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Autore: Alice Elle    19/09/2017    0 recensioni
Un sogno ricorrente.
Un incontro inaspettato.
Quando hai vent'anni, devi avere il coraggio di osare.
Gaia è una ragazza tranquilla, studia all'università, ma ogni notte fa lo stesso sogno e ogni mattina trova un cuscino vuoto ad aspettarla, in cui affogare le lacrime.
Ma oggi andrà diversamente.
Oggi incontrerà lui.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Daniele si incantò davanti al bancone, che esponeva una varietà incredibile di paste e brioche dai gusti più disparati.
«Allora non stavi scherzando. Questo posto è davvero la fine del mondo. Tu quale mi consigli?»
«Oh, io sono un’abitudinaria. Prendo sempre il cannoncino alla crema. Ma come vedi ce ne sono anche di più originali e golose. Che ne dici di quella con la crema di pistacchio?» gli disse, indicando una brioche che doveva avere il peso specifico del piombo.
Il ragazzo la guardò disgustato, poi si rivolse alla barista.
«Due cannoncini alla crema per favore. Cosa vuoi da bere?»
«Nulla, ho già fatto colazione!»
«Non vorrai mica farmi mangiare da solo! È da maleducati. Un cappuccino?»
Davanti al suo sguardo vitreo, alzò le spalle e ordinò due cappuccini.
Poi le afferrò la mano e la trascinò a un tavolino libero, ricominciando a parlare mentre aspettava che la cameriera portasse le bevande.
«Oggi è proprio una bella giornata, vero?»
«Sei serio? Hai ordinato dopo che ti avevo detto che non volevo nulla e poi mi hai trascinata al tavolo sapendo che tra poco devo essere a lezione. E vuoi parlare del tempo?»
Gaia non sapeva cosa pensare, le sue intenzioni erano accompagnarlo al bar, scambiare due parole e vedere se per caso riusciva a farsi chiedere il numero di telefono, mentre Daniele sembrava convinto che avrebbero passato la giornata insieme, da come si era svaccato sulla sedia.
«Dai, Gaia, è una giornata troppo bella per passarla chiusa in un’aula. È il primo giorno decente della primavera più piovosa di tutti i tempi. Davvero mi vuoi dire che preferisci andare a lezione piuttosto che fare un giro all’aperto, da qualche parte, con me?»
«Certo che non raccontavi balle quando hai detto di non sapere nemmeno cosa sia il pudore!»
«E tu non hai risposto che è sopravvalutato?» rispose pronto, facendole l’occhiolino.
Conosceva quel ragazzo da quanto… quindici minuti in tutto? Eppure le sembrava di conoscerlo da una vita. Sentiva un feeling immediato e insolito. Lei era diffidente di natura e andare a prendere un caffè con un tizio appena incontrato non rientrava nelle sue abitudini.
Eppure quando le aveva proposto di andare in giro, chissà dove, da sola con lui, la sua risposta istintiva era stata un grande e grosso sì.
Era così che le ragazze finivano ammazzate in un fosso? Perché si fidavano di un bel faccino acqua e sapone, con un ciuffo moro che ricadeva sugli occhi nocciola più lucenti che avesse mai visto? Erano davvero straordinari, sembravano liquidi.
«Cosa avresti in programma?» chiese, cercando di fare l’indifferente ma fallendo miseramente.
«Per cominciare direi di fare una passeggiata in centro, oggi c’è il mercatino dell’usato e potrebbe esserci qualcosa di interessante. Che ne dici?»
«Tu sei il male! Come facevi a sapere che adoro il mercatino dell’usato?»
Daniele fece un sorriso furbo, piegandosi sopra il tavolino per sussurrarle in un orecchio.
«Forse perché hai una borsa vintage ricoperta di spillette e l’aria di una che passa il suo tempo a rovistare tra robaccia vecchia?»
Gaia non sapeva se mettersi a ridere o offendersi. Giunse a un compromesso.
«Mi stai dando della barbona?» chiese, ridendo in modo incontrollabile.
Lui si riappoggiò allo schienale della sedia, soddisfatto come un gatto che si è mangiato l’uccellino.
«No, penso che tu sappia riconoscere la bellezza dove gli altri non la vedono.»
Le risate le si incastrarono in gola e si fermò a fissarlo. Da dove usciva quel ragazzo? In un primo momento le era sembrato un tipo qualunque, semplice e inoffensivo. Ma ogni volta che apriva bocca diceva qualcosa che la stupiva, la sconvolgeva, la faceva ridere o la faceva arrabbiare. A volte tutto quanto insieme.
«D’accordo. Ci sto.»
Daniele le rivolse un sorriso radioso e, solo vedendolo rilassarsi sulla sedia, capì che non era poi così sicuro che lei dicesse di sì, come voleva far pensare.
In quel momento arrivò la cameriera con i cappuccini e le paste.
«Prima che tu assaggi quella cosa divina, voglio che ti imprimi bene nella mente che sono stata io a portarti qui. Mi devi la tua verginità culinaria.»
Lui si bloccò con il cannoncino a un paio di centimetri dalle labbra, a bocca aperta. Lo sguardo che le rivolse le fece arricciare le dita dei piedi, Dio sa perché.
Lei fece finta di niente, diede un morso alla sua pasta e lasciò andare un gemito di puro godimento.
«Ok, direi che ti sei vendicata abbastanza per la mia assenza di pudore. Ora per favore smettila o le cose potrebbero farsi imbarazzanti» le sussurrò, con la voce roca e la punta delle orecchie che gli andava a fuoco.
Lo guardò sbattendo le ciglia.
«Non capisco cosa vuoi dire.»
Per tutta risposta, Daniele allungò una mano ad afferrarle un ricciolo e glielo portò dietro l’orecchio, sfiorandolo con le dita, il tocco leggero come una piuma. Lei provò a nascondere il brivido, ma dal ghigno che ricevette in risposta capì di non esserci riuscita.
«Ok, ok, ho capito. Mangiamo e basta. Questo gioco non può che finire male.»
«O benissimo. Dipende dai punti di vista» ribatté lui.
Le lanciò un ultimo sguardo malizioso poi, come se un colpo di spugna avesse portato via gli ultimi cinque minuti, la sua espressione tornò tranquilla e innocente.
«Quindi mercatino?» le chiese.
«Quindi mercatino» approvò, domandandosi dove l’avrebbe portata quella insolita giornata.
 
 
***
 
Avevano passato la mattina gironzolando tra le bancarelle, lei incantandosi davanti a quelle che esponevano libri usati, spulciando tra i romanzi ingialliti, sfogliati da chissà quante mani, le copertine ormai sbiadite.
Lui attardandosi in quelle di arte del recupero, o così le definiva lui. A Gaia sembravano solo ammassi di fil di ferro e parti metalliche arrugginite, mentre Daniele li osservava come se fossero delle opere di straordinaria bellezza, facendola sorridere con il suo entusiasmo contagioso.
Alla fine non dovette neppure fingere di essere interessata alle sue astruse spiegazioni, perché era riuscito a comunicarle un briciolo della magia che lui vi vedeva.
Mentre si spostavano da un espositore all’altro, si tenevano vicini e parlavano a bassa voce, per avere la scusa di accostare la testa e sfiorarsi con le spalle.
A un certo punto, le aveva afferrato la mano per trascinarla con sé e mostrarle un pezzo particolarmente fantasioso e non l’aveva più lasciata andare.
Gaia si era stupita della naturalezza dei loro gesti. Di solito non era molto espansiva, anzi, tendeva a difendere con le unghie e con i denti il proprio spazio personale. Con Daniele invece si sentiva perfettamente a suo agio, come se fossero dentro una bolla che li escludeva dal resto del mondo.
Quando si furono stancati di curiosare tra le bancarelle, era ormai ora di pranzo.
«Cerchiamo un locale qui in centro? Di cosa hai voglia?» le chiese.
«Di tranquillità. C’è un ristorantino molto carino, due vie più avanti. Conosco i gestori e a quest’ora dovremmo trovare poca gente. Ti va?»
«A me va bene qualsiasi cosa, mangio di tutto.»
«Allora andiamo. È vicino e la cucina è ottima.»
Lui le sorrise e le lasciò la mano solo per mettere un braccio sulle sue spalle e attirarla a sé. Il calore del suo corpo contro il fianco le diede i brividi. Forse non si sentiva poi così a suo agio…
Un leggero nervosismo iniziò a scorrerle sulla pelle, ma del tipo buono. Quello che invece di allontanarti, ti spinge ad avvicinarti ancora di più. Le cose si stavano muovendo troppo in fretta. Gaia si sentiva come un masso che rotola giù per una collina, sempre più veloce, senza riuscire a fermarsi.
Scrollando le spalle, gli avvolse un braccio intorno alla vita e gli sorrise, decisa a non pensare a nulla che andasse al di là della prossima ora, dell’azione successiva.
Mentre camminavano a passo veloce verso il ristorante, Daniele le tolse di mano la busta con i libri che non aveva necessità di comprare ma, non si sa come, si era ritrovata a pagare senza quasi rendersene conto. Il suo gesto gentile la fece sorridere ancora di più.
«Sei proprio un gentiluomo. Tua madre deve essere fiera di te.»
Il braccio che la avvolgeva si irrigidì e una smorfia di sofferenza gli distorse il volto, ma si riprese in fretta e le rispose con un ghigno.
«Certo che sì, sono praticamente il figlio perfetto.»
«Addirittura? E tra le tue numerose qualità c’è anche la modestia?»
«Ovvio! Difficilmente potrai trovare un ragazzo migliore di me in tutta la città!»
Accompagnò le sue smargiassate con un’espressione talmente comica da farla scoppiare a ridere, con tanto di imbarazzante grugnito finale.
Lui si bloccò e la fissò con uno sguardo terrorizzato, facendola arrossire per la vergogna.
«Sono fregato.»
«Eh?»
Rimase zitto qualche istante, come se non sapesse se parlare o tacere. Come la faceva lunga! Aveva una risata buffa, glielo dicevano tutti, non c’era bisogno di fare tutte quelle storie…
«Sono fottuto, perché se fino a cinque minuti fa potevo fingere che tu fossi una bella ragazza qualsiasi, incontrata per caso, adesso non posso più farlo.»
Gaia era sempre più confusa.
«Cosa stai dicendo? Mi devo preoccupare? Hai dimenticato di prendere le tue medicine stamattina?»
«Smettila, sto cercando di dirti che ho appena scoperto che il colpo di fulmine esiste e tu mi prendi per il culo. Non è carino.»
Lei scoppiò a ridere, perché mentre lo diceva, Daniele aveva assunto l’espressione di un cucciolo di labrador messo in castigo. Aveva detto un sacco di sciocchezze, se fossero usciti dalla bocca di chiunque altro, probabilmente sarebbe scappata urlando, invece quegli occhi liquidi e quel sorriso sincero la conquistarono del tutto.
«E sentiamo, come lo avresti scoperto?»
«È del tutto evidente.»
«Ti sarei grata se lo spiegassi anche a me, perché ti assicuro che per me non lo è affatto.»
Daniele sbuffò, come se non riuscisse a credere che lei non ci arrivasse.
«Ho trovato sexy quell’orribile risata. Hai grugnito! Avrebbe dovuto inorridirmi, invece l’ho trovata adorabile.»
Non sapeva se offendersi perché aveva definito orribile la sua risata, imbarazzarsi perché l’aveva trovata sexy o sciogliersi perché, alla fine, l’aveva bollata come adorabile.
Decise di fare tutte e tre le cose: gli diede un pugno sul braccio, arrossì furiosamente e gli sorrise, prendendolo a braccetto, ricominciando a camminare verso il locale.
«Smettila di dire cretinate e andiamo. Ho fame!»
«E tu smettila di dire cose sexy.»
«Cos’ho detto adesso? Guarda che tu sei strano forte!»
«Hai detto di avere fame e si dà il caso che io trovi sexy da morire una donna che ammette di essere dotata di un apparato digerente.»
«Scusa, ma che razza di donne hai incontrato fino ad ora?» gli chiese sghignazzando. Non aveva mai riso tanto in vita sua. Con le sue amiche forse, ma mai con un ragazzo.
«Del tipo che hanno un palo, rigorosamente griffato, infilato hai capito dove, che morirebbero piuttosto che ridere come hai fatto tu prima o ammettere di nutrirsi di cibo vero?»
«Accidenti, ma in che postacci giri? Guarda che il mondo è pieno di ragazze normali come me.»
Le rivolse una strana occhiata e sussurrò: «Non credo proprio.»
Gaia fece finta di non averlo sentito, anche perché stavano entrando nel ristorante dei genitori di Elisa, una delle sue più care amiche. Sapeva che la sua presenza lì con un ragazzo le sarebbe arrivata alle orecchie in tempo zero, assicurandole un interrogatorio che avrebbe fatto impallidire gli agenti della Gestapo.
Lasciò andare il braccio di Daniele, riprendendo le distanze che aveva dimenticato di tenere per tutta la mattinata, e salutò Cristiana, la mamma della sua amica, che la accolse da dietro il bancone del locale con un sorriso da squalo, ricordandole in maniera impressionante la figlia.
“Sono fottuta” fu il suo unico pensiero.
   
 
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