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Autore: Raeiki    13/09/2017    0 recensioni
Invece di scrivere un racconto lineare, mi limiterò a narrarvi alcuni pensieri oppure viaggi mentali più o meno profondi/malati attraverso allegorie oppure (passatemi il termine) "parabole". Vedetela come una strana conversazione faccia a faccia più che una serie di parole scritte su un monitor, perché questo è l'obbiettivo principale di Introspezione e altri voli pindarici.
Genere: Introspettivo, Satirico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
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Primo Anello - Ingresso e Discesa 

"BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO!"

Aveva gli occhi socchiusi. Non vedeva molto bene.

Chi stava parlando?

Troppe luci puntate su di lui. Merda, che fastidio…

"BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO!"

Niente da fare, continuava. E lui continuava a vedere solo luci sfocate che lo accecavano.

Non aveva né caldo né freddo. La stanza in cui si trovava (ammesso che fosse una stanza) aveva una temperatura strana. Perfino la consistenza stessa dell’ambiente intorno a lui era strana. Sembrava di essere immerso in un qualche liquido particolarmente denso, tipo uno slime. Forse è per quello che non riusciva a vedere.

No, no... c’era un altro motivo... i suoi occhiali. Dov’erano i suoi occhiali?

"BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO!"

“LA VUOI FINIRE?!”

Non lo disse davvero. Avrebbe voluto, ma si limitò a pensarlo. Aveva sempre fatto così, giusto? Sempre, si. Voleva urlare in faccia agli altri qualcosa, ma si limitava a pensarlo.

Ma in quel momento stava iniziando a spaventarsi. La voce era metallica e distorta, come se provenisse da un altoparlante rotto. Mandò a quel paese tutte le sue dannate abitudini e provò a spalancare la bocca per parlare, avvertendo un sapore nauseabondo penetrare in essa. Ebbe un conato, richiudendola di scatto.

"BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO!"

Urlò interiormente.

Era molto impaziente in genere, e questa situazione era facilmente il suo peggior incubo. Bloccato in una specie di gelatina, muto e immobile. Per di più praticamente cieco.

Cercò di calmarsi un attimo per riordinare i pensieri. Si sentiva come in una sorta di paralisi del sonno, totalmente bloccato. Ogni movimento gli risultava impossibile, o comunque molto difficile. Sforzare il movimento di un qualsiasi arto faceva vibrare i muscoli di quest’ultimo fino a stremarlo, come se stesse cercando di sollevare un tir a mani nude.

"BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO!"

La mente era lucida, o meglio, così gli sembrava. Ovviamente non ricordava nulla delle precedenti ventiquattro ore. Che cliché, vero? Era quasi banale. Gli veniva da ridere.

Si ricordava alla perfezione del pranzo di famiglia di quattro giorni prima, la scampagnata in montagna di tre giorni prima, l’immensa coda alle poste due giorni prima…

Ne mancava uno. Dai, uno solo, che cazzo.

"BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO!"

... nulla. La voce lo stava torturando impedendogli di ascoltare i propri pensieri. Gli venne un altro conato. Odiava il vomito. Odiava la sensazione del vomito. Odiava la sensazione dopo il vomito. No, no, no, no.

"BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO!"

La frase ripetuta per l’ennesima volta gli diede il colpo di grazia. Spalancò la bocca tossendo, avvertendo una chiusura improvvisa dello stomaco e il saporaccio di prima. Emise qualche verso gutturale prima di rimettere l’anima. Sembrava eterno.

"BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO!"

Durò per due minuti buoni. Però il vomito aveva rilassato la tensione dei suoi muscoli. La testa molleggiava in avanti, e gli girava da morire. Riuscì appena a voltarsi e a notare cosa lo teneva fermo. Le sue braccia erano tese a piene di aghi. Letteralmente. Ogni punto di ogni vena era cosparso di aghi lunghissimi e sottili. Gli venne un altro conato. Provò ad urlare, emettendo solo un verso strozzato.

"BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO! BENVENUTO NEL MIO MONDO!"

Improvvisamente sentì che gli aghi gli stavano iniettando qualcosa nelle braccia. Tese ogni muscolo provando a divincolarsi. Non sentiva dolore, era come anestetizzato. Però avvertiva la sostanza entrargli nelle braccia e diffondersi per tutto il corpo. Era come se lo stessero riempiendo di mercurio, o comunque una sorta di metallo liquido, freddo e denso.

Per la prima volta, la voce cambiò.

"BENVENUTO. NEL MIO. MONDO. AMICO.”

Era scesa di tonalità ed era ancora più metallica di prima. Aprì appena la bocca, sentendo che il saporaccio era sparito. Riuscì a boccheggiare, per poi mettere insieme una frase: “Chi sei…?”

La risposta fu quasi immediata, come se fosse premeditata.

“DIO.”

Gli sembrò di affondare nel terreno, e si accorse che stava effettivamente accadendo. Una voragine si spalancò sotto i suoi piedi, facendolo cadere urlante nel vuoto.

 

Secondo Anello - Discesa e Dolore 

Cadde, e cadde, e cadde, e cadde.

Cadde lungo un grande tunnel bianco. Candido, impeccabile. Continuava ad essere sempre più largo, sempre più agorafobico. Era arrivato ad essere colossalmente grande. Gli sembrava di cadere dal cielo.

Bianco.

Impeccabile.

Urlava senza fermarsi, si stancava, si fermava, ansimava, riprendeva.

Improvvisamente, un volto sotto di lui. Una terribile faccia rossa con occhi e bocca spalancati, senza sopracciglia, il naso storto e adunco. Era familiare. Troppo familiare. Forse l’aveva vista nell’arco di tempo nel quale era stato privo di sensi.

La faccia era sempre più vicina, sempre più grande, sempre più spaventosa.

Finché non lo inghiottì.

Buio.

Inquietante.

Suoni agghiaccianti che risalivano lentamente dall’antro oscuro della sua memoria. Lo assalivano saltandogli addosso dalle strette pareti del tunnel nero. Queste si fecero più strette, avevano una consistenza strana, simile al cioccolato fuso.

Si fermò. Restò completamente immobile per qualche secondo, trattenendo il respiro.

Le pareti si risollevarono con un risucchio come un sipario, rivelando uno scenario simile all’idea che si era fatto negli anni di paese delle meraviglie. Buio, cupo, ma allo stesso tempo pieno di colori sgargianti e ossessivi, che avrebbero provocato un attacco di epilessia a chiunque ne fosse affetto anche in forme minime. Ormai era superfluo chiedersi dove accidenti si trovasse. Sentiva riecheggiare in sottofondo strani suoni. Non sapeva se venivano dall’alto o dal basso, da oltre il cielo scuro o da sottoterra. Erano suoni ritmati, simili a delle molle che venivano tese e compresse al rallentatore. Camminando sentiva le gambe pesanti, come se non dormisse da giorni e avesse solo bisogno di un letto su cui stendersi. Improvvisamente la terra tremò sotto i suoi piedi, e una risata rimbombò seguita da suoni gutturali e gorgoglianti. C’erano altri suoni contrastanti e più lievi, simili a campanelle oppure ad altre voci differenti che passavano velocemente di fianco a lui come ventate d’aria.

Lo scenario era leggermente cambiato. Adesso c’era un lungo sentiero a zig-zag che portava ad una sorta di tempio rosa sgargiante arroccato in cima ad un colle.

I suoni e le risate continuavano come tuoni impetuosi, e gli alberi che poco prima erano color giallo canarino adesso erano di un verde acido e molto più acceso. Erano altissimi e terminavano con lo stesso volto che aveva visto prima; erano quei volti che ridevano incessantemente, e lo seguivano con lo sguardo.

Appena entrò nel sentiero sentì un dolore lancinante alla schiena, come se ci avessero conficcato una spada. Si inarcò violentemente per poi crollare a terra urlando. Finalmente sentiva di nuovo la sua voce e riusciva ad urlare. Approfittò di questo breve momento per sfogare il suo dolore e gridare come non aveva mai gridato prima. Il dolore terminò per un attimo, e potè di nuovo rialzarsi lentamente. Si guardò intorno, cercando il responsabile di quella violenta contrazione nella sua schiena. Nessuno. Era solo. Solo.

Completamente solo.

Gli unici sguardi che incontrava erano quelli degli alti alberi che continuavano a fissarlo e a ridere.

“Che avete da ridere, eh? Bastardi!”

Non cambiarono espressione nemmeno per un secondo. Tirò un calcio ad uno di essi, e la sua gamba restò intrappolata nel tronco verde acido. Iniziò a fumare, e le risate di quel volto aumentarono. Iniziò a dimenarsi per toglierla, senza riuscirci, e quando finalmente la rimosse dall’albero con uno strattone all’indietro notò che la carne era rovinata, marcita e parzialmente rovinata, diventando di un colore simile a quello dell’albero stesso. Eppure non sentiva dolore, per niente. Si rialzò, tornando sui suoi passi e cercando di ignorare la gamba distrutta. Era a metà strada verso il tempio, quando fu di nuovo squarciato dal dolore alla schiena; questa volta era diverso, era pulsante, come tante pugnalate diverse. Cadde di nuovo a terra, urlando e sbattendo i pugni a terra. Cercò di avanzare strisciando. Non sapeva perché stava andando verso quel tempio, o meglio, non ci pensava. Non stava pensando a nulla in quel momento, solo al dolore e al tempio. Voleva andare lì, senza un motivo. Voleva andarci. Voleva andarci. Quando il dolore cessò, questa volta dopo più tempo, si rialzò notando che era incredibilmente vicino alla sua meta. La osservò per un attimo. Era l’unico edificio nella zona, l’unica struttura visibile nel raggio di chilometri e chilometri di buio e alberi verdi.

Era altissimo, ma non aveva finestre di alcun tipo. Tutto rosa e viola, con qualche angolo nero. Era costruito su un modello gotico e dava l’idea di essere una sorta di cattedrale. Diede una breve spinta al portone davanti a lui per aprirlo ed entrare lentamente. Sentiva sempre il dolore pulsante alla schiena, ma diventava via via meno fastidioso. Anzi… ... gli sembrava che si stesse trasformando in qualcos’altro.

Terzo Anello - Dolore e Piacere 

Era un teatro. Almeno, era qualcosa che si avvicinava molto ad un teatro. Aveva delle vetrate come una cattedrale, che riflettevano luci colorate e sgargianti sul freddo pavimento rosso. C’era una sola poltrona rosa al centro della sala immensa, e un palco davanti ad essa.

Con la stessa fredda convinzione di prima prese posto, sedendosi su di essa. Non appena appoggiò la schiena il suo dolore pulsante svanì del tutto. Avvertì una strana sensazione di calore nello stomaco. Il sipario si aprì davanti ai suoi occhi, le luci si spensero in sala. Luce sul sipario.

I fari rivelarono una serie di individui particolari sul palco: ai lati vi erano una decina di ballerini androgini, ossia uomini vestiti da donna, con il seno e presumibilmente senza pene. Erano truccati di bianco, e non avevano capelli o sopracciglia. In compenso avevano lunghe ciglia dello stesso colore della sua poltrona. Al centro vi era una donna vestita con un abito burlesque molto accattivante. La particolarità di questa donna era una sola: era interamente fatta di plastica. La sua pelle brillava e il suo volto era inespressivo. Era come stare davanti ad un manichino. Un manichino che improvvisamente aprì la bocca con uno schiocco, per poi parlare con una voce profonda e avvenente. “Il pubblico è pronto per l’esibizione?”

Esibizione? Quale esibizione? “Si.”

La donna abbassò di scatto la testa piantandogli addosso i suoi occhi finti. “Bene, dunque. Cominciamo.”

Batté le mani, emettendo uno strano verso con la bocca. Un verso cantilenante che continuava imperterrito. I ballerini cominciarono a ballare ognuno per conto suo facendo movimenti strani e contorti, senza coordinazione. Il tutto era guidato dalla cantilena costante della donna di plastica. Dopo un altro battito di mani scesero tutti dal palco, avviandosi verso la sua poltrona. Quel ballo malato e contorto si spostò intorno alla sua poltrona, e una volta finito i ballerini si avvicinarono a lui con le mani tese. Cominciarono a spogliarlo dai suoi vestiti, e a toccarlo in varie parti del corpo. Era completamente apatico, non sentiva emozioni, se non quello strano calore nello stomaco. Li lasciava fare, non si opponeva in nessun modo.

I ballerini si separarono lasciando passare la donna di plastica, che imitò i suoi compagni toccando il suo corpo nudo. La pelle della donna era fredda e liscia, e creava un certo disagio. Il suo sguardo inespressivo e fisso, la sua cantilena e i suoi capelli fittizi non aiutavano. La donna cominciò a spogliarsi gradualmente a sua volta, senza togliere lo sguardo dalla sua faccia. Avvicinò il suo volto sussurrando: “Divertiti.” Si riprese di colpo. La paura lo assalì, il dolore tornò più forte di prima, ed urlò. Spinse via la donna con forza, che cadde a terra. Si alzò dalla poltrona correndo verso il palco ed arrampicandosi su di esso. La donna si rialzò; la sua faccia si era parzialmente rotta, rivelando un vuoto pneumatico nella sua testa. Spalancò gli occhi con uno scricchiolio ed urlò anch’essa. Un urlo agghiacciante e acuto che perforò i suoi timpani, facendogli venire le lacrime agli occhi tanto era il dolore provato in quel momento. Le sue orecchie iniziarono a sanguinare, così come il suo naso. Riuscì a fatica a tirare da parte le tende del sipario, mentre i ballerini e la donna si erano lanciati al suo inseguimento, camminando velocemente seppur in modo meccanico. La donna non smetteva di urlare, e il dolore fece cedere per l’ennesima volta le sue gambe facendolo crollare a terra inerme. Strisciò sui gomiti per superare il sipario ed andare dietro le quinte. Non sapeva cosa si trovava là dietro, ma sapeva che doveva andarci a tutti i costi.

La strana compagnia teatrale lo aveva quasi raggiunto. Mancava poco. Pochissimo. Tre passi. Due passi. Uno.

Urla. Sangue.

Si diede una rapida spinta sulle braccia e saltò dietro i tendoni rossi e rosa.

Ebbe tempo di tirare un sospiro di sollievo, per poi notare che la stanza in cui si trovava era completamente nera. Voltandosi non vedeva nemmeno più le tende. Era rinchiuso nel vuoto.

Il silenzio era assordante. Il sangue continuava a scendere sia dal naso che dalle orecchie, il suo odore metallico pervadeva la stanza. Ammesso che fosse una stanza. Era una stanza? O era nello spazio siderale?

Dov’era? Voleva tornare a casa… ... a casa…

... casa…

. . .

Si svegliò. Spalancò gli occhi, finalmente. Era in una stanza vera questa volta, semibuia e illuminata dalla luce che filtrava da una porta socchiusa. Appena i suoi occhi si abituarono alla scarsa luce ed iniziò a vedere ciò che lo circondava, il sollievo si trasformò in terrore. Era in una stanza d’ospedale, steso nudo su un letto e con un dolore terribile alla schiena. Aveva una flebo per braccio.

Davanti a lui c’era un medico che si stava riallacciando i pantaloni. Appena lo vide, fece una faccia familiare. Si voltò mostrando l’assenza di sopracciglia sul suo volto, e fece un sorriso a trentadue denti. “A quanto pare la dose non era abbastanza forte e ti sei svegliato presto, principessina…” Andò a chiudere la porta, riportando la stanza nel buio più totale.

“... ma abbiamo ancora tempo per divertirci, vero?

   
 
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