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Autore: emmahp7    19/06/2009    1 recensioni
Quando il destino ha deciso di unire due persone, non c'è niente che si possa fare per fermarlo... non bastano bionde ochette senza cervello o canarini violenti, prima o poi ti porterà dove ha scelto lui... Missing moment HBP
Genere: Romantico, Triste, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sulla porta

Sulla porta

 

 

Purple washes over me

Seeping through my open seams

I’m stained all over

 

Purple – Skin -

 

 

 

Stava quasi cominciando a farci l’abitudine, d’altronde era già la seconda volta che le capitava quello stesso anno.

Hermione non ricordava esattamente cosa le avessero detto quel pomeriggio, non ricordava neppure chi era venuto a parlarle, le sole cose chiare nella sua mente erano le parole Ron… avvelenato… Harry… bezoar… infermeria… tutte nella stessa frase e poi una fitta dolorosa al centro del petto.

Ecco, era quello a cui si era quasi abituata, quel dolore che partiva dallo sterno e che si propagava per tutto il corpo, che le toglieva il respiro e la faceva tremare.

La prima volta che le era successo, si era talmente spaventata che era corsa in infermeria per farsi controllare, convinta che stesse per avere un infarto. Quando Madama Chips l’aveva liquidata con un’occhiata scettica, aggiungendo che probabilmente si era fatta impressionare da uno dei libri che leggeva, si era precipitata in biblioteca per fare delle ricerche, perché lei era sicura di avere qualcosa, qualcosa di molto grave, senza dubbio, una malattia incurabile.

I sintomi erano evidenti: innanzitutto il dolore al petto, la continua mancanza d’aria, l’ansia, la perdita di sonno e di appetito, la stanchezza e poi, quello che Hermione detestava più di ogni altro, le si era annebbiato il cervello. Non riusciva più a pensare nitidamente, si distraeva durante le lezioni, trovava difficoltà a terminare i compiti, d’un tratto la scuola aveva perso il suo fascino. Il suo rendimento scolastico era rimasto invariato, d’altro canto lei era molto più avanti sul programma rispetto alla maggior parte degli studenti, quindi i voti non ne avevano risentito, ma lei sapeva che c’era qualcosa che non andava. Era estremamente preoccupata.

Aveva provato a confrontarsi con Harry, ma aveva desistito subito, in quel periodo lui pareva essere su un altro pianeta, quindi aveva cercato la persona a cui si rivolgeva sempre quando aveva bisogno di parlare: Ginny.

Se Hermione avesse saputo in anticipo cosa le avrebbe detto la sua amica, avrebbe sicuramente evitato la chiacchierata; ma Hermione aveva smesso di seguire Divinazione da anni, quindi non avrebbe potuto conoscere l’opinione di Ginny finché non fossero state faccia a faccia, e poi diciamoci la verità, non avrebbe potuto saperlo prima neanche se avesse ottenuto un M.A.G.O. in Divinazione: la professoressa Cooman non era proprio la migliore insegnante che avessero mai avuto!

Hermione, una sera, aveva preso Ginny da parte e le aveva raccontato per filo e per segno tutte le sue preoccupazioni, certa che l’amica le avrebbe buttato le braccia al collo in preda ad un pianto disperato, concordando con lei che la sua era una malattia molto grave e che probabilmente non sarebbe arrivata alla fine dell’anno; invece Ginny l’aveva guardata con la faccia di una che la sa lunga, le aveva messo una mano sulla spalla e annuendo aveva detto, “Benvenuta nel club!”

“Quale club?” aveva chiesto Hermione, immaginando un’epidemia sconosciuta che serpeggiava per Hogwarts.

“Il club del cuore spezzato! A quanto pare neanche chi è molto intelligente ne è immune!” aveva risposto Ginny con un sospiro.

Hermione l’aveva guardata con entrambe le sopracciglia alzate, domandandosi se avessero messo del Whisky Incendiario nel succo di zucca che avevano servito a cena – cena che lei non aveva neppure sfiorato - perché Ginny era ovviamente ubriaca.

Hermione era scoppiata a ridere, tanto che aveva dovuto tenersi la pancia con le mani, tanto che aveva le lacrime agli occhi.

Ginny se ne era andata brontolando un “So che è difficile da accettare, dormici su” .

Hermione aveva continuato a sghignazzare finché non era andata a letto, le lacrime continuavano a scendere; mentre si girava e rigirava tra le lenzuola, ripensando a quanto fossero assurde le parole dell’amica, improvvisamente le risate erano cessate.

Le lacrime no. Alla fine aveva capito.

Il suo cervello era annebbiato perché, come quando si inceppa la bobina di un film, le riproponeva in continuazione sempre la stessa scena: lui che bacia quell’altra.

Quell’immagine la invadeva a tal punto che non le lasciava spazio per altri pensieri.

Hermione quella notte aveva scandagliato con cura le settimane trascorse da quando aveva smesso di ponderare razionalmente, cercando qualcos’altro, qualsiasi altro motivo che poteva legarsi alla sua fantomatica malattia, incapace di rassegnarsi all’evidenza.

Al ritirarsi del buio, mentre dietro le spesse tende del suo dormitorio già albeggiava, si era finalmente convinta che Ginny aveva ragione. Lei, Hermione Granger, alunna brillante, membro dell’Ordine della Fenice, fondatrice del C.R.E.P.A., migliore amica di Harry Potter - il prescelto -, aveva il cuore spezzato.

Rabbrividiva di disgusto ogni volta che ci pensava.

La mattina dopo aveva atteso Ginny nella Sala Comune con due grosse occhiaie viola che le  adombravano gli occhi tristi e smarriti.

Ginny non sembrava affatto sorpresa. L’aveva guardata con un mezzo sorriso sghembo e sconsolato e aveva ribadito la sua solidarietà con un “Mi dispiace”.

Da allora comunque le cose erano migliorate, la presa di coscienza aveva reso Hermione più razionale e determinata a reagire.

Cominciò ad evitare la Sala Comune, a scegliere gli orari dei pasti quando la Sala Grande era quasi deserta, a fuggire Harry quando era con lui. Si concentrò ancora di più sullo studio; anche se avrebbe volentieri saltato le lezioni.

Le ore di lezione erano una vera tortura; avvertiva ogni volta lo sguardo di lui sulla sua nuca, e poi captava lo sguardo dell’altra su di lui. Era una cosa che la faceva letteralmente impazzire.

Per tentare di non farsi distruggere dalla follia imminente, si dedicò con maggiore intensità alle spiegazioni, alle verifiche, sforzandosi di escludere quello che aveva intorno, immergendosi nella sua concentrazione, meditando quasi. Era come se ogni giorno cercasse di tirare su un muro che la divideva dal resto del mondo, forte abbastanza da proteggerla dagli attacchi del nemico.

Al contrario di ciò in cui confidava, la barriera non era affatto in grado di difenderla, a lui ogni volta bastava una semplice parola, uno sguardo ambiguo, e lei si ritrovava a piangere chiusa nel bagno, mentre si dava, arrabbiandosi, della stupida.

Col passare del tempo però, pian piano, il cuore aveva smesso di sanguinare, era sempre irrimediabilmente compromesso, ma adesso lei aveva imparato a convivere col dolore.

Almeno fino a quel pomeriggio.

Era andata in biblioteca a studiare subito dopo pranzo, anche se era sabato. Rammentava esattamente il libro di Pozioni aperto alla pagina della Pozione Polisucco – un semplice ripasso –, quando qualcuno le aveva dato l’annuncio; il discorso era affondato nel suo petto come un pugnale, aveva percepito chiaramente l’immediato aprirsi di una nuova ferita, e da quel momento tutto ronzava confuso nella sua mente.

Ricordava una corsa forsennata fino all’infermeria, la porta chiusa, Harry che raccontava cosa era successo, Ginny, un’attesa che durava ore e, alla fine, lui. Pallido, nel letto, privo di sensi, l’espressione sofferente sul volto.

Hermione aveva smesso di respirare, aveva chiuso gli occhi e li aveva riaperti più volte; quella non poteva essere la vita reale, quello non poteva essere lui. Certamente era rimasta intrappolata in un incubo, doveva svegliarsi.

Ma il dolore, quel dolore intenso che avvertiva come una morsa sul cuore, era vero, su questo non poteva sbagliare. Pensò che non si sarebbe mai più ripresa, non riusciva neanche a parlare.

Quando aveva visto arrivare la famiglia Weasley, preoccupati, per la prima volta si era sentita un’estranea, come se non le fosse permesso di provare la loro stessa ansia. Aveva seguito Harry mentre tornava nella Sala Comune ed era andata a dormire.

Hermione sapeva benissimo che quella sarebbe stata un’altra delle sue notti insonni, non si sforzò neanche di provare a riposare; si sedette sul letto e chiuse le tende e lì, protetta dalla solitudine del buio, aveva dato sfogo a tutte le sue lacrime.

Il mattino successivo, il bisogno di vederlo, di parlargli, di accertarsi che fosse vivo, era divenuto improrogabile. Aveva placato i singulti ed aspettato che gli occhi si sgonfiassero, si era vestita e pettinata con calma, cercando di assumere l’aria più tranquilla che le riusciva. Si ripeteva nella mente che andava tutto bene, che in fondo non era successo nulla.

Aveva aspettato che tutti fossero andati a fare colazione, prima di uscire dal dormitorio ed avviarsi verso l’infermeria.

Durante il percorso aveva vagliato le possibili conversazioni che avrebbe intrattenuto con lui.

“Ti ho portato i compiti, così non rimani indietro.”

“Come stai? Madama Chips dice che ti riprenderai presto!

“Dai, non lamentarti, poteva andare peggio!”

“…”

“Ho avuto così tanta paura di perderti…”

“Mi sei mancato…”

No. Ecco, le ultime due frasi non le avrebbe mai dette, non le pensava neanche, si erano infilate nella sua testa per sbaglio… colpa del cervello annebbiato… e del cuore spezzato… due volte.

In balia dei pensieri, si era ritrovata di fronte la porta dell’infermeria, chiusa. La maniglia di ottone sembrava risplendere, invitante. Sarebbe bastato afferrarla e premerla verso il basso, la porta non avrebbe fatto resistenza, si sarebbe aperta alla prima spinta.

Chiunque sarebbe entrato senza troppe cerimonie, avrebbe attraversato l’uscio senza rifletterci, era una cosa scontata e banale, e quella era solo una porta; ma Hermione non era chiunque, Hermione pensava. Era famosa per quello, nessuno meglio di lei sapeva mettere in moto la ragione in qualsiasi circostanza.

Quella volta non era diversa.

Con gli occhi fissi sulla maniglia, Hermione ricordò gli ultimi mesi trascorsi, i silenzi, gli stratagemmi per non restare nella stessa stanza con lui, le frecciate che si erano lanciati continuamente, le occhiate perfide che si riservavano ogni volta che i loro sguardi si scontravano.

Fece un passo indietro.

Poi nella testa, prepotente, galleggiò l’immagine di lei, quell’altra, quella che lui aveva scelto; i loro abbracci, i loro baci, gettati alla mercé degli spettatori, senza pudore, quasi non fosse una cosa importante.

Ma per Hermione aveva importanza, eccome.

Sentì gli angoli degli occhi pizzicare, il rischio di piangere altissimo.

Un altro passo indietro.

Contro la sua volontà, le lacrime ripresero a scorrere, pigre, sleali, come per prendersi gioco di lei, rigavano le sue guance.

Ancora un passo.

La consapevolezza che lui, probabilmente, non voleva vederla, la percosse come un violento schiaffo, doloroso.

Si voltò e strinse al petto i libri che aveva portato con sé, i compiti le sembrarono improvvisamente una scusa troppo debole.  Lui aveva rischiato di morire, forse aveva bisogno di una visione più piacevole degli appunti di qualcuno con cui aveva evitato qualsiasi contatto per settimane, forse avrebbe preferito avere al fianco capelli biondi e forme da capogiro.

Forse… sicuramente.

Hermione si mise una mano sulla bocca per non singhiozzare di nuovo, per non mostrarsi ancora più penosa di quanto già non fosse; si allontanò dalla porta a grandi passi. Quando si trovò in fondo al corridoio, di fronte alle scale che l’avrebbero allontanata definitivamente dall’infermeria, prese a correre, evitando di controllare il suo pianto disperato.

C’era un solo luogo dove sentiva di poter sfogare la sua frustrazione.

Senza esitare, attraversò i piani del castello ad occhi bassi, schivando chi incontrava, cercando di rendersi il più anonima possibile, pregando che non la notassero.

Entrò nel bagno delle ragazze e si chiuse la porta alle spalle, odiandosi fermamente per le lacrime che non riusciva a quietare, perché ancora una volta il nemico aveva vinto. Perché non si era mai sentita più stupida ed infelice di allora.

 

 

 

 

 

 

Scrivo questo missing moment dal “Principe Mezzosangue” in attesa del film che verrà proiettato tra meno di un mese… finalmente, non ce la facevo più ad aspettare! Questo è il primo capitolo di tre, ovviamente credo che tutti abbiate capito di quale momento si tratta…

Spero di non deludervi.

Vorrei davvero ringraziare tutti coloro che hanno recensito, messo tra i preferiti e che continuano a seguire i miei lavori… mi rendete felice, grazie!

Grazie a quelli che leggeranno e che avranno voglia di commentare anche questo… fatevi sentire!

A prestissimo.

 

 

Emmahp7

 

 

 

 

 

 

   
 
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