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Autore: lady lina 77    14/08/2017    2 recensioni
Seguito di Without you. Un anno dopo la nascita di Isabella-Rose, Ross e Demelza vivono una vita serena e felice a Nampara, insieme ai loro tre figli. Ma il destino si sa, è malefico. E un incidente scombinerà di nuovo le carte, facendoli precipitare in un tunnel di dolore, incertezza e difficoltà.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"Ross, dobbiamo parlare".

La voce di Dwight, che aveva mandato a chiamare in fretta e furia da Jud, era grave e preoccupata. Era rimasto a lungo in camera a visitare Demelza che, debolissima, non aveva mai ripreso conoscenza, ed ora era il momento del verdetto.

A Ross sembrava di impazzire, avrebbe voluto uccidere gli uomini che avevano osato farle del male, sbatterli al muro e riempirli di pugni, avrebbe voluto curarla e farla star bene solo con la sua vicinanza, avrebbe voluto essere al suo posto. E invece non poteva fare nulla e si sentiva completamente inutile. La testa gli doleva da morire, davanti ai suoi occhi balenavano improvvise immagini di cose che per lui non avevano senso e se non fosse stato tanto preoccupato per Demelza, avrebbe chiesto a Dwight una visita per se stesso. "Dimmi" – rispose al medico, stringendosi la tempia fra le dita e pregando che portasse buone notizie.

Dwight sospirò, poggiandogli una mano sulla spalla. "Ross, è viva, ha una tempra forte ed è giovane".

"Ma...?" - chiese, perché lo avvertiva chiaramente che c'era un 'ma'.

"Ross, devo estrarle il proiettile e suturare la ferita".

"D'accordo, fa quel che devi!" - rispose, con urgenza. Perché stava perdendo tempo con lui, invece che curare Demelza?

Dwight scosse la testa, sospirando. "Ha perso molto sangue, è troppo debole. L'intervento di per se potrebbe non essere troppo complicato, ma Demelza potrebbe non riuscire comunque a superarlo. Il suo cuore potrebbe cedere... Sei tu che devi decidere se vale la pena tentare o se preferisci lasciarla andare in pace, senza torturarla".

A Ross parve mancare il fiato ed ebbe un nuovo giramento di testa che lo costrinse ad appoggiarsi al muro per non cadere. Non poteva essere, NON POTEVA ESSERE! Dwight stava dicendo che sua moglie... la sua bellissima moglie... stava morendo... E gli stava chiedendo di decidere come... Era un incubo, era peggio di un incubo. Pensò a come sarebbe stato perderla, al dolore dei loro bambini, a come quella casa avrebbe smesso di essere una casa senza di lei che ne era l'anima.

"Ross, stai bene?" - chiese Dwight, afferrandolo per il braccio ed aiutandolo a sorreggersi.

"Mi gira la testa, da morire, da oggi pomeriggio, da quando sono corso fuori per cercare mia moglie e i miei bambini. Ma non è niente di grave, non ha importanza".

Dwight lo studiò in viso, accigliato. "Un forte stress, nelle tue condizioni, potrebbe aiutarti a guarire dall'amnesia, lo sai?".

Ross gli diede uno strattone, allontanandolo da lui. Che importava? Delle sue condizioni di salute e della sua amnesia, a Ross non importava nulla! Era solo di Demelza che voleva parlare, solo di lei! "Demelza, dobbiamo pensare a lei, non a me".

"Cosa faccio?" - chiese Dwight.

Ross sorrise tristemente, mentre nella sua mente si formulava la risposta più ovvia da dargli. Demelza era forte, una combattente. Non lo avrebbe lasciato e non avrebbe lasciato i suoi bambin, avrebbe lottato come una leonessa. "Toglile quel proiettile, fa in fretta e fa in modo che non soffra. E riportala da me".

Dwight annuì. "Farò del mio meglio. Vuoi entrare per salutarla?".

"Posso farlo?".

"Sì, puoi. Una cosa breve, mentre preparo i ferri".

"Posso portare i bambini da lei? Li ho lasciati giù in salone con Prudie".

A quel punto il medico scosse la testa. "No, non è il caso. La vedranno quando starà meglio".

"Starà meglio? Tu ci credi, vero Dwight? Credi in lei?".

Dwight sorrise. "Sì, credo in lei". Gli diede una pacca sulla spalla in tono amichevole per dargli coraggio. "Va da tua moglie Ross, anche se è priva di coscienza, sono sicuro che percepirà che sei accanto a lei".

Ross annuì. E poi entrò in camera dalla moglie.

Lei sembrava addormentata. I suoi lunghi capelli rossi erano sparsi sul cuscino e il suo viso era pallido e sofferente. Le si avvicinò, sedendosi accanto a lei e prendendole la mano. Gliela baciò, portandosela alle labbra. "Mi fido di te, so che sei forte. Ne uscirai, ne usciremo come sempre. Mi hai raccontato che insieme abbiamo combattuto mille battaglie, questa è solo una delle tante". Si chinò, dandole un lieve bacio stavolta sulle labbra. E in quel momento, come un flash, nella sua mente apparve un'immagine di Demelza vestita con un abito rosso, seguita da un'altra in cui era in quello stesso letto, pallida e sofferente come la vedeva in quel momento. Ross si tirò su di scatto, turbato. Cos'erano quelle immagini che, da quel pomeriggio, gli ferivano occhi e mente? Era il suo passato che cercava di tornare? O fantasie malate di un uomo terribilmente preoccupato per la moglie?

Dwight in quel momento rientrò, poggiando la sua borsa sul comodino. "Ross, ora devi andare, penserò io a lei".

Annuì, baciandola di nuovo ed appoggiando la fronte sulla sua. Aveva paura, per lei, per lui, per i loro bambini. Ma doveva avere fiducia, era tutto quello che poteva fare. "Torna da me" – sussurrò, quasi implorandola. Poi si alzò, poggiando famigliarmente una mano sulla spalla di Dwight. "Te la affido, è tutto quello che ho. Salvala e riportala da noi".

Dwight annuì e, a malincuore, Ross uscì dalla stanza. Si allontanò, non voleva sentire né immaginare nulla di quello che sarebbe successo lì dentro.

Scese al piano di sotto dove Prudie cercava di intrattenere i suoi figli. I suoi bambini erano ancora molto scossi e non sapeva cosa fare. La piccola Bella frignava in braccio alla loro serva e d'istinto la prese, stringendola a se ed avvicinandosi agli altri due bambini che, seduti alla panca del tavolo, se ne stavano in silenzio, ammutoliti. "La mamma starà bene, vedrete".

Jeremy abbassò lo sguardo. "Sei sicuro? Era come morta".

Ross scosse la testa. Era inutile mentire per tranquillizzarli, i suoi figli avevano vissuto l'agonìa della madre in prima persona e avrebbero captato subito una bugia. "Non è morta, però sta molto male. Dwight l'aiuterà a stare meglio e pian piano guarirà".

Clowance non disse nulla. Lo guardò storto, si alzò e andò a rannicchiarsi davanti al camino, chiusa in un ostinato silenzio.

Ross la guardò, sentendosi impotente. Clowance era la figlia con cui gli era più difficile rapportarsi e con la quale aveva parecchi problemi irrisolti. Ma in quel momento andavano messi da parte, ne era consapevole. La sua bambina era spaventata e confusa e toccava a lui fare il primo passo. Le si avvicinò, inginocchiandosi accanto a lei e mettendole Bella vicino. "Vuoi venire un po' in braccio? Magari ti tranquillizzi e riesci a dormire un po'".

"No, non voglio venire in braccio. Voglio solo stare quì e aspettare la mamma".

"Ci vorrà molto".

"Fa niente, resto quì lo stesso".

Ross fece per accarezzarle i capelli, ma la piccola si scostò bruscamente. E in quel momento si chiese se sarebbe mai riuscito a recuperare il rapporto con lei. Aveva bisogno di Demelza, di averla vicino... Lei avrebbe saputo cosa fare... "Clowance, per favore...".

La bimba si voltò verso di lui, osservandolo con occhi velati di lacrime. E per la seconda volta, un'immagine sconosciuta apparve agli occhi di Ross. Una Clowance più piccola, con la testolina piena di boccoli rossi e un albero di Natale tutto rosa... Fu colto da una vertigine fortissima e dovette appoggiarsi al tavolo per non cadere.

"Papà". Jeremy gli corse vicino, spaventato.

Ross gli accarezzò la guancia. "Sto bene, mi fa solo un po' male la testa".

Anche Clowance lo fissò, non riuscendo a mascherare la preoccupazione. E a quel punto si fece coraggio, si inchinò e la prese in braccio, assieme a Bella. "Sto bene, state tranquilli. E' la mamma che ha bisogno di Dwight, non io".

Prudie lo osservò senza dire una parola ed uscì con Jud fuori dalla porta a prendere un po' d'aria. Ross, con le due bambine fra le braccia, si sedette sulla panca con Jeremy accanto, aspettando notizie da Dwight.

Clowance non fece obiezioni, rimase in silenzio rannicchiata contro il suo petto e pure Bella, di solito vivace e pestifera, rimase ferma.

Calò il silenzio e Ross, coi suoi figli vicino, parve perdere la cognizione del tempo. La testa gli girava da morire ma avere i bambini vicino era come avere un appiglio per non cadere. Immagini veloci e confuse gli danzavano davanti agli occhi e non sapeva dar loro né forma né collocazione spazio temporale, si sentiva confuso e inerme e non aveva idea di come bloccare quello stato di ansia in cui era caduto. "Un albero di Natale rosa... Lo abbiamo mai avuto?" - chiese improvvisamente, quasi più a se stesso che ai suoi figli.

Jeremy lo guardò, sbuffando. "Sì, a Londra. Era di Clowance, quando era piccola lei voleva tutto rosa. Ti ricordi?".

Clowance scosse la testa, non troppo desiderosa di parlare. "No, non mi ricordo".

"Ma io sì" – sussurrò Ross, fra i capelli rossi della figlia. Il suo passato stava tornando e forse, come gli aveva detto Dwight, era il trauma per quanto successo a Demelza che stava smuovendo qualcosa in lui. Forse doveva esserne felice, ma non era così. Avrebbe preferito continuare a non ricordare nulla, se il prezzo da pagare lo stava scontando Demelza...

Pregò silenziosamente per lei... Che non soffrisse, che Dwight sistemasse le cose e che guarisse in fretta.

I minuti sembravano dilatarsi in ore, la casa pareva immersa in un silenzio surreale e dalle scale e dalla camera dove Dwight stava cercando di salvare la vita di sua moglie, non proveniva alcun suono.

I bimbi erano chiusi in un ostinato mutismo, Bella era sprofondata in un sonno agitato e persino Artù si era rintanato nella sua cesta e non si muoveva. Di tanto in tanto Jud e Prudie facevano capolino in cerca di notizie ma poi finivano per uscire di nuovo fuori a testa bassa.

Non seppe dire quante ore fossero passate, due o forse tre... Ore passate a chiedersi quanto diavolo ci volesse per estrarre un proiettile.

E quando alla fine Dwight, sudato e stravolto, comparve dalle scale, a Ross parve fermarsi il cuore. "E allora?" - chiese, con timore.

"E allora è molto debole, ma quanto meno sono riuscito ad estrarre il proiettile e a medicarle la ferita. Potrebbe avere la febbre molto alta nelle prossime ore e avrà bisogno di assistenza costante, non deve essere lasciata sola".

Ross deglutì, annuendo. "Quindi... andrà tutto bene?".

Dwight scosse la testa. "Vorrei potertelo assicurare ma la verità è che siamo nelle mani di Dio e che dobbiamo confidare nella forza di Demelza. Io ho fatto tutto quello che potevo, ora dipende da lei".

Ross si alzò in piedi, affidando Bella alle cure di Jeremy e mettendo Clowance in terra. "Posso andare da lei?".

"Devi andare da lei" – rispose Dwight, con ovvietà. "I bambini però, finché non si sarà risvegliata, è meglio che restino fuori dalla stanza. Ha bisogno di riposo".

Clowance e Jeremy abbassarono lo sguardo e Ross carezzò loro la testa. "Su, abbiate un po' di pazienza, è per il bene della mamma. Starò io con lei e farò in modo che guarisca in fretta".

"Tu come stai Ross? Hai ancora dolori alla testa?" - gli chiese Dwight, studiandolo in viso.

"Si, ma non ha importanza". Non ne aveva, per niente. Voleva solo andare da Demelza in quel momento, il resto non contava.

Lasciò i bambini alle cure di Prudie e corse al piano di sopra, entrando nella stanza in punta di piedi.

Demelza pareva dormire un sonno profondo, il suo viso era di poggiato di lato sul cuscino e i riccioli rossi le coprivano parzialmente una guancia. Era pallidissima e il suo volto era stanco e sofferente, ma era viva. Solo questo importava!

Si sedette accanto a lei, prendendole la mano nelle sue ed accarezzandole il palmo. "Sei stata bravissima, sono orgoglioso di te".

E poi Ross non disse più nulla e calò il silenzio. Le rimase accanto per ore, mettendole pezze bagnate sulla fronte, sistemandole i capelli che le scivolavano sul viso e accarezzandole la mano. Prudie arrivò a portargli la cena ma non spizzicò che un po' di pane, gli pareva di avere lo stomaco chiuso.

Calò il buio, accese le candele nella stanza per poter continuare a vegliare il suo sonno e quando ormai la mezzanotte era passata da molto, sentì la porta cigolare. Artù, di soppiatto, entrò, accucciandosi ai piedi del letto, al suo fianco.

Ross osservò il cane. Se non fosse stato per lui che li aveva guidati fino alla grotta, forse non sarebbe arrivato in tempo per salvarla. Lo chiamò a se, accarezzandogli poi la testolina. Aveva il pelo morbido come seta, bianco come la neve e due occhietti neri e vivaci. "Ti devo ringraziare". Improvvisamente, di nuovo, sentì la testa girargli e nella sua mente apparvero altre immagini. Ma stavolta non semplici e veloci flash... Vide una fiera, vide se stesso molto più giovane e un cane dal pelo chiaro come Artù ma che non era Artù. E un ragazzino vestito di stracci... no, una ragazzina... la padroncina del cane... "Demelza... Garrick...". Ross spalancò gli occhi, la stanza gli prese a girare attorno sempre più forte... Vide altre immagini, il viso di una giovane donna dai lunghi capelli scuri, una miniera, il visino di una bimba persa nel tempo e strappata dal destino ai suoi genitori, la nascita di Jeremy, i suoi giochi con Clowance e Bella...

Per un attimo la testa gli girò talmente forte che cadde a terra, stringendosi le tempie con le mani, mentre Artù gli leccava preoccupato la guancia. Durò lunghi istanti e poi, di colpo, tutto smise di girare e la testa smise di pulsare. Aprì gli occhi e si trovò davanti il muso del cane che, accigliato, lo guardava come se fosse stato pazzo. E in quel momento si rese conto di qualcosa che, in situazioni normali, l'avrebbe fatto ridere come un pazzo. Ricordava! Tutto! "E pensare che quella testona di mia moglie nemmeno ti voleva" – sussurrò quasi commosso, accarezzandolo e stringendolo a se.

Guardò la stanza, la sua stanza. Non aveva idea di come e perché fose successo ma era tornato, ora era davvero tornato a casa! Si tirò in piedi, osservando Demelza spersa in un sonno senza sogni, ricordando ogni cosa di lei, di loro e degli ultimi momenti che avevano trascorso insieme prima del suo incidente in miniera. Gli si strinse il cuore nel pensare a quel momento. "Perdonami..." - disse, sotto voce, tornandole accanto e prendendole la mano. "Scusa se ti ho fatto preoccupare e ti ho lasciata sola. Ma ora sono quì...". Ricordava tutto, ogni cosa accaduta prima e dopo il suo incidente. L'unico dono che quella giornata infernale aveva regalato alla sua vita, la guarigione...

Sapeva chi era, adesso. Era il marito innamorato e orgoglioso di Demelza, il padre di tre splendidi bambini, il proprietario di una miniera, un uomo che aveva sbagliato tantissimo e aveva rischiato di perdere ciò che davvero contava. Un uomo che aveva amato in passato un'altra donna che mai avrebbe potuto renderlo felice e che aveva trovato la sua ragione di vita in una ragazzina vestita di stracci che aveva incontrato per caso a una fiera tanti anni prima, mentre era intenta a difendere il suo cane.

Si chinò su di lei, baciandola lievemente sulle labbra. "Sono tornato, sono guarito... Ora fai altrettanto e torna da noi, ti prego". Era difficile vederla star male, percepire su di se il dolore che doveva aver provato anche lei quando era stato lui a tornare a casa quasi morto. E provarlo lui stesso era un qualcosa che gliela faceva sentire più vicina. "Torna, torna da me, torna da noi, ti aspettiamo".

Demelza non si mosse, apparentemente troppo lontana per sentire le sue suppliche. Ma Ross avvertì che la mano che stringeva, rispondeva debolmente al suo tocco.



  
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