Sulla porta
Purple washes over me
Seeping through my open seams
I’m stained all over
Purple – Skin -
Stava quasi
cominciando a farci l’abitudine, d’altronde era già la seconda volta che le
capitava quello stesso anno.
Hermione non ricordava esattamente cosa le avessero detto
quel pomeriggio, non ricordava neppure chi era venuto a parlarle, le sole cose
chiare nella sua mente erano le parole Ron…
avvelenato… Harry… bezoar… infermeria… tutte nella stessa frase e poi una
fitta dolorosa al centro del petto.
Ecco, era quello a cui si era quasi abituata, quel dolore che partiva dallo sterno e che si
propagava per tutto il corpo, che le toglieva il respiro e la faceva tremare.
La prima volta che le era successo, si era talmente
spaventata che era corsa in infermeria per farsi controllare, convinta che
stesse per avere un infarto. Quando Madama Chips
l’aveva liquidata con un’occhiata scettica, aggiungendo che probabilmente si
era fatta impressionare da uno dei libri che leggeva, si era precipitata in
biblioteca per fare delle ricerche, perché lei era sicura di avere qualcosa, qualcosa di molto grave, senza
dubbio, una malattia incurabile.
I sintomi erano evidenti: innanzitutto il dolore al petto,
la continua mancanza d’aria, l’ansia, la perdita di sonno e di appetito, la
stanchezza e poi, quello che Hermione detestava più di ogni altro, le si era
annebbiato il cervello. Non riusciva più a pensare nitidamente, si distraeva
durante le lezioni, trovava difficoltà a terminare i compiti,
d’un tratto la scuola aveva perso il suo fascino. Il suo rendimento scolastico
era rimasto invariato, d’altro canto lei era molto più avanti sul programma
rispetto alla maggior parte degli studenti, quindi i voti non ne avevano
risentito, ma lei sapeva che c’era qualcosa che non andava. Era estremamente
preoccupata.
Aveva provato a confrontarsi con Harry, ma aveva desistito
subito, in quel periodo lui pareva essere su un altro pianeta, quindi aveva
cercato la persona a cui si rivolgeva sempre quando aveva bisogno di parlare: Ginny.
Se Hermione avesse saputo in anticipo cosa le avrebbe
detto la sua amica, avrebbe sicuramente evitato la chiacchierata; ma Hermione
aveva smesso di seguire Divinazione da anni, quindi non avrebbe potuto
conoscere l’opinione di Ginny finché non fossero state
faccia a faccia, e poi diciamoci la verità, non avrebbe potuto saperlo prima
neanche se avesse ottenuto un M.A.G.O. in
Divinazione: la professoressa Cooman non era proprio
la migliore insegnante che avessero mai avuto!
Hermione, una sera, aveva preso Ginny
da parte e le aveva raccontato per filo e per segno tutte le sue preoccupazioni,
certa che l’amica le avrebbe buttato le braccia al collo in preda ad un pianto
disperato, concordando con lei che la sua era una malattia molto grave e che
probabilmente non sarebbe arrivata alla fine dell’anno; invece Ginny l’aveva guardata con la faccia di una che la sa
lunga, le aveva messo una mano sulla spalla e annuendo aveva detto, “Benvenuta
nel club!”
“Quale club?” aveva chiesto Hermione, immaginando
un’epidemia sconosciuta che serpeggiava per Hogwarts.
“Il club del cuore spezzato! A quanto pare
neanche chi è molto intelligente ne è immune!” aveva risposto Ginny con un sospiro.
Hermione l’aveva guardata con entrambe le sopracciglia
alzate, domandandosi se avessero messo del Whisky Incendiario nel succo di
zucca che avevano servito a cena – cena che lei non aveva neppure sfiorato -
perché Ginny era ovviamente ubriaca.
Hermione era scoppiata a ridere, tanto che aveva dovuto
tenersi la pancia con le mani, tanto che aveva le lacrime agli occhi.
Ginny se ne era andata brontolando un
“So che è difficile da accettare, dormici su” .
Hermione aveva continuato a sghignazzare finché non era
andata a letto, le lacrime continuavano a scendere; mentre si girava e rigirava
tra le lenzuola, ripensando a quanto fossero assurde le parole dell’amica,
improvvisamente le risate erano cessate.
Le lacrime no. Alla fine aveva capito.
Il suo cervello era annebbiato perché, come quando si
inceppa la bobina di un film, le riproponeva in continuazione sempre la stessa
scena: lui che bacia quell’altra.
Quell’immagine la invadeva a tal punto che non le lasciava
spazio per altri pensieri.
Hermione quella notte aveva scandagliato con cura le
settimane trascorse da quando aveva smesso di ponderare razionalmente, cercando
qualcos’altro, qualsiasi altro motivo che poteva legarsi alla sua fantomatica
malattia, incapace di rassegnarsi all’evidenza.
Al ritirarsi del buio, mentre dietro le
spesse tende del suo dormitorio già albeggiava, si era finalmente convinta che Ginny aveva ragione. Lei, Hermione Granger,
alunna brillante, membro dell’Ordine della Fenice,
fondatrice del C.R.E.P.A., migliore amica di Harry
Potter - il prescelto -, aveva il cuore
spezzato.
Rabbrividiva di disgusto ogni volta che ci pensava.
La mattina dopo aveva atteso Ginny
nella Sala Comune con due grosse occhiaie viola che le adombravano gli occhi tristi e
smarriti.
Ginny non sembrava affatto sorpresa.
L’aveva guardata con un mezzo sorriso sghembo e sconsolato e aveva ribadito la
sua solidarietà con un “Mi dispiace”.
Da allora comunque le cose erano migliorate, la presa di
coscienza aveva reso Hermione più razionale e determinata a reagire.
Cominciò ad evitare
Le ore di lezione erano una vera tortura; avvertiva ogni
volta lo sguardo di lui sulla sua
nuca, e poi captava lo sguardo dell’altra
su di lui. Era una cosa che la faceva letteralmente impazzire.
Per tentare di non farsi distruggere dalla follia
imminente, si dedicò con maggiore intensità alle spiegazioni, alle verifiche,
sforzandosi di escludere quello che aveva intorno, immergendosi nella sua
concentrazione, meditando quasi. Era come se ogni giorno cercasse di tirare su
un muro che la divideva dal resto del mondo, forte abbastanza da proteggerla
dagli attacchi del nemico.
Al contrario di ciò in cui confidava, la barriera non era
affatto in grado di difenderla, a lui
ogni volta bastava una semplice parola, uno sguardo ambiguo, e lei si ritrovava
a piangere chiusa nel bagno, mentre si dava, arrabbiandosi, della stupida.
Col passare del tempo però, pian piano, il cuore aveva
smesso di sanguinare, era sempre irrimediabilmente compromesso, ma adesso lei
aveva imparato a convivere col dolore.
Almeno fino a quel pomeriggio.
Era andata in biblioteca a studiare subito dopo pranzo,
anche se era sabato. Rammentava esattamente il libro di Pozioni aperto alla
pagina della Pozione Polisucco – un semplice ripasso
–, quando qualcuno le aveva dato l’annuncio; il discorso era affondato nel suo
petto come un pugnale, aveva percepito chiaramente l’immediato aprirsi di una
nuova ferita, e da quel momento tutto ronzava confuso nella sua mente.
Ricordava una corsa forsennata fino all’infermeria, la
porta chiusa, Harry che raccontava cosa era successo, Ginny,
un’attesa che durava ore e, alla fine, lui.
Pallido, nel letto, privo di sensi, l’espressione sofferente sul volto.
Hermione aveva smesso di respirare, aveva chiuso gli occhi
e li aveva riaperti più volte; quella non poteva essere la vita reale, quello
non poteva essere lui. Certamente era
rimasta intrappolata in un incubo, doveva svegliarsi.
Ma il dolore, quel dolore intenso che avvertiva come una
morsa sul cuore, era vero, su questo non poteva sbagliare. Pensò che non si
sarebbe mai più ripresa, non riusciva neanche a parlare.
Quando aveva visto arrivare la famiglia Weasley, preoccupati, per la prima volta si era sentita
un’estranea, come se non le fosse permesso di provare la loro stessa ansia.
Aveva seguito Harry mentre tornava nella Sala Comune ed era andata a dormire.
Hermione sapeva benissimo che quella sarebbe stata
un’altra delle sue notti insonni, non si sforzò neanche di provare a riposare;
si sedette sul letto e chiuse le tende e lì, protetta dalla solitudine del
buio, aveva dato sfogo a tutte le sue lacrime.
Il mattino successivo, il bisogno di vederlo, di parlargli,
di accertarsi che fosse vivo, era
divenuto improrogabile. Aveva placato i singulti ed aspettato che gli occhi si
sgonfiassero, si era vestita e pettinata con calma, cercando di assumere l’aria
più tranquilla che le riusciva. Si ripeteva nella mente che andava tutto bene,
che in fondo non era successo nulla.
Aveva aspettato che tutti fossero andati a fare colazione,
prima di uscire dal dormitorio ed avviarsi verso l’infermeria.
Durante il percorso aveva vagliato le possibili conversazioni
che avrebbe intrattenuto con lui.
“Ti ho portato i
compiti, così non rimani indietro.”
“Come stai? Madama Chips dice che ti riprenderai presto!”
“Dai, non
lamentarti, poteva andare peggio!”
“…”
“Ho avuto così tanta
paura di perderti…”
“Mi sei mancato…”
No. Ecco, le ultime due frasi non le avrebbe mai dette,
non le pensava neanche, si erano infilate nella sua testa per sbaglio… colpa
del cervello annebbiato… e del cuore spezzato… due volte.
In balia dei pensieri, si era ritrovata di fronte la porta
dell’infermeria, chiusa. La maniglia di ottone sembrava risplendere, invitante.
Sarebbe bastato afferrarla e premerla verso il basso, la porta non avrebbe fatto
resistenza, si sarebbe aperta alla prima spinta.
Chiunque sarebbe entrato senza troppe cerimonie, avrebbe
attraversato l’uscio senza rifletterci, era una cosa scontata e banale, e
quella era solo una porta; ma Hermione non era chiunque, Hermione pensava. Era famosa per quello, nessuno
meglio di lei sapeva mettere in moto la ragione in qualsiasi circostanza.
Quella volta non era diversa.
Con gli occhi fissi sulla maniglia, Hermione ricordò gli
ultimi mesi trascorsi, i silenzi, gli stratagemmi per non restare nella stessa
stanza con lui, le frecciate che si
erano lanciati continuamente, le occhiate perfide che si riservavano ogni volta
che i loro sguardi si scontravano.
Fece un passo indietro.
Poi nella testa, prepotente, galleggiò l’immagine di lei, quell’altra, quella che lui aveva scelto; i loro abbracci, i
loro baci, gettati alla mercé degli spettatori, senza pudore, quasi non fosse
una cosa importante.
Ma per Hermione aveva importanza, eccome.
Sentì gli angoli degli occhi pizzicare, il rischio di
piangere altissimo.
Un altro passo indietro.
Contro la sua volontà, le lacrime ripresero a scorrere,
pigre, sleali, come per prendersi gioco di lei, rigavano le sue guance.
Ancora un passo.
La consapevolezza che lui,
probabilmente, non voleva vederla, la percosse come un violento schiaffo,
doloroso.
Si voltò e strinse al petto i libri che aveva portato con
sé, i compiti le sembrarono improvvisamente una scusa troppo debole. Lui aveva
rischiato di morire, forse aveva bisogno di una visione più piacevole degli
appunti di qualcuno con cui aveva evitato qualsiasi contatto per settimane,
forse avrebbe preferito avere al fianco capelli
biondi e forme da capogiro.
Forse… sicuramente.
Hermione si mise una mano sulla bocca per non singhiozzare
di nuovo, per non mostrarsi ancora più penosa di quanto già non fosse; si
allontanò dalla porta a grandi passi. Quando si trovò in fondo al corridoio, di
fronte alle scale che l’avrebbero allontanata definitivamente dall’infermeria, prese
a correre, evitando di controllare il suo pianto disperato.
C’era un solo luogo dove sentiva di poter sfogare la sua
frustrazione.
Senza esitare, attraversò i piani del castello ad occhi
bassi, schivando chi incontrava, cercando di rendersi il più
anonima possibile, pregando che non la notassero.
Entrò nel bagno delle ragazze e si chiuse la porta alle
spalle, odiandosi fermamente per le lacrime che non riusciva a quietare, perché
ancora una volta il nemico aveva
vinto. Perché non si era mai sentita più stupida ed infelice di allora.
Scrivo questo missing moment dal
“Principe Mezzosangue” in attesa del film che verrà proiettato tra meno di un
mese… finalmente, non ce la facevo più ad aspettare! Questo è il primo capitolo
di tre, ovviamente credo che tutti abbiate capito di quale momento si tratta…
Spero di non deludervi.
Vorrei davvero ringraziare tutti coloro che hanno
recensito, messo tra i preferiti e che continuano a seguire i miei lavori… mi
rendete felice, grazie!
Grazie a quelli che leggeranno e che avranno voglia di
commentare anche questo… fatevi sentire!
A prestissimo.
Emmahp7