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Autore: bittersweet Mel    26/09/2017    2 recensioni
The World è una grande città spezzata a metà, da una parte le ville e il lusso, dall'altra le palazzine malfamate e la povertà.
Roxas vive nella sua splendida casa, il giardino perfetto e una famiglia all'apparenza perfetta; Axel convive con due amici e fatica a pagare l'affitto, ma continua a coltivare il sogno di diventare un attore.
Il giorno in cui si incontreranno tutte le problematiche della grande città si fonderanno e inizieranno a farsi pian piano sempre più pressanti.
[ Axel/Roxas ]
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Demyx, Roxas, Ventus
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco, Altro contesto
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II
 


 
Axel aveva passato la nottata più strana di tutta la sua vita, per lo meno da che ne avesse memoria.
Probabilmente anni addietro c’erano state notti peggiori, passate con le coperte tirate sopra la testa, il cuore in gola e il sudore freddo sulla schiena, con la paura dei mostri nell’armadio e sotto al letto, ma Axel non le rammentava affatto, se non come fugaci visioni e rimembranze lontane.
Se avesse chiesto a sua madre molto probabilmente avrebbe trovato le risposte ai suoi vuoti di memoria, con le sue storie su come Axel avesse bagnato il letto fino ai sette anni e su come fosse sempre stato un bambino così emotivo, ma al momento preferiva lasciare tutti quei ricordi nel suo inconscio più profondo.
Questo però non toglieva nulla al fatto che quella notte l’avesse passata in bianco, le mani appiccicaticce dal sudore e le guance bollenti come se avesse la febbre.
Gli stessi sintomi che rammentava avere da piccolo, quando guardava un film horror insieme a suo fratello Reno, per poi correre velocemente in camera durante i titoli di coda.
Su per le scale con il cuore in gola e il corpo scosso dalla paura.
Eppure quella sera non aveva visto nulla di spaventoso, al contrario qualcosa di così bello da togliere il fiato.
Il volto di Roxas gli era apparso tutta la notte davanti agli occhi, che li avesse aperti oppure no.
Le guance tonde, i capelli dorati, gli occhi sempre abbassati, ma di uno splendido color cobalto.
C’era qualcosa che l’aveva scosso in quel ragazzo dal primo momento in cui l’aveva visto là, nella hall della confraternita.
Lo sguardo leggermente smarrito, l’espressione corrucciata, con quella meravigliosa riga d’espressione verticale tra le sopracciglia.
L’aveva trovato meraviglioso, vestito con la maglia blu e i jeans chiari, le scarpe con le stringhe spaiate.
Poi gli aveva parlato e quello era stato il colpo di grazia.
La voce bassa, le parole che parevano sussurri afrodisiaci alle sue orecchie, i suoi pensieri a voce che sfumavano da una parte all’altra, con quello sguardo trasognato e distante.
Roxas.
Aveva ripetuto il suo nome di tanto in tanto, quella notte, mentre il ticchettio dell’orologio si fondeva con il russare rumoroso di Demyx sul divano e gli sbuffi di Zexion nell’altra stanza.
Roxas.
Gli piaceva come suonava sulle sue labbra, come una melodia d’altri tempi, con la “ R” dura e ruvida che si fondeva con la dolcezza delle vocali.
Aveva passato la notte così, nominando il suo nome, ripensando alle sue labbra, al suo sguardo, componendo sonetti immaginari, recitando un loro possibile incontro, finché l’alba non era sorta.
Le strade di The World si erano animate ai cinguetti mattutini, abbandonando il frinire dei grilli, e di tanto in tanto si udiva lo sfrecciare delle prime automobili lungo la via.
I primi bar avevano aperto e dalle finestre aperte della camera di Axel il profumo dei croissant si espandeva nell’aria calda come una ventata di umido piacere.
Lo stomaco del ragazzo si lamentò sonoramente con un gorgoglio, ricordandogli che era giunto il momento di mettere qualcosa sotto ai denti.
Con un sospiro stanco Axel si alzò dal letto, gettando uno sguardo stralunato sopra la sveglia a led adagiata sul comodino.
Le 6:13.
Il giovane sbadigliò automaticamente, perdendo qualche secondo per contare mentalmente le ore che aveva passato a letto.
Troppo poche per potersi permettere una giornata fruttuosa.
Si passò una mano tra i capelli scompigliati e uscì dalla camera da letto, dirigendosi verso il bagno.
Fortunatamente lo trovò vuoto.
Convivere con altri due ragazzi, alle volte, poteva rivelarsi molto fastidioso, specialmente quando Demyx perdeva un’intera ora a farsi la doccia bollente, come piaceva a lui.
Quella mattina, però, l’intera casa stava ancora dormendo e Axel ne approfittò per allungare un po’ i suoi tempi.
Impiegò mezz’ora per lavarsi e ficcarsi addosso un paio di pantaloni puliti e una maglietta asciutta, gettando quella sudata dentro la lavatrice.
Poi si diresse verso la cucina, frugando nel portafoglio alla ricerca di qualche spicciolo per potersi comprare una brioche.
« Axel », gli giunse alle orecchie non appena mise piede in salotto, diretto alla cucina adiacente. «  Axel. Sei sveglio? »
Il fulvo sospirò, ruotando gli occhi al cielo nel sentire la voce strascicata dell’amico.
Abbandonò l’idea di andare nel piccolo cucinino e si fermò ai piedi del divano, dove arrotolato malamente in un lenzuolo giaceva Demyx.
Il volto pallido, le occhiaie scure, e gli occhi ancora arrossati.
«  Bella nottata, eh?»
Lo punzecchiò il fulvo, osservando la chiazza di sudore che copriva entrambi i lati della canotta grigia che l’altro indossava.
I mesi estivi erano insopportabili in quella città, dove i fumi del traffico e delle aziende ammorbavano l’aria con i loro gas.
Demyx si sollevò a fatica, mettendosi seduto scompostamente sopra quello che era stato il giaciglio per la notte.
« Zexion non mi ha fatto dormire con lui, dice che puzzavo troppo. »
« Fidati, puzzavi davvero, davvero, troppo.»
Il biondo gli lanciò un’occhiata tremendamente offesa, prima di appoggiarsi una mano sotto l’ascella destra per poi annusarsela.
L’espressione disgustata che comparve sul suo viso decretò che, molto probabilmente, l’odore era tutt’altro che svanito.
Con un sospiro si rigettò sdraiato sopra al divano, gli occhi chiusi e un lamento lungo che gli usciva dalle labbra.
«  Aaaah, muoio di sete. Di sete e di fame. Stai uscendo per caso? »
Axel fu tentato di dirgli di no, che si era vestito solamente per occupare un po’ di tempo, ma era inutile negare l’evidenza, specialmente quando Demyx aveva i postumi di una sbronza.
Diventava tremendamente insistente ogni volta che si risvegliava dopo aver bevuto.
Insistente e melodrammatico com’era già di sua indole.
« Ti serve qualcosa? In frigorifero mi pare di aver visto un po’ di latte, ieri. »
«  E’ scaduto da più di una settimana. »
Axel concordò mentalmente con lui. Effettivamente era quasi un mese che non andavano a fare la spesa, ma i soldi stavano scarseggiando.
Demyx non suonava da nessuna parte da più di due settimane e l’ultima volta l’avevano pagato in birre, piuttosto che in soldi, e gli assegni mensili che i genitori di Zexion gli spedivano erano stranamente cessati dopo che il figlio gli aveva detto di avere una relazione con un uomo.
Axel, invece, faticava ad arrivare a fine mese tra un lavoretto e l’altro.
«  D’accordo, ti porto su un caffè macchiato, che ne dici? »
« Hai i soldi? », gli domandò con voce strozzata il ragazzo, aprendo un solo occhio per poterglielo puntare addosso.
Axel annuì, mostrandogli una banconota da cinque dollari.
«  L’altro ieri mi hanno pagato, al Jimbo’s, pensa un po’. Ben cinquanta dollari, siamo ricchi, fino al prossimo mese possiamo comprare tutto quello che vogliamo», esclamò con ironia, rificcandosi in tasca i soldi e incrociando le braccia al petto.
Axel lavorava part-time al drive in di uno squallido fast food locale, con tanto di cappellino rosso in testa e maglietta a righe. Un po’ ridicolo, certo, ma riusciva a pagare una minima parte dell’affitto. Quello, più il lavoro nella mensa del College, che gli permetteva di comprare almeno il cibo precotto.
«  Amico, non scherzare troppo che poi potrei crederci. Comunque vada per il caffè », Demys si fermò dal parlare, lasciandosi scappare un lungo sbadiglio, «  e se quando torni mi trovi morto seppelliscimi insieme al mio Sitar e sulla mia lapide incidi: “  lui avrebbe voluto così.” »
«  Sì, sì, come vuoi, ora vado.»
« Grazie Axel, sei il migliore. »
Quando si richiuse la porta alle spalle, Axel, stava ancora ridendo.
Solamente una piccola parte della sua mente non riusciva a ridere insieme alle sue labbra, quella minuscola fetta che ancora si chiedeva come mai Roxas non gli avesse scritto nessun messaggio, come mai ancora non l’avesse chiamato.
Si disse che era ancora troppo presto, che non aveva senso aspettarsi nulla, ma mentre scendeva le scale del suo squallido appartamento non poté fare a meno di gettare  uno sguardo alla schermata del cellulare, trovandola ancora vuota.
 


 
***


 Roxas mosse a “L” il cavallo, mangiando con un leggero tlock il pedone  bianco di Tatty.
La nonna sospirò leggermente, fissando la scacchiera piena di pedine nere, tranne quelle tre sopravvissute della sua schiera.
Re, Regina e una singola torre.
Roxas accennò ad un sorriso e attese la mossa della nonna, le  braccia incrociate al petto e l’espressione concentrata sopra la tavoletta a quadri.
«  Da quando sei cresciuto non è più divertente giocare con te» cominciò a parlare la donna, mentre si scostava delicatamente un ciuffo grigio dal volto.
Cercò di legarselo dietro alla nuca, dove lo stretto chignon le teneva compatti i lunghi capelli ingrigiti dal tempo.
Roxas accennò ancora una volta ad un sorrisetto mesto, osservando le lunghe dita rugose che prendevano la torre e la postavano in avanti, cercando di proteggere il più possibile il Re.
Il biondo, con quasi tutti le pedine immacolate, contrattaccò con l’alfiere.
«  Scacco al Re », dichiarò, con una leggera soddisfazione. Sua nonna era sempre stata un’ottima stratega e fino a pochi anni prima, Roxas non era mai riuscito a vincere una partita che fosse una.
Ora la situazione si era invertita, ma per bontà di cuore il biondo evitava di vantarsene troppo, nonostante la soddisfazione che sentiva montare in petto ogni singola volta.
Ventus, lì accanto a loro, fissava la scacchiera con occhi assonnati, sbadigliando di tanto in tanto.
L’orologio segnava le cinque del pomeriggio e quella giornata pareva non passare più.
Quando era piccolo, Ventus, adorava passare intere giornate a casa di nonna Tatty, nella sua vecchia casa azzurra e fantastica; ora, che di anni ne aveva sedici – e il nuovo appartamento appariva ridicolo rispetto alla vecchia villa-  pensava che non ci fosse nulla di emozionante nel passare la giornata con Tatty, che non faceva altro che cucinare dolci, giocare a scacchi e guardare il telegiornale con sguardo critico.
E poi c’era suo fratello Roxas che a quanto pareva, al contrario di lui, bramava quelle giornate con talmente tanta intensità da svegliarsi presto e preparare con minuziosità ogni attività per la giornata.
Ventus sospirò un'altra volta, sperando di riuscire ad attirare l’attenzione del gemello, cercando di fargli capire che iniziava ad annoiarsi.
Non ricevette nemmeno uno sguardo, allora sospirò ancora una volta.
Allungò le gambe sotto al tavolino, per poi fare lo stesso con le braccia, finendo con l’appoggiarsi del tutto sopra al vecchio tavolo di quercia.
Osservò con disinteresse Tatty, la fronte aggrottata e gli occhi concentrati dietro la montatura fine degli occhiali, mentre spostava il Re di una sola casella, sperando di fuggire alle mosse di Roxas.
Ventus sbadigliò sonoramente, socchiudendo gli occhi.
« Pensavo … potremmo fare una passeggiata nel parco, che ne dici nonna?», domandò alla fine, reprimendo un altro sbadiglio e pulendosi con l’indice le due piccole lacrimucce agli angoli degli occhi.
Era certo che si sarebbe addormentato da un momento all’altro, se non fosse riuscito ad andarsene  il prima possibile da quella casa.
Tatty sollevò lo sguardo dalla scacchiera per osservare il nipote, l’espressione leggermente più dolce.
«  Scusami piccolo, ti stiamo annoiando, lo so, dopo possiamo andare a prendere un gelato, se vuoi.»
Roxas scrollò le spalle, prima di alzare a propria volta lo sguardo e puntare gli occhi azzurri su quelli del fratello.
Di certo lui non aveva voglia di un gelato e nemmeno di fare un giro all’aria aperta.
Gli piacevano i pomeriggi sonnacchiosi con la nonna e di certo non li avrebbe mai voluti sostituire con qualche ora in compagnia di altre persone.
«  Possiamo passarci insieme più tardi io e te. Più tardi, magari domani », borbottò alla fine Roxas, tornando a chinare il capo.
Ventus arrivò ad appoggiare il mento sopra al tavolo, lamentandosi a bassa voce.
Sia la nonna che Roxas tornarono sopra la scacchiera, concentrati su quella partita che oramai aveva già un vincitore certo.
Ventus osservò ancora per qualche secondo le pedine e alla fine tirò fuori il cellulare, piazzandoselo davanti allo sguardo.
Ad ogni problema, alla fine, c’era sempre una soluzione applicabile, così gli avevano sempre insegnato durante le tediose lezioni di matematica.
Aprì Whatsapp e cliccò sopra al gruppo “ Wayfinder” in cerca di aiuto: di sicuro i suoi amici non lo avrebbero abbandonato nel momento del bisogno.
Nemmeno qualche secondo dopo arrivò il messaggio di Terra, seguito da quello di Aqua.
Accennò ad un sorriso e prontamente si tirò su a sedere, stiracchiandosi le ossa.
Ventus si schiarì la voce e si passò la mano tra i capelli, ficcandosi il cellulare nella tasca dei pantaloni e avvicinandosi al tavolino lì affianco, dove Tatty e Roxas ancora rimanevano chinati.
«  Vado a fare un giro con i miei amici, non è un problema, vero nonna? »
La vecchietta scosse il capo e sorrise ancora una volta, mormorando un: “ va pure, va, ma torna qui per le 17”, ovvero l’orario in  cui sarebbe arrivata loro madre a prenderli.
Chi la sentiva, Naminè, se non avesse trovato entrambi i gemelli ad attenderla nel piccolo salotto della nonna!?
Ventus sorrise soddisfatto e si voltò verso il fratello, tentando un’ultima volta di convincerlo.
« Vieni anche tu?», gli domandò, speranzoso, aggiungendo quanto avrebbe fatto piacere ai suoi amici rivederlo, almeno una volta ogni tanto.
Roxas nemmeno alzò lo sguardo dalla scacchiera, si limitò a scuotere le spalle.
« Non ho voglia di uscire, magari la prossima volta. »
Per Roxas, “ la prossima volta”, non esisteva quasi mai.
Ventus allora fece spallucce e gli diede un leggero colpetto sopra la testa, come se lo stesse ammonendo per una marachella da poco, poi con un saluto veloce uscì dalla sala e, successivamente, dalla porta.
Roxas sentì il cancelletto del condominio aprirsi e richiudersi, allora sollevò lo sguardo e sospirò leggermente.
Sua nonna alzò il capo e il volto le si addolcì incredibilmente, tanto che le rughe sopra al volto parvero rilassarsi e attenuarsi leggermente.
«  Dovresti uscire un po’ di più, tesoro, non ti fa bene stare sempre in casa. »
« Anche tu stai sempre in casa », rispose il biondo, appoggiandosi allo schienale imbottito per farsi scrocchiare il collo.
La donna scosse la testa e controbatté con un: «  io sono vecchia, tu sei giovane. »
« Sarò vecchio dentro, che ci posso fare?»
Roxas ritornò sopra gli scacchi e mosse la Regina in avanti di tre caselle, sorridendo poi con soddisfazione.
Osservò il Re della nonna sotto scacco, tenuto sotto mira dalla Torre, dall’Alfiere e infine dalla Regina.
Sbatté le mani e guardò la nonna.
«  Ho vinto.»
« Uhm, mi sa che hai proprio ragione », iniziò Tatty, abbandonando la partita con un sospiro leggero, «  ma questo non toglie che dovresti uscire un po’ di più con tuo fratello o con i tuoi amici. »
Roxas tamburellò le dita sopra al tavolino, ora leggermente a disagio.
Gli parve addirittura di sentire un rivoletto freddo corrergli lungo la schiena. Si mosse, quindi, leggermente sopra la sedia, schiarendosi la voce.
«  Non ho amici », ammise alla fine, anche se credeva che la nonna già lo sapesse, « non veri per lo meno. »
Certo, c’era Hayner, ma non era certo che fosse realmente suo amico. A scuola parlava con lui, di tanto in mensa sedeva al suo stesso tavolo, ma non avevano l’intimità necessaria per poter essere considerati “ amici”.
La loro relazione era più di convenienza, dove si scambiavano qualche parola quando entrambi ne avevano voglia e si tenevano compagnia nei momenti più noiosi, ma per il resto non avevano molto da spartirsi.
Roxas sospirò appena e guardò la nonna, osservandola scuotere la testa leggermente in apprensione.
«  E quella simpatica ragazzina con cui uscivi? »
« Lei non è mia amica, nonna, è solo …», si fermò, non sapendo esattamente cosa dire, «  non lo so. »
La donna sorrise ancora di più allora, con le labbra -coperte da un leggero rossetto color pesca, come suo solito-  che si sollevavano e solcavano maggiormente le rughe attorno alla bocca.
«  La tua ragazza? »
Roxas serrò le labbra, scuotendo velocemente la testa.
«  Dio, no, proprio no. Non so mai di cosa parlare con lei. E’ simpatica, anche carina, ma dopo mezz’ora … mi perdo.»
Era la nuda e cruda verità.
Roxas conosceva le persone, ma non era loro amico. Con nessuno dei suoi compagni di scuola riusciva ad intavolare un discorso troppo lungo, perfino con Hayner, che solitamente copriva i lunghi  silenzi  di Roxas con le sue parole dette un po’ a vanvera.
Poi c’era Xion, una ragazza che aveva conosciuto nel corso di arte e che, all’inizio, aveva pensato potesse essere la fidanzata perfetta.
Interessata ai libri, alla pittura e alla musica, un’anima dedita alle arti, ma alla fine si era riscoperta una delusione. Piacevole alla vista, certo, con i corti capelli scuri a caschetto e i vestiti troppo larghi per la sua taglia, ma pian piano Roxas ne aveva perso interesse. Solo la sua voce lo attraeva, tanto soffusa e leggera che la faceva apparire come una specie di dolce pettirosso.
Ma nulla di più. Di tanto in tanto Roxas usciva con lei, a mangiare un gelato insieme, ma dopo la prima mezz’ora a parlare delle solite cose l’attenzione del biondo scemava via e lei rimaneva in silenzio a mangiucchiare il suo gelato al fiordilatte senza aprire bocca.
Roxas si era arreso al proprio carattere e alla sua incapacità di farsi amici, non gli pesava neanche più come succedeva  all’inizio.
« Roxas, tesoro, sei davvero uguale a tua madre su certe cose. »
Era una frase che Roxas si era sentito dire talmente tante volte da averne la nausea.
Da piccolo, quando al doposcuola passava il pomeriggio a disegnare piuttosto che andare a giocare. A casa, durante le cene di famiglia, quando tutti alzavano lo sguardo e lo guardavano con quegli occhi quasi addolorati e gli sussurravano quella frase.
Inizialmente Roxas, quando era piccolo, non aveva capito cosa ci fosse di male nell’assomigliare a sua madre, che era una donna fragile e al tempo stesso brillante e intelligente, bella e da un sorriso talmente dolce nemmeno il miele.
Alla fine aveva capito – una volta cresciuto e aperto gli occhi- che sotto quelle parole c’era un velato insulto alla personalità vacua di Naminè, indifferente a tutto e a tutti, interessata solamente alla sua arte piuttosto che al mondo intero.
Il biondo si imbronciò leggermente, fissando la nonna con un’espressione stranamente ostile.
«  Non guardarmi così, tesoro, non stavo cercando di offenderti. Amo mia figlia così come amo te, ma mi si distrugge il cuore a vedervi sempre da soli. Dai a tua nonna una soddisfazione, provaci almeno.  »
Roxas abbassò lo sguardo, pensando a quanto le parole di Tatty fossero una mossa talmente bassa da dover essere considerata illegale.
Era sbagliato far leva sui sentimenti dei propri nipoti fino a farli sentire in colpa.
Alla fine sollevò lo sguardo e sbottò un: « che palle.»
« Attento alle parole, mi farai venire un infarto. »
«  Ma se urli sempre contro la vicina! Ho sentito l’Inferno aprirsi settimana scorsa. Il Diavolo ha un posto apposta per te, al suo fianco.»
La donna rise un po’, sollevandosi dalla sedia e avvicinandosi al nipote. Roxas la guardò attentamente, finché non sentì la sua mano secca e vecchia sopra la nuca.
Si lasciò accarezzare la testa, scostare i corti capelli biondi, abbandonandosi per qualche secondo alle lunghe dita talmente magre da apparire scheletriche.
« Allora, piccolo, ci proverai a farti qualche amico? Sono sicura che là fuori ci sarà qualcuno fatto apposta per te, qualcuno con cui riuscirai a parlare fino a farti venire la gola secca. »
Istantaneamente la mente di Roxas rievocò un volto ben preciso, un viso che aveva cercato di celare nella memoria il più possibile. Eppure sapeva che con sua nonna avrebbe potuto parlare anche di questo, perfino di un ragazzo sconosciuto che aveva quasi baciato. Tatty avrebbe sicuramente trovato le parole giuste per rassicurarlo e levargli dalla testa tutte le preoccupazioni che l'avevano tormentato negli ultimi giorni.
Le labbra gli si serrarono appena, mentre gli occhi tornavano ad abbassarsi sopra la scacchiera.
Con l’indice fece ondeggiare un pedone, prima di lasciarsi andare ad un sospiro.
«  In realtà ho conosciuto una persona … simpatica, diciamo », poi, come a volersi difendere, disse: « Però ci ho parlato solo una volta.»
La mano della nonna si irrigidì sopra la sua testa e l’istante dopo Tatty gli si parò davanti, le braccia incrociate al petto e lo sguardo emozionato come quello di un adolescente.
Il più delle volte Tatty Lys appariva come una giovane donna, piuttosto che una simpatica vecchia.
Indossava vestiti a tubino, le scarpe col tacco, e si acconciava i capelli puntualmente dal suo parrucchiere di fiducia. Si era rifiutata di tingerli, andando fiera del suo grigiore, ma non mancava mai il suo appuntamento settimanale per cotonarli proprio come piacevano a lei.
In più si truccava leggermente le palpebre e le labbra.
Faceva tutto questo con estrema grazia ed eleganza che mai una volta in vita sua era apparsa volgare oppure esagerata.
Ora, con le palpebre colorate di azzurro e le labbra pesca, la donna lo guardava con una leggera soddisfazione.
«  Beh? Non dici nulla a tua nonna? »
Roxas, notando il suo sguardo, si sentì in dovere di rispondere subito, con una leggera ansia alla base dello stomaco.
Portò addirittura le mani davanti al petto, come se volesse discolparsi di chissà quale reato.
«  Guarda che non è una ragazza, non pensare subito male. »
«  E chi ha pensato male, piccolo? Dimmi, dimmi. »
Il biondo ruotò gli occhi, osservando il soffitto bluastro, con le sfumature bianche, che rendeva quel posto tanto simile ad una radura a cielo aperto.
Il tendaggi verde erano le chiome degli alberi, i mobili in legno i tronchi e quello splendido tappeto verde acido – vecchio e malconcio, con dei piccoli fili morbidi che sporgevano ai lati- era uno verdeggiante prato di quadrifogli.
Così come Fantasia era stato un abisso incantato, ora l’appartamento era un piccolo prato sereno, l’unico posto dove Roxas poteva parlare tranquillamente, senza sentirsi giudicato.
Alla fine, allora, decise di raccontare ogni cosa.
Prese una profonda boccata e corruciò le labbra, osservando gli occhi attenti di sua nonna mentre apriva la bocca e iniziava a parlare.
Raccontò a Tatty della festa a cui si era imbucato – strappandole un leggero mormorio di disapprovazione-, alla serata passata in solitaria, ma al tempo stesso esaltante, e alla fine arrivò a parlare di Axel.
Un ragazzo giovane, studente del College, dai vispi occhi verdi e dalla chioma fatiscente; gli parlò della sua voce cadenzata e ritmata, dei movimenti delle sue mani ogni volta che parlava, del modo in cui le sue labbra fini si sollevavano ogni volta che incrociava il suo sguardo.
La nonna ascoltava tutto con interesse, senza interrompere, limitandosi a sorridere oppure ad aggrottare la fronte, finché, alla fine del racconto, non schioccò le labbra un paio di volte.
«  E allora, tesoro, perché non gli hai ancora scritto? »
Roxas serrò le labbra, sbuffando leggermente. Incrociò le braccia al petto, chiudendo delicatamente le dita attorno alla maglia bianca che indossava.
«  Credo ci stesse provando con me e non vorrei dargli l’idea sbagliata. »
Tatty sbottò un: “ ma cosa dici!”, prima di riprendere a parlare. «  Probabilmente gli farebbe piacere uscire di nuovo con te. Dovresti semplicemente essere sincero e dirgli che vorresti essere suo amico. »
«  Non si può andare da una persona e chiedergli se vuole esserti amico, non funziona più così. »
« Beh, è sbagliato. Ai miei tempi era tutto più facile, credo. »
Roxas se ne rimase in silenzio per un intero minuto, limitandosi ad osservare Tatty che si alzava dalla sedia, si posava entrambe le mani dietro la schiena – aveva qualche acciacco, Roxas si dimenticava sempre che era vecchia, e non giovane come appariva- e si allontanava verso la cucina.
Allora tornò a pensare, a sfruttare quei minuti di solitudine per ripensare ad Axel.
Non che non ci avesse pensato a lungo, in quei quattro giorni.
L’aveva addirittura sognato due volte, in un garbuglio di pensieri che non riusciva nemmeno a ricordare.
Aveva, però,  desistito all’idea di scrivergli. Si era tenuto lontano dal suo numero, scribacchiato malamente sopra un pezzo di carta e salvato sul cellulare, e aveva cercato di ignorarlo.
Gli sembrava impossibile uscire con Axel, quando quel ragazzo aveva palesemente dimostrato di essere gay.
Roxas non lo era e non gli sembrava giusto uscire con lui e magari dargli false speranze.
Una piccola parte della sua mente, però, bramava ancora la sua voce, i suoi pensieri aguzzi e frizzanti, quel modo di parlare che, per una volta, l’aveva incantato e appassionato.
Nessun altro era mai riuscito ad interessarlo così tanto, ma il pensiero che fosse proprio un uomo lo rendeva ansioso.
La nonna fece in tempo a tornare, con due tazze fumanti di tè Rooibos, che Roxas ancora non aveva trovato una soluzione ai propri pensieri.
«  Roxas, ascolta tua nonna, scrivigli un messaggio e digli che ti piacerebbe tanto vederlo. »
«  Ma così- »
La donna gli spinse la tazza di tè praticamente tra le mani, interrompendo ogni parola pronta ad uscire.
Roxas corrugò la fronte e afferrò l’antifona, rimanendosene in silenzio a soffiare sopra il tè bollente.
Due zollette di zucchero e poi tornò a guardare Tatty.
«  Ci uscirai insieme, parlerete, e lì gli dirai che ti sta simpatico e che ti piacerebbe essere suo amico. I vecchi modi di fare funzionano sempre, stellina, guarda Ventus! E’ sempre pieno di amici, non è mai da solo. A te basterebbe solo una persona, e perché sprecare un’occasione d’oro? »
Roxas scrollò le spalle, non sapendo cosa rispondere.
Le idee di sua nonna erano strane alle volte, ma sapeva quanto quella vecchietta fosse irremovibile.
Allora afferrò il cellulare – e lì il sorriso di Tatty lo contagiò per qualche secondo- e aprì un nuovo messaggio.
La nonna gli si avvicinò, arrivando addirittura ad abbandonare la tazza bollente sopra al tavolino, solo per sporgersi sopra la sua spalla e guardare le dita del nipote scrivere, un po’ incerte, un messaggio striminzito.
Allora sorrise, lasciando un bacio al sapore di pesca sopra la guancia di Roxas, che istantaneamente si era fatta di un bel rosso intenso, come il tè Rooibos.






***
Piccola nota a margine: aggiornerò ogni 10 giorni all'incirca, magari un po' prima, magari dopo, ma cercherò ugualmente di non esagerare con i ritardi.
In ogni caso in questo capitolo ho introdotto un personaggio originale, Tatty, che apparirà di tanto in tanto nella storia come supporto morale e Jiminy della situazione.
Btw, per chi segue, commenta -!?-, ecc, ci vediamo al prossimo aggiornamento.
   
 
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