Anime & Manga > Yuri on Ice
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Autore: Starishadow    20/08/2017    1 recensioni
L’umano era decisamente giovane per la sua specie, di questo era ora piuttosto sicuro: il suo viso era liscio e privo di quella peluria scura che sembravano avere tutti quelli che aveva visto a corte fino a quel momento, e il suo corpo era piuttosto piccolo, anche se naturalmente - rispetto alle dimensioni comunemente tenute dalle fate in territori sconosciuti - abbastanza grande da costituire una minaccia. (Otayuri Fairy!AU in cui una giovane fata del ghiaccio, Yuri, decide di salvare un umano senza pensare alle possibili conseguenze a lungo termine).
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Otabek Altin, Un po' tutti, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 3 - Il mercato



Passarono cinque giorni di viaggio prima che Yuri si decidesse a mostrare la propria forma al suo taciturno compagno, e non si può esattamente dire che ciò avvenne per sua scelta.
Per tutto quel tempo, la fata aveva viaggiato stando comodamente a sedere sulla spalla dell’umano, o occasionalmente - nei giorni più ventosi - nascondendosi nella sua tasca, il che era stato un sollievo per lui: preso dalla sua missione e dalla sua irritazione nei confronti del principe, non si era accorto di quanto quella spedizione l’avesse effettivamente stancato, e se avesse continuato a camminare, ma soprattutto volare, non avrebbe fatto poi molta strada.
La pacchia, comunque, non era destinata a durare ancora molto: mentre si apprestavano a superare una foresta nota agli umani per i suoi loschi abitanti, presto si erano trovati circondati da quelli che dovevano essere banditi. Yuri fu felice di essersi raggomitolato nella tasca dell’umano poco tempo prima, mentre sentiva i furfanti iniziare a chiedere denaro e qualsiasi oggetto prezioso contenuto nella sacca dell’altro; se avessero saputo di lui, le cose non avrebbero tardato a degenerare.
Se n’era quindi rimasto in silenzio nella tasca, riducendo al minimo il suo bagliore, ma evidentemente non era destinato ad avere un po’ di pace: a giudicare dai rumori e dal movimento, i banditi e il suo compagno di viaggio - di cui si era rifiutato di memorizzare il nome - dovevano aver iniziato a lottare.
“Che seccatura”, si disse, mettendosi sul chi vive e stando pronto a intervenire. Se solo avesse avuto modo di vedere qualcosa, avrebbe potuto collaborare un po’ di più, ad esempio congelando il terreno sotto i piedi dei loro nemici, o gettando schegge gelate nei loro occhi, o scatenandogli una tempesta di ghiaccio nello stomaco… Gli piacevano tanto le tempeste di ghiaccio, ci si sarebbe quasi potuto divertire!
Le sue macchinazioni furono bruscamente interrotte da qualcosa di metallico e appuntito che lacerava la stoffa che lo proteggeva e si conficcava nella carne dell’umano, mancando Yuri di così poco che la fata realizzò cos’era successo solo quando vide una ciocca dei suoi capelli recisa.
“Non di nuovo”, fu il suo primo pensiero, mentre già iniziava a ribollire di rabbia, ma presto un’emergenza più grossa di quella si presentò: la tasca in cui era adagiato si stava bagnando di qualcosa di caldo, e dall’odore ferroso, e…
«Oh, no», sussultò, finalmente lanciandosi in volo fuori dalla tasca, ignorando il mormorio di protesta dell’umano, e si trasformò, aumentando la propria stazza e diminuendo la sua luce.
La sorpresa dei banditi fu tutto ciò di cui aveva bisogno per poterli mandare tutti e quattro a terra e trasformarli in sculture di ghiaccio mentre cercavano di strisciare via come vermi.
«Creature inutili», mormorò freddamente prima di sospirare e voltarsi verso l’umano, che lo fissava con gli occhi sgranati.
«T-tu…».
«Amerei parlare di tutto questo ancora per molto, ma stai sanguinando, nel caso non te ne fossi accorto», tagliò corto la fata, trattenendosi dallo schiaffarsi una mano in faccia quando quello cadde a terra con un grugnito di dolore appena soffocato, portando una mano alla freccia che gli spuntava dal petto ed estraendola lentamente.
Raramente le fate provano empatia, ma in quel momento Yuri si sorprese ad arricciare il naso e soffocare un brivido, provando una sorta di fastidio a immaginare ciò che stava provando l’umano.
“Non perdere tempo con questo”, si disse scrollando la testa e affrettandosi a raggiungere il compagno di viaggio.
«Ma tu…».
«Poi vi chiedete perché voi umani siete così mortali», sospirò Yuri, impedendo per l’ennesima volta all’umano di parlare, avvicinando la mano al suo petto e concentrandosi.
Non aveva fatto spesso incantesimi di guarigione: erano fra i libri che aveva sottratto alla biblioteca reale mentre si annoiava, certo, ma un conto era leggerli, un conto…
“L’hai già fatto in passato”, gli ricordò una vocina all’interno della sua mente, e i suoi occhi si aprirono di scatto.
L’ombra di un ricordo stava aleggiando nella sua mente: neve, un piccolo umano assiderato, Mila e Georgi che se ne andavano. Quel bambino… Yuri era riuscito a salvarlo da solo, prima ancora di studiare quei manuali.
Un sorrisino danzò sulle sue labbra e uno sguardo non esattamente rassicurante gli attraversò lo sguardo, mentre una luce calda e dorata si sprigionava dalle sue dita e si irradiava fino al petto dell’altro.
Cercò riscontro nell’espressione dell’umano e si illuminò nel vedere le sue sopracciglia distendersi, le labbra non più serrate, ma ora leggermente dischiuse per la sorpresa.
Quando si reputò soddisfatto, Yuri interruppe l’incantesimo, aggiungendo solo un ultimo dettaglio quando, con delle piccole scintille di ghiaccio, andò a coprire la macchia di sangue: quella tasca doveva pur sempre essere il suo mezzo di trasporto.
«Uhm, grazie».
«Figurati. Mi avrebbe scocciato veder morire la mia guida», replicò facendo spallucce e alzandosi, guardandosi intorno con aria assorta. «Dici che questa è la strada giusta?», domandò poi, distrattamente.
«Sai, non è che io sapessi di preciso dove stavi andando… non sei stato esattamente loquace, finora».
«Cioè stavamo vagando alla cieca?», esclamò inorridito Yuri, voltandosi a fronteggiare l’altro, nonostante la differenza di altezza fra loro. «Mi hai fatto perdere tempo? Come hai osato, razza di sottocreatura---».
«Ho un nome, innanzitutto. E in secondo luogo, io so benissimo dove sto andando, tu non mi hai dato una destinazione, ma hai accettato di seguirmi, nessun trucco».
L’umano avrebbe dovuto essere grato che Yuri avesse cambiato la propria statura, in quel momento: quando sono nella loro forma ridotta, le fate possono provare solo un’emozione per volta, e quando tale emozione è particolarmente negativa, tendono a diventare dispettose, o pericolose, e in quel momento, Yuri era furioso.
«Io ti parlavo, eri tu che non capivi!», sbraitò.
«Non è facile capire che quella specie di scampanellio erano parole», replicò l’altro senza scomporsi poi così tanto, quasi fosse abituato a simili atteggiamenti.
Andarono avanti con quel battibecco ancora un po’, finchè l’umano non si decise a tagliar corto:
«Quindi, ora che ti sei deciso ad avere una voce udibile, dove vorresti andare? E magari, sapere come ti chiami non mi dispiacerebbe. “Scampanellio” non sembra più tanto adatto, ora».
In quel momento a Yuri sorse il sospetto che l’umano stesse facendo apposta a provocarlo e innervosirlo, per qualche malsano istinto che gli esseri umani dovevano avere; non c’era altra spiegazione, altrimenti.
«Mi hai chiamato “Scampanellio” tutto questo tempo?», chiese con aria nauseata, prima di scuotere la testa, rassegnato, notando finalmente l’entità del danno subìto prima di trasformarsi: fortunatamente la ciocca recisa era sottile, gli sarebbe bastato fare una piccola treccia da quella parte e avrebbe risolto. Si apprestò a farlo, un po’ perché non tollerava uno scempio simile nei suoi capelli, ma soprattutto perché era consapevole dell’umano che teneva lo sguardo fisso su di lui.
Non si era mai trovato in una situazione simile, ma in quel momento, sentendo un vago senso di soddisfazione e piacere nascere in fondo al suo stomaco sentendo gli occhi dell’altro sul proprio corpo, presenti quasi quanto un reale contatto, Yuri iniziò a chiedersi se quelle voci che aveva sentito girare per anni nel regno riguardanti una lontana parentela fra le fate e le sirene, non fossero reali.
Magari anche le fate si sarebbero divertite a sedurre e attirare umani verso la loro morte, se non avessero visto di quanta crudeltà era capace quella specie.
Anche l’umano probabilmente dovette essersi accorto di aver guardato un po’ troppo, e si affrettò a distogliere lo sguardo con la scusa di controllare i dintorni, parlando mentre continuava a tenere gli occhi  ben lontani dalla fata:
«Se non ti piace, dimmi il tuo vero nome».
«I nomi sono una cosa pericolosa», notò innocentemente Yuri, fingendosi assorto in altri pensieri - mentre in realtà stava solo cercando di ricordarsi come accidenti si faceva quella treccia. «Perché non mi dai prima il tuo?».
Il silenzio dell’altro lo costrinse a spostare lo sguardo verso di lui, trovandolo fermo e con gli occhi fissi in lontananza, verso un punto indistinto, coperto dagli alberi, ma che sembrava il torrione di un castello molto distante.
«Quanto sono potenti?», chiese poi quello, tornando a guardare lui.
«Oh, beh, spesso le fate sfilano il nome di un neonato dalle labbra della madre per poter creare degli incantesimi di protezione, altre volte rubano il nome ad un uomo così sciocco da avvicinarsi troppo a loro, e gli fanno dimenticare se stesso finchè quello non perde la ragione, oppure usano i nomi per legare indissolubilmente due creature… Ci sono molte cose in un nome», fu la risposta, anche troppo sincera, dell’altro.
Non aveva molta scelta: le fate non possono mentire, soprattutto davanti a una domanda così diretta.
«Aspetta… Rubare un nome? Un nome non è solo un nome?».
La fata alzò gli occhi al cielo e ricominciò a intrecciarsi i capelli.
Sapeva che stare fermi in quella foresta non era una buona idea, ma era piuttosto confidente di poterli difendere da nuovi banditi, e soprattutto non era ancora del tutto sicuro che l’umano stesse bene, voleva aspettare un po’ e controllare che l’incantesimo gli fosse riuscito realmente.
«Per voi umani sì, per noi un nome è qualcosa di decisamente più concreto. Però sì, serve anche a chiamarci e identificarci. Quindi, tu ti chiami…?».
L’umano parve divertito da quella domanda, il che non fece altro che irritare la fata.
«Se è così importante, perché non hai memorizzato il mio la prima volta che te l’ho detto?».
Ecco, quell’umano si stava guadagnando decisamente il suo disprezzo. E che era quel sorrisino compiaciuto e soddisfatto di sé? Oh, gliel’avrebbe cancellato dalle labbra con un pug---.
“Però, è quasi… carino mentre sorride”.
Yuri sapeva che non avrebbe dovuto perdersi nel modo in cui quelle labbra rosate, screpolate dal freddo ma non per questo meno interessanti, si curvavano all’insù, facendo alzare le guance sugli zigomi definiti e dando una nuova luce a quegli occhi scuri che - nonostante il sorriso - gli sembravano in qualche modo spenti, chiusi…
No, non avrebbe dovuto farlo e non l’avrebbe fatto. Non era mica Victor, lui!
«Non mi interessava», disse semplicemente. «Ma ora credo che sapere come chiamarti per dirti che stanno per attaccarti alle spalle, potrebbe essere una buona idea».
L’umano parve concordare:
«E magari, la prossima volta, quella cosa del pietrificare gli altri con un cenno della mano… falla prima».
«Ti stavo dando fiducia! Credevo te la cavassi a combattere contro degli umani! E comunque li ho congelati, non pietrificati».
«Io sono uno e quelli erano quattro! Una mano poteva farmi comodo».
«Oh, ma stavi andando benissimo… Finchè non ti sei trasformato in un grosso paglione per le loro frecce».
«Potevano benissimo colpire anche te».
Niente, probabilmente Yuri avrebbe fatto meglio a tornare nella sua versione fata e nascondersi di nuovo nella tasca a urlare insulti contro quell’essere che tanto lo snervava. E magari ogni tanto volare fuori a tirargli quei capelli corvini ingiustamente ordinati nonostante il vento e la lotta da poco avvenuta. Chissà se erano morbidi al tatto come sembravano…
“La piantiamo?!”.
«Va bene! Mi chiamo Yuri e sto cercando una persona, ora che te l’ho detto, possiamo per favore chiudere la faccenda e muoverci? Ormai è appurato che il mio incantesimo non cederà e tu rimarrai vivo, direi di rimetterci in marcia».
Lasciando stare la treccia, la fata si trasformò nuovamente e si infilò nella sua tasca, facendo sporgere il capo quel minimo necessario a continuare a fissare in cagnesco l’altro.
«Bene, Yuri-che-cerca-una-persona», commentò l’altro con un sorrisino sornione. «Piacere di conoscerti, finalmente. Mi chiamo Otabek, e - fortuitamente - anche io sto cercando una persona».
Viaggiare con Otabek, Yuri fu costretto ad ammetterlo suo malgrado, non era poi così male, ora che effettivamente i due riuscivano a comunicare.
Insomma, “comunicare” era relativo: solitamente Yuri decideva di rendersi comprensibile quando non c’era nessuno che potesse vedere la sua trasformazione, lui e Otabek parlavano un po’, ma poi finivano inevitabilmente per bisticciare su qualcosa, e la fata tornava al suo nascondiglio con fare indispettito.
Era ormai routine, per loro, e più parlavano, più imparavano a conoscersi, più finivano con l’apprezzarsi l’un l’altro, anche se difficilmente uno dei due l’avrebbe ammesso.
Otabek era curioso quanto un bambino riguardo al mondo delle fate, e aveva confessato di non aver mai smesso di credervi, anche quando tutti gli abitanti del suo villaggio avevano cercato di convincerlo altrimenti; incontrare Yuri, ottenere risposte ad ogni sua domanda - beh, quasi, dato che Yuri si rifiutava categoricamente di rispondere a domande riguardanti la sfera amorosa e sessuale delle fate, oltre che altri dettagli prettamente fisici - riusciva a illuminargli lo sguardo di un’innocenza che non mostrava in altri momenti, togliendogli anni dal volto e facendolo somigliare di più al ragazzo che realmente era.
E Yuri rimaneva affascinato ad osservare tale cambiamento, a volte tanto incuriosito dalle espressioni che si rincorrevano sulla faccia dell’umano da perdere il filo di ciò che stava dicendo, cosa che aveva giustificato rapidamente accusando la scarsa capacità di concentrazione di una fata. Non era una vera e propria bugia: l’attenzione delle fate è volubile quanto le fate stesse, basta un minimo dettaglio per distrarle, se non sono fermamente decise a restare concentrate su qualcosa, quindi era una buona scusa. Yuri non mentiva e allo stesso tempo non perdeva la propria dignità.
Dignità che andava comunque a farsi benedire quando era il turno di Otabek di raccontare della vita nel mondo degli umani alla giovane fata: Otabek non l’avrebbe mai detto all’inizio, ma Yuri era curioso di tutti gli oggetti creati dagli umani, delle loro abitudini, delle loro medicine, persino. Ma soprattutto, la fata era andata in estasi quando gli aveva accennato della sensazione di pattinare su un lago ghiacciato. Non si era aspettato una simile reazione dall’altro, eppure la sua intera figura si era illuminata, e le sue ali, prima elegantemente ripiegate dietro la sua schiena, avevano iniziato a fremere, facendolo sollevare dalla roccia su cui si era seduto.
Era stato uno spettacolo che aveva lasciato Otabek incredulo, ma anche intenerito: Yuri poteva rispondere male la maggior parte delle volte, avere un caratteraccio, minacciare di congelargli una parte del corpo diversa ogni giorno, a volte anche più di una volta al giorno, sembrare gelido ad un primo approccio, ma poi era una delle creature più vitali, curiose e calde che Otabek avesse mai incontrato nella sua vita, e le sensazioni che provava stando intorno all’altro, certe volte lo spiazzavano.
Non era sicuro che sentire il bisogno di farlo entusiasmare così altre volte, di vedergli quel sorriso e quella luce addosso, di proteggerlo da chiunque volesse anche solo provare a gettargli delle ombre addosso e - soprattutto - di sfiorare quella pelle candida per vedere se era glaciale come la neve che sembrava scivolare costantemente dalle sue ali, o calda come Otabek invece sospettava, fossero positive.
Yuri, nei suoi racconti, era stato chiaro: è difficile che una fata si innamori di un umano e scelga di legarvisi, e Otabek poteva anche capire perfettamente il motivo. Una fata, se si innamora, si innamora per sempre, ma il “per sempre” di un umano sarà sempre non abbastanza per una creatura immortale. Innamorarsi di un mortale, destinato a crescere e invecchiare, segnava condannare se stessi a una vita passata in lutto, a piangere la perdita del proprio amato, oppure a rinunciare ad essere una fata, rinnegare la propria natura pur di avere accanto la persona amata.
Entrambe le possibilità davano i brividi a Otabek, e a giudicare dall’espressione che aveva Yuri nel parlarne, i pensieri dell’altro non erano poi così lontani dai suoi.
L’unica cosa di cui non avevano parlato, era di chi stavano cercando.
Yuri si era limitato a dire che cercava un’altra fata che aveva scelto di avventurarsi nel mondo degli umani, Otabek aveva parlato semplicemente di una bambina bisognosa di aiuto; era stato sufficiente, avevano messo su un piano nel giro di un paio di notti, decidendo di iniziare le ricerche dal maggior centro abitato più vicino, la capitale del regno in cui vivevano, cercando di trovare indizi e raccogliere informazioni per poi spostarsi ai borghi minori se se ne fosse presentata la necessità.
«Giusto per pura informazione, hai dei soldi con te?», chiese d’un tratto Otabek, mentre si trovavano alle porte della città. Vedere Yuri rimpicciolirsi di colpo e sentirlo rifugiarsi nella sua tasca gli bastò come risposta e gli strappò un sospiro rassegnato. «Sei incredibile, partire così, alla ricerca di qualcuno, senza nemmeno preoccuparti di avere dei soldi dietro? Credevo che le fate fossero previdenti».
Yuri non sprecò nemmeno tempo o energie a rispondergli per dirgli che le fate a malapena sapevano cosa fosse il denaro umano, e Otabek scelse di lasciar cadere il discorso, tirandosi un cappuccio sul capo e addentrandosi nel paese.
La città era vivace e rumorosa, subito superato l’arco d’ingresso ci si affacciava su una grossa piazza che ospitava un mercato, pieno di colori, suoni e odori. Otabek rimase impassibile e continuò a camminare, addentrandosi fra la gente, evitando anziane signore col capo e le spalle coperte da scialli variopinti e bambini che correvano e si spintonavano allegramente.
Quell’atmosfera gli era dolorosamente familiare: quello dove era cresciuto era un piccolo villaggio, certo, ma nei giorni in cui veniva montato un modesto mercato nella piazza, una volta a settimana, tutta la popolazione sembrava incapace di resistere al bisogno di riversarvisi, richiamata a gran voce dai venditori e dalle loro mercanzie.
Nessuno avrebbe mai pensato che proprio quel momento di allegria generale avrebbe potuto portare tutto quel dolore…
Un fremito sempre più intenso all’altezza del petto distolse Otabek dai suoi pensieri, il ragazzo si accigliò mentre abbassava lo sguardo verso il taschino che ospitava Yuri, confuso. La fata sembrava irrequieta, il frullio che aveva sentito era quello delle sue ali, probabilmente, e una luce a malapena soffocata dal tessuto dei suoi vestiti iniziava a irradiarsi.
“Che cavolo stai combinando, Yuri?”, si chiese, svoltando rapidamente in un vicolo fortunatamente vuoto e portando subito le dita ad allargare il taschino, facendo cenno all’altro di uscir fuori.
Un lampo di bianco e celeste, e Yuri era in piedi davanti a lui, in tutto il suo splendore… Letteralmente.
«Yuri!», esclamò Otabek a denti stretti, sforzandosi come meglio poteva di coprire con il proprio mantello la sagoma dell’altro, temendo che quella luce potesse attirare qualcuno.
«Lasciami!», si ribellò la fata, allontanandosi dalle braccia dell’altro ma riducendo la propria luce.
«Si può sapere che ti prende?! Volevi farti scoprire?».
Otabek capì in fretta che Yuri non lo stava ascoltando: era più impegnato a far vagare lo sguardo da una parte all’altra del vicolo, allungando leggermente il collo per sbirciare oltre l’angolo che li nascondeva… e finalmente, la risposta gli fu evidente, così semplice da strappargli una risata.
«Sei curioso di vedere com’è questo mondo!».
Come avrebbe potuto prevedere, Yuri lo fulminò con un’occhiataccia e si imbronciò, perdendo ogni apparenza di interesse che l’aveva animato prima e incrociando le braccia davanti al petto.
«Dovrei? Voi umani siete solo noiosi e rumorosi».
Sarebbe potuto anche apparire credibile, forse, se nel dirlo i suoi occhi non fossero saettati di nuovo verso la piazza lì vicina da cui ora giungeva della musica che prometteva l’arrivo di qualche saltimbanco.
«Credevo che le fate non potessero mentire?».
«Che siete noiosi e rumorosi non è una bugia».
Otabek decise di smettere di infierire sulla povera fata, piuttosto preferì seguire un’altra idea:
«Torna qui nascosto, dobbiamo fare una cosa».
Naturalmente, Yuri parve sospettoso e piuttosto contrario all’idea, ma alla fine sospirò e obbedì, tornando nella sua solita tasca e standosene  buono buono ad aspettare il segnale di poter uscire nuovamente; tale segnale arrivò dopo quelle che erano sembrate ore alla povera fata, chiusa al buio in quella tasca senza niente di meglio da fare che giocherellare con i propri capelli, intrecciandoli distrattamente mantenendo un’espressione corrucciata per tutto il tempo. Quando Otabek allargò la tasca facendo entrare la luce del giorno nel suo nascondiglio, però, Yuri si prese il suo tempo ad uscire, finendo prima la treccia a cui stava lavorando e usando del ghiaccio per fissarla in modo tale che restasse ben tesa su un lato della sua testa.
«Ok, ora che non ci vede nessuno, mettiti questi», disse l’umano, tenendo in mano quello che sembrava un mucchio di stoffa. Yuri vi svolazzò attorno, osservandolo incuriosito ma stando attento a mantenere un’espressione critica sul viso, per poi decidersi a trasformarsi e prendere gli abiti fra le mani.
«Voltati», ordinò bruscamente, e Otabek obbedì prontamente, dandogli le spalle e limitandosi a controllare che nessuno si avvicinasse alla nicchia che aveva trovato per nascondersi in quel momento. Dopo pochi secondi, la voce di Yuri gli diede il permesso di voltarsi nuovamente.
La fata ora era avvolta da abiti scuri, che fasciavano perfettamente la sua figura esile e facevano risaltare il candore della sua pelle e dei capelli, su cui facevano bella mostra due trecce ai lati del viso che tenevano indietro le ciocche più ribelli.
«C’è un problema», gli fece notare il biondo con aria contrariata, indicando con un cenno del mento le ali che al momento erano piegate malamente sotto il tessuto spesso della maglia. Non c’era traccia di dolore sul volto della fata, ma Otabek aveva la netta sensazione che ancora qualche minuto incastrate in quel modo, e riuscire a sopportarlo sarebbe stato difficile anche per Yuri.
«Aspetta», disse, prendendo il pugnale che teneva nascosto nello stivale e facendo voltare delicatamente l’altro ragazzo in modo da poter agire liberamente sul retro della casacca. Poco dopo, quando il pugnale fu di nuovo al suo posto, le ali di Yuri erano morbidamente appoggiate alla sua schiena, ripiegate con cura in modo tale da aderire perfettamente al corpo e non intralciare alcun movimento. «Ora basterà coprirle con questo…», Otabek si chinò e prese l’ultimo capo d’abbigliamento che era rimasto a terra, aprendolo e rivelando uno spesso mantello verde scuro, che fece illuminare per qualche secondo lo sguardo di Yuri mentre l’altro glielo metteva sulle spalle e lo allacciava. A quanto sembrava, nemmeno le fate erano del tutto immuni al fascino di quegli abiti svolazzanti.
In particolare, notò Otabek con un certo divertimento, Yuri apparve entusiasta del cappuccio, che si apprestò a tirarsi sul capo, e delle tasche nascoste all’interno.
«Ora puoi vedere anche tu com’è il mondo in cui siamo», gli comunicò Otabek, osservando con una certa soddisfazione il risultato. «Sempre che tu non ti metta a lampeggiare e svolazzare, naturalmente».
L’occhiataccia che ricevette stavolta era totalmente giustificata, ma si affrettò ad ignorarla e spazzarla via con una risatina.
«Bene, uhm… come si comporta di preciso un umano?», chiese Yuri, cogliendo l’altro di sorpresa. «Nel senso, avete formule di cortesia o che so io?», precisò dopo aver notato lo sguardo confuso che era comparso sul volto del suo compagno di viaggio. Quella delle fate era una società altamente gerarchica, in cui ognuno aveva il proprio posto e ognuno aveva il proprio appellativo più consono a tale ruolo, e data l’alta natura orgogliosa di quelle creature, sbagliare una volta poteva portare a conseguenze decisamente spiacevoli.
Ora che ci pensava, Victor era stato il primo dei principi del loro popolo a non fare troppo caso a quelle formalità, il che aveva inizialmente spiazzato e insospettito i sudditi finchè non si erano abituati alle sue stranezze, arrivando ad apprezzarlo particolarmente proprio per quelle.
“Hai fatto del sorprendere tutti il tuo motto, eh, Victor? Beh, questa sorpresa ti costerà cara”, pensò Yuri, accigliandosi al pensiero di quel principe immaturo e capriccioso prima di tornare a concentrarsi su Otabek, che stava iniziando a parlare e spiegargli quanto serviva sapere.
La conclusione di quella “lezione”, però, fu uno Yuri estremamente seccato e un Otabek vagamente divertito:
«Andiamo, non è così difficile!».
«Ma assolutamente no! Siete strani».
In conclusione, decisero che Yuri avrebbe dovuto semplicemente fingersi uno straniero di ben poche parole, lasciando a Otabek il compito di parlare.
«Va bene, allora, cosa dobbiamo fare ora?».
«Intanto, qualche provvista potrebbe andar bene, in secondo luogo… sai usare qualche arma?».
Le sopracciglia di Yuri schizzarono in alto, quasi fino all’attaccatura dei capelli:
«Arma? Uhm…», effettivamente sì, era stato addestrato a tirar di scherma e nel tiro con l’arco, ma non gli andava del tutto di ammettere che per le fate era considerato ancora troppo piccolo per poter usare liberamente una qualsiasi arma. «Me la cavo meglio con gli incantesimi», disse infine con una scrollata di spalle.
«Ma volendo sapresti difenderti con una spada? O un pugnale?», insistette l’altro, stavolta più serio del solito. «Nel caso dovessimo separarci per qualche motivo, non puoi rivelare la tua identità usando la magia», aggiunse abbassando la voce, nonostante al momento non ci fosse nessuno intorno a loro.
«Credo di sì, so usare la spada e l’arco, ma…», con un sospiro sconfitto, Yuri concluse la frase. «finora non li ho mai usati al di fuori dell’addestramento».
Fu sollevato quando l’altro non fece alcun tipo di commento, ma si limitò a sorridere e alzare le spalle:
«Va bene, mi auguro che non arriverai ad usarla, ma per lo meno sai come bloccare un attacco e guadagnare del tempo per fuggire».
«So anche come trapassare lo sterno di chi ha osato attaccarmi», ringhiò Yuri, assottigliando lo sguardo con un’espressione minacciosa, ma quando vide Otabek scuotere la testa, non riuscì a trattenersi dall’aggrottare le sopracciglia e guardarlo con aria interrogativa.
«Ma l’hai mai fatto davvero? Hai mai sentito la spada trapassare vestiti, carne ed ossa mentre si conficca nel petto del tuo avversario? Hai mai respirato l’odore del sangue? Te lo sei mai sentito scorrere e raffreddarsi lungo la tua mano? Hai mai guardato negli occhi l'altro mentre moriva?».
La risposta fu chiara senza nemmeno bisogno di parlare: la fata si irrigidì, col fiato momentaneamente mozzato in gola, un leggero brivido che gli scorreva lungo la schiena. Non era stato causato solo dall’ immaginarsi tutte quelle sensazioni, ma dal tono e dall’espressione dell’altro ragazzo: nel raccontarlo, la sua voce era vuota, gli occhi distanti, e la sua mano destra aveva cominciato a tremare impercettibilmente.
Non serviva soffermarsi troppo a pensare per capire che lui invece l’aveva già fatto, e probabilmente non una sola volta.
La scarica di paura, e al tempo stesso eccitazione, che attraversarono il corpo di Yuri lo lasciò silenzioso e spaesato per qualche minuto, anche quando Otabek cambiò discorso e passò a spiegargli come funzionava il denaro umano e come comportarsi in mezzo a un mercato.
«Per il momento, questo è tutto quello che ti serve sapere, rimani vicino a me e osserva quello che faccio, d’accordo?», concluse poi l’umano, sorridendogli incoraggiante. «Benvenuto nel mio mondo», aggiunse poi alzando le sopracciglia.
«Uhm, sì… certo».
Se la poca convinzione di Yuri l’aveva lasciato sorpreso, Otabek non lo diede a vedere mentre si limitava a fargli cenno di avanzare e lo portava nuovamente in mezzo alla gente che si affollava intorno ai venditori.
Lentamente, la tensione che si era creata andò a scemare, mentre la curiosità di Yuri tornava a manifestarsi in maniera meno palese di prima. Non si allontanò dalla sua guida, seguendolo in silenzio e senza perderlo di vista un secondo, ma ogni rumore e ogni colore catturavano la sua attenzione, e i suoi occhi continuavano a saettare da una parte all’altra, vivaci e più colorati che mai, così come il suo volto non era più teso e corrucciato, ma simile a quello di un bambino impaziente di scoprire il mondo.
Non che Otabek stesse facendo caso a tutto questo, naturalmente.
Recuperato tutto quello che gli serviva, stavano per dirigersi di nuovo verso uno dei vicoletti stretti e poco affollati quando Yuri tirò leggermente il mantello di Otabek per attirare la sua attenzione, indicandogli silenziosamente un punto poco lontano da loro in cui si stava creando una piccola folla rumorosa, al centro della quale una donna strillava:
«Stregoneria! Chiamate le guardie! Al rogo, al rogo!!».
Istintivamente, Otabek fece un passo per coprire Yuri, guardandosi intorno per cercare di capire cosa stesse succedendo e da dove poter fuggire rapidamente, ma il suo cuore - che aveva preso a battere rapidamente in quei pochi secondi - tornò a un ritmo normale quando realizzò che quelle accuse non erano rivolte a loro.
Piuttosto, la donna ce l’aveva con quello che sembrava un ragazzo non molto più grande di lui, al momento a terra, circondato dalla folla che gli urlava contro ma non osava avvicinarsi.
«Che sta succedendo?», sussurrò Yuri da dietro di lui, appoggiandosi leggermente alla sua schiena per riuscire a sbirciare oltre la sua spalla.
Non si era mai accorto del profumo che emanava la fata, che ricordava quello delle mattine invernali quando la neve aveva appena finito di posarsi sull’erba e sui rami e riportava alla mente ricordi di un’infanzia innocente che non avrebbe mai riavuto…
In effetti era un odore che, ora che ci pensava, era sicuro di aver già sentito da qualche parte, anni prima, ma non riusciva a ricordare dove, né quando. Probabilmente la sua mente gli stava solo facendo qualche scherzo, ad ogni modo, non era quello il momento di pensarci.
«Ricordi che ti ho detto "meglio una spada di un incantesimo"?», chiese a bassa voce, mentre il ragazzo circondato si rannicchiava il più possibile come se così facendo potesse sparire. «Questo è il motivo».
«Guardie! Guardie!». La folla continuava a urlare, implacabile. «Aiuto! Ha i marchi del diavolo!».
Yuri si strinse inconsciamente di più a Otabek, disturbato da quelle parole.
Aveva quasi dimenticato quanto potesse essere tremenda la stirpe degli umani.
«Quello non è un demone», sussurrò a denti stretti, indignato. «Razza di idiota».
Ci fu del trambusto, e presto degli uomini del re accorsero, protetti da pesanti armature e con i volti nascosti dagli elmi, tutti puntarono le armi contro il ragazzo accucciato a terra.
«Ci conviene allontanarci, Yuri», sussurrò, spingendo delicatamente l’altro indietro, verso il vicoletto più vicino. L’ultima cosa che voleva era una fata irritata e le guardie del re nello stesso luogo.
«Non possiamo aiutarlo?».
«No, non possiamo. Andiamocene».
Le guardie afferrarono il ragazzo e lo buttarono in una gabbia, mettendo fine alla commozione generale.
Otabek afferrò Yuri e iniziò a trascinarlo, lasciando alla fata solo il tempo di incrociare lo sguardo con l’altro, ora terrorizzato, che veniva portato via.
Cosa aveva visto quella gente di tanto spaventoso in lui? Cosa c’era di anormale nei suoi capelli corvini e in quei grandi occhi castani, caldi e spaventati?
Yuri si lasciò trascinare senza interrompere il contatto visivo finchè non fu l’altro a dargli le spalle, lasciandosi cadere contro il bordo della gabbia e appoggiando il capo sulle ginocchia, rassegnato al proprio destino; solo in quel momento fu possibile notare un paio di ali scure e nere sulla sua schiena, solo un istante prima che sparissero.
«Otabek, Otabek, fermati! Non possiamo lasciarlo lì!».


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NdA: scusatemi tanto per l'attesa e per il cliffhanger! Ma sappiate che, per quanto possa impiegare del tempo fra un capitolo e l'altro, non mollerò questa storia finchè non sarà terminata, ho la trama delineata e anche diverse scene pronte, vi prego di sopportare l'attesa fra un capitolo e l'altro, il fatto è che ci tengo a darvi capitoli decenti e non robe sfornate così tanto per finire prima. Grazie ancora per la pazienza e ci vediamo al prossimo capitolo! Non abbandonate le speranze ;D
P.S. fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va!
Baci,
Starishadow
   
 
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