresto, il rovesciamento del governo di Danzo. E’ successo tutto
troppo in fretta e Naruto ha quasi l’impressione che siano allucinazioni.
Non ha avuto tempo di parlare per bene con Sasuke, nemmeno ha capito tutto: il
complotto, il genocidio del clan, il ruolo di Itachi – hanno sempre
pensato tutti che fosse un mostro, invece i mostri erano gli altri.
“Lo sai che non me ne
vado di qui finché non rispondi, vero?”
Dopo un paio d’altri
secondi si sente il fruscio d’un movimento, la testa di Sasuke si muove.
“Ti restano circa otto
minuti e mezzo, poi dovrai andartene per forza,” annuncia, inespressivo.
“Io non vado da nessuna
parte senza averti tirato fuori,” ribatte lui, troppo scombussolato per
non reagire altro che d’impulso. Ma Sasuke ha parlato e il sollievo lo
invade. E’ lì, è lui, è vivo e sta parlando. In
qualche modo sistemeranno tutto: lo hanno fatto anche l’altra notte, e
sì che gli avversari non scherzavano.
“Davvero? Come pensi di
fare?” lo schernisce Sasuke, condiscendente.
“Non lo so, ancora, ma in
qualunque modo...”
“Vuoi diventare un
nukenin, dobe?” lo zittisce freddamente l’altro, sprezzante e quasi
canzonatorio.
Il viso di Naruto
s’irrigidisce, grave.
“Se sarà
necessario, sì.”
Sasuke appoggia la testa
indietro, lo si sente inspirare profondamente. Tace di nuovo per qualche
istante e poi sbuffa rumorosamente, esasperato.
“Che razza di imbecille.
Nukenin, tu, e per che cosa poi? Per uno che ha cercato di ammazzarti
un’infinità di volte.”
“Perché no? Cosa
importa, a te? Quello che intendo fare sono fatti miei, non è vero,
Sas’ke?” risponde lui, con una durezza nuova.
L’altro sbuffa
un’altra volta. Poi si vede il movimento, il suo corpo che si raddrizza,
sparisce dalla visuale e ricompare in avvicinamento, finché nella
fessura non rilucono i suoi occhi. Sono aggrottati, sterili ma, nel fondo
– nessun altro a parte Naruto potrebbe capirlo, probabilmente –
estremamente inquieti, tristi.
“Hai sempre detto che il
tuo grande sogno è diventare Hokage, e allora piantala di dire idiozie.”
La voce del genio suona grave, bassa e profonda. “Girati ed esci dal
maledetto corridoio. Questa volta è finita, usuratonkachi. E’
finita davvero.”
Lui s’irrigidisce, con un
moto di panico e di contrarietà brutale. Deglutisce l’angoscia,
piantandosi deciso sulle gambe un po’ più stabili.
“Teme, te l’ho
già spiegato una volta, ma tu hai la testa così dura che non so
davvero più cosa dirti,” sbotta animoso. “Che razza di
Hokage potrei mai essere se non sono nemmeno capace di salvare il mio migliore
amico?”
“...Forse non ci siamo
capiti, dobe. Io non ho mai messo in dubbio il fatto che come Hokage faresti
schifo.”
La risata sgorga dalla gola di
Naruto spontanea, nonostante tutto, alleggerisce i polmoni ma brucia. Gli viene
quasi da piangere e stringe le labbra cacciando la mano nella fessura della
porta, la spinge tanto da farsi male contro i bordi di metallo e conficcarseli
nella pelle.
“Le vedi le mie dita,
teme?”
“Grazie tante, cretino,
me le hai quasi infilate in un occhio,” ribatte Sasuke sprezzante.
Ma poi c’è il suo
mignolo che lo sfiora leggerissimo e dopo arriva tutta la mano, impacciata e quasi
burbera, che si strofina e poi spinge via la sua. Ma è uno spingere
sciocco da ragazzino dispettoso, quasi commuove.
“Mi sei mancato,
Sas’ke,” afferma Naruto franco, appoggiando la fronte alla porta.
Sasuke non risponde, ma Naruto
sa che il suo silenzio senza ripicche vuole dire “anche tu.”
Lui resta lì immobile,
il corpo retto dalla porta, la mano che ormai fa davvero male schiacciata nella
fessura, le dita tese intrecciate con quelle di Sasuke.
“Ti tirerò fuori
di lì,” mormora risoluto, anche se la sua voce un po’ trema.
“Dobe...” Sasuke
sospira di nuovo rassegnato, lo si sente bene attraverso il legno.
“Dovresti averlo già capito. Non puoi aiutare uno che non vuole
essere aiutato.”
“Sì che
posso!” risponde Naruto, sollevando la testa come se potesse guardarlo in
faccia con sfida. “Scommettiamo?”
Sasuke sbuffa nuovamente.
“E cosa
scommettiamo?” chiede noncurante, sembra quasi annoiato. Non si capisce
quanto davvero tutto gli sia indifferente e quanto lo faccia apposta.
“Se vinco io, mi offri un
pranzo da Ichiraku, con quante porzioni di ramen mi pare,” risponde
Naruto sornione.
“E se perdi?” lo
interroga Sasuke, sarcastico.
Naruto stringe le labbra,
rifiutando quell’ipotesi.
“Non perdo,”
assicura, risoluto. “Stavolta non perdo, Sas’ke.”
“Fai quello che ti pare.
Per me è lo stesso, sai. Non uscirò di qui, hai già
perso.”
“Uscirai, te lo
giuro.”
“Uzumaki, dieci minuti
sono passati,” lo interpella la voce dell’ANBU, che ricompare nella
penombra.
“Un momento solo!”
chiede lui febbrilmente.
“Vattene, dobe,”
mormora Sasuke per non farsi sentire. Ha scelto il silenzio e probabilmente,
realizza Naruto, quella è stata la sua prima conversazione da giorni.
“Cammina, esci da qui e ripulisci questo posto dal fango. Tu, Kakashi,
Sakura.”
“E tu. Tu lo sai meglio
di noi, dov’è il fango.”
“Uzumaki, dieci
min...”
“E TU STA’ ZITTO,
specie di cane da guardia!” bercia lui, stizzito. “Non hai davvero
un minimo di rispetto?”
“Dobe...” sussurra
Sasuke, rassegnato.
“Mi stai insultando,
Uzumaki?”
Lui poggia le mani sui fianchi,
pronto anche alla bagarra. Se se il litigio evolverà male, tirerà
giù la porta adesso, campo magnetico o meno – troverà il
modo - e Sasuke sarà fuori.
“Dobe,” lo blocca
il sibilo proveniente dalla cella. “Per favore. Non ne vale la pena, ci
rimetti per niente. Esci da questa fottuta prigione. Non ti ho mai chiesto
niente, te lo chiedo ora. Per favore, esci.”
Lui deglutisce pesantemente,
stringendo i denti.
“Va bene, andiamo,”
bofonchia arreso all’indirizzo dell’ANBU. “Torno a prenderti
presto. E’ una promessa.”
“Come no. Ciao,
dobe.”
“Malfidente. Ciao,
teme.”
Le dita si stringono
un’ultima volta in quel buco pietoso, poi Naruto tira fuori la mano e si
allontana. Al primo passo avverte un senso di strappo, una vertigine
insopportabile. Per un attimo pensa di stendere il suo accompagnatore e cercare
di sfasciare tutto, ma in fondo Sasuke non sparirà di lì da solo,
tanto vale organizzarsi meglio. Shikamaru sicuramente lo saprà aiutare.
Sospira a fondo quando i suoi
occhi ritrovano la luce del sole.
Presto, la regalerà
anche a quelli di Sasuke.
Ci sono una quantità di
modi di uccidere e di morire, e Sasuke è sempre stato pronto a usarli
tutti. Forse è per questo che davanti al viso congestionato e terreo di
Konohamaru, con i singhiozzi straziati di Sakura nelle orecchie, Naruto pensa
che dopotutto se lo aspettava. Pensa che in fondo sapeva cosa fosse quella
vertigine e forse ha fatto finta di niente. Forse dentro di sé,
nell’intimo, voleva che la fine fosse degna come l’inizio, e che
l’erede dello sharingan fosse libero di decidere fino in fondo. Forse
invece ha soltanto rifiutato quell’idea aberrante.
Comunque sia, Sasuke ha detto
che non sarebbe uscito da quella cella, e non l’ha fatto.
Tutto di testa sua, fino
all’ultimo.
“Mi dispiace, Naruto. Si
è ucciso durante la notte, nessuno ha sentito nulla.”
Il jinchuuriki di Kyuubi
annuisce in silenzio. Dentro, ha un buco divorante che ustiona. Strizza gli
occhi e si chiede come farà a sopportarlo per il resto della sua vita;
è intollerabile, semplicemente intollerabile. Non si può reggere
questo peso immenso sullo stomaco, e l’impotenza, questo dolore. E’
impossibile.
“Prima si
è...ferito alla mano, e così è riuscito a scrivere una frase sul muro. Non siamo riusciti
a capire cosa volesse dire,” continua Konohamaru, penosamente.
“Che cosa?” chiede
Naruto, ma la sua voce è un sussurro roco e animale. Per un attimo ha la
certezza di non potercela fare,
stringe i denti tanto che stridono.
“Non farai schifo. Cosa può significare?”
Nel giro di un istante Naruto
ha l’impulso di scoppiare a ridere e poi quello di urlare fino a soffocarsi.
“Non lo so,”
risponde infine, con la voce spezzata da un singulto.
No, Sas’ke, non farò schifo. Sarò il più grande
Hokage di Konoha, e pulirò tutto. Per davvero, stavolta.
Te lo prometto.