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Autore: Stregatta_Khan88    12/09/2017    0 recensioni
Dopo un mese, Diana e Chef Russel si incontrano nella splendida Roma: lei decisa a portare avanti il suo progetto letterario; lui convinto di volerla aiutare... Ma quando due poli opposti si attraggono e due arti diverse trovano tante similitudini tra loro, è difficile fermare un fuoco che divampa
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Sto tornando a casa” scrisse Diana nella chat in comune con le amiche mentre attendeva la “Freccia Rossa” per Milano.

Di già?” Rispose Romina stupita.

Come mai?” Domandò Valeria.

Non sarà successo qualcosa” Chiese Jayne.

Vi spiegherò quando arrivo a casa. All'una sarò a Rovato, venite a prendermi?” Terminò la discussione Diana, ricevendo l'ok da Jayne e Valeria. Romina scrisse ancora:

Oh, sis... ”.

Accomodata sul sedile del treno, Diana mirò la splendida Roma allontanarsi, soffocando i singhiozzi con la mano, per non attirare troppo l'attenzione di altri passeggeri.

 

Russel entrò nella hall del Black and White Palace, accolto dallo sguardo stupito del padrone dell'albergo e la receptioniste lì seduta.

Si avvicinò trafelato, con gli occhi arrossati dal sonno ed il fiatone per la corsa.

«Russel, tutto bene?» Si allarmò il padrone dell'albergo.

«Diana Tosi» si limitò a dire lui.

«Ha fatto il check-out un'ora fa» lo avvertì la ragazza seduta al computer. Frugò in un cassetto aggiungendo: «Ha detto di lasciarti questo».

Russel sentì il respiro smorzarsi, quando riconobbe il blocco appunti di Diana. Lo aprì sulla pagina indicata da un pezzo di foglio strappato, inserito come segnalibro, e lesse:

 

Sognare è stato bello. Vivere questo sogno è stato anche meglio. Ma tutte le cose belle nascondono sempre un lato d'ombra e tutti i bei sogni hanno una fine, che purtroppo va accettata”.

 

Russel alzò lo sguardo verso i due del personale dell'hotel, senza riuscire a vederli davvero. In un filo di voce chiese:

«Sapete dov'è andata?».

Il padrone scosse il capo e la receptioniste affermò: «Ha lasciato l'albergo con la valigia chiudendo la prenotazione in anticipo. Non lo sapevi?».

«No» uscì con la mente assente, svuotata di ogni possibile ipotesi, ogni pensiero, sedendosi pesantemente in auto. Prese il telefono e cercò di chiamarla, ma la severa voce elettronica della segreteria, gli riferì che il numero chiamato non era raggiungibile. Spento, o peggio era stata attivata la deviazione di chiamata.

Chiamò Benedetta, che preoccupata rispose, ancora mortificata per l'accaduto della sera prima. Quella menzogna, inventata da Tamara, era stata un vero e proprio colpo basso.

Russel sapeva ben difendersi da accuse e diffamazioni, ma odiava quando a venir ingiuriate erano le persone a cui voleva bene, come Benedetta che sentiva come una sorella, ma nulla più, ed addirittura le persone che amava, come Diana.

«Benede', senti, fa sapere che io per un po' non sarò reperibile, ho una cosa importante da fare e devo lasciare Roma per un po'».

«Lasciare Roma? E dove te ne vai?».

«Nun te preoccupa', sore', fidati di Russel».

Benedetta ridacchiò. «L'amore, Gabrio».

Lo Chef riflettè, rendendosi conto di non aver mai dato veramente abbastanza peso alle relazioni di coppia, prima di incontrare Diana.

Era stato un uomo dai buoni propositi con tutti, in ogni cosa che faceva, ma aveva sempre sognato di viaggiare, evadere solo. Ma ora c'era Diana che voleva accanto a sé...

Per sempre!

Sorrise: «L'amore, Benede', esattamente l'amore».

Di che cosa aveva bisogno? Nulla, soltanto un paio di cose personali, la prenotazione di un pernottamento ed il pieno nel serbatoio dell'auto.

 

Diana scese dal treno, tuffandosi nel caos della stazione centrale di Milano, vagò alla ricerca del binario del regionale per Rovato. Il viaggio era parso nullo dai territori laziali, fino alla Lombardia. Aveva pianto così tanto da essersi pure addormentata.

Come lo spezzarsi di un incantesimo di mezzanotte, il suo sogno si era infranto e si era risvegliata lì, nelle sue terre lombarde.

Ebbe appena il tempo di prendere un caffè ad uno dei bar della stazione, prima di correre al binario e raggiungere Rovato. Quando scese, Jayne e Valeria erano sulla banchina ad attenderla.

«Diana!» La chiamò Jayne adombrandosi davanti a quel volto segnato dall'eye liner colato dai suoi occhi. «Che cosa è successo?».

Diana scosse il capo con il mento che tremava a furia di trattenere il pianto.

«Hai litigato con Russel?» S'informò Valeria.

Diana non ce la fece più e scoppiò in lacrime, cadendo in ginocchio nel bel mezzo della stazione.

«Smetto di scrivere!» Singhiozzò, «Non voglio più saperne nulla di libri e cuochi!».

Le amiche, spiazzate da quella dichiarazione, l'abbracciarono senza più riuscire ad aggiungere altro. Diana si lasciò cullare da loro, dal loro abbraccio, il calore che conosceva così bene, dove si sentiva a casa.

Era stata una sciocca a pensare che Russel e lei avrebbero potuto condividere uno spazio insieme tra i loro due mondi.

Arti sì, lo erano, simili, caratterizzate dalla creatività, con l'obbiettivo di cambiare le cose. Ma lei era diversa da lui, erano entrambi troppo diversi per condividere la vita.

Diana aveva spazi senza confini da dedicare a qualcuno che la volesse amare davvero, perchè della sua vita non le restava altro, se non che trovare il suo scopo e qualcuno a cui donare quegli interi spazi che nessuno era mai riuscito a colmare, capire e rispettare.

Forse nessuno era mai riuscito a capire lei. Forse lei non si era mai lasciata capire davvero. Forse... tutto era un forse. Ma non c'era una sola certezza.

 

«E così te ne sei andata?» Romina guardava Diana dalla webcam che ancora piangeva e non sapeva darsi una spiegazione plausibile a tutto ciò che aveva fatto.

«Devo smettere di credere alle favole».

«Ma tu sei una scrittrice» obbiettò Romina.

«Non più, smetto di scrivere».

«E il libro di Russel?».

«L'ho lasciato a Roma, non concluso».

Romina si massaggiò la fronte scioccata. Ma riflettè, allo stesso tempo. Chinandosi più vicino al quadro dell'immagine disse:

«La colpa è di quella Tamara perchè, credi al mio sesto senso, sai che non sbaglia mai».

«La colpa è solo mia che mi sono illusa».

«Non è così, sento che Russel ti ama davvero e quel che ha detto quella donna non è altro che una bugia. Potresti aver frainteso qualcosa, sis».

«Non posso appartenergli» mormorò Diana.

«Ma lui ti vuole, ne sono certa».

«Romy... è meglio così» la interruppe Diana. «Meglio che sia finita in un giorno piuttosto che aver vissuto tutta la vita insieme, senza conoscerci e capirci, cercando, magari, di far combaciare due esistenze agli antipodi. Lo sognavo, ma come sempre non mi smentisco: i sogni illudono!»

Si pentì di quel tono scontroso quando si accorse dell'espressione raggelata di Romina che chiuse un pugno davanti alla bocca ed abbassò gli occhi, ammettendo in un mormorio:

«Scusami sis, non volevo farti arrabbiare» la salutò, chiudendo la chiamata, senza il solito calore che metteva in ogni chiacchierata con lei.

Diana controllò i report delle vendite dei suoi libri: erano buone, come sempre, ma la faccenda non la entusiasmava più così tanto.

Uscì sul terrazzo della sua stanza e mirò la tranquilla Sarnico, così piccola e diversa da Roma, ma non le dispiaceva: quella quiete faceva invidia a qualsiasi grande città, anche se non c'erano grandi anfiteatri, fontane meravigliose, basiliche mozzafiato e Chef che l'avessero fatta innamorare, insegnandole cose che nemmeno lei, scrittrice, aveva immaginato, facendole affrontare le sue paure, facendole provare nuove esperienze culinarie e nuove emozioni sulla pelle.

Cosa le era passato per la testa?

Io non sono nessuno... Pensò col cuore a pezzi. «Nessuno, lui è troppo!» Disse senza piangere, avendo consumato troppe lacrime e perchè il suo cellulare vibrò: il nome di Jayne, che lampeggiava sul display, la rasserenò facendole comparire un lieve sorriso.

«Ciao, Diana, tutto apposto?».

«Domanda di riserva?» Replicò con tono piatto, distendendosi sul letto col cellulare sull'orecchio. Jayne si schiarì la voce.

«Che ne pensi di farci una serata con Valeria, tipo pizza e passeggiatina sul Lungolago?».

«Quando?».

«Stasera! C'è l'offerta pizza, bibita e caffè a dieci euro in centro».

«Con tuo marito come fai?».

«Che male c'è? Mi prendo una serata».

A Diana parve di vederla ammiccare. Conosceva le sue amiche e sapeva che lei e Valeria si erano messe d'accordo già prima per farle compagnia e di certo Jayne aveva insistito e discusso con suo marito per organizzare quella serata.

Non aveva molta voglia, ma rifiutare l'avrebbe fatta passare per egoista, dopo che le due ragazze si erano organizzate per rasserenarla un po'.

Aveva davvero due amiche d'oro e la terza, che sfortunatamente incontrava solo virtualmente, meritava davvero delle grosse scuse per l'atteggiamento avuto nei suoi confronti.

«Va bene, Jayne, a che ora ci troviamo e dove?».

«Sette e mezza davanti al “Chiosco”, non serve che ti dica di essere puntuale, giusto?».

«Va bene, stela, ci vediamo più tardi».

Se avesse dato retta alla voglia, Diana non si sarebbe mossa dal letto, ma ascoltò il buon senso.

Mentre si lavava pregò che il getto della doccia le ripulisse via tutto quel che aveva accumulato addosso: amore, rabbia, rimpianti, odio per sé stessa. Sicuramente non poteva pretendere che, da un giorno con l'altro, tutto ciò che c'era stato venisse ripulito come la schiuma da un lavandino, con un colpo di spugna, ma distrarsi era un buon modo per non pensare, almeno quelle due o tre ore che sarebbe restata con Jayne e Valeria.

Non aveva voglia di uscire, ma ancora di più, non aveva voglia di soffrire.

Minigonna di jeans, anfibi e maglietta scollata nera con la giacca di pelle andava più che bene. Poteva permettersi di evitare i collant, quella sera: non faceva freddo, ma si dovette depilare per bene le gambe.

Capelli sciolti e trucco egiziano, lenti a contatto che si era presa l'abitudine di portare, due spruzzi di profumo sulle carotidi e poteva dirsi pronta.

Sua madre la guardò severa. Non aveva raccontato nulla dei fatti a Roma, ma da subito la donna si era accorta degli occhi tristi della figlia.

Diana ricambiò il suo sguardo e chiese:

«Che c'è?».

«Il tuo ritorno è stato un po' troppo repentino»

«Gabrio ha avuto troppo lavoro, troppe proposte ed io ero d'impiccio» mentì ma non riuscì a fregare la mamma, che sconsolata, mentre finiva di preparare la cena per lei ed il marito, ammise:

«Non mi piace vederti star male, tesoro».

Diana fu costretta a salutare velocemente sua madre per evitare di mettersi a piangere davanti a lei. Qualcuno che la capiva veramente c'era, peccato che fosse sua madre.

   
 
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