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Autore: Luine    19/06/2009    1 recensioni
Quando mi hanno regalato questo diario per il mio dodicesimo compleanno, non credevo che mi sarebbe stato tanto utile. Credevo che sarebbe rimasto intonso come quando l'ho scartato. E, invece, eccomi qui a scrivervi sopra e a raccontare la mia (strana) vita.
Mi chiamo Ken Iccijojji, vivo a Tokyo con i miei genitori, Videl e Gohan, e con mia sorella maggiore, Pan.

Kenny ha dodici anni, una sorella maggiore alquanto turbolenta e una situazione familiare decisamente movimentata. A causa del terrore di sua madre di vederlo diventare come Pan, si ritrova iscritto in una scuola speciale per ragazzini problematici che già da subito si rivela essere una vera e propria caserma militare.
Tra paure, insegnanti molto duri, amici fidati e misteriosi, incomprensioni, equivoci e risate, si snodano le vicende di Kenny che come valvola di sfogo ha il suo diario, sul quale annota le sue più intime paure e i fatti di vita quotidiani, cercando di convincere se stesso che, forse, poteva andare peggio.
[ Dragon Ball, Digimon 02, Gundam Wing, What a mess Slump e Arale, e altri ]
Genere: Comico, Commedia, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le lezioni al primo anno

Vita di caserma



2 Settembre


Alzarsi alle cinque della mattina è faticosissimo, soprattutto se la sera prima si va a letto a mezzanotte. La verità è che, vedendomi fuori casa, mi sentivo libero di fare questo ed altro.

Ci ha svegliati Heero Yuy, urlando e battendo sulla porta, prima di andarsene a svegliare quelli della camera a fianco. Ammetto di aver fatto una scemenza, ma le cinque della mattina è un orario decisamente disumano!

Lamentandomi, mi sono stretto ancora più sotto il lenzuolo e stavo per riaddormentarmi, quando un urlo di Pan mi ha costretto ad aprire gli occhi.

«CHE CAZZO SUCCEDE? ORA NON SI PUO' NEANCHE DORMIRE, PORCA TROIA?»

Ma, dopo questo, non abbiamo più sentito la sua voce, come se quella fosse stata la sua sveglia. La conosco abbastanza bene per dire che si era riaddormentata, senza neanche passare a guardare.

Alex si è seduto sul letto e si è stropicciando gli occhi.

«E si ricomincia!» ha detto, guardandomi con l'unico occhio pesto che riuscivo a vedere. «Se tua sorella fa così tutte le mattine, sarà impossibile ignorare questa routine di merda!»

«Ma perché? Ci svegliamo tutti i giorni a quest'ora?» ha chiesto Frank, dall'ultimo letto dall'altra parte della stanza.

«Eh, secondo te?» Alex si è alzato e si è stiracchiato, sbadigliando sonoramente.

«Ma sono le cinque e cinque!» ho protestato, guardando la sveglia che la mamma mi aveva provvidenzialmente messo in valigia solo l'altroieri.

«Cosa?» ha esclamato Tai Yagami, che mi aveva sentito. «Ma questi sono scemi! Buonanotte, ci vediamo tra qualche ora a colazione!»

«Eh, sì, bravo!» ha esclamato Alex, aprendo la porta della stanza. «Così la salti proprio. Quella troia della Une te la fa fare in piedi, a guardare gli altri, mentre si abbuffano di quelle merdate che ci preparano!»

«Eh?» Frank si è alzato in piedi di scatto, a quelle parole. «Andiamo, muovetevi, tutti a prepararsi!»

Non si sa chi gli abbia dato l'autorità per darci degli ordini, ma, per amor di pace e per via del sonno che ci felpava il cervello, abbiamo ubbidito tutti e preso la strada del bagno che, purtroppo, era chiuso e aveva anche un mucchio di ragazze in fila.

«Ma che è?» ha domandato Trowa Burton, sconcertato.

«Alex si è chiuso in bagno!» ci ha informati Arale Norimaki, che era in fondo alla fila. «Ha detto di dover cagare!»

«Va beh, quanto ci potrà mettere mai?» ha domandato Frank, con leggerezza, stringendosi nelle spalle. «Aspetteremo!»

Ma erano arrivate e passate le cinque e un quarto e Alex non era ancora uscito. Alcuni erano tornati a letto, tipo Bra, Mimi, Tai, Matt e qualche altro ragazzo di cui non so ancora il nome. Arale, come Frank, invece, ha optato per i bagni comuni in corridoio ed è uscita.

«Io mi cambio e basta. Mi laverò dopo.» ha dichiarato Trowa, rientrando nella camera dei ragazzi. L'ho seguito: ci sarebbe stato tutto il tempo per lavarsi, dopo l'alzabandiera. Ma mi sbagliavo di grosso.


Credevo che fossimo arrivati in ritardo, invece, era appena iniziato l'appello. Un uomo grasso, con i capelli brizzolati e la voce monotona stava chiamando un certo Howard James al microfono, proprio mentre stavamo scendendo le scale del portone.

«Cazzo!» ha esclamato Alex. Era dietro di noi, con i pantaloni ancora mezzi sbottonati come la giacca «Sono già al secondo anno corso C! Siamo fottuti!»

«Può dirlo forte, Ramazza!» la voce della Une ci ha investiti come acqua ghiacciata. Si era materializzata davanti a me, che scendevo accanto a Trowa Burton e Mimi Takikawa.

«Tutti quelli che non hanno risposto all'appello, stamattina, non faranno colazione!» ha esclamato, freddamente.

«Questa è un'ingiustizia!» ha replicato Alex, sistemandosi la camicia nei pantaloni. «Io dovevo cagare!»

La Une lo ha incenerito con lo sguardo. «Soldato Ramazza, le ho detto mille volte di usare termini più appropriati a un collegio del nostro stampo.» ha risposto, gelida. «Non è un'ingiustizia: una regola è una regola e lei dovrebbe saperlo, dopo due anni. E ora vada insieme ai suoi compagni. Stiamo per cantare l'inno.»

Ci siamo guardati intorno: c'erano così tanti ragazzi in quel cortile che credevo fossero tutti quelli del mondo.

Alcuni rispondevano «Presente», non appena venivano chiamati dall'uomo grasso con la voce monotona, che ho saputo, da Alex, naturalmente, essere Jack Bristow, l'insegnante di matematica.

Ci è voluto un bel po' perché finisse (siamo sette anni, con cinque corsi ciascuno) e si erano fatte le sei. Solo quando Bristow ha finito, un ragazzo del settimo anno, a sentire Alex, ha alzato la bandiera e la Une ci ha ordinato di portare la mano sul cuore.

«A che servirà mai...» domandava Alex, in un borbottio, senza muovere un muscolo.

Uno stereo, non appena la bandiera è stata alta sull'asta, ha cominciato a suonare la musica dell'inno e, al momento giusto, un coro di voci scompagnate ha cominciato a cantare. Alex mi ha indicato i professori che erano proprio dietro di noi: avevano la mano sul cuore e cantavano come se ne andasse della loro vita, mentre la Une muoveva appena le labbra. Non appena mi ha visto, ha smesso di farlo e mi ha puntato contro un dito.

«Si volti e canti!» mi ha ordinato a voce alta. Mi sono girato di nuovo, spaventato.

Arale, accanto a me, cantava con ardore e un enorme sorriso stampato in faccia, come se non ci fosse stato niente di più bello del cantare un inno a quell'ora indegna della mattina. Alex, all'altro mio fianco, mi ha fatto l'occhiolino.

«Credo che non lo sappia nemmeno l'inno. La Une, intendo...» mi ha informato, con un sonoro sbadiglio che non ha nemmeno coperto con una mano, tutte e due infilate in tasca.

Non ha nemmeno aperto bocca per cantare, mentre io, incerto, cercavo di intonare la seconda strofa.

«Cazzo!» ha detto ancora lui. «Dopo due anni non mi sono ancora abituato a quest'andazzo schifoso!»

Dopo, i professori se ne sono andati e, tutti quelli più grandi, che erano anche davanti a noi, alti come torri, si sono voltati indietro, come una sola persona e hanno fatto il saluto militare. Li ho imitati perché la Une non venisse a sgridarmi di nuovo.

In quel momento non sapevo chi mi faceva più paura, se lei o mia sorella, che non si era proprio presentata in cortile.

Ho guardato verso Alex, che, invece di fare il saluto, voltato di spalle agli insegnanti, guardava il cielo con la bocca semiaperta e un'espressione da catalessi. Dieci secondi dopo, ha starnutito.

«Rompete le righe!» ha esclamato la Une, con la sua solita aria da vipera, prima di andarsene e rientrare.

«Cosa?» ho chiesto ad Alex. «Che vuol dire?»

«E' come "Toglietevi di culo", ma poi non sarebbe abbastanza fine per un collegio di questo stampo, capisci? La finezza è la finezza...» ha risposto lui, guidandoci dentro, insieme a una calca di ragazzi tutti in uniforme che parlavano piano, alcuni anche lamentandosi. E non erano solo primini.

«E adesso?» ho chiesto. «Che succede? Sono quasi le sette!»

«Adesso possiamo tornare a dormire!» ha risposto Alex. Ho inarcato un sopracciglio, incerto.

«A dormire?» ha esclamato Rareba, stupito. «Ma... ci sono le lezioni tra un'ora!»

«Ma ho trovato solo gente ligia al dovere, quest'anno? E va bene:» Alex ha guardato Frank, al suo fianco, mentre ci fermavamo tutti insieme sulle scale. Aveva un'aria di finto interesse. «Che abbiamo alla prima ora, Frankie?»

Lui, forse non capendo la battuta, ha preso il foglio con l'orario e l'ha guardato. «Attività fisica che, dopo colazione, è la morte sua!»

«No, la morte nostra!» è stata Pan a parlare. Scendeva le scale, fresca come una rosa ed indossava l'uniforme come la indossava Alex, cioè in modo sciatto e disordinato; il cappello lo faceva roteare su un dito. «Dove siete stati?» ha chiesto, guardandoci incuriosita.

«All'alzabandiera!» ha risposto Frank. «Tu, piuttosto, dov'eri?»

«Non sono mica una fessa come voi!» ha replicato lei, seria. «Io ho dormito come un angioletto!»

«Ed è proprio per questo che salterà la colazione, al contrario di questi fessi!» ha risposto la Une, che era rientrata, accanto a Zack Marquise e il ragazzo coi capelli neri e con l'uniforme blu che aveva visto l'altroieri sera alla cerimonia.

«Cosa?» ha chiesto mia sorella, inorridita. «Che novità è questa?»

«Mi sembra di averle già spiegato le ragioni, soldato...?»

«Iccijojji, purtroppo.» ha risposto Pan.

«Soldato Iccijojji, e non mi piace dovermi ripetere. Ci sono delle regole e una di queste è la disciplina. Da sempre, in questa scuola, ci si alza alle cinque, si fa l'appello e l'alzabandiera e, chi disubbidisce, non fa colazione e guarda gli altri farla. In piedi!» mentre parlava, il suo tono si è fatto sempre più cattivo. E ha goduto nel dire le ultime due parole.

«Si calmi, signora, si calmi!» ha risposto mia sorella, sarcastica. «Non le fa bene alla pressione, se ce l'ha alta!»

Si è diretta verso la mensa e non ha detto altro. La Une aveva un'aria interdetta, come se nessuno mai avesse provato a parlarle in quel modo.

«Muovetevi!» ha ringhiato, rivolta a noi. E, senza aspettare altro, io, Alex, Frank, Arale, Trowa e gli altri che c'erano con noi, siamo entrati a mensa, in quella giungla di scalmanati che mangiavano, si lanciavano i tovaglioli e urlavano saluti a quelli degli altri tavoli.

«Ma... fanno sempre così?» ho chiesto ad Alex.

«Sì. E' l'unico posto dove possiamo! Ehi, ciao, Ernesto, come stai?» si è fermato con un ragazzo basso e i denti sporgenti, mentre noialtri tornavamo al tavolo centrale, quello del nostro anno. Pan era seduta e si stava imburrando una fetta biscottata.

«Scusa se te lo dico, ma tua sorella ha la faccia come il culo!» mi ha detto Arale, sedendosi accanto a lei, senza smettere di sorridere nemmeno per un attimo. «Buongiorno!»

«Buongiorno un cazzo!» ha abbaiato Pan. Arale ha fatto una smorfia e si è presa la brocca del latte che era sistemata al centro della tavola. Non sapevo cosa fare, dato che avrei dovuto rimanere in piedi, senza colazione e, con Tai e Trowa, ci guardavamo spaesati.

Ma, quando ho visto che anche Alex si sedeva e prendeva da mangiare, ci siamo sentiti in dovere di imitarlo.

«Ma bene!» ha esclamato la Une, venendoci incontro. «Vedo che non avete capito: niente colazione significa che non-dovete-toccare-CIBO!»

Pan ha addentato la sua fetta biscottata, mentre il silenzio calava imbarazzante sulla mensa. La Une la guardava rabbiosa. Sembrava pronta per esplodere.

«Lei!» ha sibilato, puntandole contro il dito. «Finirà in cella di isolamento, prima o poi!»

Pan ha masticato il pezzo di fetta biscottata, come se la cosa non la riguardasse. «E se io la denunciassi per maltrattamenti a minori?» ha chiesto, con la bocca piena e nessuna dignità. «Ho letto tutto sull'argomento, quest'estate!»

Io ho spalancato gli occhi, incredulo, e la Une è diventata ancora più rossa della sua divisa.

«Co-cosa?» ha chiesto, interdetta.

«Lei non può maltrattare dei minorenni!» ha risposto Pan, con semplicità.

«Già...» ha esclamato Alex, scattando in piedi, come se sulla sua sedia ci fosse stato uno spillo. «La sorella di Ken ha ragione! Siamo tutti minorenni a questo tavolo?»

Alcuni hanno annuito, tipo Mimi, ma anche persone che non avrei mai creduto, tipo Frank; altri, tipo me o Joe o Trowa Burton, siamo stati un po' vigliacchi e abbiamo preferito far finta di niente.

«Tu, Ken, sei minorenne, no?» mi ha spronato Alex.

«Ehm... s-sì!» ho balbettato, messo con le spalle al muro.

«Lo siamo tutti!» ha continuato Frank, stringendosi nelle spalle. «Ha visto?»

«Kushrenada!» ha esclamato la Une, indignata. «Proprio lei, tra tutti!»

Tutti quanti, a sentire quel nome, ci siamo girati verso di lui e tutti avevamo gli occhi fuori dalle orbite. Probabilmente, si chiedevano, come me, dove avessero già sentito quel nome.

«Cosa? Sto dicendo le cose come stanno?» ha chiesto lui, alzandosi ed ignorando le nostre teste puntate su di lui. Avrà quattordici anni, ma è più alto della Une di tutta la testa. «Se deve punire la ragazza, allora deve punire tutti gli altri!»

«Ben detto!» ha esclamato Alex, fiero, annuendo con forza.

«Non credo dobbiate essere voi a dirmi come devo procedere! Se non sbaglio, sono io che gestisco questa scuola!» ha replicato la Une, riprendendo un po' del suo contegno.

«Nei limiti e nel rispetto del codice militare istituito dal Consiglio dell'Alleanza!» ha replicato Frank. La Une ha inarcato un sopracciglio, ma non ha ribattuto. Sembrava interessata a ciò che il nostro compagno aveva da dire. «Secondo l'articolo 12 comma C, non tutte le punizioni applicabili ai maggiorenni possono essere inflitte ai soldati di questa scuola, se minorenni. Una delle punizioni bandite è, guarda caso, quella della cella di isolamento. Mio zio ha stilato questo punto di suo pugno!»

L'abbiamo ascoltato tutti a bocca aperta. Ora, le sue parole non sono state precisamente queste, ma ricordo di aver cambiato totalmente idea su di lui.

Bra e Pan sbattevano le palpebre, guardandolo, di nuovo, come se fosse stato Dio. Alex ha applaudito e così tutti quelli dei tavoli vicino che avevano ascoltato e, ben presto, tutta la caserma applaudiva il loro nuovo eroe. Applaudivamo con ardore: ero impressionato dal coraggio che aveva dimostrato nel fronteggiare quella donna così spaventosa.

La Une lo guardava, però, con aria di sufficienza.

«Ha finito?» ha chiesto, quasi annoiata.

Lei e Frank si sono scrutati per alcuni lunghissimi secondi. La tensione si poteva tagliare col coltello. Persino Pan aveva perso l'appetito.

«Bene.» ha continuato la Une. Ha guardato tutti noi con le labbra arricciate. «Kushrenada, voglio avvertirla: lei sarà anche il nipote del Generale, ma io sono il Colonnello Une e sono la direttrice della scuola. Forse alcuni insegnanti le permetteranno di godere di certi privilegi, ma non sarò tra quelli.» ha sorriso dolcemente. «Posso rendere molto difficile la vita ai miei alunni.»

Lui si è morso un labbro. Guardavo da lei a lui e mi batteva il cuore: quella donna fa davvero paura.

«Nei limiti del regolamento, spero!» ha risposto Frank, dopo un secondo, ma tutti abbiamo sentito il tremore nella sua voce.

«Naturale!» ha risposto lei, abbozzando un sorriso velenoso. Se n'è andata, lasciandoci tutti confusi, con lo stomaco serrato e gli occhi fuori dalle orbite. Nessuno, davvero, ha toccato più cibo. Ma, oltre al terrore messoci addosso dalla Une, adesso avevamo qualcosa di cui parlare: Frank.

Era il nipote del Generale Treiz. Ecco dove avevo già sentito il suo cognome. Se si comincia così, con questi vuoti di memoria, mi immagino come farò a studiare le nozioni di ingegneria!

Alex è stato il primo a riprendersi: ha dato delle pacche affettuose sulle spalle di Frank che ha sorriso timidamente.

«Che troia! Beh, almeno qualcuno ha le palle!» ha detto mia sorella, disgustata. Ma poi ha guardato Frank e gli ha dato la mano. «Pan Iccijojji, piacere!»

«Frank Kushrenada!» ha risposto lui, stringendogliela.

«Ah...» ha esclamato Arale, dando voce ai miei pensieri. «Ecco perché il tuo cognome, quando ieri ti sei presentato, mi suonava familiare... sei nipote di quell'ipoc... ops...»

Si è zittita, ma Frank non ha detto niente – non ho capito se se l'è presa oppure no –, mentre Alez si è messo a ridere apertamente.

Solo in quel momento mi è sovvenuto che, alla cerimonia d'apertura, Alex ha dato davvero dell'ipocrita al Generale di fronte a Frank.

«Perché non ce l'hai detto prima?» ha chiesto Bra, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sfoggiando il più smagliante dei sorrisi.

«Perché non me l'avete chiesto...» ha risposto lui, ridacchiando.

«Uno a zero, palla al centro!» ha esclamato Alex, ancora battendogli sulla spalla. «Non tutti riescono a tenere testa alla Une, almeno non al primo anno!»

Pan, a quelle parole, le ha scoccato un'occhiata cattiva. Sono entrato nel panico. Cosa avesse in mente, non potevo saperlo e, se potessi, non vorrei mai saperlo. Ma so già che non sarà così.


La prima lezione di oggi è stata l'attività fisica. Il professore è un Capitano, un tipo così simpatico che ci fa fare tutto quello che vogliamo, a patto che non rompiamo niente e che non lasciamo la palestra.

Gli spogliatoi sono molto grandi e, come nelle camerate, ognuno ha il suo armadietto con dentro un accappatoio e due paia di magliette e di pantaloncini.

«Di là ci sono le docce!» ha detto Alex, indicando una porta che, a scanso di equivoci, aveva attaccata sopra una targhetta con scritto "Docce".

«Grazie, Ramazza.» ha esclamato Trowa Burton, sarcastico. «Meno male che ce l'hai detto tu...»

«Prego!» ha risposto lui, forse senza aver colto l'ironia, andando al suo armadietto. Il brutto era che lui ce l'aveva lontano da noialtri, perché, ci ha spiegato, era ancora vicino ai suoi vecchi compagni che, adesso, stanno al terzo anno.

Il mio era tra quello di Tai Yagami e quello di Trowa.

Una volta che ci siamo cambiati (il mio completo mi sta grande quasi quanto la divisa), siamo scesi nell'enorme palestra della caserma: il pavimento era quello solito delle palestre ed era di un bell'arancione. C'erano diversi campi, due da pallavolo, due da pallacanestro e, fuori, ci stava il campo da calcio.

«Allora... salve! Sono il Capitano Salvini, il vostro insegnante di educazione fisica. Direi di cominciare con dieci giri di corsa intorno alla palestra!» così ha esordito il professore. Era diverso da come me lo aspettavo: era magro, poco più alto di me, i capelli grigi e un viso abbastanza gentile.

«E' uno dei più a posto qua dentro!» ha detto Alex, mentre cominciava a riscaldarsi con un po' di stretching. Poi si è stiracchiato e ha sbadigliato sonoramente, come se si fosse appena alzato. «Muoviamoci, ragazzi!»

Ha fatto i suoi giri in poco più di dieci minuti e Frank ha tenuto il suo tempo. Durante il mio secondo giro solitario, già si stavano sfidando a chi dei due riusciva, in meno tempo, a correre da una parte all'altra della palestra, per lungo.

Mi sono fermato a riposare al quarto e, in quel momento, sono arrivate le ragazze, in branco, vestite come noi. Pan era rimasta indietro e guardava tutto annoiata nella sua divisa due taglie più grandi della sua.

Le ho fatto un cenno di saluto e lei, per un secondo mi ha stupito, perché mi ha risposto, sorridendo anche. Ma poi il suo sorriso si è trasformato in una smorfia e mi ha rivolto gestaccio, congelandomi con la mano a mezz'aria.

«Allora, che dobbiamo fare? Giochiamo a pallavolo?» ha chiesto Bra, guardando le reti.

«No!» il Salvini ha ripetuto quello che ha spiegato a noi.

«Io non lo farò di certo!» è stata la risposta di Pan. E la reazione del professore mi ha fatto capire che è proprio un tipo a posto, come ha detto Alex: ha fatto finta di niente ed è tornato nel suo ufficio, uno stanzino che pare uno sgabuzzino, oltre la scala che porta agli spogliatoi maschili e se n'è fregato di noi per il resto dell'ora.

E' passata molto velocemente e non l'abbiamo nemmeno finita.

«Poi Lady Une mi scuoierebbe vivo!» ha spiegato il professore, rimandandoci negli spogliatoi cinque minuti prima del suono della campanella. Dopotutto, sembra quasi essere a scuola, se non fosse tutto così... militare.

Ridendo della battuta del professore, siamo tornati indietro, a cambiarci e a commentare entusiasti quanto avevamo appena vissuto. Solo Trowa non sembrava contento.

«Credevo che avremmo cominciato con qualcosa per tonificare i muscoli, accelerare i riflessi...» ha esclamato. Alex ha fatto schioccare la lingua.

«Non lamentarti!» gli ha detto. «Meglio che ci sia un'ora così, se non vuoi morire dopodomani! Non hai visto ancora niente di questo posto, te l'assicuro!»

«Adesso ce l'abbiamo dopo pranzo, di nuovo!» ha sbuffato Tai, coprendo il "bah" scocciato del nostro compagno. «Io ve lo dico. Sto seduto e non faccio una mazza!»

«Beh, visto?» ha commentato Alex, indicandolo, ma rivolgendosi a Trowa. «Comunque, Frankie, ho vinto io!»

Frank si è messo a ridere. «Ma se facevi fatica a starmi dietro!»

«Stronzate! Eri tu quello che mangiava la mia polvere!»

«Sì, ok, Alex. Sogna pure.»

«I sogni son desideri...» si è messo a cantare Alex, suscitando l'ilarità generale, mentre si portava un microfono immaginario alla bocca e balzava su una panca, per usarla come un palco.

L'atmosfera era delle migliori, anche se erano già cominciate le lamentele: in tutte le scuole, da sempre, non sono mai stati accontentati tutti gli alunni. Ancora non riesco a capire se mi troverò bene con loro, eppure non mi sembrano antipatici, tutt'altro.

E' stato un vero peccato che abbiamo dovuto abbandonare gli spogliatoi per andare in Aula 20 per la prima vera lezione della giornata.


L'Aula 20 è come la Une: precisa, perfetta e ordinata. Infatti, mi ha spiegato Alex, ogni insegnante è responsabile di alcune aule e la Une lo era di quella.

La direttrice ci aspettava dietro la cattedra, in piedi, in rigida posa militare e ci guardava come se fossimo delle merde. All'insegna del benvenuto.

«Seduti, soldati! E non fate confusione. Da che prenderete i vostri posti, quelli saranno fino alla fine dell'anno. Mi sono spiegata?» così ha esordito, mentre entravamo in una fila tutt'altro che ordinata.

Mia sorella si è seduta in ultima fila, mentre io mi sono messo al centro, con Frank, Alex, Trowa e Rareba. Non ci sono banchi come a scuola, solo alcune sedie e un banchetto laterale che bisogna tirare su.

«Nessuno di voi ha carta e penna!» ha constatato la Une, guardandoci con una smorfia di puro disgusto.

«Perché, servivano?» ha chiesto Alex. La Une lo ha guardato di traverso.

«Ah, ha finalmente deciso di seguire questo corso, soldato Ramazza?» ha chiesto, con una nota di sarcasmo.

«Questi ragazzi sembrano più simpatici di quelli degli altri anni!» ha risposto lui, con un sorriso e i gomiti sulla spalliera.

La Une ha fatto una smorfia indispettita. «Veda di mettersi composto, Ramazza! Qui non siamo al bar!»

«Aspettatevi di sentirlo ogni giorno della vostra vita!» ha borbottato lui, rivolto a me e a Frank, mentre la Une guardava verso le ultime file.

«Lei, Iccijojji...» ho alzato la testa di scatto, ma ce l'aveva con mia sorella che, al contrario mio, continuava a grattarsi dietro le orecchie e a guardare un punto imprecisato del soffitto. «Iccijojji?»

Solo dopo un paio di secondi, Pan ha abbassato la testa verso di lei, ma ha guardato me. «Kenny, cazzo, vuoi rispondere a questa signora che ti sta chiamando? Sei un gran maleducato!» mi ha detto.

«Parlavo con lei, Iccijojji!» ha risposto la Une, acida. «Vorrei che anche lei si mettesse composta.»

«E chi sta facendo niente?»

«La smetta di grattarsi le orecchie e si metta composta!» ha detto la Une, tra i denti.

«Ma io grattavo dietro le orecchie...» ha detto mia sorella, come se non capisse il perché di tutta quella cagnara. Alex si è piegato in avanti per nascondere le sue risate alla vista della Une che sembrava un pesce fuor d'acqua: probabilmente non ha mai avuto a che fare con una persona come mia sorella.

«Allora,» ha cominciato, riducendo la voce ad un sussurro. «Molti di voi si saranno chiesti cosa significhi Teoria dei Gradi, giusto?»

«Veramente... no...» ha replicato Pan. Alex ha ripreso a ridere e Frank gli ha dato una gomitata, per fargli segno di tacere. La Une ha continuato ad ignorare le battute fuori luogo.

«E' presto detto: voi siete del primo anno e dovete imparare i gradi di tutti i militari, in modo da poter portare il dovuto rispetto e, soprattutto, riempire quelle teste ignoranti.»

«Ma che culo!» ha provato di nuovo mia sorella. La Une non l'ha proprio calcolata, mentre mi chiedevo se quella fosse la sua nuova strategia per farsi notare... o se facesse parte di un suo piano.

«Partiamo dal fondamento. Nell'esercito spaziale, oltre alle medaglie, cambiano anche le divise. Voi ne indossate una nera, io una rossa...»

«Ma va'...» ha insistito mia sorella. «Questo l'avevo visto pure io...»

«Iccijojji, vuole essere così gentile da lasciarmi finire un discorso?» ha abbaiato la Une, guardandola in modo feroce. Pan ha alzato le mani, con un'espressione accondiscendente stampata in faccia.

«Partiamo dall'imparare tutti i gradi.» ha, quindi, continuato la Une, facendo come se niente fosse. «Ho preparato delle fotocopie apposta.» ha preso dal cassetto della cattedra un pacco di fogli e ci ha contati, poi ha contato i fogli e li ha distribuiti.

Sopra a tutti, c'era disegnata una tabella con tutte le medaglie e le divise connesse a ognuna. Sul primo riquadro a sinistra non c'erano medaglie, ma solo un'uniforme e sotto la scritta "Soldato".

«Come potete vedere,» ha continuato la Une. «i soldati delle Truppe e i Sottoufficiali, portano la divisa nera, gli Ufficiali Inferiori la divisa blu, gli Ufficiali Superiori, tra cui io («C'è pure bisogno di sottolinearlo!» ha mormorato Alex.), quella rossa e gli Ufficiali Generali quella azzurra, come il nostro Generale Treiz. Ora, voi potete benissimo riconoscervi come Soldati Semplici.

«Nel corso di questi sei anni, potrete aspirare a diventare questo!» ci ha fatto indicato, dal foglio che teneva in mano l'ultima casella della prima riga. «Cioè Caporal maggiore capo scelto. Se proseguirete con i vostri studi militari, cosa che spero, potrete benissimo andare avanti e conquistare molte più medaglie.»

Rareba Winner ha alzato la mano. «Sei anni? Sui depliant c'è scritto che gli anni sono sette!»

«Sì.» la Une ha annuito e ha intrecciato le mani. «E se avesse ascoltato il discorso del Generale, ieri pomeriggio, saprebbe anche perché. Gli anni che dovrete affrontare chini sui libri sono sei. Il settimo è un anno facoltativo di tirocinio sulle colonie spaziali, al termine del quale dovrete superare un test finale e poi, naturalmente, potrete giurare fedeltà al vostro Stato e all'Alleanza!»

Stavolta, la mano l'ha alzata Mimi Takikawa. «E chi, invece, volesse terminare al sesto anno?»

«Alla fine dell'esame del sesto anno, potrà chiedere la licenza.»

«E cosa bisogna fare per prendere le medaglie?» ha voluto sapere Tai Yagami.

«Una lotta con i Pokémon!» ha esclamato Alex, facendo ridere tutta la classe. La Une, però, ci ha urlato di fare silenzio.

«Le sue battute sono del tutto fuori luogo, Ramazza!» ha esclamato, acida. «Le consiglio di studiare quest'anno, se vuole continuare a frequentare questi... ragazzi simpatici!» ha detto le ultime due parole con una smorfia di disgusto, come se non credesse che, davvero, possiamo essere simpatici. «Per rispondere alla sua domanda, soldato...?»

«Yagami!» ha risposto Tai, pronto.

«Per rispondere alla sua domanda, soldato Yagami: servono disciplina, ottimi voti agli esami di fine anno e...»

«Esami di fine anno?» ha gridato Pan. «Che vuol dire esami di fine anno?»

La Une ha sospirato, decisamente sconsolata. «Quello che ho detto.» ha risposto, però, con durezza. «Ci sono degli esami per testare la vostra preparazione e per vedere se siete pronti ad affrontare l'anno successivo.»

«Ma che bel castello, marcondirondirondello, ma che bel castello, marcondirondirondà.» ha cantato, allora, mia sorella, senza nessuna enfasi.

La Une le ha rivolto uno sguardo sconvolto, quindi si è portata una mano alla tempia. «Non è possibile.» l'ho sentita mormorare per quattro volte. «Non voglio crederci!»

Non era la prima ad avere questa reazione, al primo impatto con mia sorella. Ed io, se prima ero preoccupato, in quel momento cominciavo ad essere terrorizzato per ciò che potrebbe esserci nella mente di quella pazza scatenata che è Pan.

Abbiamo ripreso la lezione senza intoppi, comunque. La Une ci ha spiegato che ne avremo fino alla fine del trimestre per Teoria dei Gradi e che avremmo studiato la storia della caserma in queste ore.

Come primo compito per domani, abbiamo avuto da imparare tutti i gradi, da Soldato a Generale, a memoria!

«Ma è crudeltà mentale, questa!» ha protestato Alex, non appena la Une ha finito di parlare.

«Non le pare di esagerare, Ramazza?» ha ribattuto la Une. «Non mi pare che nessuno, prima di lei, si sia lamentato. Lei ha mai sentito i suoi vecchi compagni farlo?»

«Beh, io mi lamento!» ha risposto lui, offeso, stringendosi nelle spalle.

Alla fine, la Une è esplosa, cosa che non riuscivo a credere, per com'era sempre stata composta e impeccabile: «LEI NON DEVE LAMENTARSI, DEVE UBBIDIRE! E adesso cominciamo con la Storia!»

La Storia non ha niente a che vedere con quella della caserma. Ha a che vedere con le colonie, costruite negli anni Sessanta, dopo lo sbarco sulla Luna, che è divenuta una grande base spaziale militare dell'Alleanza, cioè degli eserciti uniti di terra e colonie spaziali.

La Une ci ha anche elencato i vari settori nei quali sono divisi i "territori spaziali", nei quali ci stanno dalle tredici, alle venti colonie, ma non me ne ricordo manco uno, non avendo avuto nemmeno un quaderno per prendere appunti.

Rareba, che ci vive, ha spiegato che le colonie sono come i pianeti, solo costruite dall'uomo, vivibili e che si mantengono nell'orbita solare, grazie a dei dispositivi che, secondo la Une, studieremo solo al sesto anno, se mai ci arriveremo.

Queste specie di Terre hanno cibo e acqua perché vengono forniti dalla Terra.

Durante l'ultima guerra degli anni Ottanta, molte persone sono morte di sete perché tutti i Suit e navicelle-cargo che trasportavano l'acqua, venivano abbattuti dai nemici.

«Ogni settore coloniale appartiene a uno Stato o continente. Per esempio, le colonie appartenenti al settore L74» spiegava la Une. «sono amministrate dal governo giapponese; quelle di Z21, dalla Russia. Una parte di quelle di A80 dalla Comunità Europea...» ha continuato per un po' e non sono nemmeno sicuro dei numeri. E' stata una lezione interessante, di introduzione, soprattutto. E sono passate in fretta anche le due ore, senza che nessuno fiatasse, nemmeno mia sorella, che non ha mosso un muscolo. E il mio terrore cresce, anche adesso che scrivo: mia sorella non è mai stata una che cede così facilmente.


La maggior parte di noi, però, era entusiasta della prima lezione con la Une e, a pranzo, è stata l'argomento principale di conversazione.

«Ma che è successo di tanto interessante?» ha chiesto Pan, servendosi di quello che doveva essere brodo di pollo, ma che sembrava solo acqua gialla. «Io mi sono rotta le palle!»

«E c'era da rompersele!» ha confermato Alex. «Tutte quelle stronzate, quei settori... ma chi se ne frega?»

«Ma che ci sei venuta a fare, se non ti piace?» ha detto Bra, altezzosa, squadrando Pan come se fosse stata una cacca sotto la sua scarpa firmata.

«Perché sono fatti miei!» è stata la risposta rabbiosa di mia sorella.

«Non ha senso che tu sia qui e che faccia la spiritosa in quel modo! Finora non sei stata punita perché è il primo giorno. Ma non vedo l'ora che tu finisca a pulire i cessi con la lingua!»

«Tu finirai su un marciapiede a fare ben altro con la lingua!» ha detto mia sorella. Ho corrugato la fronte e ho guardato Pan in cerca di una spiegazione che non è mai arrivata: certo che, quando ci si mette, fa delle battute che non riesco a capire. Ma Bra sembra averla capita molto bene perché ha risposto:

«Ecco, quando non sai che dire, offendi!»

«Sempre meglio di te che spari solo cazzate!»

«Io dico le cose come stanno!»

«Tu apri la bocca e le dai fiato, sempre che non ci metta un...»

Ma Frank le ha impedito di continuare. Essendo vicino a lei, le ha posato una mano sulla spalla, suscitando la più prevedibile delle reazioni in lei. Beh, prevedibile solo se ci sei vissuto per dodici lunghi anni: ha fatto scattare la testa verso di lui, gli occhi fuori dalle orbite e un'espressione omicida che si estendeva a tutto il suo volto.

«Che cazzo vuoi?» gli ha chiesto, disgustata.

«Ti va di passarmi il sale?» ha avuto la brutta idea di dire Frank.

«Brutto coglione!» è stata la risposta di Pan, infatti. «Non vedi che sto parlando?»

«No, stai solo sparando parolacce!»

Altra cosa da non dire: la verità fa male, ma fa ancora più male se la si dice a Pan. Ero convinto che avrebbe preso una forchetta e che gliel'avrebbe ficcata in una mano, se non in un occhio. Già mi immaginavo le urla, il sangue che schizzava dappertutto e le corse isteriche di tutte le persone colpite. Ho detto ad Alex, al mio lato destro, di mettersi un piatto davanti alla faccia. Stranamente, lui non ha fatto una domanda e, ancora più stranamente, ha preso il piatto. Peccato che fosse pieno di pollo alla birra (sì, è disgustoso! L'unica cosa buona era che di birra non ce n'era) e che gli sia finito sulla divisa, ungendolo dal petto fin sul cavallo dei pantaloni, dove il pollo si è fermato.

Eppure, Pan non si è armata di niente: ha ruttato sonoramente per due volte. E ho visto Bra, da dietro il piatto ancora sollevato sulla mia faccia, curvo sul tavolo e i gomiti appoggiativi sopra, che si allontanava con tutto il suo, di piatto.

In quel momento è arrivata Arale, si è messa alla mia sinistra e guardava me e Alex in quella strana – per chiunque non sappia – posizione.

«Che gioco è?» ha chiesto, curiosa, inclinando la testa da una parte all'altra.

«Non lo so...» ha risposto Alex.

Ho guardato lei da dietro il piatto e le ho fatto un cenno di fronte a me, dove stava seduta Pan. Arale ha capito subito.

«Sì, che c'è?» mi ha chiesto.

«Che fa?» ho sibilato.

«Mangia.» ha risposto lei, come se non ci fosse stato niente di più naturale che essere seduti ad un tavolo a mangiare. Ok, effettivamente non esiste niente di più naturale, ma non quando si tratta di avere mia sorella nei paraggi...

Arale si è seduta e ha cominciato a piluccare il suo pollo. «Avete intenzione di tenervi quei piatti in faccia per tutto il resto della pausa pranzo?» ha chiesto.

«Ehm...» non lo sapevo, a dire la verità: prima avrei preferito sapere se la burrasca era finita. «Non sta lanciando niente, vero?»

«No...» ha risposto lei, dubbiosa.

«Kenny, sei proprio un coglione!» è stato il commento di Pan. «CHE CAZZO CI FAI CON UN PIATTO DAVANTI ALLA FACCIA?»

A quel punto, non potevo più sottrarmi all'evidenza, così ho abbassato il piatto di nuovo sul tavolo. Alex mi ha imitato.

«Ah, abbiamo finito?» ha chiesto. Ho visto Frank scuotere la testa, rassegnato, mentre Pan alzava gli occhi al cielo, esasperata. Arale ha ridacchiato, mentre vedevo che quasi tutti i ragazzi del nostro corso ci stavano guardando, ridendo sotto i baffi.

«Allora,» ha continuato Arale, distogliendo la mia attenzione da quell'imbarazzante situazione. «che ve ne è parso della lezione con la Une?»

«Io non sapevo che le colonie appartenessero agli stati terrestri!» ho detto, velocemente.

«Ma se tu non sai manco come ti chiami!» è stato quello che ha risposto Pan, guardandomi con cattiveria.

«Certo che sono nostre!» ha detto Frank, ignorando mia sorella e guardandomi. «Però, hai sentito la Une, vogliono staccarsi da noi e amministrarsi per conto loro. Purtroppo per acqua e cibo dipendono da noi; le colonie sono artificiali...»

«Ovvieremo anche a questo.» ha replicato Trowa, come se l'avessero offeso personalmente. «Ci stiamo lavorando!»

«Perché non volete essere comandati dalla Terra?» ha chiesto Arale.

«Perché non è giusto: la Terra è la Terra. E le colonie sono al di fuori di essa.» ha risposto Rareba, molto più pacato di Trowa. «Vogliamo solo poterci governare da soli. Non è giusto che la Terra debba controllarci solo perché dipendiamo da lei per cibo e acqua.»

«Ma senza queste cose sareste inchiappettati e morti stecchiti!» ha detto mia sorella, indicandolo con disprezzo. «E' giusto che vi controlliamo! Dovreste esserci grati e basta: non vi facciamo morire di fame e sete, come degli ingrati del genere, meriterebbero!»

«E' per via di persone che la pensano come te che ci sono le guerre nello spazio!» ha protestato Trowa, guardandola in cagnesco. «Migliaia di colonie sono andate distrutte proprio per questo e non solo loro, ma anche gli abitanti. Donne e bambini!»

«Siete solo degli ingrati!» ha ripetuto Pan. «Se vi stavate al vostro posto, niente morti!»

«Iccijojji, gli abitanti delle colonie non si sentono più terrestri!» ha tentato di spiegarle Frank, mentre posava il bicchiere davanti al suo piatto. «Vogliono la loro indipendenza e non possiamo dar loro torto. Ci sono state molte guerre in passato e non è giusto continuare su questa via. Troppi morti, troppi sacrifici!»

«Il vero problema sono i terrestri.» ha replicato Trowa, battendo il pugno sul tavolo. «Non vogliono perdere il controllo sullo spazio, adesso che ce l'hanno! Lo distruggerebbero, pur di non perdere la loro supremazia!»

«Quanto la fate lunga!» ha detto Pan, allargando le braccia, esasperata. «Rompete poco i coglioni e vivrete meglio, niente guerre, niente sacrifici! Visto com'è facile?» La questione sarebbe caduta lì, se lei non avesse continuato con questa frase, rivolta all'agguerritissimo Trowa: «E tu che disprezzi tanto la Terra, perché sei venuto a stare in un collegio militare sulla Terra? Lo sai di essere un povero incoerente, vero?»

«Questo non è solo un collegio militare terrestre.» ha ribattuto lui, inviperito. «E' il miglior centro dove imparare a costruire e pilotare i Mobile Suit. Se fosse stato sulle colonie, credimi, non sarei venuto qui a farmi insultare da te!»

«Ti dicevo le cose come stavano, il mio caro perfettino!»

«Finché le dici tu le cose come stanno, Iccijojji, va tutto bene, vero? Se sono gli altri a dirle a te, allora è tutto sbagliato!» ha ribattuto Bra, acida. «Sei tu l'incoerente, non Burton! Vero, Burton?» ha detto, mielosa. Ma Trowa le ha solo scoccato un'occhiata indifferente e ha ripreso a mangiare, particolarmente corrucciato.

Arale ha fatto una smorfia dubbiosa, mentre io mi chiedevo se era davvero normale morire per una cosa così: se quelli delle colonie vogliono l'indipendenza, perché non ne parlano con i terrestri, invece di fare le guerre?

Il pranzo è finito poco dopo ed eravamo pronti per un'altra ora di educazione fisica, che abbiamo passato tutti negli spogliatoi senza che nessuno ci venisse a chiamare o ci desse note di demerito. Trowa è stato l'unico, insieme a Rareba Winner e pochi altri ad andare in palestra. Frank è rimasto con me, Matt Ishida, Tai Yagami e Alex che ha provato a pulire la divisa, ma ha ottenuto solo di sporcarla di più.

«Che cazzo!» ha sbuffato, arrabbiato.

«Va beh.» ha risposto Frank. «La porti in lavanderia, più tardi!»

«Lavanderia?» ho esclamato, perplesso. «C'è una lavanderia?»

«Secondo te, le cose come le pulisci?» ha ghignato Tai Yagami. «Con lo sputo?»

A dire il vero, non ci avevo proprio pensato.

«Ah, e dove sono?» ho chiesto, rivolto ad Alex. Ma lui ha fatto spallucce. Non lo sapeva, ma, chissà come mai, non sono stato del tutto stupito.


Su Jack Bristow c'è veramente poco da dire. E' una palla mortale: parla in modo così monotono che, quando ha cominciato a spiegare le funzioni, che cos'erano e come funzionavano (che terribile gioco di parole!), mi sono lasciato trasportare dal suo torpore e ho sonnecchiato per tutte e due le sue ore, riprendendomi dalla stanchezza di tutta la giornata.

Ma le nostre ore di lezione, dopotutto, non erano ancora finite: mancava geografia.


Quello che credevo essere un professore, quello con l'uniforme blu e la frangia lunga, lo stesso che, quella mattina, aveva accompagnato la Une e il professore con la maschera, in realtà, è una professoressa, il cui nome è Lucrezia Noin ed è un Tenente. Già questo, ha suscitato non poche perplessità in noi, quando Alex ci ha avvertito.

Ma la cosa che ti colpisce più di tutto è la sua voce: non si sente manco a pagarla.*

«La Noin è uno spasso! E' così simpatica che ci fa addormentare tutti!» ha detto Alex, dal primo banco, vicino a Frank. Io mi ero messo dietro, vicino ad Arale e all'ancora arrabbiatissimo Trowa che non mi ha rivolto la parola per tutto il resto della giornata, come se fossi stato io a parlargli in quel modo delle colonie. «Quanto scommettete che non duriamo per più di dieci minuti?

Non ho capito cosa intendesse, ma poi la Noin è entrata in classe e si è avvicinata alla cattedra con una lentezza allucinante. Si è seduta con altrettanta lentezza e quasi quasi mi chiedevo se non dovessimo ricaricarle le batterie. Quando ha cominciato a parlare, poi, è stato il momento più drammatico della giornata, anche peggio della lite tra mia sorella e Bra a mensa: muoveva la bocca, sì, ma non emetteva suono. C'era un silenzio tale (persino noi eravamo col fiato sospeso) che sembrava avessero tolto l'audio alla stanza. Ma, quando ho sentito Bra, dal posto davanti al mio, dire qualcosa all'orecchio di Mimi Takikawa, mi sono tranquillizzato. Così mi sono sporto in avanti per tentare di captare un suono, ma con scarsi risultati. E ho capito cosa intendeva Alex.

«Non ho capito una parola!» è stato il commento sconcertato di Arale.

«E nessuno ci riuscirà mai!» ha detto Alex, girandosi verso di noi, senza neanche preoccuparsi di abbassare la voce. «Io l'anno scorso seguivo questo corso giusto per vedere i miei compagni dormire e russare come porci!»

La Noin si è accasciata alla cattedra con aria sconsolata e ha cominciato a leggere "a voce alta" dal libro, peccato che, ancora una volta, non si sentisse niente.

«VOLUME!» ha gridato Pan, dall'ultimo banco, suscitando l'ilarità di tutta la classe. Stava sola come un cane e, un po', mi dispiaceva. «Cazzo, ma è sorda, oltre che muta?»

«Più o meno...» ha risposto Alex.

«Ma non potrebbe scrivercelo, signora?» ha chiesto Arale, parlando più gentilmente. «Così capiremmo qualcosa!»

La Noin, nella tua lentezza, si è alzata, ha preso un gesso e ha solo scritto, a lettere cubitali, sulla lavagna dietro di lei: «FATE ATTENZIONE E ZITTI!!!», poi è tornata alla cattedra, si è seduta ed ha ripreso a leggere. Siamo rimasti davvero in silenzio, ma tutto quello che riuscivamo a sentire era il respiro dei nostri compagni di banco.

«Questa sì che è una lezione!» ha esclamato Pan, facendo finta di essere impressionata e rompendo quell'irreale silenzio. «Cazzo, com'è interessante! Dai, VOLUME! ALZA IL VOLUME!» ha cominciato a battere le mani, come per sollecitare un animale a muoversi. «NON SI SENTE UNA MISERIA!»

La povera Noin, che ci aspettavamo reagisse come la Une e cominciasse a gridare come un'isterica, si è alzata in piedi ed è scappata via in lacrime, il tutto molto velocemente. Tutti noi, invece, siamo rimasti seduti, in silenzio e spiazzati. Non avevo mai visto una professoressa così... beh, così. Impossibile definirla altrimenti.

«Ma come ha fatto questa a diventare Tenente?» ha chiesto Arale, guardandola andare via, condividendo i miei pensieri un tantino sconclusionati, in quel momento di massimo scalpore.

«Ma, sai... raccomandazioni ce ne sono tante...» ha risposto Tai, intrecciando le braccia.

«Ecco, sei contenta, Iccijojji?» ha sbottato, acido, Trowa.

«E quanto la fai lunga, pure te!» ha ribattuto mia sorella. Già mi ero preparato all'eventualità che, tra loro due, non sarebbe mai corso buon sangue, e, dopo questo, credo che si odieranno fino a che saremo in classe insieme. «Scommetto che tu sentivi tutto!»

«Se le leggevi le labbra...»

«Oh, beato che te che ci riuscivi!»

«Pan, ma perché non fai un po' di silenzio?» ha chiesto Bra, esasperata. «Non sei mica divertente, lo sai?»

«Ma se stavi ridendo pure te, troietta, quando chiedevo che alzasse la voce? Che ridevate a fare, se non vi va bene, me lo dovete proprio far capire!»

«Io non ridevo!» ha gridato Bra. «Testimoni quelli che erano vicino a me!»

Ma nessun testimone ha confermato o smentito.

«Cazzate!» ha detto mia sorella.

Alex, nel frattempo, incurante di tutte le discussioni in cui si infila Pan (mi chiedo spesso perché non posso farlo anch'io, senza sentirmi un vigliacco e un indifferente) si è alzato.

«Dai...» ha detto, guardando Frank, me e Arale, i più vicini. «Andiamo, che ci stiamo a fare qui? Tanto la cena è alle otto precise e manca ancora un bel po'!»

«Oh, che bello!» ha esclamato Arale, tutta denti, scattando in piedi. «Dove andiamo?»

«A dormire!» ha risposto lui, come se avesse dovuto essere ovvio.

«Ma non ci facciamo un giro?» ha chiesto lei, delusa, seguendolo fuori dalla fila di banchi.

«Io vado a dormire, tu vai pure dove vuoi!»

Se n'è andato dall'aula e Arale si è girata verso di me. Mi ha squadrato a lungo, tanto che mi sono sentito parecchio a disagio: nessuno mi aveva guardato tanto intensamente e per tanto tempo. Mi sono guardato la divisa: magari ero sporco. E invece ero pulito.

Ho rialzato gli occhi su di lei, per chiederle cosa avesse visto di anomalo, ma lei stava sorridendo. Giuro che ero parecchio confuso.

«Che c'è?» mi sono ritrovato a chiedere, con filo di voce, perplesso.

Mi ha fatto cenno di seguirla.

«Vieni?» mi ha chiesto. «Ti chiami Ken, vero?»

«Gli amici mi chiamano Kenny!» ho risposto, con un sorriso incerto. Ma lei era radiosa.

«Allora ti chiamerò così!» ha esclamato, afferrandomi per un polso e tirandomi fino all'uscita dell'aula. Travolgente. Ecco com'è Arale.


*****


Sono tornata!

Scusate l'immenso ritardo, ma non ho avuto il tempo di ricontrollare il capitolo. Sto riscrivendo praticamente tutto e solo pochi capitoli sono davvero buoni. Di questo non sono completamente soddisfatta, ma non saprei davvero come esprimerlo in modo diverso – e migliore – purtroppo.


Prof: leggere i tuoi commenti mi fa un enorme piacere. Sono proprio come piacciono a me, lunghi e schietti! Non ti preoccupare, non sono scoraggiata. :) Sto, appunto, riscrivendo tutto e devo anche finire la fanfiction delle Winx (fortunatamente manca solo un capitolo), prima di dedicarmi completamente a Kenny. Allora, che cosa ne pensi di questo capitolo? Condividi le mie perplessità? Dimmi quello che pensi e non farti scrupoli!

Se inserirò Relena? Questo è sicuro, ma non penso che diventerà una “regular”, sarà più una “special guest”. Poi come la tratterò... io non intendo trattarla male, ma i miei personaggi non so quanto saranno d'accordo. XD

Alla prossima!


Ringrazio coloro che continuano a seguirmi e vi do appuntamento al capitolo successivo!

Luine.

  
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