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Autore: rainbowdasharp    31/08/2017    1 recensioni
"Aveva letto un milione di teorie, riguardo la sua scrittura: “un poeta”, lo definivano e Leo davvero non capiva – un poeta di cosa, della sovversione? Della ribellione silenziosa a cui si era condannato?"
| leotsu (e presenza di altre coppie, seppur accennate), soulmate!au |
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Leo Tsukinaga, Tsukasa Suou, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3: Cinguettio
 


“I corvi intonavano i loro lugubri motivi notturni mentre l'onnisciente mago lasciava danzare con movimenti lenti e precisi l'enorme bastone che teneva con le mani nodose; recitava a bassa voce parole sconosciute che seguivano lo stesso canto degli uccelli neri i quali, a poco a poco, iniziarono a volteggiarmi dintorno, divertiti e affamati mentre io, in gabbia, imploravo con una codardia che mai avrei pensato di conoscere che qualcuno venisse a salvarmi. Poi giunse, all'improvviso, a spezzare quella maledizione il canto di un pettirosso.”

 

Leo tremò sotto quegli occhi e, per un lungo ed orribile attimo, si ritrovò a pensare che odiava Shu e la sua maledetta intelligenza; erano bastate poche parole ed era riuscito a capire non solo le sue intenzioni ma anche la reale motivazione dietro la sua richiesta, di cui non aveva la minima voglia di parlare. Una delle ragioni per cui non gli piaceva parlare con Shu era proprio questa: sapeva tirare fuori tutto ciò che di scomodo si trovava a voler celare persino a se stesso e, in qualche modo, sentire qualcun altro dire che sì, aveva trovato il suo Predestinato, lo rese persino più reale, come l'enunciazione in pubblica piazza di un condannato a morte.

Il rosso inevitabilmente si incupì, dando così un'involontaria conferma a Shu di ciò che aveva appena ipotizzato e così crollarono entrambi gli spettacoli: quello di Artù e Madamoiselle, perché il più alto percorse la stanza fino a fronteggiare Leo in prima persona e quello del romanziere che, infine, poteva smettere di recitare la parte di chi stava abbastanza bene da non cercare alcun tipo di conforto.

«Chi è?» inquisì subito il più alto, cosciente che doveva cogliere il momento: se avesse lasciato ritrarre Leo in se stesso, probabilmente, non ne avrebbe mai più parlato.

«Non lo so» mormorò nervoso il ragazzo, facendo un passo indietro e distogliendo lo sguardo dall'altro, in evidente difficoltà; non ricordava esattamente l'ultima volta in cui aveva parlato senza i loro alter ego a fare da tramite e non era sicuro che fosse una buona cosa. «Non so come si chiama, ci siamo solo... guardati».

Lo sguardo di Shu si illuminò ulteriormente, mentre Leo si sentiva le gambe come gelatina, del tutto simili a quelle di Artù, ancora scompostamente poggiate sulla poltrona. Non poteva diventare anche lui un alieno di peluche? Così sì che la sua vita sarebbe stata semplice.

«Interessante». Leo era piuttosto sicuro che Shu non avesse ancora incontrato il suo Predestinato e, con ogni probabilità, non avesse alcun interesse nel farlo o non avrebbe commentato a quel modo la sua condizione. «È bastato uno sguardo per convincerti che fosse lui?»

Il giovane scrittore sentì l'immediato istinto di ribattere perché aveva la sensazione che Shu stesse insinuando qualcosa che non gli sarebbe piaciuto per niente ma, in effetti... non vi riuscì. Gli occhi ametista del giovane amico di sua sorella brillarono di fronte a lui come se fosse fisicamente ancora lì, con la stessa espressione spaventata che ricordava di aver visto sul suo volto: era un fantasma della peggior specie, un vivo inconsapevole di perseguitarlo persino fuori dai suoi sogni agitati.

Qualunque cosa Shu stesse cercando di suggerirgli infidamente, era probabile che avesse ragione.

«... Ha... anche parlato. Ma non con me». Si sentiva sottoposto ad una radiografia: lo sguardo inquisitorio del saggista sembrava cercare segni di evidenti cambiamenti nel suo corpo, seppur stesse indossando ancora il giaccone – proprio come aveva fatto lui per giorni, senza darsi pace. Quell'ultimo indizio sembrò convincerlo, almeno per il momento, ad interrompere la sua poco discreta ispezione.

«Non è di comune sapere, ma ci sono casi particolari persino tra i Predestinati» asserì all'improvviso, assumendo il suo tono professionale da conferenza stampa o da convegno universitario. Era raro che lo usasse con lui e la cosa, se possibile, lo agitò persino di più. «Ci inducono sempre a pensare che il Predestino sia amore a prima vista, ma in molti casi le sensazioni sono così minime che non vengono neanche percepite, in un primo momento e i sentimenti si sviluppano con discrezione, nel corso del tempo». Mentre spiegava, percorreva a grandi passi lo studio, scrutando attentamente i libri riposti nell'enorme libreria a muro dove coesistevano i volumi più disparati: sembrava cercasse qualcosa in particolare, forse degli studi approfonditi riguardo il Predestino – il solo pensiero faceva girare la testa a Leo. «La maggioranza della popolazione prova una forte attrazione dal principio per la loro metà, il che li porta ad avvicinarsi velocemente ed innamorarsi. Ma i veri e propri colpi di fulmine sono una rarità assoluta... In media, è stato calcolato che ci vogliono circa dieci giorni per arrivare alla conclusione che tu hai tratto in pochi attimi».

Leo non ne aveva idea. Fissava alienato Shu che con un movimento sicuro afferrava un grosso volume rilegato in bianco, dall'aspetto recente ma al tempo stesso consumato forse da continui e ripetuti studi e glielo porgeva: a grandi lettere, c'era un titolo che fece provare allo scrittore l'istinto di lanciare il libro fuori dalla finestra - “Amore surreale – il Predestino tra scienza e leggenda”.

«Non--» iniziò il rosso, ma dovette interrompersi perché la voce gli tremava troppo: inspirò, cercando di calmarsi e di ignorare ciò che Shu stava cercando di fargli capire e che, purtroppo, aveva già intuito; poi, a mente più lucida, ritentò: «Non sono venuto a chiederti consiglio su come affrontare il mio Predestino, ma su come spezzarlo. Io non voglio perdere-»

«So come la pensi» lo interruppe subito l'uomo con tono duro, neanche in minima parte mosso da quello che Leo stava tentando di dirgli. «Ma ti ho già ripetuto che i Dissidenti non esistono e, se pure esistessero, non ti aiuterei a trovarli neanche sotto tortura. Non cambierò idea solo perché ti senti in trappola».

Lo aveva immaginato sin dal principio, ma fu lo stesso più che abbastanza per farlo arrabbiare: Shu sapeva un sacco di cose su di lui. Gli aveva raccontato che aveva la sensazione che se, avesse incontrato il suo Predestinato, avrebbe smesso di scrivere quando questo era, in definitiva, tutto ciò che aveva; la prima volta che aveva trovato il coraggio di aprirsi si era sentito capito, in un certo senso, perché anche Shu metteva al primo posto l'arte e ciò che amava indipendentemente da quello che il mondo gli imponeva e adesso... Adesso che aveva bisogno di lui... era come se lo stesse abbandonando, praticamente gettandolo da un treno in corsa dritto in un burrone dove lo aspettavano le fiamme dell'inferno.

«Va bene» ringhiò, chiudendo i pugni in una morsa talmente stretta da conficcarsi le unghie nella pelle; sentiva gli occhi pungere dalla frustrazione, perché in fin dei conti Shu era—l'unico che pensava potesse dargli un po' di supporto in quel momento in cui si sentiva non in trappola, ma più condannato al patibolo; in fretta e furia, infilò sia il libro che Artù nello zaino in malo modo, cercando di non farsi vedere dall'altro con gli occhi lucidi. «Non ho bisogno del tuo aiuto. Li troverò da solo. Troverò il modo per spezzare questa maledizione e poi me ne andrò per sempre da qui!» esclamò, con voce ormai rotta, per poi precipitarsi fuori prima dallo studio e dopo dalla libreria, senza prendersi neanche un momento per salutare il giovane assistente di Shu, che quasi trasalì al suo burrascoso passaggio.

Si ripromise di non mettere più piede là dentro.


 

I giorni seguenti furono frenetici.

Aveva delle scadenze da rispettare e avrebbe dovuto lavorare in modo quasi esclusivo (se non al limite delle sue forze) al suo romanzo, ma il tempo di Leo era per lo più assorbito da febbrili ricerche in ogni angolo del web di notizie riguardo ai Dissidenti: quel che Leo sapeva al riguardo, di per sé, era molto limitato, quindi ogni nuova informazione poteva rivelarsi utile.

Se già gli studi sul Predestino erano complicati (ne era testimone quell'enorme tomo che, senza rendersene conto, aveva comunque portato con sé dopo la fuga poco onorevole dalla libreria Itsuki), i Dissidenti erano una vera e propria leggenda: si trattava di individui che avevano rifiutato categoricamente il loro Predestino, diffondendo dubbi e timori riguardo quella che per tutti era considerata la norma; spesso, alle loro supposte ma mai confermate apparizioni seguivano teorie complottiste, episodi macabri e persino scomparse di persone. In molti dubitavano della loro esistenza, proprio perché non c'era mai stata una testimonianza certa riguardo qualcuno in grado di fuggire a quella che veniva considerata parte stessa della natura umana e in ancor più numerosi li additavano come dei mostri, perché, appunto, sfuggevoli a qualcosa che faceva parte della loro stessa essenza. Il problema, però, era cercare di trovare chiari indizi al riguardo attraverso siti che ne parlavano come se fossero delle sottospecie di celebrità del soprannaturale, oltre a dover escludere una ad una le notizie palesemente false nella speranza (e questo sì, che era quasi impossibile) di mettersi in contatto con loro.

All'alba del quinto giorno, sedeva sfinito alla propria scrivania, la faccia poggiata disperatamente sulla tastiera del computer il quale, ovviamente, protestava con suoni elettronici per i maltrattamenti subiti; davanti allo schermo, c'erano almeno cinque tazze vuote che aveva precedentemente riempito di caffè amarissimo, senza neanche un cucchiaio di zucchero nella vana speranza che facesse maggior effetto ma era stato inutile: ogni tanto cedeva alla stanchezza, le palpebre calavano ed ecco che, a tradimento, gli occhi ametista del ragazzino tornavano a tormentarlo.

«... ti odio...» biascicò, ignorando la pressione dei tasti contro il suo viso, che avrebbero sicuramente lasciato il segno; a tentoni, cercando di non fare strage di tazze abbandonate nel frattempo, cercò il cellulare che doveva essere ancora lì, buttato da qualche parte vicino allo schermo e in qualche modo riuscì ad afferrarlo: in grandi numeri bianchi, sullo schermo piatto, la scritta 03:39 lampeggiava sullo sfondo di un mare in tempesta. Aveva qualche notifica dal suo sito ufficiale, dal suo editor e...

Si risollevò a sedere, la faccia segnata dai tasti, come previsto. Sullo schermo lampeggiava la presenza di un messaggio, uno di quelli vecchio stile, da un numero sconosciuto... ? Strofinandosi gli occhi, controllò velocemente le altre notifiche per poi aprire in fretta e furia il messaggio – poteva trattarsi di Shu, che ci aveva ripensato? Era proprio nel suo stile mandare un sms (se non una lettera vera e propria, giusto per rimanere nel suo anacronismo mentale), ma dopotutto aveva il suo numero salvato da qualche parte; le altre persone che conosceva (non molte) lo contattavano per lo più attraverso social e piattaforme più immediate, mentre per i contatti di lavoro era più semplice chiamare direttamente e, di certo, non alle cinque del mattino. Quindi chi... ?

Il messaggio era stato ricevuto circa un'ora prima, ma avendo la modalità silenziosa attivata, non se ne era accorto; una volta aperto, Leo si chiese se non dovesse avere paura perché il messaggio recitava: “Se è la Dissidenza che cerchi, Noi possiamo offrirtela, basta che tu risponda SI a questo messaggio”. Sentì il proprio cuore chiaramente aumentare il battito, ma (il che poteva sembrare assurdo, privo di qualunque buon senso) non proprio per il panico: la risposta che cercava da sempre, dopotutto e non solo da qualche giorno improvvisamente arrivava a lui con così tanta facilità che stentava a crederci, quasi i Dissidenti avessero avvertito il pericolo che correva. Stanchezza e disperazione furono sicuramente complici di quel che seguì – anzi, se fosse stato in sé, probabilmente non avrebbe dato il minimo credito a quel testo e non ci avrebbe pensato due volte prima di cestinare il messaggio. Ma in quel momento, con addosso la sensazione di essere particolarmente incompreso, non c'era da stupirsi sul perché avesse digitato la risposta SI senza neanche prendere in considerazione l'eventualità che potesse trattarsi di uno scherzo o, addirittura, qualcosa di peggio. Il tempo di un battito di ciglia e la risposta fu inviata.

L'adrenalina, però, scemò in fretta, costringendolo così a passare i seguenti venti minuti a chiedersi che cosa gli fosse preso, ad offendersi perché persino un bambino avrebbe capito che si trattava di una bufala di chissà quale tipo e si mise a cercare sul web riscontri su quel numero di cellulare sconosciuto: magari si trattava di qualche genere di molestatore, un gruppo di ragazzini annoiati, magari qualche hacker, ma...

Niente di niente. Nessuno in internet aveva mai scritto quel numero di cellulare da qualche parte – sembrava praticamente inesistente.

Stava per andarsene a letto, arreso e persino più esasperato di poco prima, quando il cellulare vibrò ancora una volta, tra le sue mani: il numero era diverso, stavolta, e si trattava di una chiamata ma erano quasi le sei del mattino, ormai, quindi non poteva essere una coincidenza – nessuno sano di mente avrebbe chiamato a quell'ora, se non per un'emergenza o una ragione specifica (nel suo caso, quel messaggio). Fissò per un po' lo schermo, cercando il coraggio di rispondere – aveva visto abbastanza film horror da non fidarsi di una chiamata da un numero sconosciuto nel cuore della notte... anche se stava albeggiando.

«... Pronto?» si azzardò a rispondere infine, titubante. Intanto, incapace di stare fermo, si era alzato in piedi e percorreva a grandi passi il suo studio. Sperò che dalla sua voce non trapelasse il panico.

«Pronto?» Era una voce maschile, il che un po' lo sorprese. Era un tono caldo ma giovanile, un timbro nasale con un leggero accento straniero (a Leo piacevano le lingue, era sempre stato affascinato dal mondo che c'era dietro le traduzioni dei suoi romanzi per l'estero); era difficile, ovviamente, giudicare da una sola parola, ma aveva un certo retrogusto inglese. «Parlo con il signor Leo?»

Cercò di non terrorizzarsi all'idea che un perfetto sconosciuto dal suadente accento straniero che lo chiamava nel cuore della notte sapesse il suo nome. «... Potrebbe. Con chi parlo?»

Una leggera risata lo colse di sorpresa, in un certo senso rassicurandolo senza nessuna ragione apparente. «Mi scuso per l'ora, sono desolato. Il mio nome è Robin». Alla breve presentazione, seguì un attimo di silenzio imbarazzato – un attimo in cui Leo pensò che era davvero buffo conoscere una persona che avesse davvero quel nome, lo stesso che aveva dato al protagonista del suo secondo romanzo, uscito solo l'anno prima. «Per caso... anche lei sta cercando di mettersi in contatto con i Dissidenti?». Manteneva un tono basso, quasi sussurato, come se stesse cercando di non farsi sentire o, magari di non svegliare qualcuno – circostanza probabile, dato l'orario. Ma improvvisamente, almeno nella mente del giovane scrittore, niente sembrò importare più: questo tale, Robin, aveva appena detto che anche lui stava cercando di trovare le stesse persone che lui aveva inseguito per così tanto tempo e, piuttosto che farsi domande sulla dubbia coincidenza, Leo si convinse in un impeto di entusiasmo che quella doveva essere una sottospecie di prova, una sorta di iniziazione prima di essere accolto nel leggendario gruppo di ribelli.

Complice la sua sfacciata fantasia da artista, certe volte la sua mente viaggiava, interpretava ed elaborava troppo velocemente, come un mulinello capace di creare in pochi attimi il caos nelle acque circostanti e spesso finendo così col trarre conclusioni errate.

«Sì!» esclamò, quasi come se tutta la caffeina assunta nelle ore precedenti avesse appena preso a scorrergli con prepotenza lungo tutto il corpo. Resosi conto di aver in sostanza urlato, si affrettò ad abbassare il tono della voce e prese a sussurrare, come il suo interlocutore, seppur in modo ben più concitato. «Ci sono—delle istruzioni da seguire, per caso? Ho solo ricevuto un messaggio e poi la tua—chiamata. È reale?»

Ancora un mezzo sospiro divertito, come se Robin, dall'altro capo del telefono, trovasse esilarante il suo modo di esprimersi. Il giovane scrittore preferì non farsi domande (anche se, doveva ammetterlo, il pensiero che lo sconosciuto si facesse beffe di lui un po' lo irritava) e, piuttosto, già aveva preso a fantasticare riguardo la sua imminente libertà: niente più occhi ametista, niente più fughe pianificate in giro per il mondo – poteva restare, continuare a scrivere senza perdere la sua ispirazione e forse, un giorno, in quel gruppo di ribelli, avrebbe trovato anche la persona più giusta per lui, che lui da solo avrebbe scelto, non uno stupido destino.

Suonava tutto magico, come in un romanzo. Uno dei migliori che avrebbe avuto l'occasione di scrivere, probabilmente.

«Purtroppo ne so quanto lei, temo» fu la sola replica del suo interlocutore. Rimasero entrambi per qualche istante in silenzio, poi Robin si decise a parlare. «Il suo recapito è comparso sul mio cellulare, inviatomi da un numero sconosciuto dopo aver risposto ad uno strano messaggio». Suonava teso, constatò Leo. Si chiese se anche lui non stesse cercando di sfuggire dal Predestino e se, proprio per questo, non dovessero affrontare un percorso di iniziazione assieme. «Non mi aspettavo avrebbe risposto qualcuno... di reale, ad essere sincero».

A Leo sfuggì un mezzo sorriso; sembrava che il ragazzo condividesse i suoi stessi dubbi, a giudicare dall'esitazione nella sua voce e così, rassicurato da quella parvenza di normalità (per quanto la situazione sarebbe apparsa assurda agli occhi di chiunque), riuscì a liberarsi della paura.

«Magari ci hanno messo in contatto per aiutarci a vicenda» azzardò, anche se la sua mente ormai aveva già presupposto almeno quattro ipotesi diverse per quanto stava accadendo, più una quinta che riteneva improbabile. «Posso—chiederti perché stai cercando i Dissid—cioè, quelli?» provò, forse suonando un po' sospettoso.

Avvertì chiaramente il ragazzo trasalire dall'altro capo del telefono, forse per la completa mancanza di formalità alcuna da parte sua, ma non vi diede peso. Rispettò però il silenzio che seguì perché, forse, per il misterioso Robin parlarne non era facile – come poteva parlare di se stesso così facilmente ad un completo sconosciuto?

Eppure, Leo era convinto che proprio perché entrambi erano sconosciuti, poteva essere più semplice; non c'era nulla ad alterare i loro giudizi se non la voce lievemente metallica (e quindi non reale) che percepivano da un capo all'altro del telefono – cosa impediva, dunque, al loro cuore di aprirsi? Era più o meno per la stessa ragione che finiva sempre con lo sfogarsi con Shu, piuttosto che con sua sorella o i suoi amici; non voleva che la visione che loro avevano di Leo Tsukinaga mutasse, di fronte alle sue debolezze esposte.

Certo, loro non erano stupidi; sapevano che il ragazzo aveva una stabilità discontinua, che tendeva a mascherare con un'esuberanza sfacciata tutte le fragilità che portava dentro, solo che non lasciava spazio alcuno per lasciarsi decifrare da terzi. Come se ricoprisse le lunghe crepe di una strada causate da un terremoto continuamente con nuovo asfalto, nascondendole sempre più a fondo ma senza, per questo, eliminarle mai del tutto.

«... Sono confuso» ammise infine Robin, distogliendo improvvisamente Leo dai proprio pensieri. «Credo di aver incontrato quella—persona ma...» un sospiro malinconico fece quasi rabbrividire il ragazzo, mentre impaziente attendeva il resto della storia; se possibile, ora la sua curiosità era ancora maggiore. Non gli era mai accaduto di conoscere qualcuno di—insicuro di fronte al proprio Predestino ma, anzi, di solito tutti accettavano di buon grado quel che accadeva e festeggiavano con un tale entusiasmo che lo facevano sentire ancor più emarginato da tutto ciò che lo circondava. Era quindi davvero strano parlare per la prima volta con qualcuno che si trovava nella sua stessa situazione... Prima che se ne fosse reso conto, si era seduto per terra, a gambe incrociate, completamente assorbito da quel che stava ascoltando. «Mi è bastato un attimo e mi sono sentito così travolto che... mi sono spaventato. Capisco frequentarsi e conoscersi lentamente, ma... Improvvisamente pensare di passare la vita con un totale sconosciuto sembra—assurdo. Insensato, oserei dire». C'era un che di affascinante nel modo in cui la voce di Robin manteneva un tono pacato mentre parlava di una situazione – così simile alla sua – che aveva quasi condotto Leo fuori di testa (non che fosse fuori pericolo, al momento; piuttosto, aveva trovato un barlume di speranza). «Ci sono già così tante regole da seguire nella vita di tutti i giorni... Voglio essere io l'artefice del mio destino, almeno in questo, e... magari, giudicare da solo questa persona. Mi sento come se avessi già letto il finale del libro della mia vita, in questo modo».

“... Wow”, si ritrovò a pensare stupito Leo. C'erano poche persone in grado di impressionarlo nel giro di una sola breve conversazione e... Robin era inaspettatamente una di queste. Certo, la loro situazione era sicuramente simile ma era evidente che la vivessero in modi del tuto differenti; se ne rese conto ancor di più quando invece fu il suo turno di confessare le sue paure, mentre il suo misterioso interlocutore lo ascoltava in silenzio, commentando di rado giusto quel che bastava per spronarlo ad andare avanti.

«Il mio—lavoro è tutto ciò che ho» concluse, passandosi una mano tra i capelli, incredibilmente coinvolto dalla conversazione. «Non posso perderlo per qualcosa che non ho mai neanche desiderato...»

Per un attimo, calò il silenzio. Poteva sembrare strano, ma fino a quel momento Leo non aveva dato particolare peso al fatto che stesse parlando con un estraneo, che dietro il telefono avrebbe potuto celarsi chiunque – forse persino qualche casa editrice concorrente alla sua o qualche giornalista da strapazzo che avrebbe potuto utilizzare quella telefonata in chissà quanti modi; certo, non era entrato nei dettagli che concernevano la sua vita (nomi, conoscenze, neanche dove lavorava di preciso) ma chissà...

Fu quel silenzio a renderlo nervoso, come se il suo buon senso si fosse risvegliato da un lungo torpore causato dall'adrenalina, dalla sicuramente troppa caffeina e, soprattutto, dalla mancanza di sonno da quasi ventiquattro ore.

«Non riesco neanche ad immaginare la disperazione che deve provare» fu infine la replica di Robin, abbastanza perché Leo tirasse un sospiro di sollievo.

«Dammi del tu» si affrettò a dire il romanziere, sciogliendosi in un mezzo sorriso, improvvisamente più leggero. «Non credo di sembrare così vecchio, tanto meno per telefono».

«... Va bene, allora» mugugnò, lievemente a disagio – un disagio da cui si riprese in fretta, però. «Oh, my goodness! Già quest'ora!» Leo, di riflesso, diede un'occhiata all'orario fisso ancora sul cellulare: erano ormai le sette passate, ma non era tanto l'orario a preoccuparlo quanto il tempo che avevano passato a parlare – Leo odiava stare al telefono, difficilmente riusciva a sopportare una conversazione più lunga di dieci minuti. «Posso... proporti una cosa?» esitò allora Robin, anche se dal tono della sua voce era evidente che fosse improvvisamente di fretta e, soprattutto, che l'informalità lo mettesse in difficoltà.

«Beh, sta a me accettare poi» lo provocò inconsciamente ma d'altronde nulla gli impediva di rifiutare la richiesta di un misterioso individuo con cui aveva parlato al telefono mentre cercava delle leggende metropolitane.

Robin sospirò. «Immagino di sì» iniziò, mentre Leo avvertiva chiaramente che stava correndo, a giudicare dal rimbombo dei passi frettolosi che il microfono del telefono del ragazzo riusciva a catturare. «Non sarebbe più comodo incontrarci e... parlare della questione di persona?»

 


Note: Sono contenta di pubblicare finalmente l'arrivo di Robin, l'affascinante e misterioso interlocutore che, come Leo, cerca i Dissidenti.
Nel corso della storia ci saranno molti, moltissimi (forse, ahaha) personaggi vicini a Leo che cercheranno di farlo ragionare, così come ha tentato di fare Shu, riguardo il Predestino e l'impatto che potrebbe di fatto avere nella sua vita - tutti coloro che lo circondano cercano di spingerlo ad accettare la realtà; Robin è un'inversione di marcia, qualcuno che, come lui, non si fida di una storia già scritta... non del tutto almeno. Mi piacerebbe molto se, in questo capitolo e i successivi, si notasse la "differenza" dei loro atteggiamenti, simili eppure diversi. E sono davvero curiosa riguardo le impressioni che Robin suscita in voi, nella sua seppur breve comparsa (e neanche fisica).
Buona lettura~ ps: prometto di rispondere alle recensioni dello scorso capitolo al più presto! Ci tenevo ad essere puntuale ed avvantaggiarmi col quinto capitolo, nel frattempo <3 <3
   
 
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