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Autore: ornellagiau    09/09/2017    3 recensioni
***ATTENZIONE! La storia è stata ripubblicata come capitolo della raccolta "Sola Andata"****
Snape inizia ad insegnare ad Hogwarts. Si porta dietro un passato pesante, e trova un Dumbledore duro e complicato. Personaggi e avvenimenti sono il più possibile Canon e aderenti all'universo dei libri
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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SPECCHIO

Quindici figure incappucciate stavano in cerchio ai margini di una radura. Al centro, un uomo a volto scoperto ne osservava altri sei in ginocchio. Uno ad uno li passava in rassegna. Occupava senza tanti complimenti le loro menti, e scavava.
A Tom Riddle piaceva mettere alla prova le proprie reclute. Sapeva che il terrore instillato al momento giusto poteva fare di un ribelle il più fedele dei servitori. 
Si, queste erano delle buone menti, gli sarebbero state molto utili. Ne avrebbe scartato solo uno, perché mai si era visto che il Signore Oscuro accordasse a tutti la propria fiducia.
Black, Macnair, Donovan e Yser, loro sarebbero divenuti Mangiamorte. Sulla pelle avrebbero portato il Marchio Nero impresso a fuoco, il simbolo del possesso. 
Anche Snape sarebbe stato marchiato. Lucius si era fatto garante per lui e, anche se il suo sangue non era puro, la sua mente parlava proprio di ciò di cui era alla ricerca. C’era sete di conoscenza, ambizione, cura dei particolari. E poi furia, disillusione, silenzio. C’era anche paura, certo, ma era quel tipo di paura che porta all’esaltazione, alla devozione. Il terrore e la rabbia avevano portato li quel ragazzino magro, e lui ovviamente avrebbe risposto alla chiamata, gli avrebbe dato un compito e un padrone. Si, di lui si sarebbe potuto servire bene, ne era sicuro. 
Goodman invece no, il ragazzo non aveva abbastanza fegato. Non sarebbe stato all’altezza dei compiti che gli avrebbe assegnato. Già ora, al pensiero di poter morire, tremava tutto e stringeva i pugni, gli occhi terrorizzati fissi sul Signore Oscuro. C’erano troppe voci nella sua testa, troppe interferenze, troppo attaccamento a persone e cose. Patetico. 
Lord Voldemort sollevò la bacchetta di tasso e, abbandonando la mente del giovane in lacrime, pronunciò l’anatema che uccide. 

SS

Di punto in bianco, dopo anni di benamato insegnamento, il professor Slughorn aveva deciso di andarsene in pensione. Aveva dato le dimissioni nel dicembre 1981, a metà anno scolastico, e la ricerca repentina di un sostituto non fu una cosa facile. 
La maggior parte degli alchimisti decenti di quegli anni risultavano o morti o attualmente sotto processo. Vedendosi passare tra le mani la candidatura di un suo ex allievo, uno Slytherin per di più, Slughorn si era sentito subito sollevato, e aveva assegnato il posto senza bisogno di alcun colloquio. 

La lettera dalla calligrafia stretta e appuntita fu recapitata il 30 gennaio 1982 in quel buco di Spinner’s End. Diceva di presentarsi il 1’ febbraio alle 8:30 nell’aula di Pozioni ad Hogwarts per la prima lezione. Non ci fu bisogno di rispondere. 
Severus Snape passò la sera prima della sua partenza a catalogare metodicamente gli ingredienti e le pozioni che intendeva portare con se. Scriveva nome e data su ogni fiala, la miniaturizzava con un incantesimo, e la riponeva nella cassa da alchimista che aveva comprato anni prima da Borgins. Anche dopo che tutte le pozioni, gli attrezzi e le pergamene ebbero preso posto nella cassa, il mago rimase seduto al tavolo da lavoro, le dita intrecciate, a guardare la polvere. Non mangiò nulla, non aveva fame. A quell’ora, Lily, avrebbe avuto 22 anni.

SS

“Allora, Severus” disse il mago anziano dall’altra parte della scrivania “E’ davvero così terribile trasmettere la conoscenza alle giovani menti del futuro? Horace mi dice che hai un piglio ben deciso con le tue classi. Mi è sembrato addirittura preoccupato che stessi ‘spaventando’ i suoi migliori studenti…”

“Se Slughorn crede veramente che una mandria di nullafacenti sia composta dai suoi migliori studenti, allora a spaventarsi dovrei essere io ogni volta che metto piede in una classe” lo disse in un unico tutto d'un fiato, come era solito parlare al preside, per non lasciarsi sfuggire i pensieri.

Snape odiava insegnare. Dopo quasi un mese ad Hogwarts gli sembrava che non ci fosse un singolo studente a cui valesse la pena insegnare qualcosa. Stupidi, svogliati, irriverenti. 
 
“Non credi che sia tempo sprecato quello speso unicamente ad estirpare i cattivi germogli invece che a curare quelli più vigorosi?”

“Credo che ad Hogwarts non ci sia un solo studente che si meriti la mia attenzione” -e non ho intenzione di sprecare il mio tempo elevando dei deficienti al mio livello- pensò in silenzio.

Prendiamo quei due Gryffindor al terzo banco per esempio. Dovevano per forza soffrire di una grave malattia celebrale. Al posto del cervello dovevano avere del centrifugato di zucca perchè non era possibile che, per la terza volta in due settimane, confondessero la pelle di rana tigrata con l’alga limoncina. A quanto pareva non erano servite le ripetute spiegazioni, ne i punti perduti per la loro casa, e neppure i 3 rotoli di pergamena extra sull’argomento. Anche stavolta avrebbero usato l’alga invece della pelle assieme all’olio di Argan e si sa, i due ingredienti non sono molto amici tra loro. Peggio per loro. Certo, un insegnate non poteva lasciare che qualcuno si facesse male sul serio, ma forse avrebbe lasciato al liquido acido giusto il tempo di sfregiare sul naso quel ebete con gli occhiali, il più giovane dei due, il più stupido e pedante della classe.

Nemmeno a Slytherin, la sua stessa casa, pareva esserci qualcuno dotato di talento o di qualche altra capacità intellettiva. Più a destra, due ragazzine in cravatta verde rimestavano un liquido vischioso. Dal loro calderone si alzava un fumo arancione poco promettente, e la più nervosa delle due scorreva freneticamente i propri appunti, alla ricerca di un miracoloso incantesimo salva-brodaglie. Neanche loro, seppure fossero le meno peggio in quella classe, erano riuscite a produrre una pozione impermeabilizzante che si potesse definire tale. 

“Miss Patel, Miss Allen” le due Slytherin fecero un balzo sulla sedia “è inutile che cerchiate qualche perla di saggezza che salvi il vostro lavoro. Il punto di bollore è sbagliato e oramai la mistura è rovinata.” Tina Patel e Eri Allen abbassarono lo sguardo per la vergogna. “Per giovedì mi porterete due rotoli di pergamena sul punto di bollore e sulla sua influenza nelle pozioni materiche. Ora, fate scomparire quell'obrobrio e assistete i vostri compagni Tosi e Garold. 10 punto ad ognuna se, alla fine della lezione, il loro calderone non sarà esploso.” Le due ragazzine si alzarono in piedi all’unisono e si affrettarono a togliere dalle mani del Gryffindor idiota l’alga limoncina.

L’unico aspetto che per ora Snape apprezzava dello stare in una classe era tenere in riga i ragazzini, far rispettare le proprie regole, imporre la propria idea di corretto ed errato. Avere il controllo, parlare ed essere istantaneamente ascoltato, queste erano le prospettive, i piccoli piaceri viscerali, che lo facevano alzare in piedi la mattina e lo aiutavano a tenere la mente impegnata. 
D’altra parte, aveva anche altri progetti di cui occuparsi oltre le ore di lezione. Hogwarts gli permetteva di avere il suo personale laboratorio di ricerca e ingredienti sempre freschissimi, il cui uso spesso era riservato a pochi laboratori nel paese. Poteva trascorrere i suoi pomeriggi in pace, lavorando a nuove misture, studiando metodologie dimenticate, e portare avanti esperimenti che negli anni precedenti aveva accantonato, preso come era stato da altri problemi. Passava il tempo così. Da solo. Non gli interessava entrare in confidenza con gli altri insegnanti, c’era un solo motivo per cui era li. Anzi due e uno di questi era sfuggire ad Azkaban.

“Davvero nessuno Severus? Tra mille studenti, neanche uno capace di vedere la magia dell’alchimia come la vedi tu?” Dumbledore maledetto. Stava nuovamente tramando alle sue spalle.

SS

Una domenica sera di marzo, mentre il resto della scuola si affrettava verso al campo di Quidditch, Snape attraversò i corridoi del sotterraneo verso l’aula di pozioni. 
Quel pomeriggio di tranquillità sarebbe stato assai produttivo, già se lo sentiva. La nuova miscela per l’immunizzazione del sangue al veleno delle aracnidi era quasi ultimata, giusto qualche altro test sulle cavie che aveva raccolto nella Foresta Proibita e poi avrebbe potuto iniziare lo studio umano! L’eccitazione dell’essere vicino al traguardo affrettava i suoi passi, la sua mente era già al calderone bollente.

Ci mise un attimo per capire cosa non quadrasse.
La stanza era fredda e in penombra come al solito, vuota come lo era stata ogni pomeriggio dall’inizio dell’anno. Ma dal fondo dell’aula proveniva il crepitio di un fuoco acceso. L’aria odorava di incenso e di foglie bruciate. Qualcuno stava preparando una pozione sedante. 

Tecnicamente, come per tutte le materie pratiche ad Hogwarts, gli studenti del sesto e del settimo anno erano autorizzati a studiare ed esercitarsi nelle aule di lezione fuori dall’orario curricolare. Potevano ripassare i loro appunti, esercitarsi per gli esami e, non ultimo, lavorare al progetto di diploma. 
In pratica però, da quando aveva cominciato ad insegnare, Snape aveva trovato la sua aula sempre vuota. E si era ben guardato dal far presente al preside o chi a altro l’ignavia dei propri studenti, poiché solo il pensiero di dover passare anche i pomeriggi a far da balia a bambini ignoranti gli faceva venire gli spasmi alle mani.

Si avvicinò al fuoco acceso. La mistura sembrava buona, il calore pure, avrebbe dovuto sobbollire per altri 10 minuti e poi sarebbe stata completa, ma sul tavolo erano raggruppati gli ingredienti per almeno altre tre pozioni diverse: una pozione medica di base, rilassante e rinforzante, un elisir di Garavir, spesso usato per contrastare maledizioni a lungo termine, e un’allucinogeno, non esattamente legale, per cui mancavano ancora degli ingredienti metallici. Nessuna di queste tre pozioni era particolarmente complessa, ma non erano certo parte del curriculum standard di Hogwarts. Lui stesso ne aveva trovato le ricette anni prima, in un libro di pozioni guaritrici, e le aveva provate del suo laboratorio a Spinner’s End. 
Mentre osservava l’attrezzatura dell’alchimista sconosciuto, Snape cercava di identificare chi, tra gli studenti del sesto e settimo anno, fosse capace di produrre pozioni del genere, o per qualche motivo ne avesse interesse. Di sicuro nessun Gryffindor ne Hufflepuff, troppo impegnati a urlare dietro a degli idioti sulle scope. A Ravenclaw forse qualcuno c’era: Alstor e McFly erano dei pozionisti decenti seppur distratti, Matilde Roy era sicuramente la più saputella del suo anno, ma Snape dubitava fortemente che qualcuno di loro avesse avuto il fegato di occupare, non autorizzato, l’aula di Pozioni una domenica sera. Rimanevano quindi solo gli Slytherin. A differenza di come sarebbe andata in futuro, gli Slytherin non avevano avuto, in quel primo anno, una grande considerazione presso il nuovo professore. Molti se li ricordava dai tempi in cui lui stesso era studente ad Hogwarts. Vedeva Barker e Joyle in classe, ed era come se li rivedesse sui divani della sala comune, a copiare i compiti dalle dispense di quel pressapochista di Avery, Head Boy che vendeva a peso d’oro le soluzioni trafugate dall’ufficio di Slughorn.  

Fu solo quando la porta della dispensa si apri e ne uscì una figura sottile che Snape la riconobbe. Aveva una scatola di scaglie di rame sotto braccio, il mantello da laboratorio verde strusciava appena sulle piastrelle del pavimento.  

“Donovan!” Arline Donovan sussultò un poco, ma posò il contenitore sul piano da lavoro con mano ferma e guardò il professore dritto negli occhi.

“Buonasera professore” rispose educatamente.

“Vorrebbe spiegarmi che ci fa qui a quest’ora? Chi l’ha autorizzata ad usare quest’aula fuori dalle ore di lezione?” Non c’era alcuno bisogno di un’autorizzazione, Snape lo sapeva, ma sperava che il solo implicarne l’esistenza sarebbe bastato per spaventare la ragazzina e a riconquistare la sua domenica di solitudine.

“Il professor Dumbledore ha suggerito…”

BAM! 

Stavolta Arline fece davvero un salto indietro dallo spavento. Snape aveva colpito li tavolo con tale forza che gli ingredienti accuratamente allineativi sopra erano volati giù e rotolavano scomposti sul pavimento. 

Perché era così importante per il preside rendergli la vita impossibile. Non gli bastava tenerlo sotto controllo durante la settimana? Non era abbastanza sapere di avergli rovinato l’esistenza con la sua leggerezza? Perché non lo lasciava da solo, in pace col proprio dolore?

Come detto, Arline sussultò e rabbrividì, ma subito ritornò in se, chinandosi a raccogliere velocemente le radici di acacia prima che si inzuppassero completamente di sciroppo verderame, diventando inservibili. 

“Preferite che me ne vada professore?” disse in un sussurro

“Oh no…certo che no” Snape increspò le labbra. Non avrebbe dato al vecchio balordo questa soddisfazione “Se il preside ritiene che lei abbia bisogno di un’intera aula di domenica sera per portare a termine qualche inutile pozione extracurricolare allora così sarà, Miss Donovan.” si voltò a guardare la ragazzina ignara del conflitto di potere in cui si era cacciata. Voleva lanciarle un’occhiata di disprezzo, farla sentire la più stupida e insignificante sulla terra. Ci riuscì solo a metà. 
Incrociando lo sguardo di lei, Snape fu percorso come da un fulmine. Vide se stesso al sesto anno, quando l’intero universo sembrava essergli crollato addosso e l’unico rifugio possibile era il reparto proibito della biblioteca, a cercare, spulciare, assimilare. Fu solo un attimo, ma quello sguardo lo bruciò dentro, e Snape si voltò nuovamente a guardare gli ingredienti sul banco. 

“Che aveva intenzione di fare con quelle scaglie di rame comunque? Droga e allucinogeni non sono ammessi ad Hogwarts, neanche per progetti extracurricolari" 

“…”

“Le consiglio, Miss Donovan, di ripiegare su una pozione altera memoria o qualcosa del genere, se vuole evitare di avere seri problemi nella sua carriera scolastica.” gli occhi nero pece invasero quelli oltremare. Snape aveva alzato le sue difese, chiuso ogni spiraglio, ora non avrebbe potuto impietosirlo come aveva fatto prima.
 
Arline annui, sostenendo il suo sguardo, e subito si mise a riorganizzare gli ingredienti sul bancone. 

Snape se la ricordava vagamente, sia in classe che nella sala comune. Era entrata ad Hogwarts quando lui già stava preparando gli OWLS. Quell’anno aveva passato la maggior parte del tempo a studiare e ad esercitarsi, per cui non si era curato molto degli Slytherin ai primi anni. Anzi, diciamo che, in generale, non si era curato proprio di nessuno che non facesse già parte del suo stretto cerchio di amicizie. Arline Donovan era una delle tante presenze sfocate che riempivano i suoi ricordi da studente, come se l’avesse vista unicamente con la coda dell’occhio, senza prestarle particolare attenzione. Gli pareva, una volta, di averci parlato, durante il suo settimo anno, a proposito di oggetti e creature magiche. Ma era stata una cosa di giusto due minuti, solo perché stava seduta allo stesso suo tavolo in biblioteca e lo aveva interpellato in maniera così neutrale da non meritarsi una risposta antipatica.
Neutrale, inutile ai suoi scopi, come tanti e tante che aveva incrociato in quegli anni, e per questo invisibile ai suoi occhi. 
E Arline aveva continuato ad essere invisibile, anche ora che Snape aveva preso ad insegnare. L’aveva riconosciuta, certo, aveva letto il suo nome tra quelli degli Slytherin al sesto anno durante primo appello, ma aveva continuato ad ignorarla. Niente di ciò che la riguardava era mai stato interessante per lui, fino a quel momento. 
Ma allora perché Dumbledore l’aveva mandata a rompere la sua costruita tranquillità? Era chiaro infatti, che la ragazzina era stata letteralmente mandata da Dumbledore, anche se inconsapevole, poverina, del braccio di ferro che c’era tra i due. Forse il vecchio pensava che Snape fosse un animo benevolo, come Slughorn, che si sarebbe intenerito all’idea di prendere sotto la propria ala un cucciolo di strega. Ah, quanto si sbagliava. Si, forse c’era stato un attimo, pochi istanti prima, in cui non era stato pronto, in cui aveva perso il controllo e si era fatto sopraffare dalle emozioni della sedicenne, ma ora, ora che aveva nuovamente il controllo dei propri pensieri e la guardava terminare la pozione dal fondo dell’aula, ora l’invasione del suo spazio personale lo irritava molto di più di qualsiasi sguardo implorante. Non sarebbe finita li. Non avrebbe permesso al vecchio tiranno di passarla liscia. Doveva architettare una vendetta, magari che includesse la stessa Donovan, facendo rimanere di sasso il vecchio e gli altri docenti.

A pensare queste cose si era dimenticato del proprio progetto. Le cavie squittivano silenziose nelle proprie gabbie, i flaconi di pozione stavano buttati sulla cattedra così come erano caduti quando aveva aperto la cassa d’alchimista. 

SS

Nessuno sapeva di preciso che cosa si fossero detti Snape e Dumbledore la mattina del 2 Novembre 1981, quando il più giovane era piombato ad Hogwarts, più morto che vivo e si era precipito direttamente nell’ufficio del preside, liquidando in malo modo Minerva e Horace che erano andati ad accoglierlo con fare amichevole.

“Devo vedere il preside” aveva detto semplicemente, la voce leggermente tremante.

“Albus sta conversando con la Signora Ministro Severus, di sicuro ne avrà ancora per un pò” aveva detto Minerva, guardandolo un pò preoccupata. Le sembrava troppo pallido, gli occhi troppo deliranti, anche per qualcuno che abbia passato i giorni precedenti a festeggiare, o a piangere, la caduta del Signore Oscuro “perché non prendi una tazza di te con me e Horace, di sicuro sarai scosso per la morte dei Potter…”

“NON ME NE IMPORTA NIENTE DI QUELL’IMBECILLE DI POTTER!” sbottò Snape, la voce più alta del normale. Poi si girò verso il muro, disse “Lemon Pops” al gargoyle di pietra che saltò di lato, e ripetè “Devo vedere il preside. Immediatamente.” salendo le scale. 

Pochi minuti dopo il Ministro della Magia scese a sua volta le scale con fare alquanto infastidito. Incrociò Minerva e Slughorn che ancora stavano li nel corridoio, incerti sul da farsi.

“Se volete anche voi conferire d'urgenza con Dumbledore vi consiglio di mettervi in lista. Il pazzoide che mi ha appena cacciata via sembrava avere qualcosa di molto importante da dire” aveva detto Millicent Bagnold, sistemandosi il cappello turchese sulla testa. Poi, senza aspettare risposta, si era diretta verso la porta d’ingresso dove una carrozza ministeriale la stava aspettando.

Fu solo ore più tardi che Minerva vide di sfuggita Severus Snape lasciare il castello al calar della notte. Era ancora pallido, gli occhi ancora sconvolti, ma camminava più diritto, più lento, come se la sua furia si fosse esaurita nell’ufficio del preside. 
Per un attimo un pensiero assurdo e spaventoso le attraversò la mente, ma subito si calmò, vedendo Albus, in carne ed ossa, scendere le scale verso la Sala Grande. 

“Che voleva il giovane Snape? Mi è sembrato diciamo, un pò fuori di se…”

“Ah Minerva, Severus è un caso gravissimo di rimorso, avrà bisogno di tempo, ma spero che presto si unirà a noi…”

“Ma... avevi detto che già da tempo Severus era…”

“Non intendo l’Ordine, Minerva.” disse il preside “Ho intenzione di offrire a Severus un posto qui ad Hogwarts, ora che il suo altro padrone ha dato forfait…” 

Dumbledore si servì una generosa porzione di gateau di patate. 

“Albus… certo qualcuno di più esperto, qualcuno più responsabile…” Dumbledore la interruppe nuovamente, stavolta posando forchetta e coltello e guardandola negli occhi oltre gli occhiali a mezzaluna.

“Minerva, da ciò che ci siamo detti oggi, ho ragione di credere che Severus sia il più esperto e responsabile nuovo insegnante che Hogwarts possa aver l’onore di accogliere in questo momento. E non voglio sentire dissensi…” disse alzando la mano destra per bloccare l’ingorgo di parole imminente “E’ una questione fra me e Severus. Io gli offrirò l’occasione di riabilitare se stesso. Accettare o meno sarà una sua scelta.” 

Dumbledore si voltò nuovamente verso il suo piatto colmo di verdure al forno e, con ritrovata allegria, si accinse a gustarlo.

SS

Si alzò improvvisamente dalla cattedra, le mani dietro la schiena e camminò a grandi passi verso la ragazzina. Aveva finito la pozione sedante, l’aveva imbottigliata, e ora stava preparando gli ingredienti per l’infuso cancella memoria che Snape le aveva consigliato. Lavorava pulito e in silenzio. Era forse un pò troppo brusca nei movimenti, tagliava le radici di ginepro abbastanza approssimativamente ma diciamo che, avendola osservata per quei dieci minuti scarsi, poteva con sicurezza etichettarla come “pozionista decente, non totalmente inutile, passabile per il ministero o per St. Mungo”. Livello Slughorn diciamo, livello Lily. Si morse la lingua e deglutì. No, non Lily, ovviamente no.

Arline gli dava le spalle ed era presa dal tritare a polvere i grilli di bosco. Dovette chiamarla per nome per farsi notare.

“Miss Donovan” 

Arline si voltò subito, ma non smise di lavorare gli insetti in una polvere finissima. Non disse nulla, fece giusto un mezzo sorriso di cortesia che non le raggiunse gli occhi.

“Miss Donovan, la sua pozione sedante non è affatto male” disse fluido Snape girando attorno al tavolo e prendendo in mano il flacone contente la pozione “ho visto che avete aggiunto bachi da seta, chi vi ha dato quest’idea?” ovviamente sapeva già libro e pagina dove questa modifica era consigliata.

“Il professor Slughorn ne ha parlato prima delle vacanze di Natale” Snape posò la bottiglia di liquido e la guardò aspettando che continuasse “Parlava in generale degli effetti dei bachi su diverse pozioni e ha nominato l’effetto amplificante sulla pozione sedante” parlava piano, leggermente monotona, come se cercasse le parole. “Eh… ho pensato di fare degli studi anche basandomi su quello che avevo letto nell’Appendice di Advanced Potion Making…” Eccolo qua, quello che Snape voleva sentirsi dire. La ragazzina non era affatto una genio inatteso, era semplicemente una secchiona che leccava il culo ai professori che se lo lasciavano leccare. Il suo piano avrebbe funzionato.

“Se ha letto Appendice 3 paragrafo 4 avrà imparato anche che ci sono altri modi per amplificare gli effetti della pozione sedante, non è vero?” 

“Ehm…”

“Risponda senza onomatopee Miss Donovan, sono una cosa molto irritante in una giovane strega”

Arline si schiarì la gola e cominciò a ripetere ciò che aveva letto nel fantomatico paragrafo 4 dell’Appendice 3 del libro di pozioni. A quanto pareva, questa era un’interrogazione.

“Ogni pozione che influenzi la psiche e la percezione umana trae il suo potere dalle piante in fiore, possibilmente endemiche di climi freddi e poco umanizzati. Per potenziare i loro effetti è possibile utilizzare pupe di insetto o embrioni vivi di mammiferi terrestri. Le pupe sono accessibili al consumatore facilmente, mentre ogni embrione deve essere autorizzato e…” 

“Non le ho chiesto di ripetermi il libro a memoria, grazie mille” la blocco Snape scostante, e riprese ad esaminare la pozione appena terminata. “Proprio ieri, Madam Pomfrey, mi ha chiesto di aiutarla a preparare delle scorte di pozioni mediche per l’infermeria. Ora, voi sapete preparare in autonomia una buona pozione sedante ed io, che non ho tempo da perdere con queste stupidaggini, vi garantirei l’accesso ad embrioni di qualunque specie, senza doverne risponderne nel al preside ne al ministero…” Gli occhi della giovane Slytherin brillavano. Smise di tritare i grilli e appoggiò le mani guantate al bordo del tavolo.

Come era semplice raggirare i ragazzini. Bastava dargli due briciole e loro abboccavano subito all’amo. Dumbledore sarebbe stato sicuramente fiero del suo piglio didattico.

SS

Nei mesi seguenti, Arline Donovan lavorò freneticamente per produrre le costanti razioni di pozione sedante potenziata richieste dall’infermeria. Snape l’aveva controllata a vista le prime volte, le dava consigli su come ottimizzare il lavoro, rispondeva alle sue domande incerte. La prima volta che dovette aggiungere gli embrioni, la spedì nella dispensa, con un generico “baratolo verde, terzo scaffale” e lei ritornò con gli embrioni di lince sottobraccio e gli occhi danzanti per l’eccitazione. 

Puntualmente, anche quella domenica di maggio, alle 4 di pomeriggio tre bottiglie piene di liquido azzurro stavano poggiate sulla scrivania del suo studio, chiuse ed etichettate, pronte all’uso. Snape osservó il liquido vitreo che, anche agli occhi di un esperto pozionista come lui, sembrava del tutto perfetto, ottima qualità e consistenza. 

“Molto bene Miss Donovan, le porti in infermeria e si assicuri che Madam Pomfrey le riponga nella cella fredda” disse anche stavolta.

“Professore, che devo rispondere in caso servano scorte di altre pozioni?” anche questo Arline lo chiedeva ogni volta, sperando che il professore la autorizzasse a distillare altre pozioni mediche, ma ogni volta lui la rimetteva al suo posto.

“Che Madam Pomfrey faccia arrivare a me le sue richieste.”

In quei mesi si era conquistato, settimana dopo settimana, la fiducia e l’ammirazione della ragazzina. Ora lei pendeva letteralmente dalle sue labbra, ascoltava i suoi consigli in classe e, non di meno, aveva disciplinato quella banda di delinquenti dei suoi compagni, così che ora le lezioni del sesto anno con gli Slytherin filavano lisce come l’olio. All’inizio non era stato facile. C’era voluta tutta la sua forza di volontà per non odiarla ogni volta che veniva a disturbare la sua quiete domenicale. I suoi progetti personali procedevano a rilento, e si sentiva più stanco e irritabile del solito. Si ritrovava più spesso a stare sveglio fino a tardi la notte, a fissare il baldacchino polveroso. 
Ma di sicuro ne sarebbe valsa la pena. Tra poche settimane, pochi giorni forse, avrebbe finalmente risposto allo schiaffo morale di Dumbledore che per ora lo guardava con un sorrisetto trionfante. Doveva rimanere vigile, il segnale di missione compiuta poteva arrivare da un momento all’altro.

La domenica precedente, prima che Arline Donovan iniziasse a lavorare alla dose settimanale di pozione sedante, aveva mandato due Ravenclaw in punizione a riorganizzare il laboratorio, rinnovare i contenitori, e aggiornare l’inventario. “Inavvertitamente” uno di questi aveva scambiato il contenitore degli embrioni di lince con quello di uova di squalo, “dimenticandosi” di cambiare l’etichettatura dei barattoli. Se la promettente studentessa avesse riconosciuto l’ingrediente sbagliato, allora buon per lei, applausi. Ma se si fosse fidata dell’abitudine, sbagliando perché qualcun altro aveva sbagliato, allora l’avrebbe potuto sbattere in faccia a Dumbledore, dimostrandogli che per quanto tempo si sprechi dietro a ragazzini incompetenti, arriva sempre il momento in cui questi ti deludono, mandano all’aria i tuoi sforzi e regrediscono allo stadio ameba. Sarebbe stato perfetto, un scacco matto pulito, senza spazio per contrattacchi. Certo per Miss Donovan le cose sarebbero andate male per un pò, forse sarebbe finita in punizione per un mese, ma di questo non gli importava. La ragazzina era solo un mezzo per il fine, cosa accadeva a lei era del tutto irrilevante.

Finalmente il giovedì successivo, alla fine della lezione, accadde qualcosa. 
La Donovan era rimasta indietro mentre i suoi compagni lasciavano l’aula. Stava in piedi a fianco al suo banco, le mani stropicciavano una pergamena giallastra. 
Snape ebbe un lampo di euforia, mise subito da parte i compiti da correggere e la guardò facendo del suo meglio per nascondere il ghigno compiaciuto che già gli tendeva le labbra.

“Dimenticato qualcosa Miss Donovan?”

Arline si guardò attorno per assicurarsi che in classe non ci fosse più nessuno, poi si avvicinò alla cattedra.

“Professore…” per la prima volta la ragazzina arrossiva nel parlargli “io vorrei provare… ad entrare al St. Mungo, come tirocinante di laboratorio e mi farebbe piacere se lei - ecco, crede di poter scrivere una lettera di presentazione menzionando il lavoro per l’infermeria…” non lo guardava più negli occhi. Posò la pergamena, che altro non era che il bando di concorso per studenti brillanti, sul bordo del tavolo e uscì veloce, senza aspettare risposta. Snape allungò la mano sinistra per prendere il foglio ed avvicinarlo a se. Il ghigno era sparito. 

Non era questo quello che si aspettava. Sentiva nuovamente le sue difese abbassarsi involontariamente, e quell’orrida sensazione di stare osservandosi in uno specchio salire a bruciargli lo stomaco. Quel foglio dava improvvisamente una dimensione temporale ad Arline Donovan, la rendeva reale, umana, piena di sogni ed emozioni come lo era stato lui qualche anno prima. Quel foglio apriva una finestra sulla sua mente, raccontava di una bambina che gioca a fare la dottoressa, di una studentessa che cerca di migliorare le sue capacità per raggiungere l’unico vero traguardo verso cui ha lavorato con trepidazione anno dopo anno. Entrare in quei programmi ministeriali non era facile, lo sapeva, si ricordava di Narcissa, prima che sposasse Lucius, che era stata scartata per un singolo voto negativo al quinto anno. Se ancora funzionava così, Arline Donovan si sarebbe ritrovata direttamente bandita a vita dal concorso per aver utilizzato un’ingrediente sbagliato in una pozione medica.

E così, tre giorni più tardi, si ritrovò nell’ufficio di Dumbledore, inondato di luce. Il preside percorreva a grandi passi la sala rotonda. Una strega in abito da infermiera stava dritta accanto alla libreria, tamburellando le dita sulla mensola. Su una sedia di fronte alla scrivania stava una ragazzina minuta, immobile.

“Ah, Severus, grazie per esserti unito a noi, sembra esserci stato un problema in infermeria oggi con una delle pozioni che la signorina Donovan preparava per Madam Pomfrey” Dumbledore gli porse una fiala di liquido azzurro, lui la agitò e se la passò sotto le narici.

“Uova di squalo” disse Snape dopo un attimo. Madam Pomfrey fece un espressione costernata.

“Impossibile! E’ un miracolo che abbia usato la pozione sul gatto iperattivo della signorina Augusta prima che per curare i dolori del signor Carlson! Snape quest’errore sarebbe potuto essere fatale per qualcuno!”

Dumbledore lo guardava, oltre le due mezzelune, raschiando insistentemente i limiti della sua coscienza, sfidandolo. Snape si volse lentamente a guardare la ragazzina sulla sedia. Lei alzò lo sguardo dal pavimento e lo guardò dura, confusa. Snape si maledisse e seppe qual'era l’unica cosa da fare.

“Non facciamone una tragedia, Madam Pomfrey.” l’infermiera sgranò gli occhi. Dumbledore sbatte le palpebre. “Miss Donovan semplicemente non si è accorta che quel giorno degli altri studenti erano stati nel ripostiglio e che, probabilmente, avevano scambiato alcuni ingredienti.” le parole sembrarono tremargli in gola, in un misto di rabbia ed insoddisfazione. “Anzi, avrei dovuto riconoscere io stesso l’errore.”

“Dunque escludi la malafede della signorina Donovan?” chiese Dumbledore.

“Non ho motivo di presumerla.” rispose lui.

“Dumbledore questo è semplicemente inaccettabile!” sbotto la capo infermiera “io non posso  basare le mie cure su misture fatte approssimativamente e non controllate… Mi dispiace ma sarò costretta a scriverlo nel rapporto annuale della signorina Donovan” 

“Madam Pomfrey la prego…” si voltò Arline, uscendo dall’apparente trance in cui si trovava “la prego, la borsa…”

“Sarò io a compilare il rapporto” Snape agganciò gli occhi dell’infermiera e continuò “in quanto professore della casa di Slytherin, è mio dovere farlo e vi assicuro” fece una pausa per far entrare bene in testa ai presenti ciò che stava per dire “che non ci andrò tanto leggero con Miss Donovan. Sono deluso quanto voi del suo operato” Arline Donovan tornò a guardare il pavimento.

Madam Pomfrey non sembrava soddisfatta, bofonchiò qualcosa riguardo l’urgenza di avere subito nuove razioni della pozione con gli ingredienti giusti, ma Dumbledore sembrò calmarla e la accompagnò fuori dallo studio.

Snape guardò la sua studentessa. Fu come se la vedesse per la prima volta, con le mani macchiate di inchiostro e le scarpe sbiadite dal fuoco del calderone. 

“Mi dispiace molto professore.” disse lei senza guardarlo “Avrei dovuto fare più attenzione. Avevo altri pensieri domenica scorsa e non ho badato a cosa c’era nei barattoli…” Snape non rispose. “Vorrei passare al laboratorio a ritirare alcuni appunti che ho lasciato li ieri sera, se per lei va bene. Così non ci sarà bisogno di disturbarla nuovamente…”

“Miss Donovan la aspetto domani mattina alle otto in punto nel mio ufficio per ritirare la lettera per St. Mungo.” Arline lo guardò. “Siete una buona pozionista e io odio vedere del talento sprecato per stupidaggini.” il suo tono era freddo, tagliente, non lasciava spazio per controbattere. Arline lo guardò interrogativa ancora per qualche istante, poi annuì leggermente e uscì. I suoi occhi dardeggiavano.

SS

Quando Dumbledore rientrò nell’ufficio Snape era seduto sulla sedia di legno dirimpetto alla scrivania e giocherellava con il lunoscopio d’argento. Il preside aggirò la cattedra, prese posto davanti a lui e si mise a scrivere una lettera nella sua calligrafia appuntita. Per un pò di tempo non disse nulla.

“Sei soddisfatto Severus?” chiese infine, chiudendo la busta con la ceralacca. Il suo tono amorevole era scomparso, ora parlava come quella notte sulla collina.

“Risparmiatevi la predica Dumbledore. La ragazza avrà la sua borsa di studio.”

“Ah e questo improvviso cambiamento d’animo pensi sia sufficiente ad emendare le tue azioni? Cosa credevi sarebbe accaduto? Che ne saresti uscito vincente? Che mi sarei scusato con te per averti messo in condizione di esercitare il mestiere che sei qui per fare?”

Snape scattò in piedi spingendo indietro la sedia. 

“Per quattro mesi ho accettato la vostra condiscendenza, ma ora basta, non sono venuto ad Hogwarts per permettervi di prendervi gioco di me e tentate di trasformarmi nell’insegnate perfetto…”

“E di grazia allora, perché sei qui Severus?” disse Dumbledore con voce ancora più dura della sua.

“Lo sapete benissimo perché! Mi avete offerto protezione da Azkaban, nessuno sano di mente avrebbe rifiutato e poi…” Le parole gli si asciugarono in bocca, come sempre quando si trattava di parlare di lei. Stringeva il bordo del tavolo. Aveva le nocche che sbiancavano, gli occhi erano spiritati come quella sera di novembre. 

“Io ti ho voluto qui Severus, per aiutarmi a proteggere il figlio dei Potter…”

“MA SE NON E’ ANCORA NEANCHE AD HOGWARTS!” qualcosa nella sua testa era scoppiato con violenza. Dumbledore si appoggiò alla sedia, come se si fosse accorto di aver superato un limite ancora invalicabile. 

Per molti minuti nessuno dei due parlò.

“E’ così che sarà? Dieci anni a scontrare le nostre diversità fino a che Harry Potter non varcherà la soglia del castello?”

“La scelta è solo tua Severus. Io posso aiutarti e consigliarti, e stai certo che non accetterò altre manipolazioni di studenti nella mia scuola.” lo sguardo del mago era acido e violento “Ma, se preferisci stare da solo, isolarti dal mondo con soltanto il conforto delle tue ricerche, fai pure. Quella strada sai già dove ti porta.” 

Snape cercò disperatamente qualcosa da controbattere, un’espressione tagliente, capace di rompere la coltre di pensieri che lo avvolgeva. Niente. In mente aveva solo la ragazza dai capelli rossi, la SUA ragazza dai capelli rossi, che lui aveva ucciso e il cui cadavere aveva cercato fino ad allora di dimenticare.



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NdA:
Ciao lettore :) Grazie di essere arrivato fino a qui. Se vuoi leggere altro su Arline e Snape ti consiglio la mia altra storia "Laboratorio". Spero la storia ti sia piaciuta e sarei felice di sentire la tua opinione nelle recensioni o in un messaggio privato. Critiche e consigli per migliorare sono ovviamente super ben accetti ^^  
   
 
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