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Autore: Lo Otta    24/09/2017    0 recensioni
Lasciare la propria casa è difficile, e salutare famigliari e amici ancora di più. E se nella tua nuova città vieni pestato e derubato, costretto in una tenzone amorosa e turbato dai tuoi sentimenti puoi stare bello fresco.
Partecipante al contest “End of the Line” indetto da Found Serendipity
Partecipante alla challenge "Mal d'amore challenge!" indetta da AcquaSaponePaperella
Partecipante al contest "Festa + Alcol = guai" indetto da Hermit_
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CRUCCI D’AMORE
Contesa la donna, conteso il suo amòr


  -Charl caro, sei arrivato. Vedo che hai già incontrato la mia piccola.- lo zio Bobbie disse quelle parole senza esitazione, senza sapere della mia infatuazione per la sua piccola, Cloe. Piccola che stava nella nostra stessa stanza coperta da solo un asciugamano che nascondeva a malapena le parti private di una donna come lei. Quella scoperta seppelliva però il mio recente amore in una bara sotto strati di dubbi e pregiudizi di retta moralità.
  Mentre ero bloccato dalle mille domande che mi ponevo, una donna simile a Cloe, ma con corti capelli beige a caschetto ci raggiunse dalla stessa direzione da dove era arrivato lo zio.
  -Sii preciso amore, altrimenti lo confondi solo. Tu devi essere Charl giusto? Io sono Flossie e lei è mia figlia Cloe, concepita durante il mio primo matrimonio. Mi sono risposata con Bobbie alcuni anni fa. Spero andremo d’accordo.- i modi della donna erano calmi e gentili, come quelli di una dolce zia, e mi aspettavo solo che da un momento all’altro mi prendesse una guancia per sprimacciarmela tutta. Lei non poteva saperlo, ma quello che aveva appena detto mi aveva salvato dalla peggiore delusione d’amore che avessi mai provato. Un conto è essere innamorato della figlia della seconda moglie del proprio zio, un altro è amare una cugina. Tutto quello che mi avevano insegnato era contrario a ciò.
  Felice, la abbracciai di getto. Profumava di caramello e un pizzico di cannella.
  -Lo prendo come un sì.- Flossie sorrise mentre la abbracciavo.
  Lo zio Bobbie commentò con il suo solito tono comico, che mi divertiva tanto da piccolo -Spero tu non sia venuto fino a qui per rubarmi la sposa. Perché in quel caso dovrai lottare con le unghie e con i denti per strapparmela.- la tirò a se facendole fare una piroetta, e poi loro due si fermarono in posa, come una vecchia coppia di ballerini esperti. -Devi ancora mangiare?
  Io feci cenno di no con la testa. Dopo tutto il trambusto non avevo voglia di ingurgitare niente, anzi ero solo fortunato ad avere lo stomaco vuoto, altrimenti avrei rischiato di buttare fuori tutto ciò che tenevo.
  -Ok.- zio e sua moglie rientrarono a passo di danza nella stanza da dove erano arrivato, che avevo identificato come la cucina.
  Nel salottino restavamo solo io e Cloe, ancora fradicia e avvolta nei pochi panni che teneva. Lei non faceva molto per coprirsi, e l’unica barriera tra la mia vista e il suo petto era quell’asciugamano che si teneva insieme per qualche forza adesiva a me sconosciuta.
  Cercavo di distogliere lo sguardo da quel lembo di pelle, ma una parte di me aveva preso il controllo delle mie pupille, zoomando su quell’area, e io internamente pregavo che lei non si accorgesse dove stavo puntando da quando era entrata nella sala.
  -Allora, tutto bene con il tuo amico?- provai a chiederle, cercando di distrarre il me peccaminoso che dirigeva il mio sguardo, ma quello oramai aveva spento tutti i sensi tranne la vista.
  -Benissimo. Taso è un fidanzato fantastico.- la parola mi colpì come una sfilettata al petto, scalfendo profondamente le catene del mio mostro verde di gelosia.
  -Fantastico. E dimmi, conosci qualche bel posto dove posso divertirmi ‘sta sera? Voglio dimenticarmi tutti i casini di oggi.
  -Vieni con noi. Avevo un appuntamento con Taso, ma se vieni anche tu ci divertiremo ancora di più!- Dopo avermi invitato si girò e si avviò per salire le scale, facendo svolazzare di poco l’asciugamano e mandando in estasi tutto in me, fino al mostro verde.
  Anche io mi avviai lungo le scale, ma al piano superiore Cloe mi aspettava davanti alla prima porta del corridoio. Mi avvicinai, ma lei mi fermò.
  -Alt, tu non entri qui. Hai avuto già una dose sufficiente di me per rifarti gli occhi oggi.- Con un sorrisino mi sbatté la porta in faccia, per poi socchiudere la porta e sporgere un braccio nudo, mollando l’asciugamano davanti all’entrata.
  Io rimasi lì fermo in quel corridoio, abbandonato prima che mi dicessero dove era la mia stanza.

  Dopo riuscì a trovare la mia camera, in fondo a sinistra davanti al bagno. Sulla porta avevano appeso un cartello con su scritto “Carlone Cuginone”, e decorato con faccine sorridenti e colori sgargianti. Mi annotai mentalmente di dargli una sistemata. Mi buttai sul letto stremato, per riprendermi e darmi una cambiata. Mi cambiai i jeans, ormai strappati alle ginocchia, belli sì, ma poi con quei tagli entrava tutto il freddo. Indossai una camicia blu, e poi presi telefono e portafoglio, riempito ad un bancomat mentre venivo lì. Misi anche una giacca nera di pelle. Se dovevo fare un’uscita con dei giovani, mi dovevo vestire come i giovani.
  Pronto per uscire, scesi e mi piazzai sul divano davanti alla TV, con il telecomando in mano pronto a riprendere uno sport che non praticavo dai tempi del college: zapping agonistico. Saltando da un canale all’altro prendevo pizzichi di frase qua e là, formando nuove frasi, nuove storie e nuove notizie. Dopo qualche sessione di riscaldamento, avevo scoperto:
-Brutold ha una tresca con / il Presidente / che ha un / cane / giroscopico e / un pianeta / persi nel tifone / blu;
-Un gattone ha mangiato / un uomo che / ha visto dei / cerchi / blu / nel pollo;
-Voglio vedere quello / che non / avete ancora / alieni / tornatevene a casa vostra;
-La macchina / del capitano Pizzichizzi / balla la samba con noi / in una grotta sotterranea distante / tanto tempo fa / dove / cera d’api.
-Sono andati dove / sono andati dove / sono andati dove / sono andati dove / sono andati dove (questa fu la volta quando il televisore si blocco sullo stesso blocco per due minuti buoni).
  A quel punto spensi la televisione. Non c’erano più i buoni programmi di una volta. Ricordava ancora quella volta che vide “un gatto albino sopra al letto del vicino Brutold Sr.³¹ cadde a terra e si ruppe il cervelletto”. O come dimenticare la strappalacrime scena finale di “Come ho incontrato Il buono, Alienis & Co.”. Il giallo che vendeva gli ombrelli era stato infettato da un virus terribile, e si appoggiava al suo amico di lunga data e coinquilino Jonh Wait, raccontandogli in fin di vita di come si erano incontrati i genitori dei suoi genitori dei suoi genitori. Ma Jonh aveva un mezzogiorno al dente e doveva correre, per il Grande Nettuno (soffriva infatti di raffreddore ed aveva il naso chiuso). Tutto questo mentre un satellite naturale con una faccia molto terrificante si avvicinava inesorabilmente verso di loro e verso tutto il loro pianeta.
  Cloe scese le scale lentamente, come una diva, sfoggiando una camicetta leggera e degli short di jeans. Decisamente troppo corti, a parer mio. Il sorriso radioso che fece quando la vidi mi negò di contestare. Non volevo certo passare da vecchiardo che va a letto con le galline.
  Uscimmo subito, il suo ragazzo già stava aspettando fuori. Non si aspettava che ci fossi anch’io. Bene, un punto per me. Io indossai il mio miglior sorriso di cortesia e salì sul macchinone nel sedile del passeggero. Fosse mai che nel viaggio provasse ad allungare le mani verso Cloe.
  Il tragitto fu abbastanza silenzioso. Quel Taso appena provava ad aprire bocca la richiudeva, notandomi accanto a lui. Voleva dire che lo mettevo a disagio. Se non poteva parlare, aveva poche possibilità con la bella Cloe. Io invece non avevo grossi blocchi vocali, ma a parte qualche battuta sui palestrati decelebrati (per mettere in cattiva luce il ragazzo e i suoi muscoli), non sparai troppe cartucce. Era meglio non scendere subito con tutto l’arsenale.
  Ma non avevo comunque ottenuto brutti risultati da quel trasferimento. Quando scendemmo Taso digrignava i denti, e Cloe rideva appena aprivo bocca. E non era per il mio aspetto.
  La macchina aveva parcheggiato nella piazza dove aveva recuperato Cloe quel pomeriggio stesso, ma era completamente diversa da come appariva prima che calasse il sole. Ora le insegne dei negozi erano state accese e tutti i ragazzi del paese si erano dati appuntamento lì, vagando tra bar, panchine e negozietti h24.
  La media d’età delle persone in quella piazza si sarà aggirata sui venti anni, anche contando un vecchietto addormentato su una panchina vuota. Ma forse non stava dormendo. Il fatto che i piccioni becchettassero la sua carne invece che le granaglie nella busta che teneva tra le mani mi faceva propendere per questa seconda ipotesi.
  Io, oramai oltrepassato il traguardo dei trenta, non ero quindi facilmente amalgamabile con quei giovani, che quasi potevano essere figli miei. Ma non mi feci prendere dallo sconforto. Avevo in corso una partita a scacchi contro quel “ragazzone tutto muscoli” per il possesso della regina, ed io mi trovavo in posizione di vantaggio. Ma forse era meglio non pensare metafore simili, mi avrebbero fatto passare per un barboso anzianaccio. Diciamo che c’era una sfida a rime rappose, e avevo chiuso quello sgarzullo di Big-T con una combo troppo bombastica di “Cuore” e “Amore”. Così era abbastanza g-g-giovane.
  Cloe e Taso si erano intanto diretti ad un bar, chiamandomi (lei) per chiedermi cosa bevessi. Io quando gli raggiunsi chiesi un’analcolica.
  Cloe commentò subito la mia scelta -Anche la mamma beveva sempre le analcoliche, quando mi aspettava.- Il suo ragazzo seduto alla sua sinistra non si trattenne a lanciarmi un sorriso sornione. D’accordo, avevi recuperato un po’ di terreno.
  Bevuto io la mia birra da donne incinte, e loro due cocktail alcolici dalla miscela segreta ma dai colori sgargianti, uscimmo dal locale. Cloe si mise a ballare con dei ragazzini appena entrati nella pubertà, che giravano con una cassa a tutto volume. Io e Taso ci sedemmo su una panca di fronte alla nostra ballerina e ai suoi paggetti, ovviamente senza degnarci di una parola. Lui prese subito il cellulare, iniziando a scrollare le varie bacheche. Io rimasi a guardare Cloe invece, mentre si agitava e si dimenava al ritmo della musica.
  Lei ci vide e ci porse la mano, ma solo io la raccolsi e mi unì a ballare con quella stramba compagnia, lasciandomi muovere dalle note.
  Continuammo a ballare fino a che i ragazzini non vennero chiamati a fare ritorno a casa, da madri che avevano passato la serata nella loro calma domestica, tra una stirata e una soap alla televisione, quiete raggiunta dopo essersi accasate e non essere più costrette ad uscire per trovare un compagno con cui condividere la vita e procreare, per portare avanti la specie.
  Carichi di adrenalina io e Cloe ci risedemmo sulla panchina, dove Taso non aveva ancora staccato gli occhi dal suo telefono intelligente. Peggio per lui, perché si era perso un’occasione splendida per vedere la sua ragazza nella sua bellezza naturale, libera da costrizioni sociali e solo spinta dalla musica. Decidemmo di fare un giro per il centro, facendomi conoscere un po’ i luoghi. Togliemmo il cellulare al terzo occupante della panca, e ci avviammo.
  Camminammo per un buon lasso di tempo, e quando tornammo nella piazza era già cambiato il giorno da almeno un’ora. Gli avventori di quel ritrovo pubblico si erano diradati, e alcuni locali avevano abbassato le serrande. Oramai la rivalità tra me e Taso era giunta alla corda, e Cloe si mostrava ambigua, apparendo fedele al suo ragazzo, ma non risparmiando atteggiamenti quantomeno equivoci con quello che chiamava il suo cuginone. Quella lunga giornata mi aveva distrutto, ma non potevo arrendermi e lasciare la mia piccola tra le braccia di quel tipo. Chissà quali pensieri perversi gli passavano per la mente. Dovevo andare avanti finché lui non avesse ceduto per primo. Ma le palpebre si stavano facendo sempre più pesanti, e il bar era così caldo. Chissà se il bancone era morbido come un cuscino.
  Non caddi addormentato solo perché Taso il grosso richiamo l’attenzione dei pochi clienti nella saletta saltando sulla sedia.
  -Oh no, non posso essermene dimenticato. Devo subito tornare a casa.- Prese la giacca appoggiata alla sedia in tutta fretta.
  -Ma dove vai?- Cloe mise una punta di tristezza nella sua domanda.
  -Devo andare tesoro, ho una partita con degli amici e sono già in ritardo.- lasciò i soldi sul tavolo e salutò la sua ragazza con un bacio a stampo.
  -Ma, ci devi riaccompagnare…- lui era già uscito, diretto al suo mezzo.
  Ero stanco, ma non così tanto da non capire la vantaggiosissima situazione in cui mi trovavo. La ragazza che mi piace sola alle due di notte in un bar, abbandonata dal suo ragazzo. Occasione più ghiotta non c’era. -Senti Cloe, ci avviamo verso casa, che ne dici?
  Lei non parlò, e con lo sguardo basso pagò il suo e uscì. Io diedi i soldi per il mio e la seguì fuori.

  Casa nostra non era vicina alla piazza dove eravamo noi, e così il ritorno si preannunciava abbastanza lungo. Sotto un terso cielo di stelle, camminavamo sul bordo della strada, attraversando le pozze di luce dei lampioni, alcuni fulminati e alcuni no.
  Cloe tremava nella sua mise leggera. Io mi tolsi la giacca e gliela misi addosso. Da dietro di lei il mio viso era attaccato al suo. Le labbra tremavano e gli occhi luccicavano. Potevo baciarla ora, e averla mia.
  Le strofinai le mani lungo le braccia, per scaldarla. Ero stanco. Avrei avuto un’altra occasione per conquistarla.

  
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