Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ellery    25/08/2017    2 recensioni
Francia, Marzo 1942 - Un piccolo caccia della Royal Air Force viene abbattuto nella campagna francese, lungo il Fronte Occidentale. Per i due piloti non c'è alcuna speranza: catturati da una brigata tedesca, torturati per informazioni su una importante azione militare degli Alleati. Allo spietato capitano Weilman si contrappone il Maggiore Erwin Smith, altrettanto desideroso di ottenere informazioni; almen fino a che qualcosa non scatterà nella mente del giovane ufficiale, portando alla luce vecchi debiti e promesse.
Aveva cercato in tutti i modi di tenere su l’aereo, tirando al massimo la cloche, sterzando ripetutamente per non costringere il piccolo caccia allo stallo, ma era stato tutto inutile: le ali non riuscivano a catturare correttamente l’aria, trapassate come erano, mentre dal motore usciva una scia di fumo nero.
La ff, a più capitoli, si propone di partecipare alla Challenge AU indetta sul forum da Donnie TZ. Prompt: Historical AU! IIWW = seconda guerra mondiale.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Farlan, Church, Hanji, Zoe, Irvin, Smith
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
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33. Uno spiraglio sull'anima


Marzo 1942. Territorio occupato, Nord della Francia. Dintorni di Le Blanc.


Erwin batté le palpebre, osservando i colori del tramonto filtrare oltre i vetri. Aveva già smesso di piovere? Spostò lo sguardo sull'ambiente circostante. La cucina era immersa in un silenzio irreale. Lo avevano disteso sul tavolo, a giudicare dal ruvido pianale oltre le spalle.
Si puntellò sui gomiti, piegando il capo per osservare le proprie condizioni. La ferita sulla coscia era stata ricucita e qualcuno aveva medicato i tagli minori. Mosse le iridi chiare, alla ricerca di qualche volto famigliare, ma senza successo. I ribelli lo avevano lasciato solo. Accanto al tavolo, una seggiola malmessa che qualcuno doveva avere in precedenza occupato.

«Levi?» sussurrò, mentre nella sua mente si accavallavano le ultime immagini. Il corpo esanime dell'aviatore disteso sui ciottoli, il petto forato dai proiettili ed il sangue che sgorgava lentamente dalla tempia, mescolandosi alla pioggia. Scosse il capo, sforzandosi di scacciare quei ricordi troppo freschi e dolorosi. Nessuno gli avrebbe risposto; Levi non c'era più. Giaceva dimenticato nello scantinato o forse seppellito accanto agli altri caduti, nell'abbraccio anonimo e freddo della terra.

Sentì una morsa serrarsi sul petto. Parevano passati giorni da quell'addio e non soltanto poche ore. I frammenti della memoria andavano dilatandosi nel tempo, mentre il dolore si acuiva solo a tratti. Era una sensazione strana, soffusa: come se, nonostante tutto, la sua mente lo stesse comunque spingendo a proseguire; a continuare per la sua strada, senza più voltarsi indietro. In fondo, cos'era l'Inglese, se non l'ultimo omicidio di una interminabile serie? Un'anima in più sulle spalle, che differenza avrebbe fatto?

Eppure, quella morte non aveva lo stesso peso e lo stesso sapore delle altre. Conosceva Levi da... quanto? Due settimane, forse... e, nonostante ciò, si sentiva legato a lui come ad un amico di vecchia data. Era come se quel turbinio di peripezie frenetiche avesse consolidato anzitempo un rapporto ancora troppo giovane. Chissà cosa sarebbe successo se il pilota non fosse giunto inconsapevolmente a cambiare la sua vita. Probabilmente, sarebbe rimasto ad Arras, ad accampare scuse per difendere una politica abbietta e corrotta. Oppure, avrebbe chiesto un trasferimento, abbandonando tutto nelle mani di Weilman.

Per la prima volta, provò un senso di sollievo: il capitano era scomparso e con lui tutto il male che si trascinava appresso; gli orrori delle stragi, le macchinazioni di quella mente perversa, il dolore per le vite innocenti cadute sul suo cammino... tutto era svanito, sotto il battere incessante di un acquazzone primaverile. La morte, quel giorno, aveva preso due vite: la peggiore e la migliore. Le aveva trascinate via, senza neppure dargli il tempo di disprezzare la prima e compiangere la seconda. Era quello, dunque, il prezzo della sua libertà?
Sollevò la mancina, studiandola alla luce degli ultimi raggi. Il sangue era ancora lì, secco e scuro, ma – ne era certo – sarebbe riuscito a ripulirlo.

«Ti sei svegliato.»

Una voce lo riscosse, strappandolo a quei pensieri. Volse il capo, incrociando gli occhi chiari di Mike.
«Sì.» sussurrò appena «Quanto è passato?»

«Qualche ora. Come ti senti?»

«A pezzi; tu?»

«Integro. A parte qualche graffio superficiale, me la sono cavata egregiamente. Non posso dire lo stesso degli altri.»

«Quante perdite?» domandò, tornando ad appoggiare la nuca al legno. Non era certo di voler sentire quel dato. Quante vite era costato, il suo brillante piano?

«Siamo rimasti in sei, Erwin. Compresi noi due.»

«Merda.» ringhiò, rifiutando tuttavia di assumersene la responsabilità. Questa volta, non era stato per un errore di calcolo o per la propria avidità. Quelle morti si potevano soltanto imputare all'orrendo tempismo che Weilman aveva avuto nell'attaccarli «Nanaba?» chiese, infine.

«Sta bene. Si è presa una pallottola nella spalla sinistra, ma niente di serio. Armand l'ha già medicata.»

Armand, il medico di quella sgangherata compagnia. In realtà, non era un dottore, ma un semplice infermiere, la cui esperienza era più preziosa di qualunque laurea.

«La mia gamba?»

«Anche! L'ha operata subito, anche se forse non tornerà più come prima. L'hai sforzata troppo ed hai perso parecchio sangue, Erwin. Probabilmente, sarai condannato a zoppicare per il resto dei tuoi giorni»

«Non è un gran male.» sussurrò, cercando di mettersi a sedere. Una mano robusta, tuttavia, lo ricacciò supino sul tavolo «Lo avete già seppellito?» mosse le labbra involontariamente, in quella domanda che gli bruciava. Non poteva attendere un altro minuto. Doveva sapere dove fosse Levi. Nella terra? Nella cantina? Dimenticato da qualche parte, preda degli animali selvatici?

Mike parve intuire:
«No. Nessuno di loro. Lo faremo domani mattina, con la luce. La pioggia ha ammorbidito il suolo e sarà più facile scavare delle buche»

«Non metterlo in un campo anonimo, ti prego. Né in un bosco o sul fondo della vallata. So che ti chiedo molto, ma...” si vergognò quasi di quella richiesta: era stupida, un po' egoista ed insensata. Mike aveva altro a cui pensare, che cercare un posto speciale dove tumulare il cadavere di uno straniero «Vorrei portarlo in cima a questa collina. Ho notato che c'è un prato oltre gli alberi; sembra una sorta di pascolo. Vorrei fosse lì.»

«Perché?»

«Sperava di poter tornare a volare da uomo libero. Il minimo che possa fare, è lasciarlo nell'unico punto in cui il cielo e la terra si toccano. Si sentirà più vicino a quelle nuvole che tanto cercava.»
 
 
***
 
 
Erwin accettò l'asciugamano che Nanaba, col braccio sano, gli stava tendendo. La pioggia li aveva sorpresi mentre scavavano le fosse per i caduti. Mike gli aveva intimato di ritirarsi, che avrebbe trasportato lui il corpo dell'aviatore sino al termine del pendio, ma non aveva voluto sentire ragioni: era una cosa che doveva fare, che non poteva rimandare oltre.

Aveva accompagnato l'amico sino alla cima, senza poterlo aiutare: la gamba protestava ad ogni passo, costringendolo a zoppicare e ad appoggiarsi con le braccia, cercando appigli nei tratti più scoscesi. Mike si era fermato più di una volta per sorreggerlo e per suggerirgli di tornare alla cascina; aveva scosso il capo e proseguito, finché il ginocchio sinistro non aveva smesso di sorreggerlo, costringendolo bocconi sul sentiero. Mike aveva proseguito da solo, raggiungendo la cima e ridiscendendo poco dopo. Lo aveva aiutato ad alzarsi, a riprendere il cammino. Ci aveva impiegato quasi un’ora per raggiungere la sommità del pendio, dove si era immediatamente accasciato. Aveva cercato di sorreggersi, di sfruttare la pala come punto d'appoggio, ma Mike l'aveva spinto malamente a sedere, strappandogli l'attrezzo dalle dita.

«Ci penso io.» aveva detto, mettendosi all'opera.

Era rimasto a guardare, senza poter fare nulla. Aveva alternato lo sguardo tra la fossa che andava creandosi ed il compagno esanime, avvolto in un lenzuolo bianco; aveva alzato leggermente la stoffa, spiando il volto pallido e l'espressione serena.

«Mi dispiace che sia finita così.» aveva sussurrato, arruffando un'ultima volta le ciocche scure, prima di riadagiare il tessuto «Arriverò a Limoges, a tutti i costi. Porterò la lettera a Isabel e leggerò la tua. La leggerò quando tutto questo sarà finito, quando anche io potrò trovare un po' di pace.»

Aveva seguito in silenzio il resto dell'operazioni. Aveva scosso il capo, quando Mike gli aveva chiesto se desiderava pregare.
«Non credo d'essere la persona giusta per parlare un po’ con Dio.» aveva replicato, accontentandosi di indicare una pietra piatta e lucida «Appoggiala sopra, così saprò ritrovarlo.»

 
«Stai bene?» Nanaba lo riportò bruscamente alla realtà; la donna gli stava tendendo una tazza di the caldo. La accettò volentieri, ringraziandola con un cenno.

«Sì.»

«Mi sembri provato, Erwin. Credo che non sia saggio partire così presto per Limoges. Potresti fermarti qui ancora qualche giorno. Siamo al sicuro, ormai... o, quanto meno, lo saremo nelle prossime quarantotto ore. Poi, credo convenga anche a noi cambiare aria»

«Credi che i tedeschi torneranno?»

«Ne sono sicura. Quando sapranno che li abbiamo fermati... che li abbiamo massacrati... torneranno a cercare vendetta e per riparare il ponte. Non possiamo sapere quanto ci vorrà, ma... verranno»

«Mi dispiace per tutto questo.» abbassò il capo, osservando ancora l'asciugamano umido. Lo posò con un gesto meccanico «Non avrei immaginato che saremmo arrivati a tal punto.»

«Quale punto?»

Gettò uno sguardo alla cucina deserta: Mike si era allontanato, lasciandoli soli; all'improvviso, tutto gli apparve desolato e spento. La cucina, dove solo due giorni prima aveva cenato in compagnia, appariva soltanto come una vecchia e squallida stanza; le sedie  non sarebbero state più occupate; le stoviglie non avrebbero lasciato la credenza e persino le scorte in dispensa sarebbero apparse superflue, ormai. Aveva distrutto molto di più che un contingente nemico: aveva spaccato la quotidianità di una famiglia allargata, di un gruppo di amici che non chiedeva altro che poter sopravvivere, tirare avanti e magari, di tanto in tanto, combattere per la patria. Scivolò a sedere, poggiando i gomiti sul tavolo e prendendosi la testa tra le mani. Strinse le tempie, sforzandosi di massaggiarle per scacciare più facilmente quei ricordi che, tuttavia, rimanevano inchiodati nella sua immaginazione.
Se soltanto non si fosse intromesso! Se non si fosse ostinato a cercare Mike e chiedergli aiuto per passare il confine, nulla sarebbe successo. I ribelli avrebbero continuato con le loro scorribande di poco conto; sarebbe stati inutili, ma vivi. Ora, invece... cos'erano? Soltanto altri nomi da aggiungere nella infinita lista dei caduti; altri sacrifici, utili oppure vani. Non avrebbe saputo dirlo, non in quel frangente.

«Mi dispiace.» ripeté, la voce spenta e roca «Non avrei mai dovuto trascinarvi i tutto ciò. Avrei dovuto abbandonarvi, lasciarvi combattere come al solito. Non sarebbe accaduto niente di simile. Alain sarebbe ancora qui. Lalande pure. François, Louis, Xavier...e tutti gli altri... sarebbero qui ora, seduti accanto a noi, intenti a brindare con qualche bottiglia di vino andato a male; mi avevi chiesto di salvare questa tua famiglia, ma... ho fallito. Ti ho portato via tutto, Nanaba.»

«Ti ho chiesto io di aiutarci ed è quello che hai fatto. Non potevi prevedere l'arrivo di rinforzi. Ieri...  ho vinto e perso al tempo stesso. Ho guardato i miei amici ed i miei nemici morire. È stato... come un pugno nello stomaco. Non avrei mai immaginato che si potesse arrivare a tanto» una pausa ed il rumore di una seggiola scostata «Non fraintendermi, non era la prima volta che assistevo ad una battaglia o alla morte di qualcuno, ma... questa è stata anormale e sbagliata. Questa è la guerra, nella sua essenza più cruda. Non l'avevo mai compresa, né assaggiata. È amaro, sai?, il sapore della nostra vittoria. A che prezzo l’abbiamo ottenuta? Quante vite abbiamo gettato, per riuscire a spuntarla? Mi chiedo se ne valesse davvero la pena.

Mi rendo conto solo ora quanto devono essere forti le tue spalle. Forti e curve. Non penso che riuscirei a sopportare un fardello simile, io. Ti ho giudicato male e con troppa fretta; non avevo compreso l'entità del tuo sacrificio. Ti vedevo solo come il mostro che mi aveva strappato Maxime. Non conoscevo ancora l'uomo oltre la maschera, né il dolore che questi provava. Ora, al contrario, conosco entrambi; il mio carico è piccolo, confronto al tuo, ma ugualmente doloroso. Ho buttato le vite dei miei compagni per una labile speranza di vittoria. Non riesco neppure a godermela, ora. Credevo che... una volta sconfitti i tedeschi, mi sarei sentita meglio. Più autoritaria, più forte e... libera. Invece, non sono nessuna delle tre cose.»

«Mi dispiace che ti senta così. Io...»

«Non devi fare niente, Erwin. È stata una mia scelta e non posso cambiarla. Posso soltanto guardare oltre ed andare avanti. La rimpiangerò, ne sono sicura. Sarei dovuta cadere anche io, al fianco dei miei compagni, e non sopravvivere.»

«Forse, Dio ci sta concedendo una seconda possibilità; oppure, siamo così marci che si rifiuta di riceverci.»

«Deve essere così.» Nanaba sorrise debolmente, aggiustando debolmente la fasciatura attorno al braccio destro «Che cosa era per te? Un amico, un fratello, una semplice occasione di riscatto?»

«Levi?» ricevette un cenno d’assenso e si sforzò di continuare «Non lo so.» scosse piano il capo, cercando le parole adatte «Un Inglese caduto per sbaglio dal cielo, immagino. È strana la vita, anche troppo: suo zio ha soccorso mio padre durante la Prima Guerra e io ho pensato di ricambiare il favore, salvandogli la vita. Non ci sono riuscito, questo è evidente. Forse non l’ho fatto per lui, né per cancellare un vecchio debito; l’ho fatto soltanto per me stesso, per scappare da ciò che stavo diventando. Per ritrovare un briciolo di giustizia e di umanità che, invece, noto aver perso per sempre.» abbassò il capo, concedendosi un solo istante di silenzio, prima di riprendere «Non so dirti cosa fosse. Era una di quelle persone che ti sembra di conoscere da una vita, nonostante ci fossimo incontrati da poco. Mi mancherà. C’era qualcosa oltre l’aria imbronciata ed il carattere spigoloso, qualcosa che non saprei come descrivere, ma che ho visto. È come se, nonostante tutto, si fosse aperto, lasciandomi scorgere una parte di lui a cui nessuno aveva accesso da tempo.

Non so come descriverlo; forse mi prenderai per un visionario, ma sono sicuro che vi fosse qualcosa di più profondo e delicato nel suo animo; un qualcosa che custodiva gelosamente, che proteggeva con spine ed aculei. Sono stato fortunato a scorgerlo; non so perché abbia scelto me. Non so perché abbia deciso di schiudersi e permettermi di spiare nel profondo della sua anima. Appariva indisponente, alle volte irritante e burbero nei modi, ma… in realtà, c’era di più in lui. Ho conosciuto la delicatezza dei suoi pensieri, le debolezze che nascondeva in ogni modo, la fragilità del suo essere, troppo cristallino per non rischiare di spezzarsi. A volte, mi sembrava quasi un bambino, troppo ingenuo per fronteggiare l’arroganza degli uomini.

Mi ha lasciato una lettera, ma non voglio leggerla, non ora. Lo farò quando tutto ciò sarà finito, quando nulla potrò più macchiare la sua memoria ed i miei ricordi. Arriverò a Limoges, glielo devo. Finirò quello che ha iniziato, anche se questo significherà tradire ancora una volta il mio Paese. Non devo niente, comunque, alla Germania; non a ciò che è diventato, per lo meno. Al contrario, non ho ancora saldato il mio debito con Levi.»

«Mi dispiace.» Nanaba gli posò una mano sulla spalla, stringendola delicatamente.

«Anche a me. Non meritava di finire così, nel buio di uno scantinato dimenticato.»

«Ti accompagneremo a Limoges.» la fermezza nella voce della donna lo spinse a rialzare il viso «Partiremo a scaglioni. Mike ti accompagnerà, domani. Io e gli altri vi raggiungeremo nei giorni seguenti. Non c'è più nulla qui, né per noi, né per te. Devi lasciare indietro i rimpianti.»

Erwin annuì, cercando di scacciare gli ultimi pensieri. Avrebbe voluto dilungarsi e parlare ancora di Levi, di quanto avevano condiviso nei giorni trascorsi, in una fuga continua che mai avrebbe pensato di dover affrontare. Invece, si limitò a dire:
«Come faremo a passare il confine?»

«È più semplice di quanto tu creda. C'è un punto di comunicazione tra le linee. I soldati, ovviamente, ne sono a conoscenza, ma fingono di non sapere. Viene usato soprattutto dai contrabbandieri e... capisci che la cosa volge a favore di entrambi gli schieramenti. Spacciano sigarette, cioccolata, alcolici ai militari.»

«Come ci avvicineremo?»

«Abbiamo divise naziste a sufficienza, direi. Ci maschereremo e scenderemo verso la breccia. Una volta attraversata, ci disferemo delle uniformi e raggiungeremo Limoges. Facciamo sempre così, quando vogliamo comunicare con gli alleati; so che può sembrare un piano banale, ma... fino ad ora, ha sempre funzionato e non ho motivo di dubitare.»

«Va bene. Non abbiamo alternative, immagino.»

«Nessuna.» la donna sorrise, alzandosi bruscamente «Credo sia ora di coricarsi, maggiore. Domani vi aspetta una bella scarpinata. Spero soltanto che la tua gamba regga.»


 

Angolino: ritardo imperdonabile nell'aggiornare, me ne rendo conto. Mi dispiace moltissimo, ma in questo periodo molti impegni e troppi pensieri mi hanno tenuto lontana dalla scrittura. Avevo iniziato questo capitolo subito dopo il precedente, ma non riuscivo ad essere soddisfatta. L'ho riscritto svariate volte ed, alla fine, eccolo qui. Non posso dirmi entusiasta al cento per cento della stesura, ma credo che sia un momento delicato per i personaggi ed approfondire ulteriormente mi sembra quasi una forzatura. Preferisco lasciarli così, un poco in bilico tra la storia e le loro emozioni.
Non vi so dire, effettivamente, quando pubblicherò il prossimo. Magari presto, magari ci vorrà ancora un pochino. La storia è delineata e volge al finale - non manca molto alla conclusione - ma credo che pondererò bene come e quando scriverla. Sono grata alle persone che ancora la seguono, soprattutto a quelle che mi supportano da vicino. In particolar modo, ringrazio Yuri (che non è ancora arrivato a questo capitolo, ma lo farà presto se manterrà il ritmo di lettura) per aver letto questa storia. Sono stata davvero felice di ricevere il tuo supporto, così come quello di un altro paio di personcine che ho ringraziato anche nei capitoli scorsi (devo fare l'alternativa, ma loro sanno, vero? ^^). Ammetto, tuttavia, che la mancanza di riscontri un pochino frena nella stesura, perchè non so se sto andando nella direzione giusta o meno, sia per quanto riguarda la trama, sia per grammatica e stile. Al solito, quindi, se avete pareri o commenti, sentitevi liberissimi di farmeli avere.
Grazie a tutti per aver letto fin qui,
Un abbraccio


 
  
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