Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: whitecoffee    20/09/2017    1 recensioni
❝“Potresti abbassare il volume della tua maledetta musica? Sono almeno quarantacinque minuti che non faccio altro che sentire “A to the G, to the U to the STD”. Per quanto tu sia bravo a rappare, il mio esame è più importante. Grazie”
-W
“N to the O to the GIRL to the KISS MY ASS”
-myg
“Senti, Agust Dick, comincia a calmarti, che non ci metto niente a romperti l’amplificatore e pure la faccia.”
-W❞
rapper/photographer!YoonGi | non-famous!AU | boyxgirl
-
» Storia precedentemente pubblicata sul mio account Wattpad "taewkward"
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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XIX.
Of Lemons and Showers



"I was doing fine on my own
And there wasn't much I lacked…
But you've stolen my air catcher
And I don't know if I want it back"

(Twenty one PilotsAir Catcher)

 
 
 Y O O N G I  

 

Fissavo quel limone con mente assente, da ben due minuti. Non sentivo movimenti né soliloqui, dalla cucina, e dunque intuii che Winter fosse uscita a prendermi il cambio di abiti che le avevo chiesto.
Mi passai il frutto giallastro da una mano all’altra, avvicinandolo al naso ed inspirando il suo aroma aspro. Lo allontanai, storcendo la bocca. Davvero credeva che avrei impiegato quell’oggetto, per schiarirmi i capelli? Un maledetto limone? Ma dove le trovava, quelle notizie? Nell’inserto bellezza di Cosmopolitan US? Riposi l’agrume con circospezione, svestendomi con calma. Gli abiti bagnati mi si erano appiccicati addosso, perfino i boxer erano ormai fradici. Proprio come se avessi deciso di saltare in una piscina, completamente vestito. Ma non si trattava certo del party dell’anno, di cui tutti avrebbero parlato per mesi e mesi. Era l’ennesima puntata di “la vita di YoonGi”, edizione serale, post-temporale. Tuttavia, occorreva prima fare un preambolo. Ed eccolo arrivare, insieme alla sigla d’inizio.
Quel pomeriggio, avevo staccato prima dal servizio fotografico che stavo facendo. Poiché le nuvole, in cielo, non mi permettevano di ottenere la luce giusta per gli scatti. Mi ero profondamente scusato con la mia cliente, una signora nel fiore dei suoi quarant’anni, che aveva bisogno di un book per promuovere la sua nuova linea di abbigliamento artigianale. Avendo un gusto particolarmente estroso, avevo già elaborato delle idee per alcune foto alla luce dorata del tramonto, nel fitto di un parco, con i raggi aranciati del sole che si riflettevano sull’erba smeraldina; creando un’atmosfera evocativa, perfettamente suggestiva. Sarebbe stato bellissimo. Tuttavia, il meteo aveva improvvisamente deciso di non collaborare con il mio estro artistico, guastandosi e coprendosi di nubi, proprio quando ne avrei avuto meno bisogno. Il che mi costrinse a rimandare il servizio a quando ne avrei avuto le possibilità.
Così, non avendo di meglio da fare, mi ero ritirato nello Starbucks dove lavorava la mia vicina di casa, sperando di trovarla in servizio. Senza successo. Al suo posto, un adolescente con l’acne e una chiara predisposizione per la musica metal mi aveva accolto con voce gracchiante, chiedendomi cosa volessi ordinare, probabilmente aspettandosi che gli dicessi di bere solo il sangue degli innocenti. Ad ogni modo, ero rimasto qualche ora seduto ad uno dei tavolini del locale, ascoltando una delle mie basi nuove fiammanti, sorbendo il mio caramel macchiato e scrivendo qualche testo. Senza rendermi conto che il tempo, fuori, si stesse scurendo ancor di più.
Ero uscito dalla caffetteria accompagnato dal rombo dei tuoni, e avevo tutta l’intenzione di affrettarmi, per la prima volta nella mia vita, perché non mi sarebbe proprio andato, di dovermi fare una doccia fredda gratuita a febbraio. Ciò nonostante, proprio prima di svoltare l’angolo che mi avrebbe condotto nel mio quartiere, avevo intravisto la figura di un gatto. Grasso, dall’inconfondibile pelo color miele. Mi era capitato di occhieggiare il panciuto e placido gatto di Winter, le poche volte in cui si avventurava sul mio balcone, strisciando nello spazio al di sotto della parete che divideva i nostri due spazi esterni. E il suo manto era proprio dello stesso colore di quel randagio. Mi ricordai allora di uno dei suoi ultimi post-it, in cui mi diceva di non essere riuscita a trovare il suo micio da nessuna parte. Quindi, da bravo cavaliere quale mia madre mi aveva insegnato ad essere, m’ero incamminato verso di lui. Già sapendo che me ne sarei pentito.
Quel maledetto felino obeso aveva passeggiato senza sosta per almeno due isolati, infilandosi negli anfratti più improponibili. Costringendomi a scavalcare reticolati, attraversare quasi con il rosso e saltare su scatoloni ammassati gli uni sugli altri, per riuscire a tenergli dietro. Fino a che, il potente rombo di un tuono non fosse riuscito a farlo spaventare a morte, arrestando la sua corsa in un vicoletto. L’avevo trovato tutto tremante e appiattito contro il muro. Nonostante la bruciante e totale voglia di dargli fuoco, mi ero ugualmente chinato e l’avevo sollevato da terra. Si era lasciato prendere senza problemi, abituato com’era alle attenzioni umane.
A quel punto, quasi come se le nuvole sopra di me avessero atteso proprio quel momento, l’inconfondibile rumore della pioggia che picchiettava le strade aveva cominciato a riempirmi le orecchie. Ovviamente, non avevo un ombrello. Figuriamoci. Quindi, avevo fatto l’unica cosa che la mia testa avesse giudicato di buon senso, in un simile frangente. Mi ero aperto la giacca, e avevo messo Snickers al riparo; per poi cominciare a correre verso casa, noncurante dell’acqua che mi scorresse lungo la schiena in rivoli, scendendomi dai capelli fino al collo, inzuppandomi completamente.
Avevo pregato, affinché il cellulare non fosse andato a farsi fottere, ma poi mi ero ricordato che quei sei svalvolati dei miei amici, al culmine della gioia, mi avessero regalato l’ultimo modello di una marca ai vertici del sistema capitalistico, resistente all’acqua, e con un’ottima acustica. Me l’avevano recapitato per lo scorso compleanno. “Tanto lo sappiamo che prima o poi ti finirà anche questo nel cesso, così ci siamo prevenuti”, aveva detto TaeHyung, porgendomelo con il suo consueto sorriso quadrato. Li avevo dunque ringraziati mentalmente, mentre avevo continuato a correre, sfidando la pioggia. Ero arrivato a casa ormai ridotto ad uno straccio, più zuppo di un mocio per lavare i pavimenti. In compenso, però, il gatto era sano e salvo. Più o meno asciutto. E l’avevo riportato alla sua legittima padrona, rivelando la mia identità alla vicina della porta accanto, starnutendole anche in faccia. Ottima prima impressione.
Detto ciò, gli eventi sopracitati mi avevano condotto proprio nel suo bagno, contro ogni logica comune. Avrei potuto benissimo declinare l’offerta di Winter, per tornare nel mio appartamento e gettarmi nella vasca, per i seguenti quaranta minuti abbondanti. Per annegare in silenzio la mia pubblica umiliazione nell’acqua bollente, ma invano. Avevo accettato di rimanere lì, come se fosse stata l’opzione più ovvia del mondo. Certo. Quanto ero stupido. Perché non me n’ero andato, accettando di farmi la doccia come se quella lì fosse stata casa mia? Rinunciai a trovare una risposta per quesiti che non l’avevano, scuotendo la testa.
Entrai nella cabina della mia vicina di casa, aprendo il getto d’acqua calda, lasciando andare un sospiro di sollievo. Sentire quel calore sulla pelle era estremamente rigenerante. Sperai di non ammalarmi seriamente, dopo quella corsa folle.
Lanciai un’ultima occhiata al limone, facendo del mio meglio per non ridere. Che strana ragazza.


 

 


 


#Yah!: limoni per tutti. Risponderò alle recensioni, I swear!
   
 
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