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Autore: hotaru    17/06/2009    6 recensioni
"Ad un certo punto, però, ci fu una foto che attirò maggiormente la sua attenzione. Perché, a differenza delle altre, Jiraya non c'era. Non vi appariva nemmeno. In quella foto erano ritratti due ninja di qualche anno più grandi di lui: un giovanotto biondo, con al proprio fianco una ragazza dai lunghi capelli rossi. Entrambi sorridenti, sotto un albero. Il suo albero."
Perché i ricordi sono come un filo. Si può allentare, rovinare, ma basta un niente perché torni a tendersi di nuovo. E un filo di fuoco brilla anche nel buio più nero.
Terza classificata al flash contest "Ti scatterò una foto" indetto da DarkRose86
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jiraya, Naruto Uzumaki, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lungo il Filo del Fuoco
Lungo il filo del fuoco

Lungo il Filo del Fuoco



–    Uffa, ma dove sarà finito quel pervertito! - al bagno pubblico a “dare un'occhiata” alle ragazze, senza dubbio.
Dopo quasi un anno di allenamenti con lui, vivendo spalla a spalla ogni singolo giorno, condividendo pasti, dormite e- perché no?- anche fughe a rotta di collo, Naruto l'aveva ormai capito, dove finiva l'Ero-sennin ogni volta che si eclissava.
Peccato che il suo stomaco, dotato incredibilmente di meno cervello del padrone, non ci fosse ancora arrivato. Continuava a gorgogliare affamato quando gli pareva, quel baka.
–    Fame... - si lamentò Naruto buttandosi a terra, tenendo le mani strette proprio nel punto in cui sentiva maggiormente il buco, nel tentativo di farlo star zitto. Cosa totalmente inutile, perché il suo stomaco, quando ci si metteva, sapeva dominarlo meglio di Kyuubi.
–    Adesso basta! - e riusciva anche a dargli una certa carica! - Quel pervertito non può affamarmi così, dopo tutto quello che mi fa passare! Gli faccio vedere io...
In men che non si dica si gettò sullo zaino del sensei e si mise senza indugio a frugare, alla ricerca di qualche monetina. Beh, a dire il vero tentennò un istante prima di mettervi le mani sopra, memore di quante ne aveva prese, all'inizio del viaggio, la prima volta che aveva provato a toccare le cose di Jiraya. “Però se quello non mi lascia nemmeno i soldi per comprarmi qualcosa da mangiare, avrò pur diritto di farlo. Non posso morire di fame!”, e con questo pensiero a sostenerlo Naruto si fece coraggio, iniziando a cercare in mezzo a tutta quella roba senza mettere troppo in disordine, in modo che il sensei non se ne accorgesse.
Diamine, in fondo lui cercava solo qualche monetina!
“Sono sicuro che ce ne devono essere, lui ha sempre una scorta nascosta da qualche parte...” mormorava intanto Naruto, tastando fra vestiti, tute e biancheria. Quest’ultima gran poca, a dire la verità.
–    Ah, ecco! - esclamò sollevato, sentendo tra le mani qualcosa di piccolo che poteva benissimo essere un portamonete. Lo tirò fuori e lo aprì, già pregustando il sapore del ramen in bocca, ma non riuscì a trattenere una smorfia di delusione quando vide cosa c'era dentro.
–    Cosa? E questo che roba è? - fece ad alta voce, decisamente contrariato.
In un'altra occasione avrebbe mollato quella roba come se scottasse, certo che l'Ero-sennin gliele avrebbe di sicuro suonate trovandogli la sue cose private tra le dita. Però Jiraya era ancora impegnato altrove, di sicuro per molto tempo, quindi...
Sfogliò incuriosito quella specie di blocchetto, come incantato. Sembrava che l'intera vita del ninja cinquantenne fosse condensata in quella manciata di immagini: c'erano foto grandi, piccole, intere o ritagliate, alcune in bianco e nero e altre a colori. C'era quella, immancabile, fatta col suo vecchio team, con un allora giovane Terzo Hokage che sorrideva all'obiettivo, e altre molto più- come dire- informali. A partire da quella di un moccioso in pannolino con i capelli già bianchi- vagamente improbabile se Naruto non avesse saputo di chi si stava parlando- per arrivare ad un’altra scattata durante una festa decisamente equivoca. Naruto avrà anche avuto tredici anni, ma per certe cose non aveva ancora lo stomaco.
Girando una pagina dopo l'altra, gli sembrò quasi di rivedere tutto il percorso di vita del suo sensei: era una sensazione strana, come se in pochi secondi fossero stati ristretti anni interi. Si stupì soprattutto delle foto più infantili, e del fatto che fossero così tante: da quel che ricordava, l'unica che possedeva lui era quella con Sakura, Sasuke e Kakashi sensei, risalente appena all'anno precedente. Prima, c'era il vuoto.
Cercando di non farsi prendere, come ogni volta, dal senso di solitudine e abbandono che lo sovrastavano in quelle occasioni, saltò in fretta alle foto che si trovavano in fondo al blocchetto. Erano le più recenti, anche se sembravano comunque risalire a parecchi anni prima- come quella dell’Ero-sennin con il suo team di piccoli genin-, e parecchie decisamente comiche.
Ad un certo punto, però, ce ne fu una che attirò maggiormente la sua attenzione. Perché, a differenza delle altre, Jiraya non c'era. Non vi appariva nemmeno. In quella foto erano ritratti due ninja di qualche anno più grandi di lui: un giovanotto biondo, con al proprio fianco una ragazza dai lunghi capelli rossi. Entrambi sorridenti, sotto un albero. Il suo albero.


Lo chiamava il “suo” albero perché era quello sotto il quale aveva passato gran parte della sua infanzia. Quello con l'altalena, nel cortile dell'Accademia.
I due giovani ritratti sembravano proprio una coppia di fidanzati. Di sicuro uno dei due era il Quarto Hokage, anche se ancora un ragazzo, ma l'altra...?
Chi era?
Era certo di non averla mai vista a Konoha, e che non ci fossero sue foto da qualche parte. Eppure come compagna del Quarto Hokage doveva comunque essere una persona importante, no?
Tutte queste dissertazioni si facevano strada nella mente di Naruto mentre continuava ad osservare il viso di quella ragazza. Era senza dubbio molto bella. Se ne stava seduta sull'altalena, sorridente, con il Quarto Hokage in piedi dietro di lei. Aveva i capelli rossi, lunghissimi, e gli occhi verdi.
Naruto ne era attratto come da un vortice, non riusciva a staccare gli occhi dal suo volto. Non l'aveva mai vista, ne era sicuro; si sarebbe certamente ricordato di una donna così bella. Eppure aveva qualcosa di vagamente- molto vagamente familiare.
Continuava ad osservarne gli occhi, come se da un pezzo di carta risalente a più di dieci anni prima potessero dargli una risposta. Gli piacevano moltissimo, come del resto era sempre stato attratto da quelli di Sakura. Forse glieli ricordavano, ed era per questo che quella ragazza aveva un'aria familiare. Anche se, a ben guardare, lei aveva gli occhi un po' più tondi rispetto a Sakura- un po' più come i suoi- e di un verde leggermente diverso, come se vi fosse stata mescolata una punta di azzurro.
Nell'insieme, risultava comunque della stessa vivacità cromatica della sua compagna di squadra.


Non aveva trovato nemmeno una moneta, ma in fondo non gli importava. Aveva rimesso il blocchetto nello zaino, ben nascosto in modo che Jiraya non si accorgesse di nulla- forse- e aveva aspettato il ritorno del suo sensei.
Il fatto che dopo un'altra ora questi fosse arrivato tutto gongolante e senza nemmeno uno strappo sui vestiti, o segni di graffi e unghiate femminili, significava che era di buonumore. E che gli avrebbe offerto il suo ramen quotidiano senza fare storie.
–    Allora, Naruto, che hai fatto di bello? Hai finito di allenarti? - domandò giulivo.
–    Sì, e nel frattempo ho riposato un po' – rispose lui con aria indifferente.
–    Bravo ragazzo! Bisogna sempre cogliere le occasioni della vita, sia per riposare che per fare altre cose... - e qui il suo sguardo si perse in ricordi decisamente censurabili, per cui Naruto trovò conveniente farlo tornare repentinamente sulla terra.
–    Sensei, che ne direbbe di andare a pranzo? Ormai sono le due passate... - buttò lì, sperando che il ninja abboccasse...
–    Oh, certo! Anch'io ho un certo languorino! Ti va del ramen, ragazzo mio?
Naruto annuì, fingendo di non aspettarselo. Sarà anche stato un baka, ma in fin dei conti ormai conosceva il suo pollo, o meglio il suo rospo gigante... e quando l'urgenza chiamava, la furbizia affinata dalle lamentele del suo stomaco sapeva farsi valere. Non era male avere una volpe nella pancia, dopotutto.
Si affiancò al suo sensei, camminando tranquillamente verso il chiosco di ramen di quel villaggio. Fingendo di strofinarsi energicamente lo stomaco per prepararlo all'abbuffata, si portò una mano al petto, dove in una tasca della tuta stava ben al sicuro una cosa. Un pezzetto di carta che era rimasto a guardare e riguardare per un'ora intera, senza venire a capo di nulla, con quella strana sensazione- che fame non era- ad attanagliargli lo stomaco.


Jiraya l'aveva messo a fare la guardia accanto al fuoco, come del resto faceva quasi ogni sera. Lui se la dormiva della grossa, con la goccia al naso, russando come un esercito di rane messo a tenere un concerto. Il che significava che non c'erano minacce in giro, perché in quei casi l'Ero-sennin dormiva senza fare il minimo rumore. Aveva i riflessi quasi più sviluppati nel sonno che durante la veglia.
Naruto aprì lentamente la cerniera e tirò fuori la fotografia, attento come un falco che non gli sfuggisse dalle mani e finisse in mezzo alle fiamme.
Alla calda luce dei ceppi che bruciavano quei lunghissimi capelli sembravano a loro volta prendere fuoco, in un gioco di lingue ardenti che parevano intrecciarsi tra loro. Sentì un gorgoglio simile a un ringhio nella pancia, un calore improvviso e fin troppo ben identificato che si manifestava ogni volta che pensava al fuoco con troppa intensità.
Per farlo smettere, distolse lo sguardo dal viso della ragazza e si concentrò su quello del Quarto Hokage. Una volta Jiraya gli aveva detto che lui glielo ricordava, con quella zazzera bionda e gli occhi azzurri apparentemente innocenti.
Un tempo aveva considerato quella frase di buon auspicio per il suo sogno di diventare Hokage, ma effettivamente l'Ero-sennin non aveva tutti i torti. Di gente con i capelli biondi e gli occhi chiari ce n'era a bizzeffe- vedi per prima la Yamanaka e suo padre- però quella zazzera scompigliata che lo accomunava al Quarto Hokage era davvero molto simile. Tuttavia gli occhi dell'uomo erano un po' a mandorla, più allungati dei suoi. A ben pensarci, i suoi come forma somigliavano di più a quelli della ragazza.
Jiraya smise di russare, muovendo leggermente la bocca impastata dal sonno. Secondo l'esperienza di Naruto ben presto si sarebbe svegliato, quindi mise via lesto la fotografia.
L'Ero-sennin si alzò di malavoglia dal suo letto di morbide foglie e si avvicinò al fuoco.
–    Vai pure a dormire, adesso rimango qui io – disse, e Naruto non se lo fece ripetere due volte.


Fuoco. Fuoco ovunque.
Le fiamme si attorcigliavano sui tronchi degli alberi, percorrevano in lungo e in largo le pareti di legno degli edifici di Konoha. L'insegna dell'Ichiraku Ramen era avvolta dalle vampate, e da un momento all'altro sarebbe di sicuro caduta a terra.
Solo che i momenti passavano, e l'insegna non cadeva.
Naruto si avvicinò lentamente, stupefatto, e si accorse che il legno e la stoffa non sembravano minimamente intaccati dal fuoco. Ardevano, ma non bruciavano.
Provò ad allungare una mano, ma quando vide che una lingua di fuoco aveva iniziato a serpeggiare dalle dita fino al suo polso, la ritirò bruscamente.
Sentì una risata alle sue spalle, una risata divertita che lo fece voltare di scatto. Sembrava prenderlo in giro, ma non c'era nulla di malevolo nel suo tono.
Si voltò e la vide. La ragazza della foto.
I suoi occhi erano l'unica cosa che non avesse una certa tonalità rosso vivo in tutto il paesaggio circostante.
–    Tu... - articolò piano Naruto – Chi...
Ma non fece in tempo a dire altro, perché la fanciulla si voltò e in un mulinello di fuoco scappò via, una macchia rossa che correva a quattro zampe lungo le strade di Konoha.
Senza nemmeno rendersene conto, Naruto la inseguì. Le corse dietro per le vie di quel villaggio incendiato eppure ancora intatto, fuori dai cancelli, nella foresta che bruciava a sua volta, fino ad arrivare al grande lago fra le rocce, lo stesso su cui aveva combattuto l'ultima volta contro Sasuke.
Naruto si bloccò, esterrefatto.
Può bruciare l'acqua? Sembrava proprio di sì.
Un enorme gorgo di fuoco mescolato a mulinelli acquatici devastava le acque della superficie, solitamente così tranquille. C'era un gran silenzio: solo quel turbine spaventoso che continuava a vorticare su se stesso, come un girone infernale.
Con la coda dell'occhio vide una macchia veloce guizzare al suo fianco, per poi fermarsi sulla riva ad osservare estasiata quello spettacolo assurdo.
Naruto cercò di focalizzare lo sguardo sulle linee del corpo avvolte da fiamme allegre, e si rese conto che altro non era se non un animale. Guarda caso, una bella volpacchiotta dal muso fremente e la coda folta. Una sola, per fortuna.
Dopo un po' l'animale si voltò a guardarlo, e Naruto venne immediatamente attratto da quegli occhi verdi con una punta di azzurro. Giusto il tempo di tornare a posare l'attenzione sul resto del corpo, che questo era stato di nuovo avvolto dalle fiamme.
Ed era ricomparsa la ragazza.
–    Splendido, non è vero? - disse in estasi, accennando al gorgo infuocato nel lago.
–    È spaventoso, invece – riuscì a ribattere lui, anche se si sentiva la gola secca, e non solo per l'aria insopportabilmente calda.
La ragazza rise allegramente.
–    Ma come? Hai paura dei vortici, Uzumaki? (*) - lo prese in giro – Eppure dicono che buon sangue non mente!
Naruto la guardò con espressione stranita, incredula. Ma che diamine stava succedendo?
La fanciulla iniziò a canticchiare qualcosa, prima a bassa voce, poi sempre più alta, quasi seguendo il ritmo e l'andamento del gorgo nel lago.
–    Mizu ga uzu o maite iru... (*) – diceva, in una nenia lenta quanto una ninna nanna.
Quella melodia gli provocò un caldo insopportabile al ventre. Come avesse ingurgitato una quantità spropositata di ramen bollente, come se qualcuno vi avesse piantato una lama rovente.
–    Che... stai... facendo... - sibilò, mentre sentiva Kyuubi ringhiare dentro di sé.
Si accasciò al suolo, le braccia attorno al corpo, cercando disperatamente di controllare il demone impazzito.
Sentiva che non avrebbe resistito ancora per molto, era come se le sue carni arroventate stessero per lacerarsi da un momento all'altro.
Eppure, quando sentì qualcosa posarglisi sulla testa, fra i capelli, quella tortura passò in un attimo, diluendosi dai piedi al terreno sotto di lui.
Non alzò subito la testa, quasi immobilizzato da quel tocco gentile. I capelli rossi sfregavano sul suo viso, segno che era chinata su di lui. Simili a fili di fuoco sullo sfondo circostante. Morbidi, dolci, ma non quanto quella mano.
In tanti gli avevano arruffato bonariamente i capelli, nel corso della sua vita- da Iruka sensei al Terzo Hokage, e a volte anche Jiraya- ma non riusciva a ricordare nulla che fosse anche solo lontanamente così dolce. Tenero. La cosa più simile al tocco di una madre che avesse mai ricevuto.
Eppure non gli era completamente nuovo. Era qualcosa di conosciuto, forse in un'altra vita. Una vita prima di Kyuubi.
O forse era solo la sua immaginazione, il fatto che per serate intere, durante la sua infanzia, aveva cercato di figurarsi- nella mente e con i sensi- come potesse essere la carezza di una madre. Quella che tutti i suoi compagni dell'Accademia ricevevano, a volte addirittura di malavoglia, e per cui lui invece avrebbe dato un braccio.
Che fosse solo quella fantasia, tornata a farsi viva in sensazioni quasi reali?
Si lasciò andare di lato, incontrando un petto soffice nascosto fra i capelli, appoggiandosi alla sua spalla. Anche quella cortina rosso fuoco non gli era nuova, in qualche modo, ma si trattava di una percezione lontana, ancestrale, eppure in qualche modo autentica.
Non se l'era inventata. Non aveva mai fatto parte delle sue fantasie infantili.
Era reale. 
Era stata reale, in qualche punto del tempo.
Chiuse gli occhi immaginando di essere tornato là, nell'istante in cui quella sensazione l'aveva vissuta davvero.
E, come dai recessi più profondi, gli tornò alla mente una parola. La parola più arcaica. Una parola che non aveva mai pronunciato prima.

–    Mamma...


Jiraya sgranò gli occhi, stupefatto.
Che cosa aveva detto?
Era già da un po' che Naruto si rigirava nel sonno, inquieto. Aveva anche meditato di svegliarlo, ma dato che sembrava essersi calmato aveva lasciato perdere.
Poi c'era stato quel ringhio sordo a metterlo sul chi vive: si era avvicinato al ragazzo e si era accorto che i segni sulle guance erano più evidenti, i canini più pronunciati, e anche se gli occhi erano ancora chiusi il ninja era certo che si fossero colorati di cremisi.
Che stava succedendo? Possibile che Kyuubi si stesse agitando proprio mentre Naruto dormiva? In un anno di viaggio, non era mai accaduto nulla del genere...
Aveva deciso di svegliarlo, con le conseguenze che ciò poteva comportare. Aveva fatto per toccarlo, risoluto, ma Naruto si era improvvisamente calmato. In un istante i segni sul viso erano tornati quelli di sempre, e i denti alla misura normale.
Gli aveva poggiato una mano sul petto, per sentire il battito, e aveva constatato che non c'era nulla di strano. Era il normale battito pacato di una persona addormentata.
Tenendogli la mano sul petto, però, aveva sentito qualcosa in una delle tasche. Somigliava vagamente ad un pezzo di carta, cosa che lo sorprese abbastanza: che ci faceva Naruto con un foglio in tasca? Scriveva le sue memorie, per caso? O aveva rubato un frammento di qualche rotolo di tecniche?
Ritenendo più probabile la seconda ipotesi, Jiraya aprì lentamente la cerniera della tasca, attento a non svegliarlo. Cautela inutile, perché Naruto sembrava più tranquillo di un neonato con la pancia piena.
Ma quando vide il “foglio”, dovette fare uno sforzo per soffocare un'esclamazione di sorpresa.
Ma come diavolo...?
“Questo moccioso!” imprecò mentalmente Jiraya “E così va a frugare fra la mia roba, eh? Vedi un po' come ti sistemo...”.
Non si era dato il tempo di chiedersi perché Naruto, tra tutte le foto presenti nel blocchetto, avesse deciso di tenersi proprio quella.
Ma quando il ragazzo scelse proprio quel momento per pronunciare quella parola, Jiraya rimase letteralmente sbalordito.
Aspettò un po', in totale silenzio, ma Naruto non disse altro. Sembrava calmissimo, come avesse ottenuto la pace suprema. Come un Buddha tornato tra le braccia della madre Maya.
Jiraya sospirò, tornando accanto al fuoco con la foto tra le dita. La osservò alla luce delle fiamme, sorridendo tristemente, ritrovandosi a pensare che solo i vecchi fanno certe cose di fronte alle vecchie fotografie.
Ma lui in fondo un vecchio lo era già, mentre qualcun altro non lo sarebbe mai diventato.
Certo, però, che quel ragazzino nascondeva davvero mille sorprese. Come poteva aver collegato, anche solo a livello inconscio, quella foto col fatto che Kushina fosse sua madre?
Forse il demone della Volpe aveva giocato un certo ruolo in tutto questo. Forse in realtà i ricordi registrati nella mente di un neonato erano molto più indelebili di quel che ritenevano i medici, Tsunade compresa.
O forse, semplicemente, l'amore che lega madre e figlio era qualcosa che andava davvero oltre ogni umana e razionale comprensione.
Allungò il braccio verso il fuoco, osservando una lingua ardente attaccarsi ad un angolo della foto e iniziare a bruciarla. La tenne in mano finché le fiamme non gli raggiunsero le dita, lo sguardo immoto e la mente vuota. Non era ancora il momento.
Poi si rimise nella posizione di guardia, in attesa dell'alba.
Avrebbe lasciato Naruto tra le braccia di sua madre ancora per un po'.


Quando, il mattino dopo, Naruto si svegliò, si sentì in pace col mondo in un modo completamente nuovo.
Teneva gli occhi aperti, puntati contro il cielo sopra di sé, beandosi di quell'aria tranquilla e della quiete del paesaggio circostante. Non aveva alcuna voglia di alzarsi. Malgrado intorno a lui ci fossero solo azzurro e verde, quando richiudeva gli occhi vedeva solamente rosso, dietro le palpebre. Un rosso caldo e materno.
Ma l'ombra minacciosa che si stagliò sopra di lui non aveva nulla di caldo e materno.
–    Hai intenzione di poltrire ancora per molto? - lo apostrofò l'ombra – Forza, abbiamo parecchio lavoro da fare.
Naruto aprì gli occhi senza guardarlo, e sospirò sonoramente.
–    Sa – disse – ho fatto un sogno bellissimo.
–    Ma guarda! Io invece non ho dormito affatto, dovendo fare la guardia anche durante il tuo turno, perché tu non ti svegliavi.
Il giovane genin lo guardò incuriosito. Ma che stava dicendo? Quando mai Jiraya si era fatto problemi a svegliarlo con metodi non proprio ortodossi? Perché mai l'aveva lasciato dormire?
–    Forza, andiamo a fare colazione.
Naruto si alzò per seguirlo, portando istintivamente una mano all'altezza del cuore. Che mancò un battito, perché la tasca sembrava assolutamente vuota. Guardò meglio, e si rese conto che era vero: la foto era scomparsa.
–    Qualcosa non va? - chiese il sensei senza voltarsi, un sorriso a metà fra l'ironico e il colpevole stampato sul viso.
–    Io... - tentò Naruto, per zittirsi subito dopo. Non era certo il caso di dirgli che l'oggetto perduto in realtà apparteneva a lui.
–    Allora muoviti.
Il ragazzo lo seguì, guardandosi intorno e facendo mille congetture su dove potesse essere finita la foto. Forse Jiraya l'aveva trovata e se l'era ripresa. Non c'era altra spiegazione. Ma allora perché lui era ancora incolume?
Il suo stomaco brontolò, reclamando il proprio carburante per le fatiche quotidiane. Decise che avrebbe rimandato l'intera faccenda ad un momento più propizio: per qualche motivo, quella mattina il suo spirito era ritemprato come non mai; era il caso di pensare anche al corpo.


Tempo dopo, in un'altra occasione in cui Jiraya si assentò per “affari-importanti-in-cui-non-sono-ammessi-mocciosi-(per-il-momento)”, Naruto tornò a sbirciare tra i bagagli dell'Ero-sennin.
Trovò il blocchetto dell'altra volta, lo sfogliò in fretta e furia, ma rimase non poco deluso quando non trovò quello che cercava.
La foto non c'era più.
Dov'era?
Possibile che l'avesse persa?
Che Jiraya l'avesse nascosta in un punto più sicuro dello zaino?
Rovistò ancora un po', con foga. Se fosse stato nei panni di qualcun altro, Sakura forse, o anche Shikamaru, avrebbe anche potuto chiedersi perché mai si stesse comportando in modo così irrazionale, perché ci tenesse tanto. Era assurdo, totalmente assurdo. Ma Naruto era Naruto, e un simile pensiero non gli passò nemmeno per la mente.

Niente.
Non c'era più.
Scomparsa nel nulla.
Naruto si buttò sull'erba a braccia aperte, sconsolato e con un gran vuoto all'altezza del petto.
Dov'era?             

Dov'era finita quella fotografia?

E dov'era finita quella ragazza?



(*) “Uzu” in giapponese significa “vortice”
(**) Dal giapponese: “L'acqua sta formando un vortice...”


Mi sono resa conto che, in un punto di questa storia, l'attrazione che Naruto prova per Sakura ha un po' del complesso edipico. Mah... è venuta fuori mentre scrivevo, ma a ben pensarci non è un'idea così campata per aria.
Qui la foto fa iniziare un processo psicologico totalmente inconsapevole, gestito dall'inconscio, che non è affatto così assurdo come potrebbe sembrare. Casi simili esistono, è qualcosa di inciso nei geni umani il riuscire a riconoscere coloro che appartengono al proprio sangue.
Il collegamento che viene fatto nella fic, anche se volutamente confuso perché avviene nella mente di Naruto a livello inconscio, è quello “capelli di Kushina-fuoco-Kyuubi”, tutti accomunati dal colore rosso. È questo il “filo del fuoco” nominato nel titolo. Si basa un po' sul concetto di associazione mentale, che segue una logica di cui nemmeno conosciamo il perché.

Sono molto felice della mia posizione al contest “Ti scatterò una foto” indetto da DarkRose86. Non avrei mai pensato di poter essere sul podio, ne sono felice! ^^
   
 
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