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Autore: svevalovesblue    03/09/2017    0 recensioni
«Harry» gli presi la sigaretta dalle mani e la spensi nel posacenere di vetro di suo padre, ricordavo di averlo già visto a casa sua ed ero abbastanza certa che non l'avesse usato prima di quel momento. «Devi smetterla di comportarti da bambino. Sono venuta qui sperando che mi avresti finalmente parlato in maniera esaustiva, ma è evidente che mi sbagliavo. Di certo non ho fatto più di settanta chilometri per vederti fumare. Cosa che, tra l'altro, odi» Lo guardai con fermezza, non stava più sorridendo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
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«Sicura di non voler una di queste?» Agitò in aria la sigaretta con fare presuntuoso, sul volto un sorriso simile ad un ghigno. «Sai benissimo che non fumo e, per quanto ne so, non fumi neanche tu. Ricordo quella volta a capodanno, non facevi altro che lamentarti di chiunque avesse una sigaretta fra le dita.» Il fatto che stessimo parlando nel suo ufficio, divisi dalla sua scrivania, rendeva tutto ancora più strano. Era peggio di quanto pensassi e mi agitava. Nonostante cercassi di non farlo notare, il battito accelerato e il fiato corto, le mani tremanti e i giramenti di testa mi fecero quasi immediatamente rimpiangere di essere venuta. Sapevo che sarebbe andata male, e sapevo anche che avrebbe provato ad essere odioso solo per farmelo dimenticare e chiudere quella storia una volta per tutte, ed entrambi sapevamo che non avrebbe funzionato. 
 «Harry» gli presi la sigaretta dalle mani e la spensi nel posacenere di vetro di suo padre, ricordavo di averlo già visto a casa sua ed ero abbastanza certa che non l'avesse usato prima di quel momento. «Devi smetterla di comportarti da bambino. Sono venuta qui sperando che mi avresti finalmente parlato in maniera esaustiva, ma è evidente che mi sbagliavo. Di certo non ho fatto più di settanta chilometri per vederti fumare. Cosa che, tra l'altro, odi» Lo guardai con fermezza, non stava più sorridendo. Si passò le mani sul viso e chiuse gli occhi, sfiorando prima la punta del naso e poi la fronte con le mani incrociate, sui gomiti che aveva poggiato sul tavolo scuro. Dalla finestra entrava qualche debole raggio di sole e nella stanza aleggiava ancora la puzza di fumo mischiata a quella di vernice. Le pareti erano state ridipinte da poco di un bianco freddo, quasi sui toni del blu. La metà dei libri era stata lasciata a terra, gli altri erano ancora negli scatoloni. L'intera casa era in quelle condizioni, l'unica differenza era che nelle altre stanze non erano solo i libri ad intralciare il passaggio, ma tutta la sua roba, vestiti sporchi compresi. E nonostante fosse appena tornato dalla Jamaica, avevo capito che non stesse bene. In circostanze normali, avrebbe già finito di sistemare. 
 Quando riaprì gli occhi mi vide massaggiarmi le tempie e alzò l'indice a mezz'aria, indicando una delle scatole alla mia destra, con la scritta «Medicine» su un lato. Era già stata aperta, al contrario di molte altre. «Lì c'è una confezione di Moment. Prendila, non ne hai mai a casa quando ti serve. Hai fatto colazione?» Scossi leggermente il capo. Dal viso gli era sparita l'espressione cupa di prima, ne aveva una stanca e, devo ammettere, vagamente preoccupata. «Quanti ansiolitici hai preso? E soprattutto, quali? Sei pallida da far paura, e stai tremando in una casa riscaldata. Ti avevo detto che avresti dovuto smetterla con quella roba, Zoe, ogni volta che ricominci a prenderli stai sempre peggio. Magari puoi mentire al tuo ragazzo, ma non puoi prendere in giro me.» Rimasi a bocca aperta per qualche secondo, non mi sorprese il fatto che ci avesse preso in pieno, ancora una volta, perchè ero convinta sin dall'inizio che se ne fosse accorto, ma non pensavo che me l'avrebbe detto. Non in quel momento e non in quella situazione. Ripresi a respirare e mi allungai verso la scatola, afferrai la confezione bianca e azzurra ancora sigillata.        
 Prima che me ne rendessi conto, eravamo nella sua macchina e mi stava portando a fare colazione. Non avevo smesso di tremare e le numerose curve non facevano che peggiorare la sensazione di nausea. Stavo male, davvero, ed anche questa volta era stato lui ad aiutarmi a fare i conti con la realtà. Il cielo era grigio, e sul vetro cominciarono a cadere numerose gocce di pioggia. La temperatura sembrò calare in un attimo. Non dissi niente, ma battevo i denti. Non riuscii a prestare attenzione al tragitto, e fu solo quando scesi dalla macchina che realizzai che mi aveva portato di nuovo a casa sua. Rimasi imbambolata per qualche secondo, in giardino, senza riuscire a muovere le gambe o a dire qualcosa, e capelli e vestiti mi si infradiciarono in un attimo. Cercai inutilmente di coprirmi meglio con le maniche larghe del mio maglione, e sentii Harry caricarmi sulle spalle e portarmi dentro casa, mentre faticavo per tenere gli occhi semi aperti. 
 Quando mi risvegliai ero sul suo letto, con vestiti asciutti, anche i capelli lo erano. Sul comodino c'era una tazza vuota, sembrava che prima contenesse latte al cioccolato, il suo preferito. Ero riscaldata da almeno due coperte, e avevo la sensazione di aver vomitato. A confermarlo fu la figura di Harry intenta a smacchiare i suoi pantaloni e le sue scarpe in bagno. Continuavo a sudare e mi girava la testa, la sentivo pesante. «Harry...» la voce uscì flebile dalle mie labbra. Non sembrava sicuro di aver sentito qualcosa, era di spalle ma aveva fermato il getto dell'acqua e girato la testa di qualche centimetro, come se stesse cercando di sentire meglio. «Harry» provai ad alzare un po' la voce. «Zoe» Si girò di scatto e mi si avvicinò, lasciando i pantaloni macchiati sul lavandino. «Dio santo, questa volta hai rischiato davvero.» L'unica luce accesa era quella del bagno. Aveva anche abbassato le tapparelle. «Il dottore ha detto che non c'era bisogno di portarti in ospedale, ma devi smetterla adesso di prendere qualunque cosa tu stessi prendendo.» Mi sforzai di sollevare almeno un minimo le palpebre. «Il dottore?» Mi guardò come se fossi pazza «Si, il dottore! Secondo te cosa avrei dovuto fare, lasciarti crepare in mezzo alla strada, sotto la pioggia? Guardati, non ti reggi in piedi. Anzi, peggio, non riesci neanche a tenere gli occhi aperti. Mi spieghi che ti è saltato in mente? E quel cazzone del tuo fidanzato? Se ne frega?» Muoveva la gamba senza rendersene conto, e così facendo muoveva anche il materasso, e temetti che potessi vomitare di nuovo. «Harry, io non sono fidanzata. Dove l'hai senita questa cretinata? Con chi mi hanno accoppiata stavolta?» Si passò la lingua sulle labbra e distolse lo sguardo da me per un attimo, espirando rumorosamente dal naso. Era ancora arrabbiato e non potevo biasimarlo, mi ero lasciata completamente andare. Prima di andare da lui, non ero uscita per quattro giorni di casa, ed avevo passato la maggior parte di quel tempo a letto, riempiendomi di tranquillanti e altre schifezze, che avevano solo peggiorato la situazione. Provai a mettermi a sedere, ma dovetti farmi aiutare da Harry. Ogni mio movimento era accompagnato da dolori di vario tipo. Cedetti di nuovo e gli finì addosso, ma questa volta non persi i sensi. A quel punto mi stesi di nuovo e chiusi gli occhi. «Scusami» sussurrai. Passarono alcuni secondi prima che mi rispondesse. «Non devi chiedere scusa a me, al massimo dovresti chiederla a te stessa.» Gli sfiorai la mano e poi la allontanai di nuovo, portandola all'altezza del cuscino «Si, può darsi.» 
 Lo sentì alzarsi dal materasso e camminare verso il bagno per spegnere la luce, poi uscì dalla stanza. 
   
 
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