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Autore: Kimmy_90    18/08/2017    2 recensioni
[Sequel de "I Frutti dell'Oblio"]
Un battito dopo l’altro, ed uno ancora per abitudine.
Fame, bisogno, bisogno e fame. Non erano quelle le giuste parole. Le parole non dovevano far parte del suo mondo, assai superiore a questo.
Non importava.
Un battito dopo l’altro, avrebbe aspettato. Ancora ed ancora.

Chi è tua madre?, aveva chiesto Obito.
Kushina si era drizzata tutta, prendendo un paio di centimetri nella sola estensione della colonna vertebrale. Aveva levato il mento e aveva risposto con inaudita sicurezza: "Io non ho madre".
Minato aveva sentito un moto di comprensione per l’altra, la quale, a quanto pareva, come lui era orfana di un genitore.
Ma poi Obito era andato avanti, mantenendo una voce insolitamente salda: "Chi è tuo padre?"
E lei: "Io non ho padre."
Minato aveva osservato la bambina gonfiarsi, impettirsi, senza riuscire a capire il perché di tale atteggiamento.
Tu, cittadino, sei figlio del passato e padre del futuro. Apprendi e insegna, non dimenticare mai. Vivi il presente costruendo dalle macerie del passato: ciò che fai appartiene ai tuoi figli, ciò che sei lo devi ai tuoi avi. Sii un buon figlio, sii un buon avo."
[ Warning: "inversione generazionale"]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kushina Uzumaki, Nuovo Personaggio, Yondaime | Coppie: Minato/Kushina
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cristallo di sale'
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(7) – [ Gli occhi ]




Minato stava disteso sul letto, gli occhi più aperti e vigili che mai. Non ricordava, in vita sua, d’essere mai stato sveglio a quell’ora profonda della notte. C’era da domandarsi quanto tempo mancasse all’alba.

Sua mamma l’aveva spedito in camera prima ancora di aver varcato l’uscio: probabilmente si aspettava che, stanco com’era, si sarebbe addormentato non appena steso.

Ovviamente non fu così.

Quando erano arrivati davanti casa, le luci erano accese. Aperta la porta, la prima figura che videro fu la grossa massa dell’Anziano Kankuro, che, nonostante l’età e l’ora, li stava aspettando, lì, in piedi sulle proprie gambe. Guardò Minato un secondo, poi Mebuki, ed infine lo sguardo assorto si posò sulla bambina sulle spalle di Obito.

Minato attraversò la sala come un estraneo: altre tre persone, fra cui riconosceva solo Shikaku, li avevano attesi sino ad allora, seduti attorno al tavolo. Fece le scale lentamente, abbastanza da riuscire a vedere sua madre ed Obito scambiarsi qualche saluto di circostanza con gli altri, per poi posare Kushina su di un giaciglio appositamente preparato. Suo malgrado, il bambino dovette infilarsi in camera sua, togliersi i vestiti da viaggio, infilarsi la casacca che usava per dormire la notte e, finalmente, distendersi sul letto.

Da sotto, gli adulti già avevano iniziato a parlare, il tono basso, con il chiaro intento di non farsi sentire né da lui, né dalla bambina assopita.

Passi sulle scale, un ritmo inconfondibile, dichiararono che sua madre stava salendo. Mebuki fece capolino dalla porta, cercando il figlio con lo sguardo. Minato, disteso, la guardò: i due si fissarono, muti, cercando ognuno d’intendere i pensieri dell’altro.

"Dormi, mi raccomando." fece infine la donna.

Minato annuì.

"Domani mattina puoi restare a letto, come nei giorni scorsi."

Minato annuì di nuovo. La sua convalescenza non era ancora del tutto finita. Certo, fosse stato per lui, e fosse stata una situazione normale, avrebbe fatto storie per riuscire a non perdere una singola ora di lezione. Ma era diverso: cosa volesse fare, ora, non era chiaro nemmeno a lui. Cosa potesse fare, invece, sì: nulla. Assolutamente nulla.



"Con tutta la confusione che hanno fatto i secessionisti, eravamo quasi riusciti a pensare che i movimenti reazionari fossero cessati..."

"O per lo meno che fossero stati assorbiti da loro."

Obito rimaneva in silenzio, osservando la figurina dai lunghi capelli rossi dormire beatamente.

"Dobbiamo capire dove sono i genitori." insisteva Mebuki. "E’ una fonte di informazioni preziosa, non possiamo ignorarla."

"Se è stata effettivamente cresciuta dai reazionari, Mebuki –" sfiatò Shikaku "– sai perfettamente che non sarà cosa facile."

"Ma non è impossibile."

"Shikaku –" mormorò allora Obito, incrociando il suo sguardo dopo un lugo momento di distacco "– tu avevi assistito a un interrogatorio dei reazionari, da ragazzino – vero?"

Il ragazzo storse la bocca. "Sì. Al tirocinio. Ma ero piccolo e stupido – non ricordo granché."

"Io ricordo che me ne parlasti, però."

"E..?"

Gli altri, silenti, osservavano il ragazzo meditare in modo quasi rumoroso. Non accadeva spesso, ma quelle erano le volte in cui Kankuro ricordava i silenzi insistenti e densi di Sasuke, e il modo in cu poi scaturivano in discorsi o azioni netti e precisi. Uchiha.

I figli del fuoco – soprattuttio i discendenti dei Custodes – ancora facevano fatica a capire il significato della propria Gens: eppure, era così palese. Così netta.

Uchiha, come lo era stato Sasuke, come lo era stato Itachi.

"E qualcosa non mi torna."

Uchiha.

Come, in fondo, lo era Minato.

"E cosa?"

Uchiha.

"Qualcosa." ripetè, irritato, Obito.

Non è solo questione di sangue. E’ questione di chi ti circonda, giorno dopo giorno, e ti guida.

"Se sapessi cos’è non me ne starei qui a cazzeggiare." rimarcò il ragazzo, osservando scocciato il suo amico.

"Linguaggio..." lo ammonì Mebuki.

Ma è anche questione di sangue.

"Via, non siamo mica al consiglio!"

La donna portò gli occhi verso l’alto, osservando il soffitto sopra il quale c’era la camera di Minato.

"Per adesso –" interruppe l’anziano Kanukro, alzandosi lentamente "– lasceremo la bambina in custodia a Mebuki. Domani, alla prima seduta del consiglio, riuniremo una comissione per decidere cosa farne."

Mebuki non sembrava entusiasta all’idea.

"Ci siamo solo distratti, ma sappiamo gestire molto meglio i reazionari dei secessionisti."

"Non voglio che Minato parli con la bambina." fece, lapidaria, la donna. "Sai bene com’è fatto. Non puoi scaricarmela qua."

"Io penso, invece, che Minato farebbe molto bene a questa bambina, come presenza."

"Poi rispondi tu alle sue domande?" incalzò la donna. "Hai idea di quante sia capace di farne? Hai presente i Custodes e i bambini del Ludus che non chiedevano nulla, mai, per nessun motivo? L’esatto contrario – questo è Minato. E tu me lo vuoi far stare nella stessa stanza con una bambina reazionaria?"

Il vecchio si strinse nelle spalle. "Per l’appunto."

Sembrava che il mondo non volesse lasciare Mebuki in pace.

Non bastava un bambino complicato come Minato. Non bastavano gli attacchi alle Scholae. Ancora, e ancora.

E ancora.

Sospirò, rassegnata. In fondo, doveva aspettarselo.

"Fai venire qui la nonna, almeno. Te lo chiedo per favore. Per aiuto."

Kankuro annuì. "Sì. Dopo la seduta, se lo vorrà, la invierò qui."

Il resto degli astanti fece per alzarsi in piedi, iniziando a congedarsi.

"Buona notte a tutti."

"Buona notte."





"So che sei lì."

Minato non reagì alla voce di sua madre, che sperava di averlo colto in fallo. No, niente. Minato non si faceva cogliere in fallo: sapeva che lei sapeva.

Appostato in cima alle scale dall’alba, semi nascosto, il bambino scrutava il fagotto di coperte sulla brandina nella sala principale della casa. Degli altri adulti nessuna traccia: erano rimasto solo loro due – e Kushina.

Minato non si muoveva, e oramai era chiaro che il suo intento non era tanto quell di nascondersi da Mebuki, quanto di non farsi vedere da Kushina: ma quella dormiva.

"Scendi a fare colazione." lo incalzò la donna, imponendosi di alzare di molto la sua soglia di sopportazione per la giornata: sarebbe stata lunga e difficile.

"Ma dorme ancora?" domandò lui, sussurrando e senza accennare a voler scendere le scale.

"Sì, le abbiamo dato degli ansiolitici."

"Perché?"

Ecco, si disse Mebuki. Si comincia.

"Per evitare che si svegli urlando in casa di estranei – hai presente?"

"Se non la portavate in casa di estr..."

"Ipse dixit." tagliò corto Mebuki.

Minato sgranò gli occhi: "Chi?"

"L’anziano Kankuro. Scendi a mangiare, forza – che poi arriva la nonna."

Minato prese una grande boccata d’aria, e, rasseganto, scese. In punta di piedi attraverò la sala, quasi trattenendo il respiro quando passò accanto alla bambina. Quella non si mosse: la superò, lanciandosi di corsa nel cucinino. Muto, si avvicinò alla tazza di latte e iniziò a bere.

Dopo qualche istante di silenziò, volse gli occhi verso la madre: "La radio è spenta perché non vuoi che si svegli?" chiese.

Quella annuì.

"O è successo qualcosa di brutto?"

"No, Minato. Se vuoi ti dò le cuffie, così puoi ascoltare in silenzio."

Minato la fissò ancora un po’. "No." concluse. "Va bene."

Nonostante tutto, ancora, si fidava di lei.


Kushina continuò a dormire per il resto della mattina: Minato decise di rimanere in cucina, prima a lavare le stoviglie, poi a pulire il pavimento, infine, senza altre scuse a disposizione, chiedendo di fare esercizi di conto. Mebuki non mollò il forte per un attimo: si sarebbe presa tutta la giornata e anche quelle seguenti, se fosse stato necessario – lasciare da solo Minato in casa era una cosa, lasciare una reazionaria con lui tutt’altro. Inventava calcoli algebrici per il figlio, attendendo la comparsa dell’Anziana Sakura.

Minato resistette quasi per tutta la mattina senza fare domande: sapeva quanto sua mamma ne sarebbe stata infastidita. E sapeva anche che la bisnonna Sakura avrebbe saputo rispondere molto meglio – quindi, anche lui, attendeva. E attendeva.

Ma alla fine non ce la fece più.

Finita l’ennesima divisione, alzò gli occhi dalla pila di fogli stropicciati e chiese: "Ma la farete dormire per tutto il tempo?"

"No."

"E quando si sveglierà?"

Mebuki sospirò. "Non lo so, ma non dovrebbe dormire ancora a lungo, a quanto ha detto il medico."

"Quindi uno di quelli che c’erano ieri sera era un medico?"

"Sì, Minato."

"E gli altri?"

"Non è affar tuo, Minato."

Quello sbuffò, visivamente scocciato. "Perché?"

E ancora, e ancora. "Perché hai otto anni."

Sempre quella stupida cosa dell’età, si diceva Minato. Come fosse una colpa non esser nato prima.

Lui cosa c’entrava? Non lo aveva certo scelto, di avere otto anni.

Dalla sala venne un piccolo mugugno. Minato si drizzò sulla sedia, cercando di vedere se la bambina si fosse mossa.

"Non ti muovere."



***


Ci aveva messo tutta la mattina per recuperare le registrazioni – ma adesso, finalmente, era solo davanti allo schermo. Sul piano illuminato compariva l’immagine di un ragazzetto di una decina d’anni: era uno dei reazionari più giovani che, all’epoca, erano riusciti a portare a colloquio. Venti anni prima.

Dai registri risultava che, dopo una manciata di anni di recupero, si era inserito nella società della Regio come mercante di tessuti.

Obito aveva scoperto molto tempo prima che i suoi occhi non erano capaci di indagare nelle registrazioni: la cosa gli sarebbe stata molto utile, al momento. Poter sfruttare lo Sharingan per capire cosa provava quel ragazzino lo avrebbe aiutato, ma dovette rassegnarsi.

Anche senza il potere della sua mutazione, era in grado di capire le differenze fra quel ragazzino e la bambina del Ludus – Kushina.

Gli occhi, si ripeteva. Lo ripeteva l’anziano Kankuro, e prima di lui lo aveva ripetuto Kakashi. Lo aveva ripetuto piano, perché non aveva voluto intromettersi nella ricostruzione delle nuove generazioni – ma Obito lo aveva sentito. Una vecchia registrazione dei primi anni della ricostruzione, in cui tutti erano giovani, alcuni ancora ragazini: quando Kakashi diceva una cosa, non era facile scordarla. Ecco perchè Kankuro ripeteva insistentemente quello che, lo capiva adesso, era il credo di Kakashi. Di un Custos.

Guardate gli occhi.

Gli occhi dicono tutto.

E gli occhi del ragazzino, figlio di reazionari, che stava guardando nello schermo non erano gli stessi occhi di Kushina.

No.

Affatto.

Cosa c’era in quegli occhi? Cosa c’era, nel racconto di Shikaku, anni prima, del suo tirocinio – cosa c’era di diverso da quel che era successo sull’altipiano del Ludus?

Guarda gli occhi, si era ripetuto, si ripeteva, insisteva.

"Ah."

Certo.

Ecco cos’era.

Ah.


L’Odio.


Obito, per un istante, si dimenticò di respirare.

Ecco perché i reazionari non avevano vinto la loro stupida battaglia. Ecco perché erano scomparsi. Ecco.

Perché loro Odiavano.

Ecco cosa non c’era negli occhi di Kushina.

Odio.

Ecco.


I Custodes e i Philosophi non sapevano odiare. Aveva senso: potevano provare molte forme di disgusto e sentirsi superiori, potevano passare anni a seviziare e venire seviziati – ma non c’era traccia di odio nelle loro azioni. Era tutto parte di un grande gioco e di un grande meccanismo dove ognuno è al posto che gli spetta e non deve fare altro che la sua parte – sia questa dare o ricevere frustate, poco importa.

Aveva studiato a fondo quel che succedeva al Ludus: i bambini più grandi se la prendevano con i più piccoli, insegnando così loro le dure regole del Ludus. Così come era stato fatto a loro, così come loro avevano imparato, replicavano.

I più grossi contro i più magri, che per compensare dovevano farsi scaltri: e appena ne avevano l’occasione, ripagavano – così che i più grossi non si crogiolassero nella loro prestanza fisica.

Tutto questo non aveva nulla a che vedere con l’Odio. C’era la ferrea, limpida – a tratti ingenua – idea di essere nel giusto.

Che rubare oggetti non custoditi faceva bene al bambino sciocco che li aveva dimenticati in giro.

Che dare un paio di pugni sul naso al bambino che si atteggia lo avrebbe rimesso in riga, sempre per il suo bene. Che era meglio prendersi due sberle da un bambino di qualche anno in più, che farsi frustare dai Magistri. Che le frustate dei Magistri fossero giuste, e che fosse giusto che loro se le prendessero.

E i nemici erano solo nemici. Avversari da sconfiggere, per guadagnare terreno, una Regio nemica di cui nulla si sapeva se non che andava combattuta. Fine.

Non c’era spazio per un sentimento viscerale come l’Odio, al Ludus. Fra i Custodes. Nell’Ignis Regio, l’Odio era cosa da Agricolae.


Ecco.

E l’Odio non c’era stato, nemmeno, sul volto di Kushina. Nel suo tono di voce convinto, nei suoi gesti – puri. Così... puri.

Come fai a definire puro qualcosa che è parte intrinseca della vecchia, ignobile, sconsiderata cultura?

Sullo schermo il ragazzino si batteva il petto con foga: "Patriae Fratres", diceva.

Era diverso. Quel ragazzino lo stava dicendo a loro.

Kushina lo aveva detto a sé stessa.

Il ragazzino lo aveva sputato.

Kushina si era gonfiata.

Il ragazzino li guardava con odio.

Kushina era stata fiera, statuaria, inamovibile.

Pura.

Obito si rese conto che, per la prima e forse unica volta, si era trovato davanti a una vera figlia del fuoco. Davanti a quello che era realmente stato il Ludus, e quello che era stata l’Ignis Regio allora.


Inspirò a fondo. Inavvertitamente, il suo cuore aveva preso a pulsare con più insistenza del normale.


Kushina non poteva essere figlia di una famiglia reazionaria.

I reazionari odiavano.

Non potevano non odiare: erano rimasti soli, a combattere una guerra ormai persa, a ricordare con melanconia tempi che non sarebbero tornati – privati della forza dell’Ignis Regio, abbandonati a loro stessi, e consci solo del fatto che tutti, fuori, erano contro di loro.

O Kushina era stata allevata in modo ineccepibile, in una comunità solida e abbastanza grande da replicare le dinamiche del Ludus, oppure non c’era verso che non potesse essere a conoscenza di ciò che la Regio era diventata, né, di fatto, che il mondo oramai era popolato da persone che si opponevano a tutto ciò in cui lei credeva. Non poteva non provare l’odio che Obito aveva visto serpeggiare in tutte le registrazioni degli interrogatori ai reazionari, adulti, anziani o bambini che fossero.

Invece Kushina sembrava essere appena uscita dal Ludus.

Non era possibile.


Spense gli apparecchi, deciso ad avviarsi verso la casa i Mebuki: doveva parlare con Sakura.

E solo adesso si rendeva conto di quanto preziosi sarebbero stati gli ultimi giorni, mesi, anni – chissà – che ancora aveva a disposizione insieme a lei.




____


Non voglio indagare sui meccanismi reconditi che mi hanno riportata a questa storia.

C’erano Sakura e Kushina che mi chiamavano, tutto qua.

Con orrore scopro che sono passati 5 anni dall’ultima volta che ho aggiornato. Ops.

Ma ho ben chiara in testa ancora la trama. Nema problema.

Solo che nel frattempo naruto è giunto al termine e, niente: Obito è OOC violentemente qua. Amen.

Ma dubito ripasserà qualcuno a dare una scorsa a questa storia, quindi me ne frego allegramente.









   
 
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