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Autore: ___Page    09/09/2017    1 recensioni
Vivere in otto in una casa non era semplice e questo Pen lo sapeva bene. Tuttavia, con un po’ di pazienza, una serratura funzionante alla porta della propria camera da letto e qualche regola di base era assolutamente fattibile.
Vivere in otto in una casa con anche due bambini, però, era decisamente tutt’altra storia.
*Per il compleanno di Jules*
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Jewelry Bonney, Killer, Nuovo personaggio, Penguin, Trafalgar Lamy | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'On Velvet Ropes'
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ATTENZIONE: questa storia può contenere spoiler se volete leggere Fragile.




 
OTTO SOTTO UN TETTO



Vivere in otto in una casa non era semplice e questo Pen lo sapeva bene. Tuttavia, con un po’ di pazienza, una serratura funzionante alla porta della propria camera da letto e qualche regola di base era assolutamente fattibile.
Vivere in otto in una casa con anche due bambini, però, era decisamente tutt’altra storia. Di pazienza ce ne voleva un sacco e una sporta e il rispetto delle regole di base diventava un miraggio irraggiungibile. Fortunatamente, la serratura alla porta non gliel’aveva ancora tolta nessuno. Sfortunatamente, Pen in quel momento non poteva andare a chiudersi in camera a fare colazione.
In verità sarebbe bastato ignorarli, continuare a leggere la cartella dell’ultimo caso che gli avevano assegnato al lavoro in modo da avere già un’idea mentale preimpostata di ciò che avrebbe dovuto fare in laboratorio e finire i propri cereali. Una strategia impeccabile per uscire indenne da quella faida silenziosa in cui si era trovato, suo malgrado, invischiato.
Non si sentiva una cattiva persona per questo. Era un bravo padre, lui, e un grande amico. Ciò nonostante non vedeva perché mai avrebbe dovuto anticipare il momento in cui avrebbe dovuto affrontare i lati più oscuri che le gioie della paternità portavano con sé, per sistemare le cose tra due emeriti coglioni che sembravano non avere di meglio da fare nelle loro vite che litigare un giorno sì e l’altro pure.
A parte che lui era stato graziato con il dono di una femmina ma poi sua figlia portava ancora il pannolino e in quel momento stava dormendo beata nella propria culla, in camera. Quindi no, i due “bambini” in questione non erano affatto affar suo.
Purtroppo, loro non sembravano pensarla così.
«Pen…» lo chiamò asciutto, in attesa che Pen gli desse un segno di essere in ascolto. Il rosso gli lanciò un’occhiata da sopra il bordo degli occhiali da vista, il cucchiaio stra-carico di cereali ancora ficcato in bocca. «Puoi chiedere a Eustass-ya di passarmi il succo all’arancia, per favore?»
Se non avesse avuto paura di sparare latte dalle narici, Pen avrebbe grugnito tutto il proprio disappunto.
Aveva assistito mille volte a quella scena. Law e Kidd seduti ai due lati opposti del tavolo che si guardavano in cagnesco, irremovibili nel loro mutismo ma incapaci comunque di staccarsi gli occhi di dosso. Ed essendo un non staccarsi gli occhi di dosso diverso da quello che permeava a volte l’atmosfera di un’aura estremamente imbarazzante e a cui certamente nemmeno le altre due coppie della casa erano estranee, essendo un non staccarsi gli occhi di dosso che veniva attuato da tempo immemore, da ancora prima che suo cugino scoprisse di battere l’altra sponda ed essersi per giunta perso per il suo peggior nemico, Pen aveva capito nell’istante esatto in cui aveva messo piede in cucina che avevano litigato e che avrebbe dovuto scegliere tra la colazione e la propria sanità mentale.
Siccome viveva con loro da anni e per professione tracciava i profili piscologici dei criminali, aveva concluso che tanto per la sanità mentale c’era ormai poco da fare e aveva così optato per la colazione.
«Puoi dire a Trafalgar del cazzo che se vuole il succo deve smetterla di fare l’altezzoso di merda e chiederlo direttamente a me?»
Se doveva essere sincero, se ne stava già pentendo.
Si affrettò a masticare e ingollare il pantagruelico boccone mentre le per niente positive e per niente rassicuranti vibrazioni emanate dai suoi due parenti, quello di sangue e quello acquisito, lo investivano da destra e sinistra.
Non aveva intenzione di fare da punching ball morale a quei due. Non quella mattina. Non con il caso Bege a quel punto delle indagini. Le energie gli servivano per ben più importanti questioni.
«Non credi, Pen, che se Eustass-ya lasciasse il succo al centro del tavolo non ci sarebbe bisogno di chiedere niente a nessuno?»
«E se invece il dottorino alzasse il suo culo d’oro dalla sedia e venisse a prenderselo? Che ne pensi, Pen?»
«Pen, potresti…»
«No!» riuscì finalmente a esclamare il ragazzo, la voce un po’ strozzata e il boccone non ancora del tutto inghiottito. «Assolutamente no, finitela subito!» li ammonì, alzando le mani con i palmi rivolti verso ciascuno di loro e la testa leggermente infossata nelle spalle, in posizione di difesa. Lanciò un’occhiata a destra e a sinistra, a Law che lo fissava impassibile con giusto una punta di sorpresa negli occhi, a Kidd che sembrava diviso tra la voglia di picchiarlo e l’orgoglio per quella dimostrazione di virilità, indubbiamente merito di quella sequenza di D.N.A. che condivideva con lui. «Non so cosa sia successo stavolta ma non ho intenzione di farmi tirare in mezzo a una delle vostre ridicole liti, okay?!»
«Chi è che litiga?» chiese Bonney entrando leggiadra in cucina, nonostante il marsupio da neonato agganciato sul davanti e Blade che aggiungeva ulteriore peso al suo seno, diventato ginormico con l’allattamento.
Era incredibile quanto l’eleganza dei suoi movimenti contrastasse con il suo modo di fare e con il suo vizio di stare seduta a gambe così divaricate da rischiare di slogarsi le anche. Quel lato della vera Bonney, tornata finalmente a vivere dopo la rottura con Iceburg, li aveva presi tutti in contropiede mentre il suo rinnovato vocabolario da strada non si era rivelato un grosso problema. Intanto in quella casa parolacce e imprecazioni erano all’ordine del giorno e comunque con la gravidanza si era immediatamente autoimposta lo stesso autocontrollo di quando stava con il vecchione anche se con meno severità verso se stessa.
Per un momento tutti e tre stettero a fissarla mentre sorrideva e faceva dondolare su e giù il bebè dal ciuffo biondo e occhi smeraldo, copia-carbone di suo padre. Con il suo bambino in braccio risplendeva, nonostante gli estrogeni buoni della gravidanza fossero ormai un lontano ricordo.
«Che fai già in piedi tu?» domandò Pen, le sopracciglia corrugate.
Di norma Bonney non era molto mattiniera né il suo lavoro richiedeva che lo fosse. Zeff era un capo accorto e umano e al Baratie Bonney alternava turni serali a turni del mezzogiorno ma, anche in quel caso, non aveva necessità di arrivare al ristorante prima delle undici antimeridiane. Quando poi lavorava alla sera e al mattino Killer usciva per andare in officina, se la ronfava volentieri fino all’ora di pranzo. Ragion per cui perché mai fosse già in piedi, in quel periodo in cui non lavorava affatto perché in maternità, quando tutti sapevano benissimo che Blade dormiva finché non veniva svegliato e che di solito era Killer a occuparsi di lui al mattino, prima di andare al lavoro, visto che le notti le copriva tutte Bonney, sfuggiva persino alla comprensione dell’onnisciente chirurgo di casa.
«Beh?! Non posso aver voglia di alzarmi presto per sfruttare la mattinata?!» chiese con fastidio.
Tre sopraccigli, due rossi e uno nero, si alzarono lenti e scettici in risposta alla sua indignata domanda.
«Volevo passare un po’ di tempo con mio figlio.» ritentò Bonney, con una scrollata di spalle.
«Perché il resto della giornata che fai? Lavori a maglia mentre Blade va a guadagnarsi il pane?» ribatté Kidd, con un picco di sarcasmo di cui fino a pochi mesi prima non sarebbe mai stato capace e che dimostrava quanto il fatto di essersi innamorati l’uno dell’altro risultasse incompatibile con una vita sociale normale per lui e Law.
Non che qualcuno dei due ci soffrisse particolarmente. A dire il vero non gliene fregava un accidente fintanto che potevano stare l’uno tra le braccia dell’altro.
Bonney provò a sostenere i loro sguardi ancora una manciata di secondi prima di arrendersi ed esalare un suono a metà tra un respiro e mugugno esasperato, mentre gettava il capo all’indietro e serrava gli occhi un istante. «E va bene! La verità è che se sento Killer dire ancora un volta “puciuciù” e parlare a Blade come se fosse mongospastico rischio seriamente di commettere un omicidio, okay?! Ogni santa mattina, quando lo sveglia si produce in questa serie di versi che non assomigliano a nessuna lingua umana esistente o estinta e io lo sento nel dormiveglia e vorrei solo tagliargli la lingua! Così stamattina mi sono alzata presto e l’ho portato via prima che Killer si svegliasse! A parte che mio figlio non è deficiente ma poi ho la libido sotto i tacchi per colpa di sti momenti afasici! Cos’è successo al mio uomo, si può sapere?!»
Pen, Law e Kidd, momentaneamente dimentichi del loro tentativo di scannarsi a colpi di silenzio e occhiate storte, si guardarono tra loro prima di riportare gli occhi sulla neo-mamma in pieno attacco isterico e che, a giudicare dalla sua espressione, si aspettava davvero una risposta alla propria domanda.
«Beh Bonney…» alla fine fu Pen a prendere la parola. Ovviamente. «È diventato padre.»
«Guarda Bonney, anche io penso sia una gran cazzata ma la gente fa così con i bambini.» Kidd decise di dare il proprio contributo. «Nessuno è mai venuto su male perché i genitori li trattavano da disabili. Beh a parte Trafalgar, ovviamente.» aggiunse, guadagnandosi l’ennesima occhiata di fuoco dal proprio fidanzato che si guardò bene dal commentare e tornò subito a dedicare tutta la propria attenzione all’amica.
«È come dicono loro.» confermò asciutto, quando Bonney lo guardò in cerca di una risposta più soddisfacente.
«Ma non è così!» esplose nuovamente la rosa. «Se fosse solo un po’ oltre un normale picco glicemico lo capirei ma qui siamo a livelli di unicorni, arcobaleni e nuvole di zucchero filato okay?! E parliamo di Killer! Killer! Ho capito che è diventato padre!» esclamò rabbiosa quando Pen aprì la bocca, sicuramente per ribadire il concetto appena espresso. «Tu non fai così con Kitsune!»
«Eccoli qui!» Bonney si congelò quando Killer apparve sulla soglia della cucina, con un entusiasmo che alle otto meno un quarto di mattina dava adito a tutta una serie di legittimi dubbi sulla posizione del meccanico riguardo l’uso o meno di sostanze stupefacenti. La raggiunse a grandi passi, la prese per i fianchi e se l’avvicinò con un sorriso suadente e uno sguardo innamorato che Bonney non aveva volontà sufficiente per non ricambiare. «Sei uno schianto, amore mio.» le mormorò prima di baciarla con trasporto.
Fin qui, tutto perfettamente nella norma.
Ma, come spesso accade in una casa sovraffollata, era altamente probabile, essendo ognuno di loro impegnato a risolvere i propri problemi, gestire le proprie faccende, amare i propri rispettivi compagni di vita, che Law, Pen e Kidd non avessero mai osservato veramente Killer in quegli ultimi pochi mesi da che Blade aveva salutato il mondo con il suo primo vagito, che avessero solo vagamente registrato il comportamento del biondo nei confronti di suo figlio e lo avessero poi relegato in un recondito angolo dei loro cervelli, prima di tornare a occuparsi di questioni più pregnanti per le loro esistenze. Perché anche se Killer si comportava così da settimane ormai, fu per la prima volta quella mattina, dopo lo sfogo emotivo di Bonney, che gli altri tre uomini della casa si domandarono chi diamine fosse l’uomo sulla trentina, i capelli raccolti sulla nuca e la tuta da lavoro addosso, che si era materializzato nella loro cucina, probabilmente direttamente da un’astronave aliena su cui lo avevano clonato e su cui il loro amico di vecchia data doveva chiaramente ancora trovarsi, prigioniero.
Non c’era possibilità alcuna che quello fosse veramente Killer.
«…il più bel campione del mondo?! Chi è?! Ma ovvio che sei tu, il mio patatone patatoso! Puciuciù!»
«Lo ha detto davvero.» sussurrò Pen, sporgendosi appena verso Law.
«Oh cazzo…» mormorò Kidd, la fronte imperlata di sudore freddo.
Nessuno dei tre riusciva a staccare gli occhi da Killer, che continuava imperterrito a vomitare glicemia su suo figlio mentre lo dondolava nell’aria con un sorriso ebete sulla faccia. Il solo conforto era che Blade era ancora troppo piccolo per capirci qualcosa e trovava abbastanza divertente stare a più di due metri da terra da ridere e sovrastare almeno un po’ la cantilena al glucosio di suo padre.
A differenza sua, però, Bonney non lo trovava divertente per niente.
«Che vi avevo detto?» sibilò tra il disperato e l’esasperato mentre si accostava di più al tavolo della cucina.
«Cazzo! Dobbiamo farlo internare!»
«È veramente impressionante.» affermò Pen, sbalordito.
«Levagli mio nipote dalle mani! Killer! Dammi Blade!»
Bonney si passò una mano sul volto, rassegnata. «Possibile non ci sia niente che si possa fare?»
«Potrei provare a inibire i suoi recettori serotoninergici.» intervenne Law, asciutto, incapace di smettere di osservare il proprio fidanzato litigare con Killer per il possesso di Blade. Lanciò un’occhiata di striscio a Bonney che si era voltata verso di lui, piena di speranza. «Controllano anche l’erezione però.» la avvisò, strappandole un grugnito.
«Mi concedo di dormire un po’ più del solito e trovo mio fratello che vuole privare qualcuno della serotonina. Quando si dice che il buongiorno si vede dal mattino...» commentò la sesta e momentaneamente ultima voce di casa mentre anche le ultime due abitanti dell’appartamento facevano il loro mattutino ingresso in cucina.
Per un attimo, la risata di Blade mista al pianto di Kitsune provocò un potente e cacofonico contrasto che riuscì a zittire persino Kidd e Killer nel bel mezzo della loro contesa, giusto il tempo richiesto a Pen per alzarsi dalla sedia e andare incontro alla propria donna. «Mi dispiace piccola, non l’ho sentita…»
Lamy scosse il capo per interromperlo. «Mi hanno svegliato prima loro di lei.» spiegò con un sorriso eloquente e un cenno del capo verso Killer e Kidd. Si sporse in avanti per dargli un bacio a stampo prima di allungare delicatamente Kitsune verso di lui. «Ecco qui… Vai dal papà… Oplà!». La bimba smise immediatamente di piangere, come sempre accadeva al mattino, momento della giornata in cui si calmava solo e soltanto in braccio al papà.
«Allora? Chi è che è troppo felice?» domandò divertita Lamy, mentre si avvicinava a Law per schioccargli un bacio di buongiorno sulla guancia.
«Prova a indovinare.» la invitò Law con un ghigno sadico, mentre lei e Bonney si accomodavano.
«Tu di sicuro non sei.» lo prese in giro per poi regalare un innamorato sorriso di ringraziamento a Pen che le aveva versato e porto un bicchiere di succo al mirtillo, il tutto usando un solo braccio, prima di tornare a sedersi accanto a lei. «Che succede?» le chiese poi, indagatrice.
«Niente.» rispose laconico, sorseggiando il proprio caffè.
«Sei strano.»
Law prese ancora un paio di sorsi, sostenendo lo sguardo di Lamy da sopra il bordo della tazza, che ripose con cura sul tavolo prima di ribattere: «Tu sei una linguista che sa esattamente cosa sono i recettori serotoninergici e io sono quello strano?»
Fu il turno di Lamy di prendere un sorso di succo prima di rispondere, con aplomb e orgoglio. «Quando le mie coetanee giocavano con le barbie io smontavo e rimontavo i modellini di anatomia di papà. E poi, è anche colpa tua. Non ti sei dimenticato che avevo solo sei anni quando mi hai fatto assistere alla tua prima autopsia su una rana, vero?»
Law quasi non si accorse degli sguardi inorriditi di Bonney e Pen, troppo impegnato a ghignare perso nei ricordi, esattamente come Lamy, almeno finché la rosa non spezzò il silenzio. «Santo Roger, Law. Quando sono arrivata in questa casa all’inizio mi dicevo che non sarebbe stato affatto male farmi un giro di giostra con te ma ora sono felice di averlo fatto solo con Killer.»
«Porca puttana… cos’è questo odore?» esclamò Kidd proprio in quel momento, affrettandosi a restituire il bambino, sottratto con tanta fatica, al suo legittimo proprietario.
«Qualcuno ha fatto la cacca santa! Ma che meraviglia!» esultò Killer mentre se lo riprendeva e si dirigeva di gran carriera verso il bagno.
Law tornò a guardare Bonney e sollevò un sopracciglio. «Ne sei proprio sicura?»
La rosa si produsse nell’ennesimo grugnito della mattina mentre Kidd si lasciava cadere pesantemente e sgraziatamente sulla sua sedia, proprio di fronte a Law, a cui lanciò un’occhiata al napalm, cortesemente e tempestivamente ricambiata dal chirurgo. Lamy spostò gli occhi dall’uno all’altro, continuando a sorseggiare il proprio succo, per poi posare il bicchiere e sporgersi con un radioso sorriso verso Kidd. «Ehi! Tu sai dirmi cos’ha Law che non va?» domandò conciliante.
Kidd le lanciò un’occhiata con la coda dell’occhio. Si era ripromesso di non rivangare, di ripagarlo una volta tanto con la sua stessa moneta, quella del mutismo e della superiorità che Law si giocava tanto spesso, quel fingere che in fondo non gli importasse davvero del litigio e del motivo da cui era scaturito, quel sottintendere che a dargli fastidio era solo dover usare preziosa energia mentale per rapportarsi con un sociopatico senza speranza. E fino a quel momento c’era riuscito benissimo, aveva visto la frustrazione aumentare ogni secondo di più sul volto del suo amante, si era fatto violenza per non esplodere e rassicurarlo così che era tutto nella norma e, di conseguenza, tutto a posto tra loro. Per una volta soltanto voleva non essere lui a cedere. Ma non aveva considerato Lamy.
Se tollerare la delusione di Law era complicato, resistere agli occhioni imploranti di Lamy era impossibile. E lei lo sapeva, oh se lo sapeva! Fottuti Trafalgar!
Si mosse a disagio sulla sedia, le braccia incrociate al petto. «Perché non lo chiedi a lui?» fece un ultimo pallido tentativo.
«Già fatto ma non mi risponde. Per favore, Kidd!»
«Perché non ho niente che non va.»
«Certo a parte il fatto che vado a fare una scalata con degli amici questo fine settimana!» ruggì Kidd alla fine, bloccando il braccio a mezz’aria prima di arrivare a dare un pugno al tavolo e rischiare di spaventare Kitsune. Law sgranò gli occhi per circa mezzo secondo, sorpreso dall’esplosione, e poi si vide costretto a uno sforzo immane per impedire al sollievo di trasparire sul proprio volto.
Tutto a posto. Era tutto a posto.
E dopo uno dei quarti d’ora peggiori della propria vita, Law poteva tornare a respirare e a essere il gran bastardo che era, deciso a portarsi nella tomba quanto avesse annaspato nel panico fino a un attimo prima e quanto avesse disperatamente cercato, durante la colazione, di scatenare in Kidd una reazione da Kidd.
«Io ti ho solo detto che sono stufo di avere i tuoi vestiti sparsi in giro per tutta la stanza, Eustass-ya. Non ho mai nemmeno nominato la scalata.»
Kidd ringhiò, esasperato. «Cazzo Trafalgar! Pensi che sia coglione?! I miei vestiti sul pavimento non sono mai stati un problema finché non ti ho detto di questo merdoso weekend e ora vuoi farmi credere che non c’entra nulla?»
«Mai sentito parlare di “livello di saturazione”?» ribatté Law, riprendendo la tazza di caffè in mano.
Kidd aprì bocca per rispondere che i suoi cazzo di livelli di saturazione erano già pieni come i pannolini usati di Blade da un sacco di tempo eppure non aveva mai rotto tanto i coglioni ma ciò che ne uscì fu molto più breve e decisamente troppo soave per essere la sua voce.
«Sei geloso.»
Non era una domanda e se solo Kidd non fosse stato troppo incazzato – e troppo insicuro, come lui odiava essere e come solo Law riusciva a farlo sentire – per contemplare quella possibilità, non sarebbe rimasto sorpreso e tutti i suoi neuroni si sarebbero concentrati su quanto bene riusciva a provare per Lamy.
«Non dire idiozie.» rispose asciutto Law, senza scomporsi.
«Una volta un ragazzo molto saggio mi ha detto che a volte la vita è fatta di cose stupide ma innegabilmente vere.» ribatté prontamente Lamy e, a giudicare dal suo sopracciglio alzato e da come Law aveva serrato la mascella, era chiaro come il sole di chi fosse la citazione. Law odiava quando le sue stesse parole gli si ritorcevano contro.
Per un attimo nessuno disse niente, Law e Lamy si continuarono a sfidare con gli occhi, mentre Bonney si massaggiava le tempie e Pen faceva giocare Kitsune con i propri occhiali, finché Kidd, aiutato da una qualche lontana eco dell’uomo tutto d’un pezzo che era stato un tempo, smise di spostare lo sguardo da Lamy a Law, a Law a Lamy, a Lamy a Law come avrebbe potuto fare solo un completo imbecille - per sua stessa ammissione se solo si fosse potuto vedere da fuori - e riuscì a ritrovare l’uso della parola.
«Io non…»
«È questo il tuo fottuto problema, Trafalgar?! Fai l’isterico sul disordine perché sei geloso?!»
Lento e glaciale, Law fece scivolare gli occhi grigi da sua sorella al suo ragazzo, il volto una maschera di pietra. «Evidentemente non ti è chiaro il significato di “isterico”, Eustass-ya, e io non sono geloso.»
«Quindi per te non c’è nessun problema se passo il weekend lontano da casa, senza di te e con altri tre uomini?»
“Uno dei quali è la persona che mi ha fatto capire di essere gay.” aggiunse una voce nella testa di Kidd e, con i dovuti accorgimenti grammaticali di genere, in quella di Law.
Fu questione di un secondo, l’immagine di Kidd che aiutava Izou ad alzarsi e risedersi sulla sedia a rotelle gli attraversò la mente e un lampo saettò nelle sue iridi di ghiaccio, perfettamente visibile a chiunque si fosse preso la briga di osservare con attenzione.
«Oh cazzo.» esalò Kidd, incredulo. «Sei… sei geloso per davvero!»
Le dita tatuate fremettero contro la ceramica in uno spasmo di rabbia. «Io non sono geloso! Sono…»
«Oh santo Roger! Bonney, corri! Vieni a vedere quanta cacca ha fatto Blade! Nostro figlio è veramente un campione in tutto!»
Le iridi sbiancate e ridotte a due capocchie di spillo, Bonney sollevò lentamente il capo quando la voce entusiasta e gioiosa di Killer fendette l’aria fino a raggiungere la cucina e tagliare per un attimo la tensione.
«Sapete…» cominciò Bonney, ispirando profondamente dal naso. «…per quanto riguarda i livelli di saturazione, credo di avere appena raggiunto il mio.» mormorò con spaventosa calma, prima di alzarsi in piedi e dirigersi a grandi passi fuori dalla cucina.
Pen e Lamy la seguirono con gli occhi, per niente toccati dalle saette e i pugnali che volavano da un lato all’altro del tavolo, davanti al loro naso.
«Sai, credo sarebbe ora di cominciare a guardarci intorno per una casa nostra.» considerò Pen, rivolto a Lamy ma con gli occhi ancora puntati sulla porta della cucina da cui Bonney era appena uscita come una furia.
«Perché mai?» domandò lei, accigliata. «Finché Kitsune è piccola e dorme in culla, c’è abbastanza spazio in camera nostra e a me piace stare qui.» spiegò, passando una mano tra le ciocche fulve della sua nuca e scoccandogli un bacio dietro l’orecchio destro.
«Lo so, amore, la penso come te ma non vorrei essere qui quando si consumerà l’omicidio di Killer. Potrebbe procurarmi uno spiacevole conflitto di interessi al lavoro.»
«Sai, forse è meglio se andiamo a controllare. Senza Kitsune.» valutò Lamy a un secondo ripensamento.
«Decisamente una buona idea.» asserì Pen, ficcando Kitsune in braccio a Law senza tante cerimonie e afferrando la mano di Lamy mentre uscivano dalla cucina diretti al bagno.
Per un attimo, Law abbassò gli occhi su sua nipote che, fortunatamente, trovava le basette dello zio abbastanza interessanti da non scoppiare nuovamente a piangere per l’improvvisa sparizione del papà. Impassibile come sempre, come se non avesse le mani di una bambina di neanche un anno spalmate in faccia, Law sollevò di nuovo gli occhi su Kidd, che non aveva smesso un secondo di fissarlo.
«Ebbene?» chiese Law asciutto, tornato ormai all’apice della propria spavalderia.
Non si sarebbe mai aspettato che Kidd, anziché sbraitargli contro come una donna al picco del mestruo in piena estate, piegasse il busto in avanti e, con una freddezza che mai avrebbe creduto di poter vedere nei suoi occhi che ricordavano il bronzo fuso, sibilasse un calmo e controllato: «Ebbene, Trafalgar, vai a fare in culo.»
Law si irrigidì e affrettò a dissimulare lo shock mentre salutava di nuovo il suo appena ritrovato sollievo e riaccoglieva al suo posto una seconda ondata di panico che aumentò esponenzialmente quando Kidd, le mani ancora appoggiate sul tavolo, si spinse all’indietro per avere lo spazio necessario ad alzarsi con il chiaro intento di lasciare la cucina ma non prima di avere meglio chiarito l’origine del proprio risentimento.
«Lo sai, ho passato trent’anni della mia vita convinto di essere così etero che non mi sono mai accorto che non mi piaceva davvero fottermi una donna e altri dieci convinto di odiarti con ogni fottuta fibra del mio corpo e poi, in cinque cazzo di minuti un okama pettinato da geisha ha ribaltato tutte le mie certezze. E cos’ho fatto io? Mi sono fottuto più donne per nascondere la verità? Mi sono pianto addosso? Ho rotto i coglioni a Killer perché non toglieva mai le scarpe da lavoro prima di entrare in camera nostra? No! L’ho affrontato. L’ho affrontato per me e soprattutto per te. Persino quando credevo che non sarebbe mai successo niente, persino quando credevo che… che questo…» enfatizzò indicando alternativamente se stesso e Law. «…non sarebbe mai stato possibile mi sono detto che dovevo trovare un qualsiasi merdoso modo per convivere con me stesso e con tutto quello che stava capitando perché non potevo nemmeno pensare di stare con te fuori dai coglioni. E adesso tu vieni a farmi il culo per quattro magliette sul pavimento perché hai paura che tra me e Izou possa esserci più che amicizia e non hai nemmeno il coraggio di ammetterlo? Fanculo, Law! Se tu hai un problema con i tuoi sentimenti non ci devo andare di mezzo io! Se tu non riesci a vedere chiaramente cosa provo per te non ci devono andare di mezzo i miei amici, cazzo!» concluse e si avviò a grandi passi verso la porta, i pugni stretti lungo i fianchi e un’irrazionale voglia di restare nelle stanza nonostante tutto.
Per questo si maledisse ma non si sorprese nel constatare che gli bastava quel suono per fermarsi e aspettare, anziché tirare testardamente dritto per la propria strada come avrebbe fatto fino a circa un anno prima.
«Kidd.»
Non lo chiamava quasi mai per nome e quasi mai in situazione non intime. E nemmeno nel più coinvolgente dei loro amplessi lo aveva mai sentito usare un tono tanto scoperto. Coinvolto, certo. Incontrollato, che gli piacesse o meno. Scoperto, quello mai.
Kidd tremò impercettibilmente fermo nel rettangolo della porta e lanciò un’occhiata oltre la propria spalla.
«Che vuoi?» domandò roco, fingendo un fastidio che non provava.
Il modo in cui Law aveva chiamato il suo nome gli dava la certezza che qualunque cosa il chirurgo stesse per dire sarebbe stata assolutamente sincera, non solo per pararsi il culo, e Kidd sentì distintamente che gli avrebbe creduto persino se gli avesse rivelato che veniva da un’altra galassia. Ma dal momento che dubitava che Law gli avrebbe confessato che veniva da un’altra galassia, non poté impedirsi di provare un senso di emozionante aspettativa, peggiorato dalla geniale trovata di Law di voltarsi per parlargli occhi negli occhi anziché schiena verso schiena, come era solito fare quando doveva dirgli qualcosa che lo faceva assomigliare a un essere umano con un cuore, dei sentimenti e tutto il resto.
«Sapevo già da due giorni della scalata. Ci viene anche Sabo e l’altro ieri mi ha invitato a venire con voi.»
Kidd corrugò le sopracciglia perplesso e aprì la bocca senza sapere esattamente per dire cosa, finendo in effetti con il non dire niente.
«Io non sono geloso di Izou.» riprese Law dopo alcuni secondi di assoluto silenzio, eccezion fatta per i vagiti divertiti di Kitsune e i suoni ovattati di qualunque cosa stesse succedendo in bagno. Kidd si girò totalmente verso di lui, preventivamente incazzato e, anche se mai lo avrebbe ammesso, sinceramente deluso. Che coglione a credere che Law stesse per aprirgli il proprio cuore senza troppe seghe mentali una volta tanto.
«Senti, se stai per dirmi quanto trovi stupido cercare di salire in verticale su una parete di roccia, tutti legati insieme e senza un apparente motivo io non ho proprio cazzi di stare qui a…»
«Mi ha invitato Sabo. Non tu.» lo interruppe Law, facendogli capire con un’occhiata che c’era qualcosa di sottinteso che sperava Kidd riuscisse a dedurre da solo. Invano, ovviamente.
«Non ti seguo.»
«Non sono geloso di Izou. Ma se dicessi che non mi pesa l’idea di questo weekend sarebbe una bugia.» decise di non andare più troppo per il sottile.
Chiaramente, l’informazione ci mise qualche secondo in più del normale per raggiungere i giusti recettori nel cervello di Kidd, venire elaborata e rimandare l’impulso reattivo ai recettori che si occupavano della mimica e dell’apparato fono-articolatorio dell’imponente meccanico.
«Ma che cazzo Law!» si sbloccò finalmente, proprio quando Law aveva cominciato a valutare se temere di avere indotto al suicidio anche il suo ultimo neurone con la propria scottante e imprevedibile rivelazione che anche a lui effettivamente fregava parecchio dell’uomo con cui aveva scelto di condividere il resto della propria vita. «Sabo ti ha invitato, hai detto di no e ora mi vieni a fare tutta sta cazzo di tirata per poi venirmi a dire che vuoi venire anche tu?! Ma dire di sì e basta era troppo difficile, porca puttana?!»
«Non ho detto di no a Sabo.» chiarì Law, alzandosi in piedi, Kitsune attentamente bilanciata in braccio. «Gli ho detto che ci avrei pensato perché volevo aspettare.»
«E che cosa?! La venuta del Messia?!»
«Per vedere se mi avresti invitato tu!» perse la propria proverbiale calma, esasperato dall’ottusità del compagno. Come avesse potuto innamorarsi di un soggetto tanto lento era un mistero al di là delle sue capacità cognitive. Law si strinse per un attimo il ponte del naso e prese un profondo respiro. Non aveva avuto intenzione di dirlo ma, già che ormai aveva fatto trenta, tanto valeva fare trentuno. «Non voglio essere invadente, hai il diritto di avere e vedere i tuoi amici come io i miei e non volevo essere invadente. Ma speravo che mi avresti invitato a venire con voi. Tuttavia, capisco che non sapevi di Sabo e capisco che la prospettiva di passare un weekend con Marco, Izou e Ace solo voi quattro era allettante, quindi rispetto la cosa e non ti romperò oltre le palle sempre ammesso che i tuoi vestiti stiano dove devono dentro l’armadio. D’accordo?» mise in chiaro senza alcuna ombra di sarcasmo, condiscendenza o sadismo. D’altra parte non era un mistero che i vestiti in giro gli dessero davvero fastidio e che se li sopportava era solo perché amava troppo la persona che li lasciava in giro. Ma anche con la variabile amore di mezzo, la sua pazienza era quella che era.
Già esausto nonostante fosse prima mattina, Law decise che ne aveva abbastanza di quella discussione ormai diventata ridicola e delle mani di Kitsune in faccia. Si incamminò e superò Kidd senza aggiungere più nulla, diretto al bagno, nonostante i suoni poco rassicuranti che ne fuoriuscivano e decisamente meno allettanti di quello che raggiunse le sue orecchie, proveniente dalla parte opposta rispetto alla sua meta.
«Law?»
Fu il suo turno di immobilizzarsi e, con un’aspettativa che mai, nemmeno sotto tortura, avrebbe ammesso di avere provato, guardare il proprio fidanzato da sopra la propria spalla.
«Vuoi venire a scalare con noi?»
Law rimase gelidamente interdetto per un attimo poi, con esasperante calma si voltò.
«Eustass-ya…»
«Non ti ho invitato perché pensavo avresti trovato stupido cercare di salire in verticale su una parete rocciosa, tutti legati insieme e senza un apparente motivo, okay? Cazzo mi fa solo piacere se vuoi venire con noi!» sbraitò Kidd, stufo di protrarre quella faccenda oltre. Per i suoi gusti era già durata anche troppo.
Lo stomaco gli si contrasse piacevolmente quando Law piegò le labbra a formare quel ghigno ma quel poco di ragionevolezza che ancora albergava in lui lo riportò all’ordine, ricordandogli che sarebbero dovuti uscire da lì a cinque minuti.
«Sai, penso sia ora di cominciare a cercare per una casa nostra.» disse Law, cogliendolo del tutto alla sprovvista.
«Che cazzo di idea?»
Law si strinse nelle spalle. «Stasera mi toccherà aspettare che siano tutti a letto per poter fare quello che devo ma, dal momento che è necessario, aspetterò.»
«E cos’è che dovresti fare, sentiamo?» domandò Kidd incrociando le braccia al petto, ignorando il calore al basso ventre, con il sospetto e la speranza di conoscere già la risposta.
«Con in programma un weekend in compagnia di un gruppo di persone tra cui il più etero sembro io, sarebbe quantomeno imprudente non marchiare le mie proprietà, tu non credi?»
Le sinapsi di Kidd andarono in tilt per un tempo indefinito, lasciandogli come unico riflesso quello della deglutizione e la sola capacità di considerare quanto fosse fastidiosa quell’espressione tronfia che Law tanto amava esibire. Poi tutti i collegamenti tornarono al proprio posto e Kidd scosse appena il capo perplesso, domandandosi in un lato del suo cervello quando esattamente Law avesse raggiunto il fondo del corridoio, il resto della sua testa concentrato su ben altra imprecisione.
«Ace e Sabo sono etero!» fece notare.
«Certo. Quando non hanno il ciclo.» fu l’asciutta risposta di Law. «Ah e, Eustass-ya?» lo richiamò un’ultima volta, ormai sulla soglia del bagno, e proseguì solo quando fu certo di avere la sua completa attenzione. «Trovo incredibilmente stupido cercare di salire in verticale su una parete rocciosa, tutti legati insieme e senza un apparente motivo. Ora vai a finire di prepararti che se no facciamo tardi.»














Angolo di Page:

Poco più di due anni fa ho pubblicato su questo fandom una storia assolutamente non-sense su Kidd, Law e la corretta pronuncia di Wingardium Leviosa. Poco più di due anni fa una persona ha recensito quella storia ed è riuscita con quella recensione a farmi capire quanto fosse importante per lei "Fragile". Oggi quella persona compie ventun anni, l'età che io ricordo con più affetto. E insieme alla speranza che anche per te sia un anno bellissimo, e solo il primo di tanti, ti voglio regalare anche "On velvet ropes". Perché senza quella recensione forse esisterebbe comunque questa storia ma non questa serie.
Buon compleanno, tesoro mio. Di cuore.

Voglio anche ringraziare tutti voi che siete arrivati fin qui e ci tengo a specificare una cosa che mi sta molto a cuore. So che il Kidd di questa storia è OOC. Al di là dell'avvertimento, questa è però la naturale evoluzione di in personaggio su cui ho lavorato molto in Fragile e a cui ho dato una psicologia certamente diversa dall'originale ma che ho amato costruire. Non mi pento di nulla.
Spero vi sia piaciuta.

Un bacio grande e alla prossima.
Page.


 
  
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