CAPITOLO
52
«Facciamo
un brindisi!» esclamò Crilin, levando il bicchiere
di
champagne verso l’alto. Tutti lo imitarono.
«Ehm,
io…» Rose cercò rapidamente il primo
bicchiere d’acqua
disponibile «io brindo con l’acqua!»
«Perché?
Non si brinda con l’acqua!» disse C 18. Rose la
guardò
immediatamente, tentando di non fulminarla con lo sguardo. Quella,
forse, era
una delle pochissime volte che l’aveva sentita parlare da
quando era arrivata
nel passato e, per una delle poche volte in cui l’aveva
fatto, questa volta sicuramente
non le era di grande aiuto. Soprattutto in una situazione
già così complicata. «Insomma,
hai uno champagne da 100 zeni davanti a te, in più sei
giovane e in forma, che
male potrebbe farti?»
«Ehm…»
A Rose venne in mente l’unica scusa plausibile
«io… in
questi giorni non mi sento benissimo, specialmente a livello di
stomaco, quindi
preferirei evitare»
«Massù,
Rose, giusto un pochino! Solo per brindare!» intervenne
Pan, entusiasta «Guarda, ne bevo un po’ anche
io!»
«Pan,
non esagerare!» la apostrofò Videl.
Rose,
guardando l’espressione felice della cugina, e pensando che
forse era meglio non apparire troppo sospetta, si rassegnò e
prese il suo
bicchiere di champagne, levandolo in aria.
«Brindiamo
a David, che è venuto qui per aiutarci, e a Bulma, che
sta preparando l’antidoto per sconfiggere quel
mostro!» esclamò Crilin.
Vi
fu uno scintillio di bicchieri e tutti bevvero il loro sorso.
Rose fece finta di bere, e, mentre tutti erano ancora a testa in su,
riuscì a
versare il contenuto del suo bicchiere in quello di David, guardando il
fidanzato
con l’aria da “Non potevo farci niente”.
Lui non disse niente, limitandosi solo
a guardarla per farle capire che, secondo lui, aveva fatto bene.
Nonostante
non avesse bevuto niente, l’odore dell’alcool le
fece
venire la nausea, che era riuscita a farsi passare solo da poco.
“Di nuovo!”
pensò. Non ne poteva proprio più. Istintivamente
si alzò e disse ai presenti:
«Scusate, devo andare un attimo in bagno! Torno
subito!» e si allontanò
velocemente dal tavolo.
«Oh,
povera, chissà che cos’ha!» disse
Chichi, tutta preoccupata
«Forse era meglio non obbligarla a bere!»
«Beh,
scusate, io credevo non ci fosse niente di male» si
giustificò C 18.
Nel
frattempo, la ragazza aveva raggiunto il bagno. “Per un
pelo”
pensò, con la testa piegata verso il water. Per fortuna
durò poco, e si diede
subito una risciacquata, in modo che, tornando di là,
potesse far finta che non
fosse successo niente.
Si
sciacquò ben bene e uscì dalla porta del bagno.
Purtroppo,
dovette subito poggiarsi di nuovo alla porta, perché
sentì di nuovo un altro
conato; pensò subito di rientrare, ma si fermò,
in quanto il conato le passò
subito. Non fece in tempo a rilassarsi, che subito vide la figura di
Bulma
avvicinarsi verso di lei. Cercò di darsi un tono e di
apparire il più naturale
possibile, ma a quanto pare con scarso successo, visto che la donna dai
capelli
blu, con espressione preoccupata, la guardò e chiese:
«Tesoro, tutto bene?»
«Io?
S-sì sì, tutto bene, solo un po’ di mal
di pancia» rispose
lei, massaggiandosi lievemente la pancia.
Bulma
guardò il punto dove la mano della ragazza si era appena
mossa, dubbiosa.
Rialzò
lo sguardo verso di lei: «Sei sicura? Sicura sia solo mal
di pancia?»
Rose
la guardò, intimorita. Sperò che il suo timore
non fosse
troppo evidente, in quanto Bulma la stava già guardando
abbastanza scettica, e
non voleva confermare ulteriormente il suo scetticismo.
La
ragazza non rispose; si sentiva messa alle strette. La donna
prese la palla al balzo e continuò, stavolta però
con un tono decisamente più
dolce e comprensivo: «Tesoro, guarda che a me puoi dirlo. Non
puoi continuare a
nasconderlo, specialmente a me che ho avuto due gravidanze. So come ci
si
sente»
Rose
trasalì, guardandola terrorizzata. Come aveva fatto a
capirlo?! Come diavolo ci era arrivata? Che gliel’avesse
detto David? No,
impossibile, lui non farebbe mai una cosa del genere. E anche se fosse,
per
quale motivo avrebbe dovuto farlo? No, non poteva essere stato lui.
Ma
che cosa stava pensando? Stava parlando con BULMA, una delle
donne probabilmente più intelligenti del pianeta. Era ovvio
che ci fosse
arrivata da sola! Dopotutto, da quando l’aveva scoperto era
sempre stata in
casa sua… difficile che le fosse sfuggito un particolare del
genere.
Rose
distolse lo sguardo, un po’ provata dall’improvvisa
rivelazione.
«T-tu…
come fai a saperlo?» le domandò.
«Beh,
sono parecchi giorni che ti vedo strana. Senza contare che
ho notato che ultimamente andavi sempre in bagno, e ne uscivi sempre
distrutta.
E poi, adesso, ti sei rifiutata di bere alcool. Insomma, da quando sei
qui non
ti sei mai fatta problemi a berlo! Tutto questo è successo
da quando è arrivato
David, con il quale hai fatto pace da poco, quindi ho semplicemente
fatto due
più due. E poi, è impossibile che un semplice mal
di pancia duri così tanti
giorni!»
Rose
la guardò sconsolata. «Ti prego, non dire niente a
nessuno…»
«Ma
figurati se farei una cosa del genere!» Le sorrise, sperando
di rassicurarla. «Ma David lo sa, vero?»
«Certo»
rispose la ragazza, ora un po’ più tranquilla.
Sapeva di
potersi fidare di Bulma, sapeva che lei non lo avrebbe detto a nessun
altro.
Non
poteva immaginarsi l’imbarazzo che avrebbe provato se lo
avesse saputo sua nonna, i suoi zii, ma soprattutto suo padre!
«David
sa cosa?» una voce maschile aveva parlato dalle spalle di
Bulma. Una voce troppo familiare perché Rose non potesse non
riconoscerla:
sapeva già chi era, ancor prima che Bulma si voltasse
facendole vedere Goten.
«Oh,
ciao Goten!» disse Bulma, leggermente in imbarazzo
«Io e Rose
stavamo parlando di cose… beh, abbastanza
private…»
«Posso
parlare un secondo con lei?»
La
domanda colse entrambe inaspettate: lo fissarono un po’
spiazzate.
“Perché
mio padre vuole parlarmi, così,
all’improvviso?” pensò
Rose tra se e se, agitandosi sempre più “Non
è che ha scoperto anche lui, in
qualche modo, che io sono incinta?! Ma no, non è
possibile… come avrebbe fatto?
Su, su, non può essere vero, cerchiamo di tenere i piedi per
terra…”
Nel
frattempo, suo padre si era avvicinato e si era fermato davanti
a lei. Bulma, invece, era andata via.
«Come
stai?» chiese lui. La ragazza lesse nei suoi occhi una reale
apprensione nei suoi confronti: aveva addirittura percepito un filo di
preoccupazione nel tono di voce di Goten.
«B-bene,
grazie. Solo un po’ di mal di pancia, niente di
ché!».
Questa
volta il sorriso le uscì naturale, felice di avere
lì,
davanti a lei, suo padre che si stava preoccupando per lei, chiedendole
se
stesse bene. Proprio come avrebbe fatto suo padre nel futuro, quello
con cui
era cresciuta. Anzi, che l’aveva cresciuta.
«Ti
serve qualche medicina?»
«N-no,
grazie, sono certa che passerà da solo!»
«Va
bene. Però se c’è qualcosa che non va,
qualsiasi cosa, mi
raccomando non fare scrupoli a dirmelo»
Goten
la guardava sincero, con uno sguardo genuino. Rose si
ritrovò a fissare gli occhi neri del padre, gli stessi che
lei aveva ereditato,
e, trattenendo la commozione che la stava per travolgere, rispose, con
voce
flebile: «Grazie»
Per
fortuna, ci pensò Valese ad evitare che alla ragazza cadde
qualche lacrima davanti al padre, perché comparve
improvvisamente dietro Goten,
dicendo: «Rose, come stai? Tutto bene?»
Avanzò
con passo incerto, probabilmente per paura di averli
disturbati, ma lo sguardo del fidanzato le fece capire che era ben
accetta
nella conversazione, e che, anzi, era felice che fosse arrivata anche
lei. Dopotutto,
anche sei lei non lo sapeva, era la madre della ragazza.
«Sì
sì, tutto bene!» si ritrovò Rose a dire
per la terza volta.
«Bene,
sono contenta! Non vorrai mica perderti tutte le deliziose
pietanze che ci sono a tavola!»
Valese
le rivolse un sorriso dolce, lo stesso che chiunque avrebbe
rivolto ad un bambino. Ma a Rose non importava, perché
conosceva bene sua
madre, e sapeva che lei era fatta così. Era il suo modo di
sorridere e di
trattare le persone, specialmente lei e suo fratello. Sì,
quello era il sorriso
che aveva sempre rivolto a lei e a suo fratello, fin da quando erano
piccoli.
«Hai
ragione…» fu ciò che Rose si
ritrovò a dire poco prima di
scoppiare in lacrime.
Non
riusciva più a trattenersi. I suoi genitori le mancavano
così
tanto che non poteva fare a meno di stare male, ogni volta che li
vedeva; in
loro rivedeva tutto l’amore e l’affetto lei che
aveva sempre provato nei loro
confronti e lo stesso che lei aveva sempre ricevuto da loro; in loro
vedeva
coloro che l’avevano cresciuta, vedeva coloro con i quali
aveva condiviso, fino
a quel momento, la stragrande maggioranza della sua
quotidianità. Loro erano i
suoi pilastri, venuti a mancare l’anno prima. Sì,
appena li guardava, vedeva in
loro ciò che era successo l’anno prima, e il modo
brutale con cui erano stati
uccisi.
Fino
a quel momento, non c’era stato mai un giorno in cui non
avesse sofferto della loro mancanza.
Questi
pensieri, misti allo stress che le aveva provocato la
notizia della gravidanza, la portò allo stremo delle sue
forze.
La
ragazza scoppiò in lacrime e, senza neanche pensarci,
istintivamente si gettò tra le braccia di Valese, cingendole
il bacino e
poggiando la testa sul petto di lei. Cominciò a piangere a
dirotto, mentre
Valese, che non si aspettava minimamente quella reazione, rimase per un
attimo
spaesata, non sapendo che cosa fare. Nell’arco di un secondo,
però, anche il
suo istinto prese il sopravvento e ricambiò
l’abbraccio della ragazza posando
le sue braccia attorno alle spalle di Rose, che le arrivava poco
più sopra
delle spalle. Mentre le accarezzava dolcemente la testa,
riuscì a girare lo
sguardo verso Goten. Il ragazzo annuì sommessamente, dando
conferma allo
sguardo interrogatorio di lei, che lo aveva prima guardato con le
sopracciglia
aggrottate, e poi aveva indicato velocemente con lo sguardo la ragazza
che
piangeva sul suo petto, domandandogli con gli occhi se aveva
capito bene. Lo sguardo di lui le confermò tutto,
le confermò
esattamente tutto ciò che lei aveva sospettato fino a quel
momento, ma di cui
non era mai stata sicura.
Se
lo aveva chiesto fin dall’inizio, da quando era venuta a
conoscenza che la ragazza era in realtà figlia di Goten, se
fosse lei sua madre
o meno; aveva sperato con tutto il suo cuore che fosse così,
ma non aveva mai
osato chiedere al suo fidanzato. Non aveva osato per paura, paura di
ricevere
una risposta negativa. Quindi, aveva preferito rimanere nel dubbio.
Adesso,
invece, la reazione improvvisa della ragazza le aveva confermato tutto.
Valese
la strinse a sé, cercando con tutta se stessa di
rincuorarla; le dispiaceva vederla stare così male,
soprattutto perché era
venuta per assicurarsi che stesse bene, ma immaginava che dietro al suo
pianto,
in realtà, ci fosse ben altro, cose di cui lei non era a
conoscenza.
La
ragazza dai lunghi capelli castani, che Valese solo in quel
momento notò quanto fossero simili ai suoi, col volto
inondato dalle lacrime
guardo entrambi i genitori e disse: «Scusate. Scusate per
questa reazione. E’
c-che io… mi mancate tanto»
Goten
e Valese si scambiarono uno sguardo veloce, entrambi
addolciti da ciò che avevano appena sentito.
«Oh,
tesoro!» Valese allungò le braccia prendendo le
mani di Rose
tra le sue «Sono sicura che tutto si sistemerà per
il meglio! Vedrai!»
«Speriamo!»
disse la ragazza, mentre una lacrima, dalla sua
guancia destra, correva verso il basso in direzione del mento.
«Anche
io sono sicuro che riusciremo a risolvere tutto» intervenne
Goten, ottimista «vedrai che tornerà tutto alla
normalità. Dopotutto, è una promessa
che ti ho fatto, quindi la rispetterò»
Rose
lesse negli occhi del padre la stessa identica determinazione
che aveva sempre visto nel nonno,
nello
zio Gohan, in sua cugina Pan, in Vegeta, in Trunks e in Ellen; era la
stessa
identica luce che brillava in loro, esattamente come dentro lei stessa,
che
faceva di loro i Saiyan, protettori della Terra sempre pronti a
combattere per
la giustizia.