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Autore: rekichan    18/06/2009    1 recensioni
Prima classificata al contest: "Ninna nanna ed Horror indetto da Princess of the rose
Balzò all’indietro, improvvisamente conscio del lieve smottare del terreno. Un movimento impercettibile che portava il terreno ad alzarsi e abbassarsi con delicatezza. Lieve, ma inequivocabile. La terra… la terra…
…Respirava.
Genere: Dark, Sovrannaturale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sasuke Uchiha
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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[Il respiro del vento]

 

Erano passate tre ore da quando si era coricato. Tre ore trascorse nell’agonia della ricerca del sonno liberatore dalle fatiche della giornata.
Niente. L’insonnia continuava a perseguitarlo. Rimase in silenzio ad ascoltare i respiri dei suoi compagni. Quello quieto di Juugo, quello un po’ più pesante di Karin e il lieve gorgogliare di Suigetsu che anche quando dormiva doveva ricordare a tutti loro di essere una creatura acquatica.
Si domandò come fosse il proprio respiro nel sonno. Forse russava; forse era pacato come quello del gigante fulvo che lo accompagnava. Forse, semplicemente non respirava. Proprio come un morto.

Sin da piccolo, aveva sempre prestato molta attenzione al ritmo dei respiri altrui. Per uno shinobi era indispensabile conoscere le differenti variazioni. Un respiro accelerato, poteva essere causato dalla paura; da un nemico che respirava tanto silenziosamente da essere impossibile da percepire, bisognava guardarsi perché poteva coglierti alle spalle in ogni momento. Un respiro ansimante poteva essere causato dalla stanchezza o dall’eccitazione.

Indispensabile. Come tante altre piccole conoscenze che componevano il bagaglio culturale di un ninja. D’altro canto, Sasuke era abituato a controllare il proprio respiro che, guarda caso, aveva sempre lo stesso ritmo.
Uno, due. Espira. Uno, due. Inspira.
Perfetto. Esattamente come si doveva respirare: né troppo rapidi, così da non assimilare appieno l’ossigeno, né troppo lenti, così da trattenere in maniera eccessiva l’anidride carbonica. Uno. Due. Uno. Due. Un terzo secondo per espirare o inspirare. Ecco.

Si scrollò le coperte di dosso. Rimase per qualche secondo sdraiato a terra, prima di alzarsi.
A passo lento, si avvicinò alla bocca della caverna che avevano utilizzato come riparo per la notte. Una piacevole brezza smuoveva l’afosa calura estiva.
Si godette il soffio del vento sulla pelle nuda del torace. Inspirò ed espirò a fondo il profumo della notte. Piacevole, come poche cose sapevano essere.

Gli era sempre piaciuto il vento. Significava che il mondo continuava a girare, nonostante tutto. Che almeno qualcosa – una singola cosa – funzionava. Forniva alla sua vita perennemente in equilibrio su un filo una certezza inequivocabile: la Terra gira.

Consolazione stupida, infantile. Sasuke non si soffermava mai su questo piccolo particolare. Non voleva pensarci, perché sarebbe stato come ammettere che la possibilità di uccidere Itachi era – appunto – solo una possibilità; che il suo allenamento con Orochimaru si sarebbe potuto rivelare inutile. Che i “se”, i “forse” e i “ma” della sua vita erano un po’ troppi per uno che affermava di sapere sempre cosa fare; di conoscere sempre la soluzione più adeguata ad un problema; di conoscere sempre la strada da intraprendere per raggiungere il suo obiettivo.

Sasuke era consapevole di essere solo un equilibrista sulla corda che portava alla realizzazione della sua vendetta. Una corda che, un tempo, era una rete infinita di possibilità che si riduceva ad ogni scelta intrapresa. Via un filo. Via un altro. Adesso, era rimasto un unico appiglio. Un filo sottilissimo e affatto resistente, su cui Sasuke – strenuamente – continuava a camminare per giungere dall’altra parte, dove c’era suo fratello ad aspettarlo.

Però la Terra girava. Questo non cambiava. Era una certezza. E il vento…

 

«Ogni essere vivente respira, Sasuke-chan. Perfino la terra.»

«La terra, Kaa-san?»

«Sì, la terra, Sasuke. Ascolta.»

«Kaa-san, io non sento niente.»

«Sul serio?»

«No, c’è solo tanto vento qui.»

«Il vento, Sasuke… il vento è il respiro della terra.»

 

Scosse il capo, scuotendo via il velo dei ricordi che gli appannava la vista. Tornò a scrutare l’orizzonte. La distesa di alberi pareva stendersi all’infinito sotto l’altura dove era situata la caverna. Chilometri di foresta li separavano dal luogo stabilito per l’incontro con Itachi.
Ce l’avrebbe fatta? Sarebbe sopravvissuto? Le possibilità continuarono ad affollare la sua mente. Fastidiose e ridicole, solo perché non certe. Le rifiutò a priori. Lui doveva farcela; doveva sopravvivere.
Sospirò, rammentando il respiro del fratello. Un respiro calmo, preciso. Mai un secondo fuori posto. Meccanico, avrebbe osato dire. Gli sarebbe piaciuto possedere quel respiro; quella freddezza nelle azioni e nei movimenti. Gli sarebbe piaciuto essere, non come, ma lui.

Appoggiò la mano contro la pietra fresca, continuando ad ascoltare il mormorio del vento. Costante, continuava ad urtare le pareti della grotta. Sasuke cominciò inconsciamente a contare ogni qual volta il soffiare aumentava, per poi placarsi di nuovo prima di riprendere la sua folata.

Anche il respiro della terra aveva un ritmo. Lento, pacato. Sasuke ebbe l’impressione che stesse cantando.

«Koha ko, Koha ko,

piccola colomba Koha ko…»

Le parole non si distinguevano appieno, celate dal fruscio dei rami che fornivano un gentile accompagnamento. Sasuke chiuse gli occhi, lasciando libera la propria immaginazione. Ascoltando.

«Il vento culla piano

Il nido sui rami del pino…»

Scese lungo il pendio, senza voltarsi indietro. La canzone lo aveva catturato. Sdrucciolò appena sulla roccia friabile, fino a giungere nello spazio erboso ai piedi dell’altura. Il vento cantava. Cantava.

«…il piccolo tuo nido tra le mie braccia dondola…»

Ora le parole non erano più confuse. Sasuke non si era neanche reso conto di essersi messo a correre, né dei rami che gli graffiavano il corpo mentre seguiva la musica che invadeva la foresta. Rapito, ascoltava. Ascoltava e non si domandava da dove provenisse quella lenta cantilena infantile dalle parole troppo familiari per non essere rassicuranti. E la voce… il respiro della terra… il vento…

«Koha ko, Koha ko,

piccola colomba Koha ko.»

La corsa si interruppe di colpo nello stesso istante in cui il vento smise di soffiare. Sasuke sgranò gli occhi, studiando il paesaggio che lo attorniava. Una radura alberata con al centro una roccia che odorava di muschio. Riscuotendosi come da un sogno, si domandò come e perché fosse giunto fino quel luogo. Inspirò a fondo. Probabilmente, si era addormentato e la sua psiche aveva deciso di fargli scoprire quella notte che era sonnambulo. Niente panico. Sarebbe bastato ripercorrere la strada all’indietro e si sarebbe riunito al Team Hebi.

Ma quale strada?

Si guardò attorno, cercando segni del proprio passaggio. Un ramo spezzato; un’impronta. Niente. La foresta attorno a lui era completamente integra; vergine da ogni contatto umano.

Assottigliò gli occhi, di fronte a quella situazione innaturale. Portò la mano dietro la schiena alla ricerca della spada. Nulla. Digrignò i denti, irritato da quella mancanza che lo aveva portato ad uscire senza  arma. O, forse, non era neanche uscito dalla caverna. Forse, erano stati attaccati ed erano sotto un genjutsu.

Il ragionamento fu rapido; l’attivazione dello sharingan, immediata. Niente. Nessun chakra nemico da contrastare; nessuna illusione. Il bosco restava attorno a lui, tale e quale alla sua ultima visione. Deglutì, udendo il proprio cuore accelerare i battiti. Male. Espira. Inspira. Uno, due. Uno, due.
Niente. La rete impenetrabile di rami continuava a circondarlo. Deglutì. Le foglie ondeggiavano nonostante l’assenza di vento. inspira. Espira. Inspira. Espira.

Balzò all’indietro, improvvisamente conscio del lieve smottare del terreno. Un movimento impercettibile che portava il terreno ad alzarsi e abbassarsi con delicatezza. Lieve, ma inequivocabile. La terra… la terra…

…Respirava.

Rimase paralizzato per qualche secondo. Giusto il tempo di richiamare a sé qualche barlume di razionalità; di non mettersi a correre alla rinfusa in quel luogo sconosciuto.
Ricordava che la caverna dove si erano addormentati aveva la bocca rivolta ad est, quindi doveva procedere verso ovest. Alzò lo sguardo per orientarsi con le stelle. Riuscì ad intravedere appena lo scintillio della stella polare, prima che i rami si chiudessero sopra la radura, imprigionandolo in una gabbia di legno e terra.

Espira. Inspira. Espira. Inspira. Mantenere la calma, contava solo quello. Forse era incappato in un genjutsu di un ninja molto potente che non riusciva a sciogliere. O forse, il ninja che lo aveva imprigionato aveva il potere di controllare il legno. Ora che ci pensava, assieme a Naruto, c’era un tipo che utilizzava proprio quelle tecniche arboricole.

L’idea di essere finito nelle mani degli shinobi di Konoha servì in qualche modo a rassicurarlo. Preferiva sicuramente una cattura razionale, piuttosto che lasciarsi andare a quei timori oscuri e surreali. Un essere umano, per quanto potente, era qualcosa che poteva affrontare. Il soprannaturale, no.
Scintille azzurre risplendettero nella sua mano, illuminando la radura. Cominciò a correre contro gli alberi; un braccio a parargli gli occhi dalla pioggia di schegge che segnava il suo passaggio. Corse. Un piede. Poi l’altro. Respira. Inspira.

Frenò la sua corsa e si voltò indietro. La strada che aveva creato, si stava già richiudendo. Tese le orecchie, in ascolto. Nessun fruscio, nessun rumore di passi. Solo quel lieve pulsare che percepiva sin dal suo arrivo alla radura e che proveniva – ne era certo – dalla terra stessa.

No, non era la terra. Optò per una scelta razionale, stabilendo che probabilmente c’era Sakura che causava terremoti da qualche parte. Aveva sempre pensato che fosse una donna pericolosa, capace di smuovere le montagne. Ora ne aveva la conferma.
Se stavano cercando di spaventarlo, quello non era il modo giusto.

O forse sì.

I rami si erano richiusi. La cortina di legno nuovamente formata e lui… lui…

Lui era sempre in quella dannata radura con quel sasso muschiato al centro.

In trappola. Di nuovo.

«Koha ko, Koha ko,

piccola colomba Koha ko.»

Sgranò gli occhi al lieve soffiare del vento. La melodia che aveva udito prima di trovarsi improvvisamente nella radura aveva ripreso a diffondersi nella foresta. Era più nitida, più definita. Le parole si distinguevano chiaramente, adesso. Fin troppo chiaramente. E la voce…

«Il vento culla piano,

il nido sui rami del pino.

Il piccolo tuo nido tra le mie braccia dondola.»

… la voce cantava allo stesso ritmo del pulsare della terra. La litania era confortante. Lo cullava, placando le sue paure e i suoi timori. La voce… la voce…

«Koha ko, Koha ko,

piccola colomba Koha ko.»

Socchiuse gli occhi e lasciando che la melodia lo avvolgesse. La ninna nanna faceva ancora una volta il suo effetto su quel bambino troppo cresciuto. Placava, acquietava. Lo trasportava nel mondo dei sogni, cullato dal caldo abbraccio materno.

«Ti piace, Sasuke-chan?»

La musica si interruppe di colpo come era iniziata. Era stato un soffio. Un breve soffio di vento gelido che aveva attraversato la radura. Sasuke si guardò intorno. Gli alberi continuavano a circondarlo, il cielo non era visibile. Rabbrividì di fronte alla rinnovata consapevolezza di trovarsi in trappola.

«Voltati.»

Altro soffio di vento. Altro brivido.
«La terra parla, - gli diceva sua madre – devi solo saperla ascoltare. Ascolta il vento, Sasuke. Ascoltalo.»
Ora, il vento gli ordinava di voltarsi. Non lo fece, cercando una spiegazione a quanto stava accadendo. Non trovò di meglio che pensare ad un sogno. Un brutto, ma rassicurante in quanto tale, sogno.

«Non è un sogno, Sasuke-chan.»

«Chi sei?»

Domandò, rammaricandosi per quel lieve tremolio nella propria voce. Espira. Inspira. Espira. Inspira. Calmati Sasuke. Calmati. Espira. Inspira. Calma. Calma. Calma.
Niente.

«Voltati, Sasuke-chan.»

Il vento parlò di nuovo. Sasuke si sentì lambire le braccia nude dal respiro della terra. Un tocco impalpabile, come l’aria, ma non per questo meno fastidioso. Cercò di scostare quella fastidiosa presenza. Se ne trovò succube. Con una folata un po’ più forte, il vento lo costrinse a voltarsi. Proprio verso il masso.

Un masso vuoto, fino a poco prima. Adesso c’era una donna seduta sul muschio umido. La veste candida evanescente le danzava attorno al corpo, celandone le nudità. Tutto in lei, pareva fatto d’aria. Piccoli turbini formavano le pieghe. Gli occhi erano celati da un velo bianco che le copriva il capo, lasciando libere solo lunghe ciocche scure che danzavano al ritmo del vento.
Gli sorrise. Aveva delle pelle labbra, pallide e regolari. Dolci. Sasuke deglutì.

«Kaa-san…»

Mormorò. Le parole si persero nel vento.
Una risata acuta si diffuse nell’aria, partendo dalle viscere stesse della terra. Nessuna provenienza precisa. Nessun segno di movimento nel viso della donna che sorrideva condiscendente nella sua direzione. Sasuke respirò a fondo, cercando di placare la propria furia. Si vergognò improvvisamente di quella parola fuoriuscita dalle labbra. La donna, per quanto le somigliasse, non poteva essere sua madre. Sua madre era morta. L’aveva vista perire di fronte ai suoi occhi, trafitta dalla katana del figlio maggiore. Serrò i pugni, fino a far sbiancare le nocche. La donna continuava a sorridere.
Solo allora, Sasuke notò le dita pallide che pizzicavano le evanescenti corde di un’arpa argentata. Leggere, traevano dallo strumento la litania di quella ninna nanna che sua madre gli cantava per farlo addormentare. Koha ko, Koha ko. Piccola colomba Koha ko. Dormi, piccola colomba. Dormi cullata dalle braccia del vento. Dormi.

«Chi sei?»

«Colei che ascolti.»

Un soffio di vento. Era solo questo, la sua voce: un flebile soffio di vento che gli sussurrava nelle orecchie, ammaliandolo con la leggerezza del suo tono. E la musica… anche la musica sembrava aria, vento… fiato.

«Sei stato bravo ad arrivare qui, Sasuke-chan. Vuol dire che sai ascoltare.»

Sasuke non replicò. Il suo corpo era intorpidito; gli arti, pesanti. Faticava a stare in piedi e a tenere gli occhi aperti. Avanzò verso la donna. Lentamente, trascinando il proprio corpo che pareva pesare tonnellate. Il movimento di un solo passo pareva durare un’ora. Riusciva a percepire ogni singola contrazione dei muscoli e dei tendini. Anche le dita della donna sembravano muoversi più lentamente sulle corde dell’arpa, traendone sempre la stessa melodia. Koha ko, Koha ko, piccola colomba Koha ko. Ascoltare. C’era silenzio, adesso. La musica era cessata; il suo respiro era l’unico suono presente nella radura. Uno. Due. Espira. Inspira. Espira. Inspira. Uno. Due. Lentissimo, come ogni movimento. I polmoni si gonfiavano all’interno della cassa toracica; il diaframma si contraeva appena. Gli alveoli si aprivano e si chiudevano per far passare il sangue carico di ossigeno. Uno. Due. Espira. Inspira. Uno. Due. L’aria mancava. Doveva accelerare la propria respirazione. Uno. Due. Uno. Due. Non era abbastanza rapido. L’ossigeno… l’ossigeno. Uno. Uno. Uno. Ossigeno. Aria… Aria… Aria!

Boccheggiò, rovinando a terra a pochi passi dalla donna. Il tempo riprese a scorrere, l’aria ad affluire nei polmoni. Respirò a fondo, godendo del rinnovato controllo sui suoi polmoni; si beò della sensazione della terra fresca contro il viso, di ogni singola molecola di ossigeno che assimilava; del vento fresco sulla pelle.

«Ci hai rese felici. Molto felici. Cosa vuoi, Sasuke-chan?»

Cosa voleva? Respirare, innanzitutto. Respirare a fondo e non smettere più. Voleva respirare. Respirare. Voleva un respiro perfetto che non lo tradisse mai. Che rimanesse costante anche quando era terrorizzato; che non venisse mai meno. Voleva il suo respiro, il respiro di Itachi. E voleva dormire; riposare. Tossì, solo per il gusto di sentire il fiato grattare la gola; per sentirsi ancora vivo. Alzò lo sguardo sulla donna; il pallido sorriso si stese ancor di più sul volto celato dal velo, finendo col dominarne il viso.

Sgranò gli occhi. Istintivamente, cercò di alzarsi. Niente. La terra sembrava tenerlo incollato a sé. Non poteva mettersi in piedi; non poteva correre via. Poteva solo alzare il capo e fissare quei piccoli denti acuminati, splendenti come perle, che facevano bella mostra di sé sul bel volto della donna.

«Desiderio interessante, Sasuke-chan. Ma ogni cosa ha un prezzo e, ciò che hai chiesto, costa molto. Quindi, mi prenderò una cosa a cui tieni. Forse l’unica a cui tieni davvero.»

Sasuke si trovò di fronte ai piedi nudi della donna. La sua figura evanescente si era fatta ancora più impalpabile. Vista da vicino, la pelle era trasparente. Lanciò un’occhiata alle dita che continuavano a tessere la ritmica melodia sulle corde dell’arpa. Epidermide talmente chiara che si scorgevano le ossa. Niente muscoli. Solo uno scheletro rivestito di vento.

«Koha ko, Koha ko,

piccola colomba Koha ko.»

Riprese a cantare. Il peso che gravava sul suo torace, schiacciandolo a terra, si fece ancora più pressante. Il viso soffocò nella terra che, adesso, sussultava sempre più forte. Si alzava e si abbassava ad un ritmo convulso. Sasuke riconobbe il movimento di un torace che sobbalza per le risate. Rideva. La terra rideva… rideva di lui.

«Il vento culla piano,

il nido sui rami del pino.

Il piccolo tuo nido tra le mie braccia dondola.»

Respirò terreno; le particelle di terriccio gli entrarono nel naso, nella gola. Lo soffocarono. La donna cantava… cantava… Aria. Il vento lo schiacciava contro la terra, costringendolo ad ingerirla. Il tempo rallentò nuovamente. Percepì ogni singolo elemento che entrava in un lui; ogni carezza violenta del terreno stesso. Boccheggiò, cercando di catturare invano quella stessa aria che lo stava schiacciando. Uno. Due. Inspira. Espira. Uno. Due. Inspira. Espira.

Aria!

«Koha ko, Koha ko,

piccola colomba Koha ko.»

Il riflesso dei raggi del sole sulle palpebre lo costrinsero a cancellare l’idea di continuare il proprio riposo.
Indolenzito per aver dormito sul duro terreno, si alzò. Gemette per una fitta alla testa, all’altezza delle tempie. Se le massaggiò per qualche istante, prima di guardarsi attorno. Era lontano chilometri dalla grotta dove avevano passato la notte. Attese qualche secondo, mentre il suo cervello radunava i brandelli del sogno che aveva fatto. La musica… la donna… scosse il capo, cercando di scacciare le inquietanti immagini di quell’incubo. Probabilmente, si era trattato solo di un fenomeno di sonnambulismo.
Deglutì, sentendo in bocca il sapore acido della notte. La vista era appannata; debole. Decise che era dovuto allo stordimento causato dalla lunga camminata e da un sonno affatto ristoratore. Attese che i contorni della foresta si facessero più precisi e cominciò ad avviarsi verso il luogo dove Itachi lo aspettava. Agì d’istinto, senza preoccuparsi dei compagni che lasciava indietro. D’altronde, sarebbe stato stupido perdere il vantaggio datogli dalla sua passeggiata notturna.

Si stupì di come il corpo fosse più elastico e più agile di quanto ricordasse. Sembrava quasi che il cervello non avesse bisogno di ordinare i movimenti, divenuti talmente istintivi da risultare quasi irritanti nella loro totale assenza di controllo. Arrivò a destinazione prima del previsto. Itachi non era lì ad aspettarlo. Il grande tempio in pietra era completamente vuoto, eccezion fatta per un trono scolpito nella roccia stessa. Si guardò attorno per un attimo, prima di decidere di sedersi.

Fu quando le mani toccarono i freddi braccioli di pietra che si rese conto di non aver deciso di sedersi. Era stato il corpo a farlo; il corpo ad averlo fatto accomodare sul sedile, ad aver accavallato le gambe e attendere… attendere che qualcuno che non era Itachi entrasse da quella porta. Sasuke percepì chiaramente l’intenzione della carne di restare immobile, fino all’arrivo di quella persona. Rabbrividì, cercando di scacciare l’impressione di essere prigioniero del proprio corpo.
Avvertì il proprio battito cardiaco accelerare. O meglio, immaginò che il proprio battito cardiaco accelerasse, perché quel corpo restava impassibile; immutabile. Il respiro costante non tradiva alcuna emozione. Si cullava nel suo ritmo, nel suo controllo dell’aria che entrava e usciva dai polmoni. Era perfetto. Un respiro che Sasuke non riconobbe come proprio.

Se ne accorse troppo tardi. Decisamente, troppo tardi. Alzò lo sguardo, incrociando quello del ragazzo appena entrato nel tempio. Quello che era il suo sguardo. Osservò il respiro un po’ troppo rapido che scuoteva il torace sotto la maglia nera. Un respiro che conosceva. Era emozionato. Tanto. Sapeva come doveva sentirsi: finalmente, era arrivato alla fine del suo cammino. Il filo era stato percorso; la vendetta si presentava di fronte ai suoi occhi. Peccato che quello che si trovava di fronte a lui non fosse Sasuke Uchiha.

Panico, mentre il corpo in cui era imprigionato pronunciava poche parole di saluto con la voce bassa che gli era fin troppo familiare; avvertì il chakra scorrere nel suo apparato circolatorio; gli occhi bruciare lievemente a causa dell’attivazione dello sharingan… il suo doppio rispondere. Lo scontro cominciava. Sasuke cercò di bloccare il corpo che scattava in avanti, rispondeva ai colpi e pronunciava parole che non riusciva a sentire. Niente. Impotente, assistette allo scontro che aveva atteso per tanti anni, con la persona che aveva desiderato essere per tanti anni.

Era stato esaudito. Aveva la sua tecnica perfetta; la sua forza; il suo respiro. Era Itachi. Peccato che potesse soltanto assistere passivamente ai prodigi di quel corpo; poteva soltanto ascoltare, mentre lo scontro giungeva al termine e suo fratello (o lui?), pronunciava quelle che sarebbero state le sue ultime parole.

«Perdonami, Sasuke… Non ci sarà una prossima volta.»

«Neanche per me, aniki.»

Koha ko, Koha ko,

piccola colomba, Koha ko.

 

Note dell’autore:

Allora, tanto per cominciare... Ho battuto Ainsel a un contest sull’horror *O*!

Più che Horror, è Sovrannaturale. Non sono molto brava a scrivere horror puro, ma mi piace giocare di più sull’inquietante. Quindi, niente mummie, niente zombie, niente vampiri o streghe. Spero vada bene lo stesso, ma soprattutto spero si comprenda il finale, visto che è un poco confuso.
La ninna nanna è la seguente:

Koha ko, Koha ko,

piccola colomba Koha ko.

Il vento culla piano,

il nido sui rami del pino.

Il piccolo tuo nido tra le mie braccia dondola.

Koha ko, Koha ko,

piccola colomba Koha ko.

Non so cosa vuol dire Koha ko XD, lo ammetto. Suppongo sia: “Dormi”, ma non ne sono sicura. Secondo me è una canzoncina inquietante di per sé, ma amen.
Ringrazio la giudice per il giudizio e faccio i complimenti alle altre podiste: NekoRika e Happyaku

 

 

   
 
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