«Ibbi»
chiamò di nuovo, mentre il
cuore prendeva a batterle più forte. Il fumo era
più denso, ora; il suo odore
talmente penetrante che gli occhi presero a lacrimare e dovette tossire
più
volte per liberare la gola da quel sentore acre. Non ricevendo nessuna
risposta
dall’amica, Lina abbassò istintivamente lo sguardo
a terra, cercando di
superare la barriera grigia che ricopriva il terreno.
E se
fosse caduta? Si chiese, preoccupata. Se
le pecore l’avessero calpestata?
Il
fatto di non riuscire a vedere
con precisione ciò che la circondava la confondeva e
disorientava, ma a ogni
istante che passava, la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava
si
faceva sempre più netta. La ragazza si portò una
mano su bocca e naso, cercando
di proteggerli, e poi si diresse verso il punto in cui aveva visto Ibbi
per
l’ultima volta. Quando lo raggiunse, però, non
trovò altro che erba calpestata
ed escrementi di pecora. Che abbia
inseguito il gregge? Si chiese allora, con una punta di
speranza.
Poi,
veloce com’era apparso, il
fumo prese a diradarsi, senza che nessun alito di vento venisse a
disperderlo.
Nel giro di pochi minuti, l’aria tornò limpida e
tersa com’era stata quando le
pecore avevano iniziato a dare i primi segni di nervosismo. Non
v’era alcuna
traccia di ciò che era successo e, se non fosse stato per il
fatto che sia Ibbi
che gli animali erano scomparsi, Lina avrebbe creduto di essere stata
vittima
di un’illusione.
La
giovane restò immobile per
qualche istante, stringendo inconsapevolmente i pugni sul tessuto della
gonna e
interrogandosi sul da farsi. La cosa più logica sarebbe
stata tornare alla
Congrega e denunciare l’accaduto: ciò a cui aveva
appena assistito era
senz’ombra di dubbio la prova che le stranezze degli ultimi
tempi non erano più
confinate alle remote regioni periferiche, ma avevano iniziato a
manifestarsi
anche lì, nel cuore del regno. D’altro canto,
però, se tendeva le orecchie,
poteva ancora sentire il tintinnio dei campanacci delle pecore
– un suono che
si faceva però sempre più debole man mano che le
bestie si allontanavano. E se
Ibbi le avesse inseguite? Anche se, formalmente, l’altra
ragazza non era sotto
la sua responsabilità, Lina sentiva comunque di doversene
fare carico. Se, da
un lato, il tempo trascorso insieme l’aveva portata ad
affezionarsi a lei,
dall’altro le aveva permesso di conoscerla a fondo: Ibbi non
era il tipo di
persona che si poteva abbandonare a se stessa a cuor leggero. Anche se
aveva
sempre avuto la convinzione che le persone cresciute in un ambiente
difficile –
come Ibbi, appunto – fossero in grado di badare a se stesse
meglio di quelle
che erano cresciute in un ambiente tutto sommato privilegiato, la
giovane
doveva ammettere che lei, figlia di mercanti, pareva comprendere il
mondo
meglio dell’amica, che affrontava la vita con una leggerezza
e un’innocenza
sconcertanti.
Non posso lasciarla da sola, decise, su
due piedi. Senza contare, aggiunse
una parte della
sua mente che avrebbe preferito ignorare, che
non hai nessuna prova che Ibbi abbia inseguito gli animali. E se fosse
semplicemente scomparsa nel nulla? E se qualcuno – o qualcosa
– l’avesse
portata via? Anche questi sono eventi inspiegabili, dopotutto.
La
giovane scosse con decisione
il capo, rifiutandosi di pensare a
quell’eventualità priva di ogni fondamento. Non perderti in congetture assurde, quando
hai a portata di mano una spiegazione perfettamente plausibile,
si
rimproverò.
Inspirando
a fondo, Lina puntò
gli occhi nella direzione verso la quale erano corse le pecore.
C’era un
villaggio, a pochi chilometri da lì. Sarebbe arrivata solo
alle porte del
centro abitato, decise. Se avesse ritrovato la compagna, bene,
altrimenti
avrebbe fatto ritorno alla Congrega senza di lei e avrebbe dato
l’allarme. Non
si sarebbe immischiata in cose più grandi di lei: le donne
consacrate alla
Sapienza non potevano abbandonare i confini della propria Congrega.
Perché il
mondo non poteva e non doveva corromperle, ma anche perché,
al di fuori della
protezione dell’Ordine, avrebbero potuto andare incontro a
mille pericoli.
Ma arrivare fino ai confini del pascolo non mi
metterà in pericolo,
decise la ragazza, raccogliendo il proprio bastone e avviandosi di buon
passo
sulla traccia lasciata dagli animali in fuga. Più si
allontanava dal muretto a
secco che segnalava la fine dei terreni della Congrega, e
più avvertiva un
senso di inquietudine aggrovigliarsi nel suo stomaco. Eppure sentiva di
dovere
andare. Solo fino alle porte del villaggio, non oltre.
Pietrarossa, si disse. Si
chiama Pietrarossa e sopravvive grazie al commercio di lana e tessuti
grezzi. Il
fatto di ripetersi nozioni apprese in biblioteca le dava
l’illusione di
conoscere un po’ meglio un mondo che aveva abbandonato per
sempre a soli
quindici anni, spinta dalla pressione di sua madre, del suo patrigno e
dei suoi
cinque fratelli maggiori.
Un
improvviso scivolone su un
sasso instabile la costrinse a concentrarsi un po’ di
più su quello che aveva
sotto i piedi. Davanti a lei, il terreno declinava piuttosto
rapidamente, ma la
curvatura della dorsale su cui si trovava era tale che la ragazza non
aveva
modo di vedere che a poche centinaia di metri di distanza. Raccogliendo
la
gonna con una mano per procedere più speditamente, Lina
scese zigzagando lungo
il sentiero, ora facilmente distinguibile, che attraversava il pendio
erboso
costellato da enormi massi appuntiti. La gente del posto, che non
riusciva a
spiegarsi come quei giganteschi blocchi di roccia fossero arrivati
lì, li aveva
ribattezzati “Sassi delle Fate”, supponendo che
questi fossero stati lasciati
lì da qualche forza sovrannaturale.
Lina
si prese qualche istante per
riflettere su come quel fatto fosse l’ennesima riprova che,
spesso, la gente
ricorreva a magia e superstizione per spiegarsi ciò che non
riusciva a
comprendere, e poi si rimise in cammino. Lo scampanellare che
l’aveva guidata
fino a lì era ora stabile, indice che le pecore si erano
fermate, e lo stomaco
della giovane fu attraversato da una fitta d’inquietudine: e
se Ibbi non fosse
stata lì? Forse ha fatto ritorno
alla
Congrega, si disse, ma poi scartò
quell’ipotesi. Il sentiero che partiva
dal pascolo e che conduceva alla Congrega procedeva in linea retta per
un ampio
tratto e il tempo che aveva passato immersa nel fumo era stato troppo
breve
perché Ibbi avesse potuto percorrerlo e scomparire dalla sua
vista.
Dopo
poche decine di metri, il
sentiero scollinò e la giovane giunse improvvisamente in
vista dell’abitato di
Pietrarossa. Ciò che catturò maggiormente la sua
attenzione, però, fu l’enorme
gregge di pecore radunato nei prati antistanti al villaggio. Queste non sono tutte mie,
constatò,
confusa. Non senza una certa apprensione, Lina notò che tra
gli animali si
aggiravano alcuni uomini – probabilmente pastori –
mentre ai margini del gregge
erano in attesa alcune persone che i mantelli blu identificavano come
Guardie
Reali. La loro presenza in quel luogo la sorprese non poco, ma la
ragazza vide
che non aveva senso attendere oltre: inspirando a fondo per farsi
coraggio –
non era più abituata a trattare con persone che non fossero
le sue consorelle –
si incamminò verso il gregge.
Dovrei forse segnalare la mia presenza?
Si chiese, a disagio. Per
sua fortuna, pochi istanti dopo un anziano pastore sollevò
gli occhi dalle
pecore e incrociò i suoi.
«Buongiorno»
lo salutò, cercando di nascondere il proprio nervosismo.
L’uomo
si tolse il cappello dalla
testa e inclinò leggermente il capo nella sua direzione.
«Buongiorno a te…
sorella?» Il saluto suonò quasi come una domanda
e, automaticamente, le mani di
Lina volarono ai suoi capelli, cercando di dar loro una parvenza di
ordine.
«Ehm…
credo che alcune di queste
pecore siano mie» fece, riducendo al minimo
l’obbligo di fare conversazione.
«Lo
credo anch’io» convenne
l’uomo. «Ci sono piombate addosso
all’improvviso. Erano tutte spaventate, come
se stessero scappando da qualcosa.»
Lina
si accorse che l’attenzione
dei presenti – o per lo meno di quelli a portata
d’orecchio – era tutta su di
lei e la cosa la fece arrossire. «È per
caso… per caso, con loro è arrivata
anche una mia consorella?» chiese, aggirando la domanda che,
pur
indirettamente, il pastore le aveva posto. Anche se confuso dal cambio
di
argomento, quello scosse il capo. «No, erano sole.»
Nell’udire
quella risposta,
un’ondata di sconforto si abbatté su di lei, e la
cosa dovette essere evidente,
perché una guardia le si avvicinò.
«C’è qualche problema?» Lina
tossicchiò
appena, per assicurarsi che la sua voce fosse salda, poi
alzò lo sguardo
sull’uomo, che la superava in altezza di più di
una testa. Quando però provò a
parlare, sentì che le parole le morirono in gola.
«È possibile» ammise infine,
con un sorriso.
La
guardia – che, a un’occhiata
più attenta, non dimostrava molti anni più di lei
– parve cogliere la sua
riluttanza a parlare davanti a tutti e le fece cenno di seguirlo in
disparte.
«Dunque?» le chiese poi, con un tono che fece
correre un’onda di irritazione
lungo la schiena della ragazza. Dieci anni di isolamento le avevano
quasi fatto
dimenticare la supponenza delle Guardie Reali e dei soldati in generale.
«Io
e la mia compagna stavamo
sorvegliando le pecore nei pascoli della nostra Congrega»
replicò, indicando
con un gesto la direzione dalla quale era arrivata. «Ad un
tratto, gli animali
hanno iniziato a innervosirsi e di punto in bianco ci siamo trovate
avvolte dal
fumo.»
«C’è
stato un incendio?» la
interrogò il soldato. Dopo un attimo di esitazione, Lina
scosse il capo. «Non
ne ho visto traccia. Il fumo è apparso
all’improvviso, quasi… dal nulla.»
Negli
occhi chiari dell’uomo
passò un lampo allarmato e, anche se fu veloce a
nasconderlo, Lina intuì che
quel soldato sapeva di più di quanto non avesse rivelato
sino a quel momento.
«Hai parlato di una compagna?» le chiese lui. La
giovane annuì. «Sì. Siamo
state insieme, a pochi metri l’una dall’altra, fino
a quando è arrivato il
fumo. Poi, quando si è diradato e io sono ancora stata in
grado di vedere
attorno a me, Ibbi non c’era più. Ho pensato che
avesse inseguito le pecore,
ma…» Lina non concluse la frase, ma
allargò le braccia con aria desolata.
«Com’è
questa donna? Puoi
descriverla?» La guardia si guardò attorno, come
se stesse cercando di
identificare una persona mai vista prima. E
come se qui non fossero tutti uomini, aggiunse mentalmente la
ragazza. «Ha
più o meno la mia età» disse, comunque.
«È un po’ più bassa di me, ha
la pelle
scura – ma non scurissima – e capelli e occhi neri.
E, naturalmente, è vestita
come me.»
L’uomo
annuì. «Dovrebbe essere
abbastanza riconoscibile» commentò. Lina fece una
smorfia. «È quello che temo»
le scappò detto. Il soldato le rivolse uno sguardo
incuriosito e lei si pentì
subito di quell’esternazione. «Era una schiava, un
tempo, e… non conosce bene
il mondo.» Lui la guardò come se si aspettasse di
sentirla proseguire, ma Lina
non aggiunse altro: non desiderava discuterne con uno sconosciuto.
Davanti
al suo silenzio, l’uomo
si strinse nelle spalle. «Bene. Vorrà dire che la
cercheremo e, quando l’avremo
trovata, la riaccompagneremo alla vostra Congrega. Nel frattempo, tu
puoi
recuperare le tue bestie: chiedi a qualche pastore di
aiutarti.» Lina annuì, ma
qualcosa, nel profondo del suo animo, le impedì di fare
quello che le era
appena stato suggerito. Questa persona sa
qualcosa che io non so, si disse, mordicchiandosi
pensosamente l’interno di
una guancia. E se fosse stato a conoscenza di qualche dettaglio utile
per le
loro ricerche? Non era forse suo preciso dovere perseguire la
conoscenza sempre
e comunque?
Notando
la sua immobilità, l’uomo
le lanciò uno sguardo stranito, poi le rivolse un cenno di
saluto e fece per
girare sui tacchi, ma, quasi senza rendersene conto, Lina si protese
verso di
lui e lo trattenne afferrandolo per una manica. «Chiedo
scusa, ma non ho potuto
fare a meno di notare che la menzione del fumo apparso dal nulla non
sembra
averti colto di sorpresa.»
Gli
occhi del soldato si
appuntarono per una frazione di secondo sulle dita della giovane, poi
risalirono sul suo viso. «Negli ultimi tempi se ne stanno
verificando parecchi,
di eventi del genere.»
«Anche
così vicini alla
Capitale?» lo interrogò Lina. Sul volto della
guardia comparve l’ombra di un
sorriso. «No» ammise. «Mai
così vicini alla Capitale, che io sappia. Ma ci sono
state delle avvisaglie…»
Quelle
parole catturarono
immediatamente l’attenzione della giovane. «Di che
tipo?» chiese, cercando di
tenere a bada l’eccitazione che si era impossessata di lei.
«Non
credo che sia opportuno
discuterne in questa sede» replicò il soldato, in
un tono che lasciava
chiaramente intendere che, più che la sede, era la compagnia
a non convincerlo
del tutto. Piccata, la giovane lasciò la presa che aveva
sugli abiti dell’uomo
e incrociò rigidamente le braccia. «Con tutto il
rispetto, vorrei farti notare
che, se sai qualcosa al riguardo, sei tenuto a comunicarlo
all’Ordine.»
Senza
battere ciglio, l’uomo
sostenne il suo sguardo. «Lo so. Il mio Capitano
avrà cura di fare avere alla
tua Superiora tutte le informazioni in nostro possesso. Io, comunque,
sono qui
per occuparmi di altro.»
Improvvisamente,
Lina sorrise,
felice di avere occasione di dimostrare la propria
superiorità. «Della
Principessa, immagino.» Il soldato sgranò gli
occhi, stupito, anche se, in
realtà, c’era ben poco di sorprendente nel fatto
che l’Ordine fosse a
conoscenza di un evento tanto importante. «Ve ne state
occupando anche voi?»
chiese.
Lina
fece per dire che no, Grete
di Altavilla aveva semplicemente chiesto loro di pregare per la
ragazza, ma,
intravvedendo l’occasione di scoprire qualcosa di
più a proposito di quanto
stava accadendo, si strinse nelle spalle. «In un certo
senso» disse, vaga.
L’uomo
si avvicinò di un passo,
costringendola a piegare ancora di più il collo per poterlo
guardare in faccia.
«E…?» la incalzò.
«Avete scoperto qualcosa?»
Pur
sapendo che si trattava di un
atteggiamento potenzialmente pericoloso, Lina sollevò appena
un angolo della
bocca. «Non credo che sia il caso di parlarne qui»
rispose, facendo eco a ciò
che lui le aveva detto poco prima. Il soldato la fissò per
qualche istante, poi
scosse il capo. «Mi sembra giusto»
borbottò. «Stammi a sentire», riprese
poi,
fissandola negli occhi come per giudicare la sua reazione,
«ti propongo una
cosa. Potresti venire con me a dare un’occhiata al villaggio,
per vedere se
troviamo la tua amica o se, per lo meno, incontriamo qualcuno che
l’ha vista. Nel
frattempo, ne approfittiamo per scambiare due parole: tu mi dici quello
che
sai, e io, in cambio, ti dico quello che so io.»
La
giovane lo guardò di
sottecchi. Un tempo sarebbe arrossita, se un uomo le avesse fatto una
proposta
del genere, vedendoci chissà quale secondo fine, ma in quel
momento non ci vide
altro che un tentativo – anche piuttosto goffo – di
aggirare una qualche regola
non scritta. La prospettiva, però, era allettante, doveva
ammetterlo. Se fosse
riuscita a portare a casa qualcosa di concreto, forse Grete le avrebbe
tolto il
caso delle piante dalla crescita misteriosa e le avrebbe permesso di
dedicarsi
a qualcosa di più eccitante.
D’un
tratto, il viso di Ibbi le
balenò davanti agli occhi. Stava solo perdendo tempo, lo
sapeva bene: non c’era
modo che la ragazza fosse sfilata accanto ai pastori, non vista, e
fosse
entrata nel villaggio. Forse avrebbe fatto meglio a lasciar perdere il
suggerimento della guardia e a correre alla Congrega per dare
l’allarme.
Però…
solo pochi minuti. Mezz’ora al
massimo, si ripromise. Sento quello
che questo tizio ha da dirmi e
poi torno a casa, senza perdere altro tempo. Del resto, se Ibbi non
è alla
Congrega, probabilmente c’è ben poco che possiamo
fare, così, su due piedi.
Annuendo
come per convincersi che
quella fosse la decisione giusta, Lina incontrò di nuovo gli
occhi del soldato.
«Va bene» disse. «Andiamo.»