Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: whitecoffee    13/09/2017    2 recensioni
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❝«Quindi mi state dicendo... che questa ragazza mi ha visto nudo... tutto il tempo?!» Esclamò JungKook, sollevando il tono di voce di qualche decibel, verso la fine della frase. Arrossii come non mai, mentre lui si copriva il volto con le mani.
«Non che ci sia stato poi molto, da vedere» commentò YoonGi, facendogli un cenno con il capo.
«Yah!» Ribatté il maknae, ferito nell'orgoglio.❞
- Dove Sim Olivia si finge un ragazzo per ottenere il posto di assistente manager dei Bangtan Sonyeondan... ma non tutto va come previsto.
manager!AU | cross!dressing | dorm!life | boyxgirl
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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“Reality continues to ruin my life.”
― Bill Watterson




 

Dobondong-do, ore 6.00, 14 Marzo 2017 

 

«Sveglia pigrona! Il sole è già alto e stai per cominciare il lavoro della tua vita!»
Sobbalzai e caddi urlando direttamente dal letto, tirandomi dietro le coperte. YooNa era entrata nella mia camera come un uragano, spalancando porte, tirando su serrande e battendo le mani neanche fosse un’addetta allo sgombero dei piccioni nelle piazze d’Italia. Mi rifiutai di sollevare la testa, seppellendola ulteriormente nel groviglio di lenzuola e braccia che avevo sotto la faccia.
Ero arrivata a casa alle undici e mezza, la sera prima, grazie ad un malfunzionamento dei trasporti pubblici. La cena, preparatami da mia cugina e lasciata a congelarsi nel microonde spento, era divenuta ormai fredda. L’avevo mangiata senza neanche scaldarla, stanca com’ero. Ma non era certo finita là. Senza nemmeno levarmi la parrucca, ero filata in camera mia, raccattando tutti gli indumenti maschili comprati quel pomeriggio, con la bella e divertentissima speranza di riuscire a ficcare tutto nella valigia. Ero convintissima che l’intera operazione mi avrebbe richiesto al massimo venti minuti. Ebbene, all’una e mezza, stavo ancora saltando sull’oggetto, per riuscire a chiudere la zip senza che il braccio mi volasse via nell’impresa. Preparare i bagagli quando dovevi fingerti uomo, non era per niente facile. Perché c’era bisogno di nascondere tutte quelle cosine da ragazza dalla quale non ci si sarebbe mai separati, nel doppio fondo della valigia. Insieme all’intimo, ovviamente. Mi ero rifiutata di indossare i boxers, tenendomi le mie mutandine con i disegni di gattini e le fantasie strane. Non mi avrebbero portato via me stessa. Non gliel’avrei permesso. Così, con quell’impeto di trionfo, ero andata a dormire. Saranno state le tre, più o meno. E, in quel momento, YooNa credeva che mi sarei alzata con una celerità degna di Flash? Non ci pensavo proprio.
«Yah, sono le sei e mezza!» Infierì la bionda, scuotendomi per le spalle. «Ti ricordo che alle otto hai appuntamento con il signor Kang, dovrai anche sistemarti nella tua nuova stanza» aggiunse, e i ricordi m’investirono con la potenza di un meteorite. La conversazione avuta con il manager, prima di tornare a casa, mi era sembrata un vago ricordo lontano. Era un’immagine sfocata e lattiginosa, le cui parole mi erano riecheggiate nella testa, durante il dormiveglia. Eppure, era tutto vero. L’uomo mi aveva realmente parlato dei problemi fisici ed emotivi dei Bangtan, chiedendomi di essere un fratello maggiore, per loro. Non me l’ero sognato, né inventato. Sollevai lentamente il capo, stropicciandomi gli occhi.
«Finalmente, stavo per tornare qui con un bicchiere d’acqua da tirarti in faccia» disse YooNa, ferma in piedi accanto a me.
«Dammi cinque minuti, okay?» L’implorai, con una voce da oltretomba. Avevo bisogno di passare in rassegna tutti i motivi per i quali avevo deciso di imbarcarmi in quella pessima, pessima vicenda. E necessitavo di giustificazioni più forti degli addominali di Jeon JungKook ed il sorrisetto assassino di Kim TaeHyung.
«Non ce li abbiamo» ribatté quella, iniziando a togliermi le coperte di dosso, provocandomi il primo trauma mattutino del giorno. Trasalii, levandomi immediatamente a sedere e fulminando mia cugina con la più mortale delle occhiatacce presenti sul mio repertorio da Oscar.
«Yah!» Strillai, sentendomi esattamente come Jin, ieri a cena. «Devi lasciarmi fare le cose con calma, okay? È praticamente l’alba, a quest’ora il mondo neanche esiste!» Aggiunsi, barcollando e tirandomi su, rischiando di cadere nuovamente a sedere sul letto. Sospirai, chiamando a raccolta le forze che non avevo. Avanti, Liv. Sei o non sei una vera dura?
«Devi imparare a sbrigarti, la mattina. Sappi che dovrai svegliare tu, i ragazzi, alle otto in punto. Questo vuol dire che dovrai prepararti vestiti e parrucca prima che scatti l’ora di andare a bussare alle loro porte. Tanto vale che ti abitui» mi riferì, puntandomi in volto il suo perentorio indice dalla perfetta manicure ed impeccabile smalto rosso “morte in discoteca”. Mi passai una mano sulla faccia: aveva ragione. Ma ciò non m’impedì di lanciarle un altro sguardo maligno, desiderando di tingere di nero quei suoi capelli biondi. Maledetti ragazzini dai corpi perfetti.

 

 
Gangnam-gu, ore 8.00



Arrivai in major indossando un paio di pretenziosi occhiali da sole. Non potermi truccare voleva dire evitare anche il correttore. Ed io sembravo un panda. Decisamente poco professionale, per il mio primo giorno di lavoro. Quindi, entrai nell’atrio dell’etichetta discografica sentendomi Chanel Oberlin nella nuova stagione di Scream Queens. Mi trascinavo dietro un’enorme valigia rossa, senza contare la borsa appesa alla mia spalla.
L’unico aspetto di cui andassi fiera, oltre ai capelli impeccabili, erano i miei abiti. Indossavo un cappottino leggero modello trench, sopra ad un dolcevita baby blue e dei jeans senza strappi. Sembravo un idol, non mentirò. Altro che airport fashion. Camminai ostentando una sicurezza che sarebbe crollata appena uno qualsiasi dei miei superiori avesse lasciato la sua ombra profilarsi sul pavimento. Tuttavia, provai a non lasciarmi abbattere dal peso delle possibilità e cercai un ascensore libero. Lo trovai appena in tempo, poco distante dalle scale, fiondandomi dentro qualche istante prima che le porte scorrevoli scivolassero nei binari per chiudersi.
Dov’era, l’ufficio del signor Kang? Primo piano? Mi augurai che fosse quello, premendo il dito sul bottone corrispondente. Lasciai andare un sospiro, guardando fisso dinanzi a me. Un ragazzo, probabilmente venticinquenne, smanettava con il cellulare, accanto a me. Pareva non essersi nemmeno accorto della mia presenza, preso com’era dalla sua stessa home di Facebook. Non l’avevo mai visto prima, neanche nell’atrio. Sbirciai il suo badge da sopra ai miei occhiali da sole, leggendo “Cha SungYeol”. Avrei volentieri letto anche la sua specializzazione, ma un discreto trillo mi annunciò che fossi giunta a destinazione. Le porte si aprirono silenziosamente, ed io mi tirai dietro la valigia, incerta se rivolgergli o meno un cenno di saluto. Tuttavia, “SungYeol” non levò gli occhi dal telefonino nemmeno quella volta ed io mi adeguai alla sua scarsa abilità di socializzazione, uscendo dall’ascensore senza voltarmi indietro. Eccoci di nuovo dinanzi allo stesso corridoio. Con la differenza che, quel giorno, il mio ruolo fosse stato definitivamente accettato e riconosciuto.
Prima che potessi muovere un passo, vidi proprio la porta dello studio del signor Kang aprirsi, rivelandone l’uomo, con un’espressione emblematica della stanchezza dipinta sul viso. Cercava di tenere gli occhi aperti, stringendo un grosso bicchierone di caffè nella mano, riconobbi il logo dello Starbucks aperto nei pressi della major. Provai una vaga compassione, per lui. Chissà quanti drammi aveva dovuto sopportare o evitare, nel corso della sua vita. Quanto duro lavoro, quante ore di sonno perse. Di nuovo, sarei stata in grado di sostituirlo? Appena mi vide, fece un cenno con il capo.
«MinSoo, in perfetto orario» disse, richiudendosi la porta alle spalle. Mossi un passo verso di lui, ma sollevò una mano, intimandomi di rimanere dov’ero. «Tranquillo, devo comunque arrivare fin lì» spiegò, ed io rimasi ad attenderlo, tamburellando le dita sul manico della valigia.
«Allora, dormito bene?» Chiese, superandomi e premendo il dito sul pulsante per richiamare l’ascensore. Voleva essere una battuta?
«Abbastanza» mentii, senza perdere un grammo della faccia tosta che mi portavo dietro, a non volermi togliere gli occhiali. Chanel Oberlin. Una regina. Mento alto e binder in fuori.
«Le occhiaie non sono poi un gran problema, qui da noi. Giusto per fartelo sapere» disse, nascondendo un sorrisetto dietro il grande bicchiere di caffè. Il trillo dell’ascensore m’impedì di balbettare una o due parole senza senso, in mia legittima difesa. Scelsi di arrossire in silenzio, sollevandomi gli occhiali sulla testa e fissando il pavimento, sconfitta. D’altronde, ero lì per fingermi un uomo, non per ammaliare qualcuno dei Bangtan con il mio fascino sincretico. Ah, che dolore.
«Li ho già svegliati io, questa mattina, di modo che tu possa andare a sistemarti tranquillamente in stanza per i prossimi venti minuti» m’informò. Molto gentile, da parte sua. «Tuttavia, da domani in poi, sarà compito tuo» precisò. Annuii, rischiando di farmi volare via gli occhiali dalla testa. «Un breve riepilogo sugli impegni di oggi: alle nove hanno un’intervista radiofonica, alle undici lezione di canto fino a mezzogiorno. Nel pomeriggio, dalle tre fino alle cinque, allenamento per le coreografie da concerto; dalle cinque alle sette, lezione di musica. Dopodiché, sono liberi di spendere la serata come meglio credono, a patto che le luci si spengano alle undici in punto, non un minuto prima, né dopo» concluse, evidenziando l’ultima parte del discorso con una certa enfasi. «Bene?»
«Tutto chiaro» risposi, mentre l’ascensore trillava e le porte scivolavano silenziosamente, aprendosi. Il manager mi superò, sorbendo il suo caffè in silenzio. Un ottimo modo per cominciare il nuovo lavoro, con una giornata piena di appuntamenti. Non vedevo l’ora.
Mi trascinai dietro la valigia, mentre il signor Kang bussava alla porta del dormitorio. Lo affiancai, sentendo la voce di HoSeok, che lo salutava con brio.
«MinSoo hyung!» Esclamò poi, sollevando il palmo affinché gli battessi un amichevole cinque di benvenuto. Sorrisi a disagio, congiungendo la mia mano alla sua, grande e vellutata. Nonostante fosse più anziano di me, usava comunque l’onorifico, a causa della mia posizione professionale. Che paese affascinante, la Corea del Sud. Lo guardai meglio, notando l’assenza di qualsiasi tipo di trucco sul suo volto e alcuni ciuffi della pesante frangia cioccolato ancora scompigliati. Come faceva ad essere così energico, appena sveglio? Io necessitavo di almeno dieci minuti di solitudine, per convincermi a riconnettermi pacificamente col mondo. E spesso non ci riuscivo. Lui, invece, sorrideva gentilmente ed accoglieva gente alla porta. Che meraviglia.
Entrai nell’appartamento, seguita dal signor Kang. Hobi si fece strada fino in cucina, dove anche JungKook e YoonGi erano ancora impegnati a fare colazione. Che visione, il maknae appena sveglio, con gli occhi ancora gonfi per il sonno, il cappuccio della felpa alzato e le labbra dischiuse. Reggeva una fetta biscottata nella grande mano nodosa, la quale minacciava di cadere nella tazza piena di latte da un momento all’altro, inzuppando il velo di marmellata di fragole con il quale fosse ricoperta. Povero cucciolo. Provai l’impeto di abbracciarlo fino a che non si sarebbe svegliato del tutto, ma mi trattenni. Nessuna pietà. YoonGi, invece, faceva ondeggiare il caffè nel suo bicchiere, con le palpebre abbassate e una fascia scura a tenere indietro i ciuffi corvini. Senza alcun tipo di trucco, gli scuri segnacci violacei sotto le sue palpebre inferiori erano ancora più evidenti, facendo sembrare i miei uno scherzo da ragazzini. Accidenti. Ed io che credevo utilizzasse ogni momento libero per dormire.
«Vuoi sederti con noi?» Mi chiese HoSeok, accomodandosi a quello che doveva esser stato il suo posto, infilzando il pancake rimasto nel piatto con la forchetta, apprestandosi a tagliarne un pezzo con il coltello. Scossi la testa, sorridendogli.
«Ho già mangiato, a casa» gli dissi, guardandolo annuire e portarsi il cibo alle labbra.
«Ragazzi, avvertite gli altri che alle nove meno venti c’è il van ad attendervi, giù» ricordò il signor Kang. «MinSoo prenderà la mia stanza e, a partire da oggi, vivrà nel dormitorio con voi» aggiunse. «Vieni, ti faccio vedere la camera» seguitò, dirigendosi verso il corridoio che collegava gli alloggi singoli. Tirò fuori una chiave dalla tasca posteriore dei jeans, ed aprì la penultima porta sulla destra.
«Eccoci qui. I tuoi vicini saranno NamJoon e TaeHyung, mentre di fronte avrai YoonGi» m’informò, mentre non sapevo se gioire per un motivo o piangere per un altro. Nel dubbio, non mostrai alcuna espressione, se non interesse. L’uomo mi consegnò la chiave, con una certa marzialità. «Sistemati come meglio credi, da oggi questa stanza è tua» concluse, tornando in cucina.
Mi guardai attorno, prendendo nota dell’ambiente. Quattro mura color crema, prive di alcuna decorazione; un letto, addossato alla parete e con i piedi rivolti alla finestra, un grosso armadio e una scrivania con tanto di sedia. Una porta in legno di noce collegava la zona riposo con il bagno in camera e fui molto felice di constatare la presenza di una doccia, che mi avrebbe risparmiato l’imbarazzo di scendere giù, ai bagni comuni. Tutto sommato, nonostante fosse molto anonimo, lo spazio non mi sembrava affatto male. La stanza era comunque molto ampia, per essere una singola. Sorrisi, soddisfatta. Avrei disposto i miei vestiti nel guardaroba e gli oggettini in bagno solo dopo, con molta calma.
Lasciai la valigia ancora chiusa accanto al letto ed uscii, richiudendo la porta a chiave. Tornai in cucina, dove lo scenario non era cambiato di una virgola, eccezion fatta per il maknae che beveva il suo latte ad occhi chiusi e YoonGi che lanciava un fazzoletto sporco appallottolato nel cestino, facendo centro. HoSeok si stiracchiava sonoramente sulla sua sedia, sporgendo in alto i pugni chiusi, inarcando la schiena come un gatto.
 «Vi aspetto giù, non fate tardi» concluse il manager, mentre i tre settimi dei Bangtan annuivano con testa pesante e lui usciva dalla stanza, facendomi un cenno di saluto con il capo. Ricambiai, rendendomi conto che sarei rimasta sola con i ragazzi. Improvvisamente, mi resi conto di avere sete.
«Dove sono i bicchieri?» Chiesi, guardandomi attorno. Il corvino protese un braccio, indicando la credenza in alto. Seguii la direzione da lui mostrata e mi venne da ridere. Non ci sarei mai arrivata, lì sopra. Mi sarebbero occorsi almeno altri dieci centimetri, che ahimè non possedevo. Molto divertente. Mi grattai la tempia, a disagio.
«Okay, ne farò a men…» esordii, ma il rumore di una sedia che grattava il pavimento mi zittii. JungKook si alzò in piedi, affiancandomi ed aprendo l’anta, procurandomi un bicchiere di vetro senza sforzo. Mi mise l’oggetto in mano, in silenzio. Dopodiché, tornò nuovamente a sedersi, crollando sulla seduta come un pupazzo senza vita. Battei le palpebre, rendendomi conto di quel che fosse appena successo. Era accaduto davvero? Era la mia vita, o un nuovo drama della KBS?
«G-grazie» balbettai a mezza voce, non realmente sicura che lui mi avesse sentita. Lo vidi sollevare un segno di vittoria, senza voltarsi. Inspirai profondamente, concentrandomi sul riempire il bicchiere d’acqua e non sul fatto che Jeon JungKook si fosse alzato per prendermi un bicchiere, avvicinandosi così tanto che avevo potuto sentire il profumo del suo bagnoschiuma al cocco e il calore della sua persona. Basta, Liv. Sei un uomo. Un uomo etero. Tieni la fangirl con gli ormoni a palla dove dovrebbe essere: nascosta nel profondo, sotto la parrucca, le bende ed il binder. Uno degli uomini dei tuoi sogni ha fatto un’azione positiva nei tuoi confronti, e allora? Al mondo esiste Park ChanYeol e non sa della tua esistenza. Chill.
«Ho ragione io!»
«Non è vero!»
Mentre bevevo la mia acqua, cercando di dissociarmi dalla vampa di calore che mi aveva trafitto le guance, un paio di voci si sovrapponevano una all’altra, in corridoio. Riconobbi immediatamente TaeHyung e JiMin, i quali stavano visibilmente discutendo per qualcosa.
«Oh, no» commentò HoSeok, scuotendo la testa.
«Ci risiamo» aggiunse YoonGi, passandosi una mano sulla faccia, senza voglia di vivere. Non capii. Il maknae rimase in silenzio. Dopo pochi istanti, li vedemmo irrompere in cucina, spintonandosi a vicenda.
Sembravano freschi e riposati come due boccioli, attivi ed energici anche più di Hobi. Avevano i capelli ancora umidi ed indossavano degli indumenti leggeri, canotte e magliette slargate, unite a pantaloncini di tute. Mi obbligai a fissarli in volto, e a non percorrere le loro intere figure con lo sguardo.
«MinSoo hyung!» Mi chiamò JiMin, fraternamente. «Ci serve il tuo giudizio. Non ci fidiamo degli altri» disse, mentre il corvino si lasciava scappare un verso sarcastico dalle labbra e HoSeok sollevava un sopracciglio.
«Okay» mi limitai a rispondere, stringendomi nelle spalle e portandomi il bicchiere alle labbra, prendendo un altro sorso d’acqua.
«Chi ce l’ha più grosso?» Chiese TaeHyung, ed improvvisamente accadde qualcosa di molto spiacevole. Entrambi, in perfetta sincronia, si tirarono su le magliette con una mano e spinsero giù gli elastici dei pantaloni con l’altra. Prima che potessi vedere dove andavano a parare, per lo shock avevo già sputato l’acqua, direttamente addosso a JungKook.
«Porca puttana!» Esclamò quello, scattando in piedi e rendendosi conto di quel che fosse appena successo. Mi portai una mano alle labbra, sbarrando gli occhi, sconvolta. Cosa avevo fatto?
«Barattolo delle parolacce, cinquemila won» si limitò a dire YoonGi.
«Ma hyung…!» Protestò il maknae, passandosi una manica della felpa sul viso e scuotendo via l’acqua in eccesso raccolta dal tessuto.
«Frega un cazzo. Vai» ribadì il corvino, esibendo un sorrisetto maligno. Il castano sbuffò, uscendo dalla cucina pestando i piedi.
«MinSoo hyung, ma che combini?» Chiese JiMin, ed io lo guardai, avendo eliminato dalla mente il motivo per il quale avessi innaffiato il povero Kookie. Il ballerino teneva la maglietta sollevata per un lembo, proprio come per il video di We Are Bulletproof, e aveva scoperto il ventre con l’altra mano, spingendo in giù l’elastico dei pantaloncini, fermandosi all’osso corrispondente al fanco. Medesima situazione per il suo amico, accanto a lui. Battei le palpebre, senza capire. Quindi, non si erano levati le mutande? No? Ah. Che peccato.
«Di chi è l’ombelico più grande?» Chiese TaeHyung, impaziente.
«Io amo il mio lavoro, io amo il mio lavoro…» mormorò YoonGi come un mantra, alzandosi ed uscendo dalla cucina. HoSeok mi fissava, quasi volendomi implorare di non assecondare la loro follia. Deglutii.
«Mi… mi sembrano uguali» dissi, incerta.
«Oh, andiamo, è palese che il mio sia più grosso» protestò il castano, avvicinandosi a me. A torso semi-nudo. Indietreggiai, finendo con la schiena contro il bancone della cucina. Ero in trappola. Dopo qualche istante, anche JiMin raggiunse il suo compagno, occhieggiandone il ventre e comparandolo visivamente con il proprio. Iniziarono a parlottare, come quelle coppie di amici che si misuravano i bicipiti a vicenda, in palestra. Profumavano di perdizione. E di Liv che perdeva il suo lavoro prim’ancora di cominciare.
«Ragazzi, è tardi. Il signor Kang ci aspetta giù e voi siete ancora in tuta» provai a dissuaderli. Li udii sbuffare, tirandosi giù le magliette. Mi avevano davvero dato retta? Sul serio?
«Sappi che ho vinto io» bisbigliò il biondo al castano, voltandosi e dandogli di gomito. L’altro rispose con un verso sarcastico, mentre uscivano dalla cucina. Incredibile. Era così facile?
«Considerali come i due figli problematici di una grande famiglia» disse HoSeok, notando la mia espressione sconvolta. «Ci farai presto l’abitudine» aggiunse, sorridendo. Annuii, guardandolo alzarsi, stiracchiarsi nuovamente e sparire in corridoio, fischiettando Boombayah delle BLACKPINK. Avrei dovuto scusarmi con JungKook, più tardi. Se mai avessi trovato abbastanza coraggio, ovviamente.



 




 


#Yah!: eeeee rieccoci anche di qua! Perdonate il ritardo, ma fra le tantissime cose che succedono ogni Settembre (esami, esami, esami), conciliare tutto è sempre difficile. Inoltre, visto che questa storia è un'inedita, e non un re-post, come le altre che ho in corso, ho deciso che l'aggiornerò con un po' meno frequenza (aka, mi serve tempo per mandare avanti la trama in maniera decente)! Per quel che riguarda il capitolo... sappiate che questo sarà solo l'inizio delle figuracce, per la povera Liv. Ho tutta l'intenzione di metterla molto in difficoltà, hehehe! Bene, dopo questo spoiler che manco il vero finale di GoT, posso concludere questo spazio autrice.
Come sempre, grazie mille a tutti i lettori silenziosi, a chi preferisce/segue/ricorda e anche a chi recensisce, ricevere feedback è sempre super positivo! 
   
 
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