Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Evali    14/09/2017    1 recensioni
Cosa sarebbe accaduto se il figlio del ghiaccio e del fuoco non fosse stato il noto personaggio che noi amiamo e conosciamo? Come sarebbe andata la storia se il legittimo erede al trono, figlio di Rhaegar Targaryen e Lyanna Stark, fosse stato simile al padre quanto alla madre? Una storia che narrerà le vicende dei nostri beniamini della serie tv, con l'aggiunta di un nuovo giocatore al gioco del trono che modificherà il loro destino. La vicenda è incentrata sulla storyline di una versione originale del figlio dei due sfortunati innamorati e su come avrebbe influito la sua presenza nell'universo creato da George RR Martin. Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cersei Lannister, Eddard Stark, Jon Snow, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Le imprecisioni dei colori
 
Cersei se ne era appena andata e Petyr Baelish condusse Walter in una stanza. Questa era bella e spaziosa, aveva grandi finestre e tende di seta, mobili pregiati e un grande letto con lenzuola altrettanto care. A Grande Inverno non aveva mai vissuto in tale lusso.
- Questa sarà la tua stanza. Di qualsiasi cosa avrai bisogno, puoi chiamarmi, dato che, in questi giorni, dovrai tenere la gamba a riposo …
- So badare a me stesso – disse secco Walter interrompendolo.
Ditocorto incassò e continuò a parlare. – Ti ho fatto preparare un bagno nell’altra stanza.
- Cos’è, Varys ti ha detto di trattarmi come un principe per farmi passare la voglia di andarmene, come se le loro minacce non bastassero?
A ciò, Baelish accennò uno dei suoi soliti sorrisi melliflui. – So che dopo gli ultimi sei mesi e, in particolare, dopo gli ultimi giorni, non sarai più abituato alle comodità e ad avere una stanza tua, ma questo trattamento lo riservo a tutti i miei ragazzi e le mie ragazze. Questa fiorente attività mi permette di …
- Sì, lo so, posso immaginarlo. Il denaro utilizzato per comprare queste tende potrebbe sfamare un’intera popolazione – disse Walter amaramente, guardandosi intorno ed esplorando la camera. Ad un tratto, notò dei vestiti puliti e ripiegati sopra il letto. – Cosa sono quelli? Io continuerò ad indossare i miei vestiti, voglio che sia chiaro.
Baelish sorrise di nuovo. –Non so che idea tu ti sia fatto della mia casa dei piaceri, ma non faccio indossare dei cartellini di riconoscimento o dei vestiti appositi a coloro che lavorano per me, come fossero animali. I loro abiti sono perfettamente nella norma. Quelli sono dei semplici pantaloni e una canotta, puoi controllare tu stesso.
Walter continuò a rivolgergli uno sguardo affilato, poi si sedette sul letto lasciando riposare la gamba.
- Come devo chiamarti davanti agli altri?
- Va bene “Evan” – gli rispose il ragazzo.
- Ad ogni modo, se delle clienti ti vedessero e dovessero chiedermi di te, quale scusa vuoi che utilizzi?
A quella domanda, Walter lo fulminò con lo sguardo. – Oh, sono certo che sicuramente sarai in grado di inventarti qualcosa, dato che sei il “genio dell’inganno”, se non vuoi che tutti i tuoi clienti scappino e la tua fiorente attività fallisca: quando voglio so essere spaventoso, puoi chiedere conferma a Cersei.
- Non ne dubito – gli rispose Baelish notando la scintilla nei suoi occhi e preferendo lasciarlo solo.
Walter ebbe appena il tempo di finire un bagno e rilassarsi dalla fatica accumulata in quei giorni, che alcuni cavalieri fecero irruzione nella casa dei piaceri. Il sangue del ragazzo si gelò in quel momento.
- Salve, amici miei! Alcuni dei vostri visi li ho già visti qui dentro – li accolse calorosamente Ditocorto.
- Lord Baelish, siamo qui per controllare se uno dei ragazzi del vostro bordello corrisponda alla descrizione che ci è stata fornita del fuggitivo.
- Non credo che troverete ciò che cercate qui, Ser; ma, come desiderate, vi farò condurre tutti i miei ragazzi.
Walter si mise in fila davanti ai soldati, insieme ad altri cinque giovani. Cercò di rimanere calmo mentre un cavaliere li squadrava ad uno ad uno.
- Nessuno di loro corrisponde – disse infine. – Quelli di statura medio/bassa hanno i capelli o gli occhi chiari. I restanti sono di alta statura.
- Dobbiamo anche controllare se hanno una ferita alla gamba – si intromise un altro.
- Se la descrizione fisica è differente, non serve controllare la ferita.
Tuttavia, il soldato intervenuto non fu soddisfatto e, notando la postura della gamba di Walter, si avvicinò a lui, sospettoso. – Cos’hai fatto alla gamba? – gli chiese. Ma, prima che il ragazzo potesse rispondere, l’altro cavaliere gli si avvicinò, rimproverandolo. – Ser Maxwell, per caso non avete notato che è alto quasi due metri e non corrisponde in nulla alla descrizione fatta dalla regina reggente, se non per i capelli?? Smettetela di infastidire questi ragazzi.
Dopo di che, i soldati se ne andarono, ringraziando Petyr Baelish per la sua disponibilità. Quest’ultimo attese che tutti fossero usciti, poi si avvicinò immediatamente a Walter. – Per evitare altre situazioni come questa, sarebbe meglio che ascoltassi il medico e cominciassi a rimanere a riposo per almeno una settimana, se non vogliamo che quella gamba ci intralci ancora.
 
Cersei era di nuovo di fronte alla salma di suo figlio. Guardava il suo piccolo leone con la pelle ormai grigia e spenta.
- Ti ricordo che abbiamo anche un altro figlio, Cersei. Un figlio che ora è re dei sette regni e ha bisogno di noi più che mai – le disse Jaime affiancandosi a lei all’improvviso.
- Ti ricordo che era anche tuo figlio – disse la donna inacidita.
- Ce l’hai ancora con me per quello che è successo tre giorni fa, poco dopo la sua morte?
- Mi hai praticamente stuprata.
- Addirittura?
- Non dovevamo farlo davanti al suo cadavere. No, Jaime. Sei stato irrispettoso e crudele.
- Non sono proprio gli aggettivi che utilizzerei. Li conserverei più per il nostro defunto figlio.
A quelle parole, Cersei si voltò verso di lui e gli diede un violento schiaffo sul volto. – Non osare parlare più di mio figlio in questo modo – gli disse andandosene e lasciandolo solo. Uscendo da quella sala della Fortezza Rossa, incrociò nuovamente Varys, il quale si inchinò a lei. - Mia regina.
- Lord Varys. Siete stato con mio figlio? Come sta Tommen?
- Abbiamo avuto una riunione del consiglio esattamente poco fa. È molto triste e spaventato ma mi sono occupato di rassicurarlo come meglio ho potuto, non temete.
- Bene, grazie – gli disse lei sinceramente. Tommen le mancava molto, ma, in quei giorni, aveva avuto troppe cose a cui pensare, tra cui la morte del suo Joffrey e la questione riguardante Walter. Non appena il ragazzo le ritornò in mente, cercò di scacciare il pensiero di lui e ricominciò a concentrarsi sull’ultimo dei suoi figli. – La regina Margaery si è già rapportata con Tommen?
- Sì. Sembra che ci sappia fare con i ragazzini così giovani. È una donna piena di sorprese. Sono sicuro che vostro figlio si troverà molto bene con lei; difatti, da come ho potuto notare, Tommen appare già molto affezionato a sua moglie.
No, ciò non poteva permetterlo. Cersei avrebbe rimediato subito. Non le andava affatto bene che qualcun altro oltre lei potesse esercitare un certo potere sui suoi figli. In particolare se si trattava di quella puttana Tyrell con la faccia d’angelo. – Per quanto riguarda il processo di mio fratello, invece? – chiese Cersei, cambiando argomento di nuovo e cercando di scacciare anche quel pensiero.
- Sapete quanto a vostro padre non piaccia lasciare le cose a metà; dunque, ha deciso di rimandare il processo di Lord Tyrion fino al ritrovamento del vostro rapitore – Cersei sapeva che Varys utilizzava quei termini discreti per precauzione, in caso fossero stati visti o uditi da occhi o orecchie di troppo.
- Sappiamo bene entrambi che mio padre non troverà mai il mio rapitore, Lord Varys. È inutile che posticipi il processo di mio fratello. Sono sicura che Tyrion sfrutterebbe questo tempo che ha a disposizione per scamparsela come al suo solito – disse Cersei inquieta, non desiderando altro che vedere quel mostriciattolo morire.
- Già, sappiamo entrambi che Tywin non troverà mai il ragazzo. A meno che, quest’ultimo non provi a lasciare la città in ogni caso. A quel punto, pensate di mantenere la vostra parola? – Cersei sapeva a cosa Varys si riferisse. La stava palesemente mettendo alla prova. Il giorno prima, la donna era andata alla casa dei piaceri di Baelish e aveva detto a Walter che, se avesse tentato di scappare via, lo avrebbe consegnato alle autorità e avrebbe detto a Tommen di metterlo a morte. Il Ragno aveva degli uccellini davvero ovunque, doveva immaginarselo. Varys era intenzionato a scoprire quali fossero i veri piani di Cersei per Walter, dato che, ora, ne era interessato anche lui. La donna pensò a cosa rispondergli, ma, in quel momento, si rese conto di non conoscere neanche lei stessa la verità al riguardo. L’unica cosa che sapeva, era che lo voleva vivo e che non avrebbe permesso che qualcuno lo uccidesse al posto suo o prima che lei avesse ottenuto ciò che desiderava. Ma, in realtà, cosa voleva? La sua vendetta? Voleva che soffrisse davanti ai suoi occhi? Voleva assaporare il suo dolore e saziarsene? Una parte di sé desiderava ciò, mentre l’altra, non ne era più così certa. Il Ragno le stava implicitamente chiedendo quali fossero le sue intenzioni future per lui; d’altronde, quel ragazzo non sarebbe potuto rimanere mesi e mesi nascosto in quel bordello. Sapevano entrambi che si sarebbe ribellato non appena avrebbe potuto, quando la situazione glielo avrebbe permesso. Dunque, doveva trovare al più presto un  modo per trattenerlo ad Approdo finché non avrebbe capito cosa volesse davvero da lui. Era certa che, per il momento, Walter non sarebbe fuggito, sfidando così le sue minacce e rischiando nuovamente la morte; non era affatto uno stupido, non lo era mai stato. Tuttavia, quel lupo irrequieto non sarebbe rimasto calmo e accondiscendente ancora a lungo. Sentiva il richiamo del Nord e della sua famiglia.
- Ovviamente manterrei la mia parola, Lord Varys – mentì Cersei. A ciò, il Ragno le rivolse uno dei suoi soliti sorrisi incomprensibili e si inchinò di nuovo, congedandosi. Ora, per la regina reggente, sarebbe arrivato il momento di pensare anche al nuovo re e di salvaguardarlo da chiunque potesse portarglielo via.
 
Walter aveva trascorso tre giorni dentro la sua camera, tanto lussuosa da fargli venire la nausea, con la gamba a riposo. Nonostante fosse uscito poche volte dalla stanza, aveva già compreso l’andazzo generale e i ritmi di quel riprovevole luogo: per lo più le donne, soprattutto in su con gli anni, erano clienti dei ragazzi, mentre lo stesso avveniva per le ragazze, ma con gli uomini vecchi. Erano visibilmente tutti lord e lady con soldi da spendere come e quando volessero e una vita troppo noiosa e monotona. Non riusciva più a rimanere in quel posto, circondato da quelle persone, da quei rumori e da quegli sguardi; e, come se non bastasse, costretto a rimanere immobile a letto, “attività” che non gli riusciva mai bene. Già sull’orlo di una crisi nervosa, il quarto giorno, Walter decise di uscire fuori e farsi un giro per la città, e, in particolare, a Fondo delle Pulci, dove aveva una minima possibilità di trovare Arya.
Il ragazzo prese un mantello e si alzò il cappuccio dirigendosi verso la porta d’ingresso.
- Dove stai andando? – lo interruppe Ditocorto prima che potesse aprire il portone.
Walter si voltò verso l’uomo. – Esco.
- È proprio contro la tua indole rispettare le regole, non è vero? Hai trascorso appena tre giorni a riposo.
- Non ho bisogno di una guardia carceraria anche qui. Gli accordi che hai stipulato con il tuo socio non comprendono che tu mi tenga chiuso qua dentro senza lasciarmi uscire a respirare un po’ d’aria.
- Non capisco come abbia fatto Cat a riuscire a crescere uno con la tua indole. Lei era troppo calma e pacifica per essere in grado di tenere a bada un figlio del genere.
- Giusto: conoscevi Cat – disse il ragazzo provando a non rabbuiarsi al solo pensiero. Notò che anche Ditocorto aveva cercato di farlo, riuscendo molto meglio di lui nell’intento.
- Eravamo buoni amici, grandi amici. La conoscevo da quando era solo una ragazzina. Ma, per quanto fosse un’anima dolce e sensibile, ancora non riesco a spiegarmi come mai non ti abbia trattato come ogni sposa legittima tratterebbe un bastardo di suo marito. Questo rimane un mistero per me. E Cat è sempre stata l’unica persona che non ha mai avuto misteri per me.
- Me lo sono chiesto anche io, più e più volte. Non sono mai riuscito a darmi una spiegazione.
- Ad ogni modo, chiunque sia stato a cuore a Cat, sta a cuore anche a me.
- Oh, per favore, risparmiamela! Potrai ingannare chi vuoi con i tuoi giochetti, ma non me. Ho già capito che tipo sei. Così come il Ragno.
- Ti sbagli, siamo molto diversi io e Lord Varys.
- Non da quello che mi è parso. In ogni caso, ho anche sentito parlare di te e non propriamente bene, nonostante Cat avesse sempre una parola di riguardo per il suo “fedele amico Petyr”.
- Ned mi ha sempre visto come una minaccia per qualche assurdo motivo …
- O tu vedevi lui come una minaccia?
- Ero felice quando tuo padre e Cat si sono sposati. Era un uomo buono e giusto, dedito all’onore. L’amava e questo mi ha sempre reso tranquillo.
Un dubbio balenò nella mente di Walter riguardo l’uomo, ma preferì accantonarlo, per il momento. In quell’istante, voleva solo allontanarsi da lui per la strana sensazione di viscido che sentiva in cima allo stomaco ogni volta che gli rivolgeva la parola. Il ragazzo voltò le spalle a Petyr Baelish e uscì dalla porta d’ingresso.
Finalmente poteva respirare un po’ d’aria che non fosse quella sudicia e consumata di quella casa. Si addentrò nei primi vicoli che gli capitavano d’innanzi e percorse la strada. Fondo delle Pulci era un luogo molto affollato e la miseria dilagava come acqua in un torrente. Walter fu sconvolto nel notare tanta sofferenza, tanta povertà, come in vita sua non ne aveva mai vista. A Nord non era così. Suo padre aveva fatto in modo che tutta la popolazione godesse più meno dello stesso stile di vita relativamente agiato. Voleva fare qualcosa per aiutarli, per aiutare quella povera gente. Le sue perplessità lo spingevano a chiedersi come mai, nella città del re, potesse esservi una situazione così disastrosa: decine e decine di bambini orfani chiedevano l’elemosina in mezzo alla strada o rubavano dalle tasche dei passanti; vecchi malati e decrepiti dormivano a terra abbandonati a sé stessi; un’infinta varietà di donne, ragazze e bambine, mettevano a disposizione il loro corpo pubblicamente, fermando ogni uomo che incontravano con la speranza che potessero essere sbattute contro un muro e poi ripagate di qualche spicciolo. Aveva percorso solo pochi metri e già sette di loro avevano tentato di fermarlo. Walter non aveva nulla da dare a quella povera gente e a quei bambini; né oro, né oggetti di valore. Era semplicemente un fuggiasco in una città straniera e, le ultime monete che gli erano rimaste, le aveva offerte a quel ragazzino che l’aveva aiutato ad entrare nella Fortezza Rossa e ad uscire dalla città. Cercò il volto di Arya tra quella folla, ma, per il momento, di lei non vi era nessuna traccia.
Il ragazzo si accovacciò accanto ad un vecchio, il quale stava dando da bere al suo cane morente, e accarezzò l’animale. Il suo pelo era morbido ma molto debole e rado. - Come si chiama? – chiese Walter accennando un sorriso al vecchio mentre continuava ad accarezzare il cane.
- Jada – gli rispose l’uomo positivamente sorpreso che qualcuno gli si fosse avvicinato con buone intenzioni.
- È bellissima – commentò il ragazzo mentre il suo sorriso si velava di tristezza.
Ad un tratto, si accorse che un bambino nascosto dietro un angolo, lo stava osservando. Così, volse lo sguardo verso di lui, ma, non appena lo fece, il piccolo corse via. Walter rimase sorpreso da tale reazione. Dopo qualche secondo, intravide anche un altro ragazzino poco distante, ma, questa volta, il suo volto era familiare: si rese conto che si trattava dello stesso che lo aveva aiutato quel giorno. Quando anche il bambino posò lo sguardo su di lui, nonostante indossasse il cappuccio, lo riconobbe, gli sorrise e alzò la mano per salutarlo. A ciò, Walter ricambiò il saluto, si rialzò in piedi e si diresse verso di lui. - Ehi.
- Ciao, signore! Qual è il tuo nome? Non quello che usi per finta, ma quello vero.  – Quel ragazzino aveva ovviamente capito che Walter fosse un ricercato e che si stesse nascondendo sotto una falsa identità per non essere trovato.
- Walter. Ma non chiamarmi così; ora mi devo far chiamare “Evan”. Tu, invece, come ti chiami?
- Alain.
- Alain, non ti ringrazierò mai abbastanza per quello che hai fatto per me.
- Eppure non sei riuscito a fuggire – disse il bambino, quasi come se fosse colpa sua.
- Ma se non fosse stato per te, non ce l’avrei mai fatta a far scappare mia sorella; quindi grazie ancora. - In quel momento, Walter vide di nuovo il ragazzino che era scappato poco prima.
- Qualcosa non va? – gli chiese Alain notando il suo sguardo perso.
- No, niente, è che ho l’impressione che qualcuno mi stia osservando …
- Intendi il bambino che è appena scappato? Lui è uno degli uccellini di Lord Varys. Quella laggiù, invece, è di Lord Baelish, mentre quell’altro della regina reggente.
- “Uccellini”?
- Sì, qui ad Approdo del Re li chiamiamo così. Loro prendono noi orfani dalla strada e ci danno il compito di spiare chi vogliono.
- E anche tu sei uno di loro?
- No, non faccio queste cose.
Walter fu rassicurato da ciò. - Vivi qui?
- La mia tana è in fondo ad una via – disse il bambino indicando un punto lontano.
- “Tana”? Non hai una casa?
- Sono un orfano e mi guadagno da vivere rubando in giro. Qui facciamo tutti così.
- Capisco.
- Cosa hai fatto alla gamba? – gli chiese notando che zoppicava.
- Ho fatto un salto un po’ pericoloso e mi sono ferito mentre scappavo.
- Dov’è il tuo nascondiglio ora?
- È un po’ distante da qui. Non dirai a nessuno che mi hai visto, vero?
- Hai la mia parola.
Walter sorrise al bambino, il quale gli ricordava molto i suoi due fratellini piccoli che gli mancavano da morire. In quel momento, ripensò a loro e sperò che stessero bene, ma fu interretto dalla mano del ragazzino che lo strinse al polso e lo trascinò con sé. Aveva più forza di quanto immaginasse.
- Ehi, dove mi stai portando?
- Oggi è uno dei giorni in cui arriva la nostra principessa! Vieni con me, così la vedrai anche tu! – disse lui entusiasta mentre si faceva spazio tra la folla.
- La “vostra principessa”?
- Sì, la nostra principessa!
Walter non capì cosa quel ragazzino intendesse fino a che, da lontano, non intravide una carrozza fermarsi. Gli sembrò una delle carrozze reali, ma si convinse di essersi sbagliato. Comprese che aveva inteso il vero, quando vide una ragazza con bellissimi abiti e una corona in testa, scendere dal mezzo. Ella si tolse la corona e la porse alla sua dama che l’aveva accompagnata. Non si volle far aiutare per scendere, per non sporcarsi le scarpe o i vestiti pregiati. Camminò tranquillamente nel fango e nella terra, con il sorriso in volto, il quale si allargò ancora di più non appena notò la solita folla di bambini che era lì per lei.
- Ciao, miei piccoli angioletti! Mi siete mancati così tanto! – disse accovacciandosi, allargando le braccia e aspettando che si buttassero su di lei per abbracciarla, cercando di contenerne il più possibile. Quegli orfani erano sudici e sporchi, ma Margaery sembrava felice di stringerli a sé e di sporcarsi come loro. Era come se si convincesse di sopportare un po’ del loro dolore per alleggerirli. Era la prima volta che Walter vedeva la nuova regina e fu piacevolmente sorpreso di constatare che le poche voci che aveva udito su di lei e sulla sua bontà, fossero vere. Ma non si sarebbe mai aspettato che fosse una ragazza con un cuore così grande e vicino al suo popolo. Forse i sette regni avevano una speranza con Margaery come regnante, pensò il ragazzo. Il suo sguardo sembrava puro e sincero, ma, allo stesso tempo, sicuro, brillante e forte.
Vi era una folla di gente composta da persone adulte e bambini, tra cui anche Walter e Alain, ad osservare la regina, la quale era circondata da un cerchio di orfani.
- Non vedo! Non riesco a vedere niente! – esclamò una bambina più piccola degli altri, accanto a Walter. Notandola, il ragazzo la prese in braccio e se la mise sopra le spalle. La piccola appoggiò comodamente il mento sopra la sua testa e le manine sui suoi capelli.
La regina aprì un libro e cominciò a leggere una storia, lasciando che un bambino si sedesse sulle sue gambe. Il racconto narrava di una fanciulla sola e dispersa in un bosco pieno di creature dalle origini antichissime. Ella era una ninfa dei boschi, perciò non era spaventata, ma, ad un tratto, quando scorse un uomo immobile a pochi metri da sé, tremò di paura. Quell’uomo aveva la pelle e gli occhi blu; ma non un blu vivo e lucente, bensì spento, come il colorito che prende la pelle quando diviene morta. La ninfa si avvicinò e lo chiamò, ma lui non riusciva ad udirla. Lei percepì che vi era stata un’anima dentro quell’essere, un tempo, ma che ora, non vi era più nulla. I venti della barriera avevano soffiato, e quando ciò avveniva, significava solo una cosa: l’Inverno stava arrivando.
Walter rimase perplesso da quel racconto e nell’udire di nuovo, dopo tanto tempo, il motto della sua casata. – Estranei … - sussurrò il ragazzo pensando ad alta voce.
- Che cosa hai detto? – gli chiese la bambina che era seduta sopra le sue spalle, affacciandosi da un lato del suo viso.
- No, niente – le rispose lui sorridendole dolcemente.
 
Quel pomeriggio lo trascorse così, esplorando la vita a Fondo delle Pulci, conoscendo il piccolo Alain e ascoltando le storie della “principessa dei bambini”. Quando Walter ritornò nel bordello, dopo alcune ore, entrando, si scontrò con una delle ragazze.
- Oh, perdonami! – le disse, controllando che stesse bene.
- No, non fa niente! Tu sei nuovo qui? – gli chiese immediatamente lei. Walter stette per risponderle, quando, guardandola, si accorse di un particolare. Il suo aspetto appariva nella norma: era una bellezza esotica; di statura medio/bassa; di corporatura minuta e non molto curvilinea; di carnagione mulatta; con i capelli lunghissimi, riccissimi e di un colore tra il mogano e il cioccolato; il viso rotondo, simile a quello di una bambolina e i grandi occhioni di colore diverso fra loro, tra cui uno scuro come l’ossidiana e l’altro quasi giallo per quanto chiaro. Tuttavia, il particolare che notò il ragazzo fu un altro: gli occhi della giovane erano velati di una patina trasparente. In quel momento realizzò.
- Come hai fatto a …?
- A capire che sei nuovo anche non riuscendo a vederti? Hai un odore diverso da quelli che ho sentito finora. Quando si è ciechi, gli altri sensi si sviluppano molto più del normale. - Walter non aveva mai avuto a che fare con una persona cieca, perciò non sapeva assolutamente come comportarsi con lei. Si trovava in alto mare e, nonostante avesse udito più volte parlare di quanto i sensi dei non vedenti fossero sviluppati, non si sarebbe mai immaginato che potessero esserlo fino a quel punto. – Qual è il tuo nome? – continuò lei.
- Evan – rispose lui.
- Non vuoi dirmelo, eh? Non fa niente …
Walter era sconvolto. Solitamente era bravissimo nel mentire; nessuno smascherava le sue bugie. Eppure, quella ragazza lo aveva appena fatto. – No, no, non è che non voglia dirtelo! È che non posso … mi chiedo come tu abbia fatto a capire che stavo mentendo. Solitamente sono bravo in questo, o, almeno, è quello che pensavo fino ad un attimo fa.
- Te l’ho detto che gli altri sensi che ho sono molto più potenti di quelli di tutte le altre persone. Riesco sempre a capire quando qualcuno mente. – Dunque, pensò il ragazzo, sarebbe stato impossibile tenerle nascosta la sua identità. Sarebbe stato impossibile addirittura avere qualsiasi segreto con lei.
- Quindi, ogni altra bugia che ti dirò, verrà scovata da te.
- Esatto.
- In tal caso … : sono qui solo perché mi sto nascondendo sotto una falsa identità. Non lavoro davvero in questo bordello. Non posso dirti altro.
- Va bene così, non importa! Ti trovi in una posizione scomoda, non voglio in nessun modo forzarti – gli ripose lei mostrando un sorriso dolce e luminoso. – Io sono Rebeccah.
- Walter. Ma dovrai chiamarmi “Evan” – si raccomandò lui stringendole la mano.
- Non preoccuparti con me, puoi fidarti. - Era la seconda volta in un giorno che rivelava il suo vero nome a qualcuno e ciò non doveva promettere nulla di buono. Tuttavia, era stato costretto in entrambi i casi e, per qualche motivo, dentro di sé, sentiva di poter stare tranquillo. – Ora, però, devo toccarti il viso.
- Perché?
- Così posso vederti anche io come tu vedi me. Quelli che non hanno la vista lo fanno sempre non appena conoscono qualcuno, è come se fosse un rituale.
Walter si sentì impacciato per non essere a conoscenza di nozioni del genere e si abbassò con il volto per darle la possibilità di toccarlo. La ragazza si soffermò su ogni minimo dettaglio, a partire dagli zigomi, passando per gli occhi, il mento, la fronte, il naso, le mascelle, i capelli … tutto sembrava una sorpresa per lei, una continua scoperta. I suoi polpastrelli erano leggeri ed esperti, e li muoveva come se dovesse scolpire una statua. Walter fu colpito da quella che gli sembrò una strana danza delle mani sul suo viso e dall’espressività viva e trasparente della ragazza. Dopo qualche minuto, Rebeccah allontanò le mani dal suo volto e gli sorrise. – Hai dei bellissimi lineamenti.
- Grazie. Sono rimasto colpito da questa cosa che riesci a fare. Io non sarei mai capace di … - vivere in questo modo. Ma, ovviamente, non lo disse ad alta voce. Quella che gli si trovava di fronte, era una ragazza radiosa, solare e dolcissima e lui non riusciva a non ammirarla per ciò. Non voleva assolutamente rattristarla o offenderla in qualche modo con pensieri del genere.
- Dopo un po’ ci si abitua.
- Quindi non sei nata così?
- Sono nata in un’isoletta ancora più a Sud di qui, vicino Dorne. Da piccola la mia vista era impeccabile. Ciò che fa più male quando ci penso, è che ricordo tutto, ogni cosa, ogni forma, ogni colore: il bianco argenteo della sabbia; l’azzurro limpido del mare di giorno, e il blu che assumeva di notte; l’indaco del cielo; l’ambrato e il rosa della pelle; il rosso delle guance dei bambini; il porpora del tramonto; il bianco immacolato delle nuvole; il nero del manto dei cavalli che possedeva la mia famiglia; il verde smeraldo degli occhi del mio fratellino; il giallo acceso del pasticcio di uova caldo cotto da mia madre … quei colori erano così vivi e brillanti! Poi, un giorno, sono caduta da una scogliera e sono rimasta incosciente per settimane, tanto che i miei genitori temevano che non mi sarei più risvegliata. Quando ho riaperto gli occhi, era diventato tutto nero. Tutti quei colori erano svaniti – disse lei con le lacrime incastonate tra le ciglia. Walter, in quel momento, si accorse che quella ragazza doveva avere una visione distorta: per lui i colori non erano mai stati così vividi e perfetti. Guardò fuori dalla finestra e vide soltanto figure che camminavano sul terreno, figure dai toni spenti, come se ogni colore tendesse al grigio. Le nuvole non erano mai state così immacolate per lui, il cielo mai così splendente, le guance dei bambini mai così rosse. Tutto era composto da una sfumatura di altre sfumature che tendevano a perdersi, ad assuefarsi con il vento. Nulla era perfetto in quel mondo tanto crudele; tantomeno potevano esserlo i colori che lo macchiavano. – Non rimpiangerli così tanto: se potessi vedere con i miei occhi, ti accorgeresti che la perfezione che ricordi, non è reale. A volte, anche io preferirei non vedere affatto. 
   
 
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