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Autore: Huilen4victory    18/09/2017    1 recensioni
La storia di Seokjin e Namjoon, come si sono incontrati, le difficoltà che hanno attraversato, come si sono quasi persi e come infine si sono ritrovati, anche se lontanissimi dal punto di partenza.
“Signora Kim, Signor Kim, vostro figlio Kim Namjoon è l’anima gemella dell’erede dei Kim, Kim Seokjin.”
Improvvisamente tutti gli sguardi dei presenti si concentrarono su di lui. Namjoon si sentì di nuovo come quella volta in cui aveva rotto senza volere la tazza preferita di sua madre. A quel punto, si disse, tanto valeva mangiare qualcosa. Si infilò un cornetto in bocca per evitare di urlare.
La sua vita, lo sapeva, era sul punto di cambiare ma non sapeva se questa volta avrebbe gradito la svolta.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kim Namjoon/ RapMonster, Kim Seokjin/ Jin, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2.5


 

Contrariamente a ciò che uno poteva ipotizzare, considerando il non celato scetticismo che aveva sempre dimostrato nei confronti delle anime gemelle e del fallace sistema di assegnazione delle stesse, Namjoon aveva avuto davvero poche esperienze in campo amoroso.

Era sempre stato troppo preso da se stesso, dai suoi pensieri e dalla sua musica per lasciarsi prendere dalla curiosità, e dalla tentazione, di voler provare a vedere come fosse avvicinarsi fisicamente a qualcuno. Quanto alla vicinanza emotiva, Namjoon non poteva neanche pensare di immischiarcisi, i rischi di perdere il controllo su ciò che non si poteva scegliere erano troppo alti ed era troppo insensato e folle credere che non ci potessero essere delle conseguenze.

Il suo amico Yoongi ne era uno sfortunato esempio.

Per farla breve, in definitiva, Namjoon non aveva mai baciato nessuno prima di Seokjin.

E tutti i baci che erano seguiti a quello di quel primo giorno durante l'introduzione, in cui il maggiore aveva con tanta naturalezza e calma appoggiato le labbra sulle sue, non erano peraltro mai stati un'idea di Namjoon. Era sempre stato Seokjin a iniziare ogni loro contatto fisico.

Namjoon si era spesso domandato se questa inattività fisica potesse essere considerata una idiosincrasia reale o indotta, se fossero infatti i suoi principi a frenarlo o se ci fosse invece qualcosa di tangibile che gli stesse impedendo di farlo. Il fatto che una parte di lui volesse credere che la loro unione fosse stata una ennesima bizzarria del sistema, era un elemento che aveva sempre sospeso il suo giudizio.

Il sospetto che in realtà fosse solo una mal celata paura di cedere, perchè cosa ne sarebbe stato di lui se non avesse avuto i suoi principi a tenerlo in piedi, era qualcosa che non riusciva a togliersi dalla testa.

Esistono destini peggiori, si era detto Namjoon cercando miseramente di razionalizzare con se stesso. Esistono destini peggiori del dover rinunciare a ciò che si vuole.

Tuttavia, nonostante l'ombra che era scesa su di lui e che non ne voleva sapere di andare via, più il tempo passava e i giorni trascorsi in compagnia di Seokjin andavano accumulandosi l'uno dietro l'altro, più Namjoon iniziava a pensare che anche se una metà di lui veniva uccisa almeno l'altra avrebbe potuto avere Jin.

Dopotutto era innegabile che ci fosse un che di recondito, e perchè no di dannatamente romantico, nel preservare ogni parte di se per la propria anima gemella. Se Namjoon avesse saputo guardarsi meglio sin dall'inizio, e andare oltre il suo pregiudizievole scetticismo, avrebbe capito subito che una capitalizzazione dei suoi sentimenti era inevitabile.

Perciò si, in quell'attimo di assoluta perfezione in cui Seokjin lo aveva guardato con tutta la sua affettuosa benevolenza, Namjoon non aveva potuto fare altro che sporgersi in avanti e carpire le labbra di Jin in un bacio, il primo che lui avesse iniziato.

C'era stato un senso di soddisfazione, come se tutto il suo corpo avesse gioito di quel suo momento di resa, euforia che gli esplodeva nel cervello nel sentire le labbra di Seokjin muoversi con le sue, mentre una folle necessità di toccare Jin, di sentire il calore della sua pelle si faceva strda dentro di lui.

Chissà come sarebbe stato se Seokjin lo avesse guardato da sotto in su, disteso di schiena su quello stesso prato, labbra umide e in attesa.

Fu allora che la sua mano, come se si fosse mossa di sua propria volontà, si appoggiò sulla spalla di Jin e prima che ne se rendesse conto le loro prospettive si erano ribaltate e il maggiore era finito col trovarsi veramente disteso di schiena che lo guardava da sotto in su con sguardo leggermente stupito. Namjoon lo guardava stupito a sua volta perché non era questo che aveva avuto in mente, (anche se davvero dio solo sapeva che cosa aveva avuto in mente). Era come se tutte le volte in cui si era opposto a quella attraente corrente elettrica presente fra di loro, si fosse accumulata per scoppiare in quell’unico momento e il suo corpo avesse agito richiedendo, pretendendo, il contatto con Seokjin.

“Namjoon,” aveva sussurrato il maggiore e Namjoon aveva continuato a guardarlo come ipnotizzato mentre la mano dell’altro si sollevava per accarezzargli la guancia come per riportarlo in sé.

Funzionò. Perché fu allora che realizzò la situazione in cui lui stesso li aveva messi. Il maggiore lo stava guardando con lo stesso sguardo gentile di sempre, ma il suo corpo si era irrigidito in una evidente posa di rifiuto.

Namjoo boccheggiò.

Fu come essere colpiti allo stomaco, capire che lui non era l'unico ad avere delle remore, e che forse c'era la possibilità che fosse così da un po'. Ma da quando? In quale frangente aveva dimenticato di badare a un dettaglio così importante.

Namjoon lasciò subito andare il maggiore troppo scosso dalla rivelazione, e Seokjin si mise a sedere lentamente, e il più giovane sentì il suo sguardo posarsi intensamente su di lui, e con la coda dell'occhio vide la mano di questi alzarsi come a voler accarezzare, per poi tuttavia cadere inerte sul fianco.

“Andiamo,” Seokjin suggerì poco dopo, alzandosi e porgendo una mano a Namjoon per aiutarlo a rialzarsi. Namjoon annui ancora rosso in volto, e nonostante all'apparenza non ci fosse nulla che tradisse cosa potesse star pensando Jin in quel momento, le loro mani si lasciarono non appena il più giovane si fu messo in piedi e anche se poi aveva camminato a meno di mezzo metro di distanza l'uno dall’altro, improvvisamente sembrava ci fosse uno spazio troppo grande fra di loro.

Cosa era successo in quei pochi attimi in cui erano saliti in alto per poi ricadere dolorosamente a terra? Perchè era evidente che a Namjoon per ennesima volta era sfuggito qualcosa, e ultimamente sembrava che le sue capacità deduttive di cui era sempre andato fiero, stessero facendo cilecca e di brutto.

Era sempre stato evidente per lui quanto fossero due pezzi male assortiti perchè non potevano esserci persone più diverse che fossero destinate a stare insieme, ed ora che aveva infine un'evidenza dei suoi sospetti di tante notti, ma allora perché dunque quel pensiero lo feriva invece di fargli provare soddisfazione?

Il modo in cui Jin lo aveva guardato lo tormentò per tutta la notte e il mattino non contribuì affatto a spazzare via il suo senso di smarrimento, perché quando infine Namjoon si sedette in sala da pranzo per fare colazione si era trovato il sorriso gentile di Jin ma anche un mal celato imbarazzo nei suoi modi, e una cortesia un po' affettata che era troppo Kim e troppo poco Jin e Namjoon desiderava non sentire più Seokjin usare quel tono di voce con lui, anche se gli aveva solo chiesto di passargli il burro.

Avrebbe voluto poter parlare con la sua anima gemella a tu per tu e provare ad avere una conversazione sincera con lui. Si rese penosamente conto che non era qualcosa che avevano fatto spesso e il pensiero lo rattristò un po'. Era la prima giornata che avrebbe trascorso assieme al console Kim e Namjoon non sapeva cosa aspettarsi ne quando avrebbe trovato un momento adatto per poter parlare con il maggiore.

Cercò di rassicurarsi pensando che almeno avrebbe trascorso del tempo con Seokjin, dal momento che il console Kim gli aveva assicurato che suo figlio sarebbe stato presente alla maggior parte dei loro incontri. Tuttavia non appena ebbero finito di fare colazione e furono congedati, Namjoon si trovò da solo a percorrere il lungo corridoio che dalla sua dependance portava alla parte della villa dove trascorrevano più tempo i Kim, e aveva continuato a esserlo anche quando l'attendente lo aveva infine fatto accomodare nella biblioteca dove la volta prima il signor Kim gli aveva fatto fare un brevissimo tour.

Namjoon si disse che era pronto, che era stato avvisato di questa eventualità, ma non poteva fare a meno di sentirsi smarrito e decisamente preso in contro piede. Si rese conto ancora una volta quanto avesse contato sulla la presenza positiva di Seokjin.

Namjoon avrebbe voluto volentieri avere la possibilità di avere un faccia a faccia con il suo cervello e capire cosa esattamente avesse fatto corto circuito li dentro.

In quel momento qualcuno bussò alla porta annunciandosi e poi entrò nella stanza. Namjoon impacciato, si alzò dalla poltrona dove si era seduto, pensando si trattasse del signor Kim (segretamente sperando fosse invece Jin).

Certamente non si era aspettato che da quella porta entrasse una sconosciuta. Si trattava infatti di una donna sopra i trenta, che il giovane si ricordava vagamente di aver visto tra l'entourage dei Kim.

Perplesso, Namjoon rimase in piedi, immobile e in attesa. Per fortuna gli venne risparmiato il compito di rompere il ghiaccio.

“Buongiorno Namjoon, io sono la signorina Choi, una dei collaboratori del console Kim. Il console stamani aveva un'importante riunione, e mi ha incaricato quindi di iniziare a introdurti in quelli che saranno i tuoi futuri compiti,” disse con voce gentile e sorriso impeccabile. Namjoon si disse che avrebbe dovuto aspettarselo, che non poteva certo aspettarsi che il console Kim, l'uomo più impegnato della nazione, dedicasse del tempo a lui, Kim Namjoon, neanche se era il numero uno dell'erede e quindi di fatto suo genero. Per quanto il fatto di non dover passare del tempo con lui lo sollevasse, lo disturbava al tempo stesso.

Aveva sempre l'orribile impressione che le parole del console fossero mendace.

“Dove è Jin?” chiese, perchè questa era un'altra delle cose che lo disturbava di tutta questa faccenda.

“Il giovane erede è andato a lezione come ogni mattina,” prosegui la signorina Choi come se fosse quasi insensato che Namjoon se lo domandasse. Naturalmente, pensò questi, ma anche lui aveva lezione eppure non ci era andato, si trovava invece in quella stanza con una sconosciuta per fare dio solo sapeva cosa e il tutto aveva l'aria di uno strano esperimento da laboratorio.

“Non so se il console Kim ti ha mai accennato perché sei qui e perché hai bisogno di imparare il più possibile, il prima possibile, ma nel qual caso sarò lieta di spiegarti tutto in modo chiaro ed esaustivo,” continuò la giovane donna senza smettere un attimo di sorridere. Quello di lei era un sorriso che non conosceva preoccupazioni o quasi, quello che dicevano fosse il sorriso dei numeri due, di quelle persone che avevano raggiunto uno stato di beata completezza. Non può piovere in presenza del sole pertanto non si poteva essere tristi in presenza della propria anima gemella. Eppure Namjoon non ricordava di aver sorriso mai meno che da quando i Kim erano entrati nella sua vita.

“Si, sembra che tutti si siano sforzati di farmelo notare sin dall'inizio,” Namjoon rispose sopprimendo un sospiro mentre tornava a sedersi sulla poltrona e ripensava alle parole che avevano detto, peraltro neppure a lui, i due avvocati il giorno in cui erano piombati in casa sua. “La formazione di Namjoon è importante perché importante sarà il ruolo che vostro figlio andrà a ricoprire.”

Erano state queste grosso mode le parole con cui avevano giustificato la messa in moto di tutti gli accorgimenti successivi. Il trasferimento, le scelte imposte, le menzogne, tra cui la bugia più grande di tutte, quella che Namjoon era stato costretto a dire alla sua anima gemella, con cui invece avrebbe dovuto condividere tutto.

Ma in quella casa, fra quelle mura, c'erano fin troppe cose non dette e tutti erano capaci di mascherare i propri sentimenti e pensieri talmente bene, che Namjoon spesso si chiedeva se non fosse finito dentro un'opera buffa, in cui tutti si fossero messi d'accordo per recitare la propria battuta al momento debito. In un certo senso il giovane poteva capire quanto in politica fosse importante mantenere il controllo, ma era triste rendersi conto come questo si trascinasse persino all'interno delle mura domestiche, quanto ci fosse di non detto nella casa dei numeri due per eccellenza.

Persino da parte di Jin.

Aveva sempre pensato che il maggiore fosse un'eccezione, che non ci fossero nuvole nel suo cielo, ma dopo l'episodio del giorno prima Namjoon stava iniziando a pensare che Jin fosse più stratificato di quanto gli avesse dato credito e che lui lo avesse dato - a torto - troppo per scontato.

“I Kim sono una famiglia consolare, di primo grado Namjoon. Sebbene il peso dello stato non si regga interamente sulle spalle dei due consoli, perchè i padri fondatori nella loro avvedutezza hanno messo più organi a garanzia, tra cui il nostro benemerito senato, il ruolo ricoperto dai consoli è fondamentale. Ogni numero uno di un erede Kim è passato per la stessa preparazione anche la signora Kim,” aggiunse la signorina Choi cordiale e Namjoon dovette farsi forza per non sollevare un sopracciglio scettico. La madre di Seokjin sebbene più affettuosa e più normale nei suoi modi di quanto lo sarebbe mai stato il console Kim, non sembrava affatto qualcuno che si occupasse o avesse occupato un ruolo politico di peso nel consolato.

“Il nostro è il mondo migliore possibile e il senato con i consoli lavorano affinché così rimanga, ma nonostante nel tempo molte delle imperfezioni siano state smussate, molte cose ancora vanno fatte. Il ruolo di chi lavora al servizio dello stato è operare nell'interesse comune anche quando la comunità non comprende o non ha ben chiaro dove risieda questi. Mai sentita l'espressione reggere il timone del governo? Considera lo stato come una nave e i consoli come i timonieri di questa nave che devono guidare verso la giusta direzione. La violenza o la forza non sono opzioni percorribili, quindi molto spesso la politica è di fatto solo una questione di fiducia e credibilità. Il primo console Kim è un genio della politica manca tuttavia di quelle qualità che rendano appetibili le sue proposte ed è qui che è entrata in campo la signora Kim. Probabilmente molte leggi impopolari sarebbero state accolte con meno favore se non ci fosse stata la signora Kim a smussarne gli angoli. Concetti come percezione e immagine sebbene all'apparenza superficiali, sono importanti. I Kim non sono solo una famiglia consolare, ma rappresentano tutte le coppie numero due e come tali devono sempre dare l'esempio,” spiegò la giovane con entusiastica convinzione.

Namjoon non sapeva bene quali sarebbero state le parole adatte ad un discorso del genere. Era ovvio che questa signorina Choi fosse molto devota alla famiglia Kim, e sebbene razionalmente Namjoon avesse compreso le sue parole, e quanto detto non facesse una piega, il tutto era, tuttavia, in grado di fargli girare la testa.

Il peso di quanto veniva implicato era tale che se gli fosse stato concesso di essere se stesso per un attimo, si sarebbe volentieri rotolato sul pavimento in protesta.

Forse la sua reazione era eccessiva, forse, dopotutto, si trattava semplicemente dell'ineluttabilità del crescere e del diventare adulti e dell'imparare ad assumersi le proprie responsabilità, e poco importava se lui di anni ne aveva solo sedici, Namjoon era abituato ad essere trascinato in anticipo e suo malgrado nelle tappe della vita.

Tuttavia non era un ingenuo, e Namjoon aveva visto abbastanza da sapere che perfino nel loro mondo dall'apparenza stucchevolmente perfetta le cose ancora si guadagnavano con la fatica. Ma non credeva che diventare adulti avrebbe significato rinunciare a tutto quello che aveva sempre desiderato per qualcosa di cui lui capiva il senso, ma di cui non riusciva a vedere il valore.

“Seokjin si è preparato a questo ruolo tutta la vita mentre tu invece dovrai iniziare adesso. So che è difficile adattarsi ma tutti crediamo in te Namjoon e nelle tue capacità. Con un po' di preparazione sarai la spalla perfetta del prossimo console,” concluse la giovane donna e Namjoon seppe ancora una volta che non c'era nulla di intelligente che lui potesse dire per smorzare il suo entusiasmo.

“Questa formazione, in cosa consiste?” chiese resistendo all'urgenza di passarsi una mano sul viso. Era mattino presto e la prospettiva di tutto ciò già lo faceva sentire stanco.

“Sono lieta che tu l'abbia chiesto!” rispose lei con entusiasmo ancora più strabordante. Aveva un viso gentile, e non si rivolgeva a Namjoon con quella supponenza che aveva visto spesso sui volti della maggior parte dello staff consolare, quasi lui fosse un soprammobile da spostare a convenienza e non una vera persona, eppure era anche la sua insegnante e al contempo la sua sorvegliante e Namjoon non avrebbe mai potuto trovare la sua presenza rassicurante perchè sapeva che dopotutto a pagarle lo stipendio era il primo console Kim.

“Il primo console Kim si è raccomandato che tu venga informato delle deliberazioni e leggi ferme in senato. Tuttavia ci tiene che tu ti concentri sugli studi sulle anime gemelle e il mio compito è informarti quanto più possibile a riguardo,” Namjoon la guardò con genuina curiosità per la prima da quando lei aveva messo piede in quella stanza. Il console sembrava fissato con un argomento che lui trovava sgradevole per una svariata serie di motivi.

“Capisco,” Namjoon rispose laconico, chiudendo brevemente gli occhi e sospirando internamente. “Ora se vuoi seguirmi, abbiamo moltissimo da fare,” il giovane si trovò suo malgrado costretto a seguirla, i corridoi erano deserti e dalla finestra poteva vedere la macchina, che di solito trasportava lui e Seokjin, ferma sul selciato, ma quella mattina non stava aspettando lui.

La signorina Choi lo portò comunque in quella parte di cortile e fu allora che Namjoon notò una seconda macchina, la porta che gli venne aperta in perfetta sincronia con il suo arrivo.

“Dove stiamo andando?” si permise di chiedere Namjoon afferrandosi alla portiera. Si sentiva sballottato qua e la come un pacco ma voleva perlomeno sapere stavolta dove sarebbe andato a finire.

“In parlamento,” rispose lei illuminandolo con ennesimo brillante sorriso. Namjoon incassò il colpo, e, senza dire un'altra parola, entrò nella macchina lussuosa e dai vetri oscurati, fotocopia di chissà quante altre macchine al servizio della famiglia Kim. Namjoon si lasciò scivolare sul sedile e quasi automaticamente si voltò a guardare dal vetro posteriore in direzione della villa. Ma la macchina si accese e si mise in moto imboccando la strada, e proprio quando credeva che lui non sarebbe uscito in tempo, Seokjin apparve in giardino.

Namjoon lo vide fermarsi in mezzo al sentiero e guardare verso la sua direzione con uno sguardo così diverso dall'affettuoso Jin che il più giovane quasi provò lo strano l'impulso di fermare la macchina e scendere ad abbracciare l'altro. Provò a fare un segno con la mano per poi ricordarsi che la macchina aveva i vetri oscurati e che quindi il maggiore non l'avrebbe comunque visto.

La macchina si allontanò in fretta e Seokjin scomparve alla sua vista ma Namjoon rimase congelato in quella stessa posizione.


 


 

“Rapiscimi.”

Namjoon aveva scritto questo a Yoongi, una sera di qualche giorno dopo, quando il suo mal di testa era stato così colossale che aveva solo avuto la forza di trascinarsi dall'ingresso della villa fino in camera sua, per tuffarsi nel suo letto da dove non si era più rialzato. Era stato vagamente cosciente del fatto che ad un certo punto una cameriera era venuta a chiamarlo per la cena ma lui aveva cercato, il più cortesemente possibile, di dire che sarebbe rimasto li dov'era.

E Namjoon era rimasto, testa affondata nel cuscino che non profumava più di Jin e li era collassato.

Erano stati giorni intensi, lezioni all'università, lezioni con la signorina Choi, la testa piena di nozioni di cui Namjoon non riusciva a capire l'utilità ma che il suo cervello comunque immagazzinava perchè chissà, magari sapere le proposte di legge promosse dalla famiglia Kim negli ultimi cinquanta anni poteva tornare utile a lui, anzi a Seokjin, in qualche futuro remoto.

Seokjin.

Non lo vedeva da giorni eccetto che a colazione ed così bizzaro e innaturale questo impaccio. C'era stata timidezza tra loro ma mai distanza.

Se avesse proprio voluto comunque, avrebbe potuto percorrere il corridoio che li separava e andare da lui. E prima di quell'incidente in giardino magari sarebbe finito col farlo, ma ora c'era un velo di imbarazzo, e una paura che prima non c'era, insieme alla sensazione orribile che forse Namjoon non sarebbe stato poi così tanto il benvenuto.

Hai combattuto il vostro legame fin dall'inizio ed ora che ti sei reso conto che non eri l'unico a cui questo creava un problema osi lamentarti? Gli suggerì il cervello. Namjoon sbuffò sul cuscino, che strinse stretto mentre rotolava su un fianco. Ma era sempre stato così? Non riusciva a credere che l'affetto con cui Seokjin gli aveva preso le mani e l'aveva guardato quella prima volta che si erano incontrati fosse artefatto, che il modo in cui l'aveva baciato potesse essere insincero.

No, percepiva ancora quell'affetto in Seokjin, c'era ancora gentilezza e calore nel suo timido chiedergli, “hai dormito bene,” a colazione. Ma c'era anche qualcos'altro, che prima non c'era e Namjoon voleva capire cosa.

Avere Seokjin significava avere i Kim e Namjoon sapeva che, sebbene a torto, era arrabbiato con la sua anime gemella per questo. Tuttavia ora che capiva che aveva un'idea del peso che Seokjin aveva sempre portato, il più giovane si pentiva di essere stato così ingiusto, nel negargli quel po' di conforto che il maggiore si era aspettato di trovare in lui. “Sono felice di averti incontrato,” Seokjin gli aveva detto. Namjoon non poteva ritornare quelle parole forse non avrebbe mai potuto, ma sapeva che non vedere Seokjin, che quel silenzio che si era creato fra di loro come un muro, non era quello che voleva.

Ed era un paradosso perché o era una cosa o l'altra, perché Seokjin era anche la sua famiglia, e avere lui voleva dire il resto e sebbene l'idea ancora gli risultasse insopportabile, Namjoon sapeva che voleva bene a Jin.

E forse qualcosa di più.

Questa era una cosa difficile con cui fare i conti. Ecco perchè, ignorando i suoi doveri e i documenti che avrebbe dovuto studiare e che aveva lasciato dimenticati sulla scrivania, aveva scritto a Yoongi nella speranza che avesse un piano, qualcosa da proporgli, perchè la musica non mancava solo a lui ma anche alla sua testa, e perché aveva bisogno di vedere un volto amico.

“Solo se mi rapisci anche tu.” Gli aveva risposto laconicamente il suo amico qualche minuto dopo.

Un sorriso si fece largo sul suo volto per poi tuttavia spegnersi. Aveva riavuto Yoongi ed era sempre il solito scontroso Yoongi, ma Namjoon sapeva che qualcosa era cambiato. Negli attimi di pausa di questa sua vita piena di cose da fare, Namjoon faceva del suo meglio per ascoltare le canzoni che Yoongi gli mandava via mail e dargli il suo parere.

Quella notte in cui lui aveva mancato la loro esibizione, il suo amico era stato notato dai talent scout di una casa discografica. Yoongi aveva già firmato un pre accordo che prevedeva che passasse del tempo a formarsi presso di loro e anche che lui si esibisse più spesso in diversi locali di modo che acquisisse esperienza. Ma non era ancora a tutti gli effetti un artista sponsorizzato da loro, volevano infatti che Yoongi prima si diplomasse e che finisse di formarsi, e infine che producesse abbastanza canzoni per un album commerciabile.

Namjoon era contento che per il suo migliore amico quello che avrebbe potuto trasformarsi un disastro, si fosse invece trasformato in un'opportunità. E per quanto fosse difficile da credere, non era affatto geloso del suo successo perchè ascoltava Yoongi da abbastanza tempo da sapere che c'era qualcuno che aveva un talento musicale, quello era lui. Non poteva tuttavia nascondere una punta di delusione quando provava a immaginare cosa sarebbe successo se fosse riuscito a presentarsi in tempo.

Niente, probabilmente, pensò poi con una punta di amarezza, perché anche se fosse successo qualcosa le probabilità che questo cambiasse il suo destino, che potesse contare qualcosa per la famiglia Kim, erano pari zero. Perciò perlomeno era contento che uno dei due fosse riuscito a raggiungere il traguardo dei propri sogni da bambino o che perlomeno questo apparisse più vicino. Paradossalmente la sua contentezza, anche se intrisa di tutti questi sentimenti contrastanti, sembrava essere di gran lunga superiore a quella di Yoongi.

Si erano incontrati solo un'altra volta dopo il fiasco di quella sera e si erano sentiti per lo più per telefono, ma Namjoon aveva riconosciuto tristezza nella sua voce. Ma soprattutto nella sua musica. In qualità di amico non sapeva bene cosa dire, perchè quello che lui pensava andava contro ogni decisione che Yoongi aveva preso, però una cosa la sapeva. Yoongi non era più lo stesso, quel nuovo fragile Yoongi che era emerso quella notte non se ne era più andato.

La cosa positiva in tutto questo era che perlomeno per quanto il cambiamento non fosse stato l'evento felice che entrambi si erano augurati, almeno dava ad entrambi una via di fuga. Yoongi aveva fatto in modo che il più giovane potesse partecipare agli eventi, se non come artista almeno come amico che poteva visitare il back stage e assistere alle performance. Una manna per Namjoon che non desiderava altro che perdersi nella musica e scordare tutto, i Kim, le lezioni.

Jin. Jin che lo ignorava, Jin che teneva le distanze, e che parlava in modo affettato. Namjoon scosse la testa cercando di non pensarci appunto perchè gli faceva male.

Quella sera Yoongi aveva un'esibizione in un noto locale per artisti emergenti e lui era stato invitato e perciò non appena gli arrivò un messaggio con ora e luogo, Namjoon si calò fuori dalla finestra. Sgattaiolare fuori dalla villa non era più tanto difficile e non faceva più così tanta paura. Namjoon non era certo diventato più agile a scavalcare davanzali o a muoversi quatto quatto tra i cespugli, ma aveva perlomeno acquisito una certa baldanza, non sapeva quanto sana o ragionevole, che gli consentivano di mantenere la calma quando passava la sua carta magnetica per uscire dalla porta di servizio. Namjoon si era chiesto più volte se entrate e uscite venissero in qualche modo registrate su un dispositivo, ma aveva tenuto le orecchie aperte e nessuno aveva sussurrato niente di sospetto. Si convinse che il problema dopotutto non fosse tanto l'uscire quanto l'entrare e in ogni caso ad avere quella chiave magnetica era solo personale fidatissimo la cui anamnesi era già stata controllata.

Il problema sarebbe sorto solo se qualcuno andando in camera sua non l'avesse trovato e dopotutto dubitava che qualcuno pensasse che lui avesse veramente un posto in cui scappare e l'unico che poteva veramente scoprirlo era Seokjin. Ma Seokjin era lontano da lui ora e non sarebbe stato un problema, si disse con una punta di delusione.

Namjoon andò alla solita fermata dell'autobus, che ormai conosceva bene, a prendere l'ultimo che lo avrebbe portato in centro. Era piuttosto sicuro di poter tornare senza intoppi, qualcuno del loro circolo conoscenti sarebbe stato presente e avrebbe potuto dargli un passaggio di ritorno.

Si calò il cappuccio, indossava la sua felpa preferita, quella che aveva usato spesso quando era casa e che ora dai Kim invece non veniva più ritenuta appropriata se non come pigiama. Si mise le mani in tasca, jeans strappati e felpa di un grigio sbiadito, sembrava un ragazzo qualunque, anonimo.

Namjoon guardò fuori del finestrino le luci della città.

Era bello per una volta sentirsi se stessi, si disse prima di infilarsi gli auricolari nelle orecchie e rilassarsi al suono della sua musica.

Il locale dove Yoongi si sarebbe esibito era pieno all'inverosimile e un brivido di eccitazione corse lungo la spina dorsale di Namjoon e non era neanche uno dei cantanti che si sarebbe esibito. Ma gli piaceva far parte della frenesia, dell'energia palpabile che precedeva la performance, l'adrenalina, l'aspettativa, le risate e le pacche sulle spalle. Yoongi gli aveva detto che sarebbe bastato dire il suo nome al buttafuori che sarebbe stato lasciato entrare senza che gli venissero chiesti i documenti, il che era un sollievo considerando che lui non avrebbe potuto mettere piede neanche in uno dei locali che aveva sempre frequentato e questo locale era nuovo, quindi non avrebbe neanche potuto contare sull'amicizia dei padroni.

Proprio come Yoongi gli aveva detto Namjoon non ebbe problemi ad entrare, non una parola sul suo aspetto o sul suo volto giovane da parte dei buttafuori e Namjoon si infilò testa bassa all'interno del locale, che si stava riempendo piano piano. Superò i gruppi di persone e percorse il corridoio che costeggiava la pista da ballo e conduceva a una porta dietro il palco dove Yoongi gli aveva detto si trovava il backstage. C'era del personale del locale ma gli bastò dire il suo nome che fu fatto entrare di nuovo senza storie.

Il backstage era stipato di gente, molte vecchie conoscenze e altri volti nuovi, ma Namioon si fermò a malapena a salutare, intento com'era a cercare Yoongi.

Yoongi era li, seduto su una delle sedie sgangherate che dava su un muro specchiato in quello che avrebbe dovuto molto probabilmente essere un camerino. Ma Yoongi non stava guardando il suo riflesso ne era intento a sistemarsi, se ne stava invece a braccia conserte a osservare il vuoto, cellulare stretto in una morsa ferrea.

“Yoongi,”lo chiamò Namjoon, rimanendo a distanza, impacciato e immobile.

Il maggiore si voltò a guardarlo, tornando in sé alla vista del suo amico.

“Meno male, mi stavo iniziando ad annoiare,” il maggiore rispose col suo solito tono, cercando di intavolare le loro solite dinamiche. Namjoon prese una sedia e si sedette accanto a lui.

“Sei in mezzo a un sacco di artisti e sono sicuro che il tuo manager è da qualche parte, impossibile annoiarsi hyung,” Namjoon rispose, scuotendo la testa.

“Metà degli artisti non li conosco, e il mio cosiddetto manager, anche se io lo definirei più una balia, è da qualche parte a discutere con il personale della scaletta perché a quanto pare non è d'accordo sull'ordine di apparizione che mi hanno assegnato,” Yoongi disse scrollando le spalle.

“Lamentati pure quanto vuoi, ma darei il mio braccio destro per essere lassù con te,” Yoongi si voltò a guardarlo lanciandogli un'occhiata penetrante che il più giovane interpretò con un “e di chi credi sia la colpa.” Namjoon gli risparmiò la fatica di doverlo dire.

“Lo so, lo so. Lo avresti voluto anche tu,e si, se solo mi fossi presentato,” Namjoon disse sventolando la mano. “ Ma lo sai anche tu che quando le cose vanno a puttane. Beh, vanno a puttane.”

Yoongi si lasciò sfuggire una mezza risata.

“Questa si che è alta poesia, Joon. Quasi quasi vorrei chiederti il permesso di includerla nella mia prossima canzone,” Yoongi replicò con la solita dose di sarcasmo, perchè Yoongi senza il suo sarcasmo non poteva essere se stesso.

“Fai pure. Non è come se io avrò occasione di farlo.”

Namjoon si sentì stringere forte il polso e quasi gli fece male. Guardò Yoongi negli occhi stupito.

“Non dirlo più,” Yoongi disse quasi arrabbiato. Per quanto entrambe le loro situazioni facessero acqua da tutte le parti, sebbene per motivi diversi, Yoongi gli aveva proibito categoricamente e con ostinazione rabbiosa di abbandonare la musica.

“E' l'unica cosa che rimane a entrambi. Mi rifiuto a essere l'unico rimasto,” aveva detto e Namjoon davvero non capiva come Yoongi sperasse che un Kim potesse veramente coniugare una carriera artistica con i doveri istituzionali, ma il maggiore non voleva sentirne ragioni. Namjoon non voleva abbandonare, non avrebbe mai voluto farlo ma sapeva che realisticamente con l'andare del tempo amare la musica e non poterla perseguire avrebbe fatto troppo male per poter continuare.

E quando il tempo sarà passato e il coperchio di questa scatola si chiuderà su di me, non ci saranno via d'uscita.

Ma per Yoongi era importante, sembrava essere importante pensare che non sarebbe stato solo in quella corsa e perciò Namjoon lo lasciava fare e perchè dopotutto rincorrere quella speranza, anche se ormai inutile faceva, gli faceva ancora bene.

Namjoon rimase con Yoongi fino a pochi minuti prima che venisse chiamato sul palco e quando infine venne il suo turno, lui andò nella sala. Invece di mischiarsi tra la folla decise di stare nel corridoi esterno dove la calca era minore e da dove avrebbe potuto godersi lo spettacolo meglio, sebbene da lontano. E quando Yoongi sali sul palco e iniziò la sua performance Namjoon rimase affascinato come la prima volta che lo aveva visto salire sul palco.

Si chiese se chi aveva sentito il suo amico allora si fosse accorto di come la sua musica fosse cambiata. La notte in cui Yoongi aveva dovuto esibirsi da solo sul palco era stata la prima volta che aveva mostrato al pubblico il suo nuovo se, il suo modo di esibirsi era stato più prorompente e sconnesso ma anche più diretto e sincero, come se Yoongi stesse dedicando quelle parole a un qualcuno che non avrebbe mai potuto ascoltarle e forse per questo le diceva con più cruda convinzione.

Era un tipo di musica a cui era impossibile rimanere indifferenti.

Namjoon rimase fino all'ultima delle canzoni di Yoongi, e batté le mani e urlò assieme agli altri. Yoongi scese dal palco poco dopo e appariva stanco e probabilmente qualcos'altro e Namjoon si disse che avrebbe dovuto apparire più soddisfatto di se stesso invece sembrava che la sua energia fosse rimasta indietro sul palco e quello che aveva davanti fosse qualcun altro. Namjoon aspettò che il manager finisse di parlare con lui, prima di avvicinarlo di nuovo. Namjoon gli diede un cinque che il suo migliore amico ricambiò con un sorriso stiracchiato ma comunque l'espressione più felice che il più giovane gli avesse visto addosso quella sera. Tuttavia, invece di andare fuori come erano soliti fare per chiacchierare mentre Yoongi fumava, a parlare di tutto e del nulla, in quei loro botta e risposta che era la loro particolare amicizia, Namjoon invece chiese.

“Yoongi hai parlato con..?”

“No,” tagliò corto l'altro come se sapesse già cosa il suo amico avesse avuto intenzione di chiedere.

“Non ci riesco,” ammise il maggiore disgustato dalla sua stessa debolezza ma sapendo di non poter fare altrimenti.

Namjoon scosse la testa, senza aggiungere altro. Yoongi sapeva cosa pensava ed era inutile ribadirlo, non aveva bisogno delle sue ramanzine ma solo di essere in grado di lasciar andare.

“Tu hai detto la verità a Seokjin?” Yoongi chiese di rimando. Namjoon si lasciò scappare una bassa risata perchè quello era un colpo basso e lo perdono solo perchè immaginava quanto dovesse pesare al suo amico il suo giudizio, soprattutto se questo era vero.

“Non è la stessa cosa,” Namjoon ribattè. Non era venuto per litigare, non aveva avuto intenzione di provocare Yoongi, Namjoon era solo preoccupato. Preoccupato dei suoi silenzi e delle remore che l'altro aveva nei suoi confronti. Avrebbe preferito che il suo miglior amico si confidasse piuttosto che nascondesse i suoi sentimenti. Poteva anche avere la sua opinione ma Yoongi era un suo amico. Non lo avrebbe abbandonato così.

“Le bugie sono sempre bugie a prescindere,” Yoongi rispose secco. Namjoon si irrigidì e il maggiore dovette capire quanto quelle parole lo avessero ferito.

Appoggiò timidamente la mano sulla sua spalla a mo' di scusa, perchè Yoongi non era mai stato bravo a scusarsi ma voleva bene a Namjoon. “No, hai ragione,” disse quest'ultimo scuotendo la testa.

La mano di Yoongi scivolò dalla spalla fino al gomito e tirò leggermente come a volersi scusare ancora e poi il maggiore sospirò rumorosamente.

“Siamo i numeri due più sgangherati dell'universo Joon. Siamo in due e non riusciamo a fare neppure uno di noi sano,” Yoongi commentò. “Andiamo ti offro qualcosa da bere,”disse infine.

“Sei cosciente del fatto che sono minorenne vero?”

“Come se questo ti abbia mai fermato. Coraggio solo una cosa e poi andiamo a casa,” Yoongi disse con quel suo nuovo fare docile a cui Namjoon non riusciva ad abituarsi. Era abituato a Yoongi che lo chiamava moccioso e lo colpiva sulla nuca, non a un compagno di momenti alcolici filosofici e sentimentalismi repressi.

Le cose cambiano, Namjoon si disse mentre si avvicinava con Yoongi al bancone. Cambiano.


 


 

Naturalmente queste cose potevano solo capitare a lui, Namjoon si disse qualche ora dopo, alcol in corpo che non induceva più nessun senso di allegria, per quanto finto.

Era stato fin troppo sicuro di se, si rimproverò mentalmente, era ovvio che trattandosi di lui, un disastro ambulante, prima o poi sarebbe stato inevitabile che avrebbe finito col perdere la chiave magnetica.

Erano quasi le due di mattina e lui era chiuso fuori dalla villa Kim.

Certo avrebbe potuto provare a scavalcare il cancello ma era stato troppo ottimista la prima volta e il cancello non era così basso come aveva pensato, senza contare che anche nel miracoloso caso in cui fosse riuscito a scavalcarlo era piuttosto sicuro che a una certa ora si attivassero dei sensori e quindi avrebbe probabilmente finito con lo svegliare tutta la villa se non si fosse rotto l'osso del collo durante l'arrampicata.

Cosa doveva fare? Aspettare li fuori finché uno dello staff al mattino venisse ad aprirgli era fuori discussione anche se fosse riuscito a sopravvivere all'addiaccio. Ed era troppo tardi per richiamare Yoongi e chiedergli asilo e, anche in quel caso, non avrebbe saputo spiegare la sua assenza. Namjoon era un membro della famiglia Kim, non gli avevano forse raccomandato di tenere un basso profilo? Era piuttosto sicuro che sgattaiolare fuori per andare in un pub dalla dubbia reputazione e rimanerci illegalmente fino a tarde ore della notte, non corrispondesse affatto alla descrizione di basso profilo.

Si infilò la mano nella tasca dei jeans, le dita che toccavano incerte il cellulare. Poteva sempre chiamare Seokjin, il maggiore probabilmente lo avrebbe aiutato ma avrebbe anche significato dovergli spiegare perchè lui si trovava in quella situazione e non era sicuro di poterlo fare, ne che Seokjin avrebbe approvato.

Poi, come se qualcuno da la sopra avesse risposto alle sue preghiere, il cancello si aprì miracolosamente. Namjoon quasi urlò dalla gioia e svelto entrò dentro, chiudendosi il cancello alle spalle, ma quando si voltò verso la villa, ecco che a pochi passi da lui non vide altri che Seokjin.

Namjoon fece un passo all'indietro e si lasciò quasi sfuggire un grido di sorpresa se Seokjin non si fosse portato il dito sulle labbra. Namjoon annui, gambe irrigidite dallo spavento. Seokjin sembrò avere pietà di lui perchè in un gesto che era così Seokjin, quello che si era preso cura di lui dal primo giorno in cui si erano incontrati, si avvicinò a lui e, prendendolo per mano, lo guidò silenziosamente attraverso il giardino e verso una delle porte finestre sul retro che il maggiore doveva aver lasciato socchiusa. Mai rientro era stato così senza fatica. Seokjin lo accompagnò, fino alla sua stanza dove gli fece segno di entrare svelto.

Namjoon avrebbe voluto avere il coraggio di invitare in camera sua la sua anima gemella di prendergli di nuovo la mano, ma c'era troppo nella sua testa di contrastante al pensiero della distanza che Seokjin aveva tenuto tra i due e perciò fu l'irritazione a parlare.

“Non mi chiedi dove sono stato?” Namjoon osò sussurrare, afferrandolo delicatamente per un gomito.

Soekjin si fermò e lo guardò dritto negli occhi.

“Me lo diresti?” Chiese a bruciapelo poco più di un sussurro. Namjoon avrebbe voluto dire di si, che avrebbe detto tutto alla sua anima gemella, ma non ci riusci. Erano così vicini che se Namjoon avesse ceduto all'impulso una seconda volta si disse che avrebbe volentieri baciato Seokjin di sua iniziativa ancora.

“Ognuno ha i suoi segreti Joonie,” disse infine il maggiore con un sorriso amaro, prima di depositargli un bacio sulla guancia, labbra che rimasero un attimo appoggiate sulla sua pelle, come a chiedere scusa, come a chiedere tempo, per poi andarsene.

Namjoon rimase immobile e si chiese se Seokjin sapesse quanto avesse ragione e, se era vero che ognuno aveva dei segreti, quali fossero quelli della sua anima gemella.


 


 


 


 


 

NdA: le vacanze sono finite ed ho fin troppe cose da fare come sempre. Questo capitolo sebbene di transizione è molto importante ed è anche stato difficilissimo da partorire, ma immagino ci divertiremo di più con il prossimo capitolo (io sicuramente XD). Mi sto preparando per Un mondo di noi, se seguite il mio twitter ne saprete di più ;) grazie mille per leggere e recensire <3


 

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