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Autore: _Miss Independent_    17/06/2009    3 recensioni
L’Equilibrista voleva volare, voleva poter usare il suo corpo come un oggetto fragile e che va osservato con la massima discrezione ed attenzione, voleva sentire l’aria fredda e l’adrenalina salire a più non posso, voleva trovare un equilibrio anche nella vita, oltre che su di una fune.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’Equilibrista.


Una lunga fune rossa si espandeva oltre la visione dei suoi occhi, infittendosi verso la sua fine, che sembrava essere davvero lontana. E l’Equilibrista si domandava se quella fune avesse una reale fine o se si espandesse oltre l’immaginabile. Infondo doveva solo volteggiare sopra quella corda per saperlo. Doveva abbandonarsi all’imprevedibilità, all’ignoto e all’aria fresca che aleggiava a cinque metri di altezza.
Sospirò, sentendo il naso bruciare al contatto con il freddo. Un brivido percorse la sua schiena. Un brivido di paura, un brivido di eccitazione, un brivido pieno di voglia di conoscere, di scoprire, di volteggiare sopra il Mondo.
Si guardò attorno: non c’era nessuno.
Esistevano solo l’Equilibrista e la sua fune senza fine . Il resto? Nulla, tutto scompariva. Tutto diveniva immaginazione, sogno, illusione.
E all’Equilibrista piaceva pensare di camminare su di una fune, posizionata nel centro urbano, al di sopra del caos dei clacson, al di sopra di tutte quelle macchine. Immaginava sguardi solo per sé, tutti quei nasi all’insù solo per vedere il suo atto di follia, quell’equilibrio sulla città sovrastata dalla confusione, dall’ipocrisia, ma che - vedendo l’Equilibrista - andava via, lasciando che l’ansia salisse nelle persone che si concentravano su quella sagoma che metteva un piede davanti all’altro, cercando di non cadere.
L’Equilibrista sorrise, ridendo di sé. L’immaginazione era sempre stata troppo forte per essere respinta e, infondo, non voleva perderla. Perché l’immaginazione, unita all’illusione, riuscivano ad incentivare la forza d’animo necessaria per non cadere.
Nell’età dell’infanzia aveva sempre avuto paura delle altezze. Quando saliva si di un’altalena non riusciva mai ad oltrepassare il limite di altitudine, il vuoto del suo stomaco non glielo permetteva.
Eppure, ora, era lì. Davanti ad una fune sospesa a mezz’aria, nel procinto di attraversarla, camminando. Sorrise nuovamente, oramai si era abituato.
L’Equilibrista voleva volare, voleva poter usare il suo corpo come un oggetto fragile e che va osservato con la massima discrezione ed attenzione, voleva sentire l’aria fredda e l’adrenalina salire a più non posso, voleva trovare un equilibrio anche nella vita, oltre che su di una fune.
Respirò nuovamente, muovendo un piede e posizionandolo sulla corda, con precisione e concentrazione. Un solo errore sarebbe stato fatale. Ripeterselo però non serviva; decise di sgombrare la mente e immaginare. Sì, immaginare la città sotto i suoi piedi, le attenzioni della gente su di sé, il caos delle macchine sovrastare i suoi respiri. Lasciò che anche l’altro piede si posizionasse sulla fune, adesso era in perfetto equilibrio tra terra e cielo, razionalità e irrazionalità, tra felicità ed agonia, tra sogno e realtà, tra bene e male. Era in perfetto equilibrio perfino con la sua identità, percepiva tutto quello che era e che era stato.
Chiuse gli occhi, immaginò di camminare su di un marciapiede dove poco più in là vi era una ballerina, che lenta effettuava un giro completo su sé stessa. L’Equilibrista adorava immedesimarsi in ruoli aggraziati ed eleganti, dolci e sicuri al contempo. Volteggiò assieme alla ballerina di strada, ogni slancio era un rumore d’aria che - secondo la sua immaginazione - si riscontrava con il battere d’ali degli uccellini spensierati, che volavano fieri per il cielo terso d’azzurro.
Mosse le dita delle mani, lentamente e con dolcezza. Il movimento si ripercosse lungo le braccia, che adesso oscillavano come le grandi ali di un falco, pronte a spiccare il volo con decisione.
L’Equilibrista stava volando verso il suo mondo, verso qualcosa che stando coi piedi per terra non poteva avere. E invece lì, su quella fune, trovare ciò che non era visibile all’occhio diveniva l’unica cosa possibile.
I piedi si muovevano fugaci sulla corda spessa e inesistente al contempo, come camminare sull’asfalto invisibile di una strada che esiste solo nella tua mente, nel tuo mondo, un mondo fatto solo - ed unicamente - di pura illusione.
Ma ecco che davanti ai suoi occhi s’impose un ostacolo: il ricordo di quei giorni, il ricordo di quella persona, il ricordo di quella delusione, il ricordo dell’ipocrisia della gente, il ricordo di istanti falsi, il ricordo di lacrime amare, il ricordo di sorrisi perduti.
Tentennò verso il male, sentendo la rabbia imporsi sui suoi piedi dapprima aggraziati, e ora irrequieti e tormentati. La fune si muoveva, lasciando che l’Equilibrista traballasse, senza poter trovare l’equilibrio, senza riuscire a scacciare via il male. Ma ecco che un calore nuovo e fuori dal normale, riuscì a riportare l’equilibrio necessario per non cadere.
Aprì gli occhi, vedendo una luce sopra si sé: il Sole. Era da lì che proveniva quel calore, quella certezza, quella forza. Sorrise, emettendo un flebile “Grazie”, e lasciandosi trasportare nuovamente dalla sua immaginazione.
Mantenne l’equilibrio fin quando poté constatare che la fune aveva un suo inizio ed una sua fine, già prestabilita. Come la vita, pensò l’Equilibrista, perché - infondo - vivere è solo questione di equilibrio.


  
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