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Autore: Mea    18/06/2009    1 recensioni
"Mi è caduto il bicchiere e si è frantumato in un numero indefinito di minuscoli cocci di vetro. Trasparenti. Taglienti. Curvati in modo imprevedibile. Mi chino a raccoglierli a mani nude e mi taglio la punta dell'indice. Non cerco di fermare il sangue. Semplicemente lo osservo." Andromeda e la sua vita, attraverso il dipanarsi dei ricordi.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Tonks, Famiglia Black, Ted Tonks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo aver a lungo tribolato con l'HTML, vi lascio questa storia senza pretese, augurandovi buona lettura  (e chiedendovi qualche pietosa recensione...)!



Vetro, acqua, argento... E un pianto



Mi è caduto il bicchiere e si è frantumato in un numero indefinito di minuscoli cocci di vetro.
Trasparenti.
Taglienti.
Curvati in modo imprevedibile.
Mi chino a raccoglierli a mani nude e mi taglio la punta dell'indice. Non cerco di fermare il sangue. Semplicemente lo osservo.


- Santo cielo, quanto sei sbadata, Andromeda!-
Il fracasso del bicchiere caduto aveva immobilizzato la sala in un invadente mutismo. Era forse la prima volta in tutta la vita che all'aggraziata e perfetta Andromeda capitava di far cadere un oggetto, ma era ovvio che la mamma avrebbe dovuto trovare qualcosa da dire. Non importava se mi avrebbe ferita. Bellatrix emise una risatina stridula, appena percettibile. O, meglio, percettibile solo da me.
- Mi dispiace, madre.-
Pochi secondi. Qualche attimo. Poi il chiacchericcio di sottofondo riprese a tormentarmi le orecchie. Forse preferivo il silenzio. Kreacher, l'elfo domestico degli zii, si mise con zelo a ripulire il pavimento sotto i miei piedi.
- Andromeda, non vorrai disonorare il nome dei Black?- La voce sarcastica e squillante di Bellatrix mi giunse come un'ennesima, fastidiosa puntura alle orecchie.
- In effetti pensavo lo facessi già tu-
La lasciai, ricambiando il suo astioso sorrisino, e mi diressi verso un gruppetto di ipocriti, pettegoli, aristocratici purosangue...
- Mio Dio, quella giovane non ha più pudore...Girare con quella gente, e in pubblico per di più! E la sua povera famiglia...un tale dolore...- Pareva che la grassa Dorothy Loewhenthal non trovasse argomento più interessante da un anno a questa parte.
- Strano, ero convinta che i suoi non avessero faticato a diseredarla e a cancellarla dalle proprie esistenze...-, azzardai, inserendomi inaspettatamente nella conversazione.
Fu il viscido Alanus Gobelin a rispondere: - Avete proprio un bel caratterino, Signorina Black...Cosa vi fa supporre che la famiglia Bulstrode, pur malvolentieri, non sia stata costretta dall'atroce necessità...-
- Oh, molto semplicemente il rapporto verso Amanda non mi è mai sembrato di vero e proprio amore paterno...Oserei dire distaccato, se non di totale indifferenza...-
- Siete solo una bambina, Andromeda...- Mi infastidì il suo tono nel pronunciare il mio nome. -E d'altra parte dovreste piuttosto interessarvi al comportamento di vostro cugino. Ultimamente mi sembra ancora più...-
-Vivace, vero? Non vi preoccupate, amo molto trascorrere del tempo con lui. E ora, se volete scusarmi...-
Mi allontanai dal gruppetto. Sicuramente le mie parole sarebbero state riferite ai miei genitori. E allora avrei dovuto sopportare altri sguardi, altri silenzi, altre frecciate maligne. Ma, in fondo, c'ero abituata.



Un frammento di vetro particolarmente grande attira la mia attenzione. Il mio occhio nocciola ci si riflette dentro. Prendo quel coccio nella mano. Lo stringo. Non fa male, almeno non fisicamente. E poi riguardo il mio occhio. E' circondato da sottili rughe. Ad ogni modo, può ancora essere considerato attraente. Lo è sempre stato.


Un colpo di spazzola dopo l'altro, davanti allo specchio. Non mi piaceva andare a dormire senza prima essermi dedicata a questo piccolo momento di intimità. Avevo sempre amato la mia immagine riflessa, eppure, da qualche tempo a questa parte, non riuscivo più a darle significato. Mi vedevo e non mi capivo. La ragazza dall'altra parte dello schermo cercava di comunicare, ma non la sentivo più. E, soprattutto, non sapevo chi fosse.
- Che cos'è questa?!-
Narcissa era entrata di scatto nella mia stanza, sbattendo la porta. Brandiva minacciosamente una lettera in mano. Non l'avevo mai vista così furiosa. Era una caratteristica che non si addiceva alla fredda, calma, posata Cissy.
Feci finta di non sapere a cosa si stesse riferendo: -E' per me quella lettera? Non sapevo di aspettare della posta...-

-"Cara 'Dromeda,
come stai? Mi fa male saperti imprigionata tra quelle belve... Ogni giorno penso ai nostri piccoli momenti sul lago, ad Hogwarts, a quei minuscoli ritagli di pace, che ci permettevano di dimenticare tutto, persino la loro "illegalità"... Ho voglia di rivederti, eppure so che questo è impossibile. Rileggo le tue lettere... Perchè non mi dici tutto? Perchè fai finta di stare bene, quando so benissimo che non è così? Smettila di metterti questa maschera... Alcune persone si lasciano ingannare, ma io no. Non dopo che ti ho vista sorridere.
Ti prego sii sincera. Almeno con chi ti ama.
Tuo,
Ted Tonks"

- Non dovevi leggerla. Non è affar tuo.- Questa volta ero io ad essere diventata gelida.
- Non conosco nessun Ted Tonks.- Evidentemente era una scontro con spade di ghiaccio.
- No. E infatti non te ne deve importare nulla.-
- Io conosco tutti i purosangue.-
- Come quel Malfoy? Ho visto poche persone più viscide di lui.-
- Non cambiare argomento.-
Non risposi più, mettendola in difficoltà. Volevo vedere cosa aveva intenzione di fare. Sembrava confusa.
- Non ti riconosco più. Mi fai schifo.-
Si stava sciogliendo. Capiì che non voleva dirlo ai nostri genitori, almeno non per ora. Ma mi faceva male litigare con lei, avrei preferito le urla di Bellatrix.
Altro silenzio. Il cuore mi batteva forte. Non sapevo cosa fare.
- Tu non mi capisci. Non sai nulla di me.- Era la prima, banalissima cosa che mi era venuta in mente.
- Evidentemente no. Che illusa, pensavo di conoscerti.-
- Hai sedici anni. Sei solo una bambina.- Le ripetei ciò che io mi sentivo dire ogni giorno.
- Una bambina che capisce che stai diventando come "loro".-
Mi irritò. - Chi sono "loro"? I mezzosangue,i babbani? Chi ti ha insegnato a parlare così? Malfoy?-
Uno schiaffo, diretto, forte, doloroso, mi arrivò sulla guancia. Era mia sorella minore, come poteva permettersi di fare una cosa simile?
- Mi fai schifo.- ripetè. Era di nuovo diventata impassibile, algida, cattiva.
- Voi lo fate a me.- Non volevo dirlo, non a lei. Stava diventando come il resto della famiglia, come quel verme con cui usciva. La stavano plasmando. Eppure non potevo ancora odiarla.
Mi fissò intensamente con i suoi occhi azzurri. Poi buttò la lettera per terra e la calpestò. Riusciva ad essere aggraziata anche in questo.
- Immondizia-, disse. Mi venne voglia di restituirle lo schiaffo, ma lei uscì, sbattendo nuovamente la porta.
Fu l'ultima volta che mi parlò.



Il lato levigato del coccio riflette una miriade di bagliori colorati. Rossi come la passione, puramente bianchi o blu come il mare. Gialli come la gelosia, verdi come la speranza, o mortalmente neri. O, infine, trasparenti come le lacrime.
Tutte sensazioni che ho provato e che ora si irradiano nel mio palmo in una mistura di violenti sentimenti.


Il lampadario di cristallo emanava una luce irreale nella stanza. Vivida, avvolgente, ma anche incolore e quasi infida. Non ti rassicurava quella luce. Al massimo ti metteva più paura del buio.
Era una cena con tanto di riunione familiare. Al tavolo sedevamo io, Bella e suo marito Rodolphus, i nostri genitori, gli zii e anche il nipote di mia madre, Evan Rosier. Narcissa, Sirius e Regulus erano appena stati allontanati per l'inizio della conversazione riservata agli adulti. Io stavo tremando.
- ... Dovevate sentirlo, quel babbano fangoso...come urlava...come mi implorava di smettere... E io finalmente avevo potere su quello schifoso rifiuto, come sarebbe giusto che fosse per tutti noi...- Bellatrix sembrava provare un morboso gusto nel soppesare le parole più crude, le sceglieva con cura. La bocca era contratta in un sorriso di folle piacere. E, cosa ancora peggiore, incantava tutti i presenti. Tranne me. Io stavo tremando.
- Ah, Bellatrix...- La voce di mio padre esprimeva il più intenso orgoglio.-Questo Signore Oscuro, questo Lord Voldemort... Com'è? Devo saperlo, vederlo...-
- Noi ci asteniamo dal pronunciare il suo nome.- lo interrupe Evan, con un tono irritato. - Gli portiamo rispetto.-
- Ma certo... Lui, Bellatrix...Dovresti presentarcelo...Io e tua madre siamo troppo vecchi per combattere, ma possiamo ancora...-
- Di solito Lui non si mostra ai non iniziati. Ma nutre grandissima stima verso la famiglia Black. Spera che gli porterete altri seguaci.- precisò Rodolphus.
- Tutti i nostri figli. Maschi e non.- Zia Walburga guardò mia madre in attesa di una conferma. Lei rispose con un sorriso. Il pìù orribile sorriso che avessi mai visto. Io stavo tremando.
- ...e quando ho preso il suo sporchissimo figlio!- Bellatrix continuava estasiata a raccontare, come se non fosse mai stata interrotta. -Ah...Urlavano, lui e sua moglie...imploravano, chiedevano pietà...E quando l'ho ucciso...
Non ce la feci. Mi alzai di scatto. - Mio Dio...-
Avevo voglia di piangere. Mia madre mi fissò preoccupata. -Cara, ti senti bene?-, disse, con un'incredibile naturalezza.
-Mio Dio-, ripetei, le guance rigate dalle prime lacrime. Aprivo e chiudevo la bocca come un pesce che non riesce a respirare, non trovando nè le parole nè i pensieri adatti. Ero paralizzata.
- Tesoro...- Mia madre si alzò e si avvicinò a me. La respinsi.
Li fissai, uno per uno, incapace di dare una spiegazione plausibile. Loro fissavano me. Ed erano degli assassini. Boia armati di coltelli insanguinati. Ed erano la mia famiglia. Ed erano come drogati, travolti dal piacere. Ed erano...
Tutto non aveva senso o forse, dopo tanti anni, lo aveva. Non provavo più la solita sensazione di precipitare in un baratro, lanciando grida inascoltate. Questa volta nel baratro c'erano dei demoni, e quei demoni erano loro.
- Basta!- Urlai. -Basta!-
-Andromeda...- Mia madre sembrava veramente preoccupata. Tutti lo sembravano. Solo Bellatrix si alzò e mi guardò con degli strani occhi. I suoi veri occhi. Erano compiaciuti.
- Vattene- sillabarono le sue labbra. Nessuno la sentì. Nessuno la vide. Tranne me.
Sirius e Regulus erano scesi giù, seguiti da Narcissa. Lei mi fissava, e scuoteva leggermente la testa. Sembrava triste, delusa forse. Sirius disse soltanto: -'Dromeda...- Non capiva cosa stesse succedendo, ma si rendeva conto che era qualcosa di grave.
Diedi ancora un'ultimo sguardo alla luce vivida della stanza. Mi stava soffocando. Avevo sempre saputo che non ci si poteva fidare di lei. E, nella confusione, una sola cosa mi apparve chiara.
-Vattene-
Scoppiai definitivamente in un pianto dirotto e corsi via dalla stanza. Fuggivo.
Mi seguivano, i miei. Urlavano il mio nome. Ancora non capivano.
Solo Bellatrix camminava. E Narcissa era rimasta immobile sulle scale.
Sirius si divincolò dai suoi e iniziò a correre. Lo stavo abbandonando.
Attraversai il giardino della tenuta. Il vento asciugava le lacrime che mi rigavano il volto, rendendole ancora più dolorose. Erano fredde e bruciavano.
Senza che nessuno potesse fermarmi, scavalcai il cancello.
Quando fui fuori mi voltai e li guardai.
Erano tutti confusi.
Tranne Bellatrix. Lei sorrideva.
Mi smaterializzai. Fu l'ultima volta che la vidi. Almeno, da viva.



La ferita non smette di sanguinare. Prendo un fazzoletto e lo stringo attorno al dito. Sulla stoffa biacca comincia ad allargarsi una macchiolina rossa. Che strano, non mi fa male, eppure perde così tanto sangue...
Dopo un po' riesco a fermarlo. Sul dito rimane però una microscopica, ma profonda breccia tra i due lembi di pelle.


Avevo freddo. Eppure mi piaceva così tanto stare ferma sul balcone a guardare l'alba che nemmeno il gelo più pungente avrebbe potuto strapparmi a quella pace assoluta.
Il cielo sfumava da un dolce rosa ad un azzurro pallido, mentre un sottile filo di luce traspariva dalle nuvole. Al di sotto si apriva una distesa di case babbane, con i fiori sui davanzali delle finestre, i cani che iniziavano a girare nei giardini e gli abitanti che ancora dormivano, ignari dell'esistenza di altri esseri umani che con una bacchetta magica potevano far levitare gli oggetti, di tanti maghi Merlino. Forse, più che il cielo, erano quelle casette tutte uguali alla nostra a incantarmi.
- Non hai freddo?-
Ted era arrivato silenziosamente alle mie spalle, e me le aveva cinte con una grezza coperta di lana.
- Be', così va meglio- gli dissi, voltandomi con un sorriso. Adoravo i suoi capelli di un biondo scuro, la sua voce calda e rassicurante, forse ogni piccola caratteristica che gli appartenesse. Probabilmente amavo tanto le dimore babbane perchè mi ricordavano lui.
- Entriamo a fare colazione?-
Mi allontanai da lui e incrociai le braccia. -Solo se la prepari tu...-
Lo guardai ancora, mentre mi sorrideva. Mi resi pienamente conto del fatto che solo da quando avevo sposato Ted Tonks, finalmente, avevo imparato cosa vuol dire essere felici.



Mi alzo, dopo quelli che mi sono sembrati minuti interminabili.
Quanto tempo è passato?
Da quando mi è caduto il bicchiere, da prima, dai momenti in cui sono diventata una persona diversa?
Quanto?
Cammino, vago tra le stanze. La tappezzeria, i tappeti, le fotografie: tutto scorre davanti ai miei occhi, tutto mi incanta e tutto mi ferisce.
Ancora.



Ted stava fissando la parete da un tempo indefinito. Guardava i ritratti, le minuscole imperfezioni della tappezzeria. Era difficile trovare qualcosa fuori posto in quella casa, non dopo che Andromeda aveva iniziato a viverci e, di conseguenza, a portarvi la sua furia domestica.
Accennò un sorriso.
La mano si contrasse, involontariamente. Era nervoso. Molto nervoso.
La porta si spalancò all'improvviso e ne uscì una medimaga. Sorrideva.
-Stanno tutte e due bene. E' una femmina...-
Non fece in tempo a finire la frase che l'uomo si era già precipitato nella stanza. Peccato, avrebbe dovuto comunicargli quel piccolo particolare...

Andromeda era appoggiata alla testiera del letto, stanca ma felice. Aveva in braccio una bambina. La bambina aveva i capelli rosa.
Ted ci mise un attimo a focalizzare la situazione.
Andromeda era appoggiata alla testiera del letto, stanca ma felice. Andromeda stava bene.
Aveva in braccio una bambina. La loro bambina.
La bambina aveva i capelli rosa.
No, la bambina aveva i capelli viola.
Giallo canarino.
Fu Andromeda a salvarlo da quel baratro di confusione. Rise: -E' una metamorfomagus. Può cambiare l'aspetto a suo piacimento. E pare che si diverta molto...- La giovane donna guardava la piccola, con un'intensità che Ted non aveva mai visto in un essere umano. Amava quella banbina. E la amava anche lui.
Come non aveva mai fatto.



Prendo in mano una cornice con una foto. Raffigura un uomo e una donna che stringono a se' una ragazzina di circa undici anni, dai capelli rosa, che mostra tutta orgogliosa la sua divisa scolastica dai colori beige e nero.
Sembrano felici.
Qualcosa di bagnato cade e si posa sul vetro che protegge la foto.
Altro vetro, è il materiale che mi divide da quelle persone. Io invece vorrei affondarvi, immergermi in esso e oltrepassarlo.
Ma è vetro, ed è fragile ma anche duro.


Il vaso posato sul tavolo cadde a terra e si ruppe.
Chissà perchè colpire il vaso, poi.
Forse solo per un innato amore di distruzione, o perchè era troppo "babbano" per loro.
Non c'era Bellatrix.
Erano tutti mascherati ma, se ci fosse stata, lo avrei saputo.
La risata del mangiamorte fece crescere la mia rabbia. Li odiavo, tutti.
- Il Signore Oscuro vuole uccidere tua figlia, Black.-
Ne ero a conoscenza. Da molto tempo. E non potevo fare nulla per contrastarlo. Sentire il nome "Black" pronunciato con tale disprezzo mi diede però un insano piacere: evidentemente gli appartenenti a quella famiglia non erano più ben visti dai Mangiamorte.
- Tonks- risposi, cercando di rimanere impassibile.
- Che sfacciata. E pensare che avevo in mente di riservarti un trattamento migliore, giusto perchè sei purosangue. Te lo sei giocato.-
Ringraziai che mia figlia non fosse presente. Almeno per ora era salva.
Mio marito cercò di dibattersi tra le braccia dei Mangiamorte. Erano in tre per trattenerlo.
- Mezzosangue...Ted, giusto? Perchè non ci racconti qualcosa su Harry Potter? Devi conoscerlo bene...-
- Scordatelo.- Sul volto aveva dipinto tutto il suo disprezzo.
- No che non me lo scordo.- Il tono del Mangiamorte non era più di scherno. - Il Signore Oscuro vuole sapere tutto su di lui, e sta tranquillo che tu e tua moglie ce lo direte. A voi la scelta se prima o dopo. Noi non abbiamo fretta.-
Mio maritò non aprì bocca. Sapevamo a cosa stavamo andando incontro. Avevo paura, ma riuscivo a non mostrarla.
Fu il Mangiamorte a parlare. - Male...-
L'urlo di Ted lacerò la stanza. Non riusciì a trattenere un gemito.
- Allora? Adesso che mi dici?-
Ted stava ansimando. Alzò la testa. - Niente.-
- Passiamo a tua moglie...-
Vidi ancora lo sguardo terrorizzato di mio marito.
Poi fu solo dolore.



Sento qualcosa di bagnato nel pugno chiuso. Lo apro: la ferita ha ricominciato a sanguinare.
Un grumo rosso si è formato nel mio palmo. Vado in bagno per lavarlo. L'acqua scorre limpida sulla mano.


Le ore passavano. E io non sapevo che fare. Avevo paura, più di quanta non ne avessi mai avuta in tutta la mia vita.
Ted non c'era. Se ne era andato via qualche mese prima, senza nemmeno salutarci. Me l'avevano portato via. E ora non era lì, a starmi vicino, a tenermi la mano. Lui che, per tutta la vita, mi aveva dato la forza di affrontarla.
Non avrebbe dovuto fare quel lavoro, Ninfadora. Avevo sempre cercato di dirglielo, era troppo pericoloso. C'erano altre persone che potevano svolgerlo. Ma perchè lei?
E le ore continuavano a scorrere, io non sapevo che fare e avevo paura. Ted non c'era e Ninfadora ormai era lontana da me. Forse era viva e stava bene. O forse no...E Remus?
Mi sentivo intrappolata, di nuovo. Come quando, da giovane, mi sembrava di urlare senza che nessuno potesse sentire il mio grido, o, peggio, che lo volesse ascoltare.

Poi comparve un gatto. Argenteo, quasi fluido.
Caddi a terra. Un grido.
Mi piegai in avanti. Un altro, lungo, grido.



I ricordi forse fanno solo male. Soprattutto se non hanno più alcun significato.
Quando ero una ragazza, mi guardavo allo specchio e non capivo il senso di ciò che vedevo. Ora vedo il mio volto riflesso sul vetro, sull'acqua, su un patronus argenteo, e continuo a non comprendere nulla. Mi sembra tutto ancora più vuoto di prima.
Solo che sto così male e poi sento un pianto, il pianto di un bambino. Un pianto che mi dice: -Vivi, Andromeda, vivi, perchè ci son qui io-
E io vivo, Teddy, vivo, perchè ci sei qui tu.

  
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