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Autore: Sospiri_amore    28/09/2017    1 recensioni
❤️SECONDO LIBRO DI UNA TRILOGIA❤️
Ritorneranno Elena, Kate, James, Jo, Adrian, Stephanie, Lucas, Rebecca, (Nik ??).
Ci saranno nuovi intrecci, guai, incomprensioni e amori.
Elena avrà dimenticato James?
Chi vivrà un amore proibito?
Riuscirà il Club di Dibattito a sconfiggere la scuola rivale?
Nik sara sempre un professore del Trinity?
Elena andrà al ballo di fine anno?
IL FINALE di questo libro corrisponde alla fine del liceo, il terzo libro sarà incentrato sulla vita adulta dei personaggi. Più precisamente quattordici anni dopo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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IERI:
Una giornata indimenticabile

 



Capitolo particolare. Le didascalie sopra ogni parte indicano luogo e ora. In questo modo si capisce cosa succede prima e cosa dopo. La giornata verrà svelata pian piano, è come un puzzle.

VI AVVISO IL CAPITOLO È MOLTO MOLTO MOLTO LUNGO (sono più di 3500 parole contro le solite 2000).

 

--------------

 

Ore 21.35, sera di lunedì.

Teatro Scolastico del Trinity Institute.

 

Seduta su una panca dietro le quinte osservo il palco svuotarsi. La gara di dibattito con il Saint Jude è finita. Non posso credere che sia andata così, che tutto quello che abbiamo fatto in questi anni si riduca a una battaglia simbolica fatta di parole e ragionamenti. La gente intorno a me esulta, io sono sfinita. Non provo felicità e nemmeno tristezza, non ho emozioni, non ne ho neanche una briciola. Me ne sto ferma con il cellulare in mano mentre sta caricando. Le parole di Nik prima della gara mi hanno tolto quel briciolo di speranza che nutrivo in fondo al cuore. Lui ed io non saremo più amici.

Incrocio le braccia sul volto, vorrei riuscire a piangere, ma mi sento senza energie, quel poco di forza che avevo l'ho usata per mandare a quel paese Andrew e la sua squadra di imbroglioni. Sono dei farabutti.

Voglio solo dormire o almeno provarci.

 

«È finita, quindi», la voce di Kate risuona su tutto il vociare delle persone che corrono dietro le quinte.

Le sorrido stanca, è da tutto il giorno che mi sfugge e non riesco a stare con lei.

«Anche se le cose non sono andate come ci aspettavamo, credo tu possa ritenerti soddisfatta». Kate armeggia con la sua macchina fotografica, non mi guarda in faccia.

«Più o meno, di sicuro non mi aspettavo una serie di eventi come quelli capitati oggi. Come ha detto James questa è senza dubbio una giornata indimenticabile».

«E in tutta questa serie di eventi non credi ti sia sfuggito qualcosa?», mi chiede mentre allunga nella mia direzione la macchina fotografica.

Ci penso un attimo, non riesco a capire a cosa si stia riferendo la mia amica: «No, non mi pare di aver tralasciato nulla. Ti riferisci alla foto di gruppo che ci hai fatto dopo la gara? So che sono uscita male, ho sempre un'espressione sorpresa e poco naturale in ogni scatto che mi fai».

Kate fa cenno di no con la testa, sembra molto triste.

«Allora che cavolo ho combinato? Dalla faccia che fai sembra che sia successa una cosa grossa e irreparabile», le dico scherzando mentre cerco di interpretare i suoi silenzi.

«Credo di non voler essere più tua amica. Non ti voglio nella mia vita né ora e né mai. Non voglio più sapere se stai bene. Non voglio interessarmi a te, in nessun modo. Non voglio condividere la mia vita e le mie emozioni con te. Non voglio cercarti, sollevarti e curare le tue ferite. Non voglio sorbirmi la tua ansia. Non voglio interessarmi ai tuoi sentimenti, se stai bene o male. Non ti voglio più, mai più. Non voglio ciò che sei perché non mi piace. Non voglio ciò che eri perché non c'è più. Basta. Basta», dice secca e senza emozioni mentre si allontana da me glaciale e determinata.

«Cosa? Ma sei impazzita? Che cosa stai dicendo?», le urlo andando verso lei come una furia lanciando il cellulare e il caricatore per terra.

 

Possibile che mi dica cose del genere con una freddezza e distacco simile? Che cosa posso aver mai combinato per farle dire quelle cose? 

 

Kate mi squadra dall'alto al basso con disprezzo: «È finita la nostra epoca, la nostra storia è già passata. È stato bello, ma adesso basta. Sono stanca di rincorrerti. Voglio essere protagonista della mia vita, non vivrò più nella tua ombra». Kate stringe la macchina fotografica, non traspare nessuna emozione. Sembra furiosa, ma anche consapevole. Non la capisco e questo mi spaventa.

«Ma ti sembra il caso di dirmi una cosa del genere così? Cosa ti ho fatto? Io... io sono sconvolta. Non capisco, giuro». Un tremore mi pervade il corpo. Dopo tutto quello che mi è successo con Nik, dopo la gara di Dibattito, non credo di riuscire a reggere una batosta simile.

«Ripensa cosa è successo, o meglio, cosa non è successo», mi dice Kate digrignando i denti, ha gli occhi lucidi e la bocca trema leggermente.

Confusa, preoccupata, nervosa, ansiosa, cerco di concentrarmi, ma con tutto quel baccano faccio fatica:«Kate. Kate. Non capisco. Io... giuro. Io...», balbetto mentre mi sforzo e cerco di capire cosa possa aver mai fatto di tanto terribile.

Mi sforzo.

Mi concentro.

 

Poi.

Improvvisamente.

L'illuminazione.

Ho capito.

 

Il mondo mi cade addosso. Con lo sguardo supplicante osservo la mia migliore amica fissarmi con odio e astio. Rabbiosa si allontana da me un passo alla volta. Immobile come una statua, con la bocca aperta e le mano protese verso lei, cerco di raggiungerla. Kate si scansa, non vuole avere più niente a che fare con me. Colma di dolore mi accascio a terra. Vomito lacrime. Sussulto. 

 

Kate ha perfettamente ragione, al suo posto neanche io vorrei essere più mia amica.

 

Ore 08.27, mattina di lunedì.

Atrio del Trinity Institute.

 

Arrivare tardi a scuola non è un buon segno, soprattutto se sei all'ultimo anno e oggi c'è la gara di Dibattito contro quelli del Saint Jude. Ho gli occhi di tutti puntati addosso, c'è molta aspettativa e non vorrei mai deludere nessuno.

Con il fiatone corro per il corridoio, devo ancora prendere i libri per la lezione di letteratura e mettere a posto quelli di fisica. Faccio una curva a tutta velocità rischiando di schiantarmi a terra e sfiorando un gruppo di studentesse che viene dalla parte opposta.

Jonathan è appoggiato al suo armadietto e sta parlando con James e Lucas. Appena li vedo cerco di rallentare per darmi un contegno, ma la suola sporca di doccia schiuma mi fa scivolare più di quello che vorrei.

 

Bam.

 

Mi schianto contro la parete degli armadietti rischiando di coinvolgere i miei amici.

Una figura pessima, spero non mi abbiano vista in molti.

Con la faccia rossa per l'imbarazzo saluto tutti mentre cerco di aprire il mio armadietto.

James e Lucas si guardano confusi, poi scoppiano a ridere. 

Jo è interdetto dalla mia entrata catastrofica:«Bella entrata Elena. Ma oggi non è il giorno in cui...».

James scoppia a ridere più fragorosamente:«Sì, oggi è il giorno della gara di Dibattito. Dobbiamo essere tutti al meglio delle nostre forze perché sarà una giornata indimenticabile. In modo particolare il nostro look e presentazione saranno fondamentali». James mi toglie dai capelli un mollettone fucsia a pois bianchi che normalmente uso a casa per raccogliere i capelli quando mi trucco.

 

Sono andata in giro con quel coso in testa?

Voglio sprofondare.

Sciogliermi.

Evaporare.

Adesso capisco perché tutti mi fissavano straniti sul bus.

 

Con un gesto rapido lo sfilo dalle mani di James:«Ci sono giorni in cui sono più distratta di altri», gli dico facendogli una linguaccia.

James mi abbraccia tirandomi a sé:«Ed io so bene perché sei distratta. Un weekend niente male pivella», dice malizioso.

«Non fare lo scemo», gli dico dandogli un piccolo pugno nelle costole.

 

La campanella suona.

 

«Oggi ho una mattina piena. Dopo vi scrivo un messaggio per sapere dove trovarci a provare per la gara di dibattito», dice Jo mentre corre verso la prima lezione.

«Il mio cellulare è morto. Defunto. KO. Non trovo più il caricatore. Se riesco vado a comprarne uno prima della gara», urlo a Jo nel corridoio che mi risponde con un pollice alzato.

«Non l'hai ancora trovato?», mi chiede James.

«Papà manca da tre giorni ed io ho conciato la casa come fosse una discarica. Quando torna e vede quel caos mi ammazza», dico mogia mentre gioco con il mio mollettone fucsia a pois bianchi.

Lucas mi prende a braccetto:«Chissà perché, ma da te mi aspetto questo e altro. Dimmi il nome del modello del tuo telefono, così dico all'assistente di mio padre di comprarlo e portarcelo a scuola. In questo modo non eviterai gli allenamenti per la gara», mi dice mentre mi sistema il bavero della giacca che ho tutto storto.

«Grazie. Grazie. Grazie!», abbraccio Lucas più forte che posso.

«Adesso andiamo prima che perdi anche la testa. Le lezioni sono già iniziate», dice James prendendomi per mano e correndo verso il corridoio.

 

Ore 20.00, sera di lunedì.

Teatro Scolastico del Trinity Institute.

 

«Come sempre al centro dell'attenzione insieme ai tuoi amici? Ho visto le foto che ti hanno fatto alla festa degli ex studenti. Com'è che diceva il titolo: Il rampollo McArthur in coppia con la futura stella di Yale». Nik è vicino all'ingresso del palco del teatro, i ragazzi del Saint Jude stanno già prendendo posizione vicino a James e agli altri.

«Non mi parli per giorni e adesso, proprio adesso, mi rompi con frecciatine ridicole? Che ne sapevo che quel fotografo fosse del Boston Tribune e che sarei finita sulle pagine della cronaca locale». Fremo vorrei salire sul palco, non mi va di aspettare troppo.

«Dico solo che tutta questa pubblicità è anche merito mio. Se non fossi stato così stupido da farti ballare per due anni di seguito alla festa degli ex studenti probabilmente nessuno si sarebbe accorto di te», dice Nik con cattiveria.

«Senti, vuoi vincere o no? Io devo andare con gli altri, ok?». Guardo il professor Martin con rabbia. Non mi ha rivolto la parola per tanto di quel tempo e adesso vuole recuperare la nostra amicizia in questo modo? 

«Credi che senza te non potrebbero vincere, cara saputella? La loro vita è già scritta, con o senza di te. Guardali, sono perfetti nella loro toga. Nessuna piega, nessun capello fuori posto. Tu arrivi in ritardo, con il fiatone e sembri parecchio scossa», Nik mi sta bisbigliando in un orecchio.

«Se ti interessa saperlo ho da poco un nuovo caricatore per il cellulare. Sono andata a metterlo a caricare. Per questo ho fatto tardi. Se vuoi ricucire la nostra amicizia facendomi domande idiote, fai pure», dico acida indicando una panchina dietro le quinte che regge il mio telefonino.

«Forse non hai capito. Tu sei il nulla. Hai perso la mia fiducia, totalmente. Ci sono cicatrici visibili, come ben sai. Altre sono invisibili, ma fanno male lo stesso. Tu hai preferito seguire una strada, peccato questa non sia la mia. Corri dai tuoi padroncini, vai a scodinzolare loro la coda. Inchinati alla nobiltà del Trinity e sopprimi la tua personalità. Vedrai che bella vita avrai, cara Elena». Nik è duro, cattivo, maligno come non lo è mai stato con me.

Le lacrime mi riempiono gli occhi. Sono triste, stanca, rabbiosa:«Grazie per le belle parole di incoraggiamento professor Martin, non le dimenticherò. Se non le dispiace oggi ho una gara da fare... anche per lei». Senza degnarlo di attenzione raggiungo il palco i miei amici mi stanno aspettando. Con il palmo della mano mi asciugo gli occhi, sperando che il trucco non si sia sciolto troppo.

 

Ore 14.00, pomeriggio di lunedì.

Mensa del Trinity Institute.

 

Lucas e Adrian hanno fatto una lista dei possibili argomenti che verranno presentati stasera alla gara. Potrebbe uscire di tutto, non è possibile aver certezze, è così difficile essere certi visto che le opzioni sono praticamente infinite. Stephanie legge una rivista di medicina mentre Rebecca controlla le ultime notizie dei quotidiani, dalla politica fino all'economia. James controlla su un portatile se ci sono notizie dell'ultimo minuto che possano attirare l'attenzione del giudice Smithson. Io faccio finta di interessarmi a un libro di storia mentre mangiucchio un muffin.

La mensa è vuota, la maggior parte degli studenti è a lezione. Noi del gruppo A di Dibattito abbiamo la possibilità di fare allenamento prima della gara. Il resto dei nostri compagni del Club sta discutendo animatamente poco lontano da noi, stanno facendo delle prove su argomenti scelti a caso. Non sempre il loro discorso fila, per questo a volte discutono con un po' troppo vigore. Lucas li raggiunge per calmare gli animi, siamo tutti molto tesi.

 

Nik spunta all'improvviso alle nostre spalle, è cupo in volto e non ha l'aria molto amichevole. Insieme a lui ci sono altri studenti tra cui Kate.

«Loro sono i ragazzi del terzo anno. Hanno il compito di aiutarvi durante la gara. Vi daranno cibo, acqua e faranno tutto ciò che vi serve. Non esitate di chiedere loro aiuto. Chiaro?», Nik spinge un paio di ragazzi verso di noi.

Annuiamo tutti.

«La preside Marquez vuole documentare questa giornata, visto che è il mio ultimo anno che insegno qui. La signorina Husher immortalerà queste ore e la gara stessa. Collaborate, mi raccomando». Nik prende un gruppo di ragazzi del Club per farli provare con lui.

Raggiungo subito Kate che sta già preparando la macchina fotografica per scattare:«Ciao, come va?», le chiedo con un sorriso.

«Tutto bene», mi risponde, poi con un gesto rapido mi scatta una foto a tradimento. «Adesso ho da fare», dice mentre raggiunge Nik e gli studenti che provano con lui.

 

Ore 21.00, sera di lunedì.

Teatro Scolastico del Trinity Institute.

 

«L'argomento è difficile, guerra in medio oriente e suddivisioni etniche, politiche e religiose. Dobbiamo sostenere la guerra. Troppo difficile per studenti di High school, questi sono argomenti da college dopo la specializzazione. Guarda i ragazzi del Saint Jude, non stanno neanche discutendo. Parlano come se si trovassero in un bar a bere un caffè», bisbiglia Lucas.

Tutti guardiamo la scuola avversaria, in effetti non hanno l'aria preoccupata o impegnata come la nostra.

«Dici che stanno barando? Non mi stupirei se ci fosse lo zampino di Andrew», dico a tutti.

«L'unico modo in cui potrebbero barare è aver convinto il giudice Smithson a concordare l'argomento. Oggi sembra diverso dal solito. Seguo tutte le gare da quattro anni a questa parte e non l'ho mai visto così... così... mogio. Non so neanche io come dire». James lancia un'occhiata al vecchio giudice garante della gara che se ne sta in un angolo cupo.

«L'anno scorso indossava una camicia sgargiante, era colorato e vivace. Potrebbe essergli successo qualcosa a casa? Magari la gara non c'entra», chiedo.

«No. L'avrei saputo, la famiglia del giudice fa parte della New Heaven che conta. Se ci fosse qualche segreto si saprebbe subito», dice Rebecca.

«Sei sicura? Ricorda che ci sono segreti che non escono, guarda la storia di Miss Scarlett qui al Trinity, nessuno l'ha scoperta. Inoltre Andrew è bravo ad ottenere informazioni e ricattare, del resto tu lo sai bene», dico a Rebecca.

«Quindi?», chiede Stephanie.

«Non vi sembra strano che il giudice abbia fatto l'estrazione dell'argomento dal vaso con tutti i bigliettini da solo? L'anno scorso ha chiesto l'aiuto di una bambina, vi ricordate? Quest'anno solo lui ha letto l'argomento, solo lui sa cosa c'è scritto sul bigliettino». La mia ipotesi, seppur strampalata, non pare così lontana dalla verità.

 

Solo il giudice ha letto il foglietto.

Solo lui ha idea di cosa ci sia scritto sopra.

E se avesse mentito?

 

«Cosa facciamo? Proviamo a smascherare il giudice oppure discutiamo con il Saint Jude? Abbiamo poco tempo», chiede James nervoso.

Nessuno sa cosa rispondere. Da una parte c'è la possibilità che abbiamo ragione al cento per cento, ma è anche possibile che ci stiamo sbagliando. Rischieremmo l'eliminazione oltre che fare una figuraccia tremenda portando disonore al Trinity.

«Dove ha messo il bigliettino il giudice?», chiedo a tutti.

«È accartocciato sul tavolo davanti al vaso con tutti gli argomenti», dice Adrian.

 

Non mi importa di fare una figuraccia. 

Non mi importa di nulla.

Perderemmo comunque la gara, non riusciremmo mai a sostenere le argomentazioni, non abbiamo le competenze in politica estera e per questioni tanto delicate.

 

«Io vado», dico mentre mi stacco dal gruppo con la mano alzata, in cerca di attenzione, attraverso il palco.

Il pubblico in sala rumoreggia, il giudice Smithson si alza dalla sua sedia venendomi incontro, pare infastidito.

Ormai il danno è fatto tanto vale fare le cose per bene.

«Chiedo la verifica dell'argomento estratto dal giudice. Mi prendo la responsabilità di questa trasgressione», dico ad alta voce.

La gente in sala commenta con versi di disappunto o esclamazioni di sorpresa.

La preside Marquez e il preside del Saint Jude salgono sul palco, hanno la faccia rossa per l'imbarazzo. In tanti anni non era mai successa una cosa del genere.

«Signorina Voli, come si permette?», mi chiede la Marquez sconvolta.

«Inaccettabile, totalmente inaccettabile», replica il preside del Saint Jude.

Il giudice Smithson se ne sta muto, bloccato in mezzo al palco.

Mi avvicino al tavolo con sopra il vaso e prendo il bigliettino accartocciato poi lo porgo ai due presidi. Entrambi tentennano un attimo, ma alla fine lo prendono. Lo scartano. Lo aprono. I due presidi leggono il foglietto.

«Inquinamento ed energie rinnovabili», dicono in coro i due presidi.

 

Un boato di protesta si solleva dal pubblico.

Il giudice Smithson si copre la faccia per la vergogna.

I miei compagni esultano.

Andrew abbandona il palco.

 

Le mie gambe tremano a malapena mi reggo in piedi. Sono esausta, stanca.

Lo sguardo va in automatico dietro alle quinte alla ricerca di Nik. Lui non mi guarda, non sorride. 

Non gli importa più di me e questo mi uccide.

 

Ore 07,35 mattina di lunedì.

Appartamento della famiglia Voli.

 

Adoro stare nel letto, adoro sentire il profumo di James nelle lenzuola. I giorni passati insieme sono stati una cosa meravigliosa. Mi rigiro un paio di volte mentre mi stiracchio. 

Uno stridio di freni proveniente dalla strada mi fa sobbalzare.

 

Merda. Merda.

Che ore sono?

 

Cerco il mio cellulare, ma è spento. Ho perso il caricatore e non riesco ad accenderlo. Corro in cucina. L'orologio segna le 07.36.

Sono in ritardo, in tremendo ritardo.

Mi butto sotto la doccia evitando di lavarmi i capelli, faccio più veloce che posso. Prima di asciugarmi metto l'acqua a bollire in un pentolone enorme visto che quelli piccoli sono a lavare nel lavandino. Papà manca da tre giorni ed io ho conciato casa peggio che un campo di battaglia. Con l'asciugamano avvolto intorno al corpo mi preparo il te mentre inizio a vestirmi. Trovo una scarpa, mentre l'altra non so che fine abbia fatto. Cerco per tutta casa mentre mangiucchio una fetta di pane raffermo con la marmellata. Provo a guardare da tutte le parti, alla fine la trovo in bagno la suola è sporca di doccia schiuma.

Ma come diavolo ho fatto a fare un macello simile?

In pochi minuti mi trucco. Mollettone in testa per bloccare i capelli, correttore, matita e mascara. Niente di eccezionale. Spero che Rebecca o Stephanie mi sistemino un po' prima della gara.

Come un fulmine esco di casa. Appena chiudo la porta mi blocco, mi pare di aver dimenticato qualcosa.

Certo. 

La borsa con i libri.

Rientro alla ricerca della borsa sperando di fare in tempo a prendere l'ultimo bus della mattina. 

La trovo sotto i cuscini del divano.

Il profumo di James è ancora nell'aria, annuso il profumo prima di uscire. Sorrido.

Poi corro verso la porta di casa, sono in ritardo pazzesco.

 

Ore 21.50, sera di lunedì.

Teatro Scolastico del Trinity Institute.

 

Il via vai nel teatro è scemato. Lo scandalo del Saint Jude è esploso in poco tempo. Quei bugiardi hanno barato e la vittoria è stata data al Trinity. Non so se essere felice o triste, tutta questa faccenda mi fa schifo e basta.

Mi fa schifo, come mi faccio schifo io.

Sono ancora bloccata a terra, Kate se n'è andata da un pezzo. Ho capito cosa l'ha fatta infuriare e non posso far altro che darle ragione. Tutto quello che ha detto è vero. Sono una pessima amica.

Con il briciolo di forze che posseggo mi trascino verso la panca su cui ero seduta pochi minuti prima, nello stesso posto di quando la mia ex migliore amica mi ha detto che non mi vuole più tra i piedi.

Raccolgo il cellulare e il caricatore.

Li collego attaccando la spina alla presa di corrente lì vicina.

 

Piango.

Piango perché mi sento così stupida, non so che cosa mi sia passato per la mente.

Piango.

Piango perché ciò che credevo indistruttibile si è frantumato in mille briciole.

 

Schiaccio il bottone ON, lo schermo prende vita.

Batteria 15%.

In pochi secondi compaiono delle scritte sul display luminoso.

 

1

2

5

10

12

17

18

 

17 messaggi scritti e un messaggio vocale.

Tutti quei bip mi assordano, ho una nausea pazzesca.

 

Ho paura di ascoltare.

Ho paura di leggere.

 

Schiaccio.

Porto il cellulare all'orecchio.

- Elena. Elena. Sono Kate? Dove diavolo sei finita? Ho provato a chiamarti, ma il tuo cellulare è spento. Sono alla fermata del bus, sto andando a New York per il colloquio. Tutto bene? Io... io... io devo andare. Capito? Perché non sei qui? Mi avevi promesso che mi avresti accompagnata. Io... io... ecco... credevo che volessi venire con me questo fine settimana, invece..." - fine del messaggio vocale.

 

Invece.

Invece.

 

Nella mia testa finisco la frase della mia ex migliore amica.

 

Invece ti ho dimenticata.

Invece ho preferito pensare a me stessa.

Invece ho preferito amare James.

 

Invece.

Invece.

 

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Fatemi sapere come vi è sembrato il capitolo.

Questo modo di raccontare la storia vi è piaciuto? Avevo molte cose da dire e non sapevo come fare, ho pensato fosse una buona idea.

   
 
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