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Autore: Dahu    22/08/2017    0 recensioni
Michel è un giovane di umili origini, originario delle Isole di Ferro e destinato a viaggiare attraverso Westeros ed Essos.
Attraverso le sue avventure vivrà gli eventi della guerra dei cinque re dal punto di vista di chi non ha grandi piani politici o questioni d'onore da redimere, ma semplicemente il desiderio di vivere e, perché no, arricchirsi, grazie alle proprie capacità.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bronn, Robb Stark, Victarion Greyjoy, Walder Frey
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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L’uomo dalla pelle olivastra piroettò elegantemente oltre l’arco mortale disegnato dall’arakh.
L’avversario incalzò roteando la mortale arma dothraki, ma l’uomo dalla pelle olivastra schivava con abilità, muovendosi con la flessuosità di un serpente.
Lo scontro era iniziato in modo piuttosto noioso, entrambi erano schiavi sopravvissuti al naufragio di una galera ghiscariana, dove servivano come rematori.
Erano magri e male in arnese, ma il Buon Padrone Kahaar Xo Joogar li aveva acquistati in blocco per quattro soldi, sperando di riuscire a rivenderne un paio, nel caso dimostrassero una qualche dote di combattimento.
Il Buon Padrone Qotzyas mo Raktos era venuto alle fosse per acquistare dal successivo venditore, che prometteva schiave di piacere e muratori esperti, dei quali necessitava per una riparazione alla piramide.
Aveva portato Michael con se per puro capriccio, amava farsi vedere in giro con il suo campione, al quale faceva portare armatura ed armi, in modo che avesse l’aspetto della guardia del corpo di cui non aveva bisogno, visto che i suoi quattro immacolati non lasciavano mai il fianco del Buon Padrone.
Michael detestava quelle uscite, in primo luogo perché sottraevano tempo ai suoi allenamenti, e poi perché sotto a quella corazza di cuoio bollito e borchie d’acciaio, con la piovra d’argento cesellata sul petto, si sudava terribilmente.
Per sua fortuna, quel giorno la corazza era dal fabbro perché riparasse uno dei tentacoli della piovra, staccato dalla lancia di un immacolato.
Qotzyas aveva mugugnato non poco quando Rakzos gli aveva chiesto di prestargli quei soldati formidabili come strumento di allenamento, ma poi era rimasto così colpito dall’abilità che il suo campione aveva sviluppato nel battersi contro più avversari che aveva preso a seguire con aria avvinta quegli incerti combattimenti.
Capitava perfino che lasciasse la comodità del suo largo scranno d’oro per recarsi nella sala degli allenamenti, per vedere il suo campione duellare con la sua guardia.
Michael usciva quasi sempre vincitore quando affrontava un immacolato, ma bastava che al primo si affiancasse un compagno perché la loro abilità di combattere in sincronia e le temibili lance di tre diverse lunghezze facessero il loro dovere, costringendolo spesso a capitolare.
Rispetto ai suoi primi mesi da schiavo, l’uomo di ferro aveva notevolmente modificato i propri gusti, anche per adattarsi agli avversari armati di lancia.
Se un tempo combatteva sempre e solo con spada e scudo, col tempo era tornato ad un equipaggiamento più caratteristico della sua terra natale e non sono per ragioni di scena.
Michael si era allenato molto con l’ascia lunga accoppiata sempre più spesso con una daga nella mano sinistra e con le pesanti asce a due mani che i suoi conterranei amavano usare per sfondare i muri di scudi nemici.
Quest’arma era particolarmente efficace contro gli immacolati, poiché permetteva di colpire con una forza eccessiva per i piccoli scudi circolari degli eunuchi.
Inoltre aveva lo straordinario pregio di poter agganciare caviglie, polsi e scudi, sbilanciando e scoprendo il nemico.
Tuttavia aveva avuto ben poche occasioni per provare queste armi in veri combattimenti, poiché il Buon Padrone non amava farlo scendere nell’arena troppo spesso.
Ad Astapor il prezzo per affrontare Michael Iron era così alto che ben pochi Padroni rischiavano alla leggera, mentre il prezzo per giacere con lui era ormai abbordabile solamente per signore di lignaggio, cosa che non gli dispiaceva, poiché era divenuta una sorta di moda per le  matrone di portare le proprie giovani figlie ad imparare l’arte amatoria usando Michael come strumento
Mentre il Buon Padrone trattava appunto con una di queste signore per la notte seguente, la spada dell’uomo dalla pelle scura si spezzò e l’arakh del suo avversario calò spietato.
Ma ancora una volta l’uomo schivò, con l’agilità di un gatto, e balzò lontano.
Michael era in piedi accanto agli immacolati della guardia, solo un paio di metri dal padrone, le braccia incrociate.
Si voltò di tre quarti verso un altro schiavo, che sedeva sulle gradinate.
-Ehy Jok, svelto quel tipo eh?-
Jok era il soprannome di un ragazzo scarno, dalla pelle bronzea dei ghiscariani, ma con i tipici occhi neri dei dothraki.
Era stato Michael a battezzarlo a quel modo, quando si erano conosciuti, poiché non era mai riuscito a pronunciare correttamente il nome del giovane, che era stato acquistato poco prima di lui e che fungeva da araldo per le sue sfide.
-Svelto come tutti i dorniani, quello era nella Compagnia del Vento prima di essere preso prigioniero e venduto come schiavo, Pyke-
Michael sogghignò, da quando Jok lo aveva erroneamente definito “Iron”, donandogli il nome che lo aveva reso famoso, era frequente che il ragazzino lo schernisse chiamandolo appunto Pyke.
L’uomo di ferro non aveva mai capito come il ragazzo facesse a sapere sempre tutto di tutti, ma questo talento lo aveva chiaramente salvato, nonostante come schivo fosse praticamente inutile, con quel fisico rachitico e l’occhio cieco che aveva sin dalla nascita.
Nel frattempo l’ex mercenario aveva raccolto una pietra, staccatasi chissà come dalle gradinate, el’aveva lanciata, colpendo per pura fortuna il nemico proprio alla radice del naso.
L’uomo con l’arakh barcollò, poi cadde privo di sensi.
Michael fissò il vincitore con gli occhi ridotti a due fessure color dell’acciaio di Valyria, ignorando il commento di Jok.
-Padrone- chiamò senza distogliere lo sguardo. –Padrone, vorrei quell’uomo come compagno di allenamento.-
Qotzyas si riscosse dalla conversazione con la nobildonna e rivolse uno sguardo di fuoco sullo schiavo, domandandosi se fosse il caso di frustarlo per tanta impudenza.
Poi dovette ritenere che l’attenzione di Michael per uno schiavo così male in arnese fosse più divertente che insolente.
-Non sapevo ti piacessero gli uomini… Tieni, vallo a comprare e cerca di non ammazzarlo, non intendo comprartene un altro.-
Disse con tono divertito ed autoritario, nel lanciare a Michael una manciata di monete di rame.
-Come tu dici padrone- Acconsentì l’uomo di ferro, raccogliendo il denaro, prima di fare cenno a Jok di seguirlo.
Il Padrone gli aveva gradualmente concesso sempre più confidenza, ma doveva ricordarsi di trattarlo sempre con servilismo, o prima o dopo avrebbe finito per essere frustato.
Era pur sempre uno schiavo, merce, nulla più che uno strumento, era il più bel mastino del canile di Qotzyas, ma anche il più prezioso dei cani viene preso a calci se ringhia al padrone.
Si ripromise di essere più accorto, di “cacciare un po’ di umiltà in quella testa di ferro”, come diceva Rakzos.
Il Buon Padrone Kahaar Xo Joogar non ritenne di trattare con uno schiavo, per cui prese i soldi che Michael gli aveva portato e gli consegnò il dorniano, ordinandogli che porgesse i suoi saluti al suo padrone.
Michael osservò con attenzione l’uomo che aveva di fronte, anche se “uomo” forse era un aggettivo troppo generoso.
Il dorniano era magro come un cadavere, le ossa di ginocchia e gomiti che sporgevano oscenamente, come quelle di un bambino denutrito, il viso quasi invisibile sotto agli strati di sporco incrostati alla barba, alle sopracciglia ed ai capelli neri ed unti.
Gli occhi, color della selce più nera, si piantarono in quelli color dell’acciaio di Valyria.
L’uomo osservò con attenzione Michael e Jok senza dire una parola, ma Michael notò che la sua bocca s’increspava in quello che poteva quasi sembrare un ghigno sarcastico.
Fu il giovane ghiscariano a rompere il silenzio.
-Mi chiamano Jok, sono colui che presenta i campioni del Buon Padrone Qotzyas mo Raktos, al quale ora hai l’onore di appartenere, questo qui invece è il più grande campione delle fosse di Astapor e, presto, dell’intera Baia degli Schiavisti, Michael Iron.-
L’uomo di ferro si lasciò sfuggire un sorriso fiero, non riusciva a trattenerlo, quando Jok esponeva quella verità, della quale era oltremodo fiero.
Anche il dorniano sorrideva, ora ne era certo, ma senza alcuna gioia, i suoi occhi neri tradivano solamente scherno.
-Iron?! Un nome importante per un cane addestrato a mordere a comando-
Michael avrebbe voluto reagire colpendo l’uomo, indurlo al rispetto, ma rimase paralizzato dalla sorpresa, mentre Jok mugugnava offeso che al campione era dovuto rispetto.
-E per quale ragione dovrei rispettarlo?- Domandò fieramente l’uomo dalla pelle olivastra –Non è forse vero che anche lui appartiene al Buon Padrone? Non porta forse anche lui un collare, come un cane?-
Il dorniano sputò fra i piedi di Michael. –Puoi anche raccontarti da solo che la schiavitù è stata la tua fortuna, puoi scendere nell’arena di tua volontà, puoi anche essere vestito d’oro, ma schiavo sei e schiavo rimani.
Io non porto rispetto agli schiavi, quindi portatemi dove mi dovete portare, fatemi quello che mi dovete fare e andate a baciare i piedi del vostro padrone vermi.-
La rabbia montò dentro Michael come un’onda di marea, con l’acido retrogusto dell’inquietudine.
Avrebbe potuto uccidere quell’uomo denutrito con una sola mano, nessuno gli avrebbe detto nulla, non sarebbe stato punito dal padrone, ne era certo, tuttavia qualcosa lo tratteneva.
-Coraggio- Lo incalzò il dorniano. –Avanti grande guerriero, uccidimi, così tu resterai uno schiavo ricoperto d’oro ed io morirò col mio onore.-
Di fronte a quell’uomo, sul quale svettava di un’intera testa, Michael Iron si sentì così piccolo che temette lui lo potesse schiacciare con un dito.
Sentì le gambe farsi molli e quasi cedere.
-Dimmi il tuo nome- Disse con voce incerta.
Il dorniano lo superò, evitandolo come avrebbe evitato un cumulo di immondizia mentre s’incamminava con passo malfermo verso la direzione dalla quale i due giungevano.
-Non spreco il mio nome con un qualunque schiavo, puoi chiamarmi Sand.-
   
 
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