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Autore: dreamlikeview    28/09/2017    4 recensioni
Dean, a quattro anni, assiste all'omicidio di sua madre. Nel corso degli anni inizierà a sentire il peso di quello che ha vissuto, a sentirsi in colpa per qualunque cosa negativa accaduta alla sua famiglia e molto altro.
Dopo molti anni di solitudine e vita travagliata, un ragazzo impacciato e un po' nerd, Castiel, porterà un po' di luce nella sua vita. Riuscirà ad essere felice?
[Destiel, Human!AU, nerd!Cas, long-fic]
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione, Contesto generale/vago
Capitoli:
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DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro. 
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC, e ci sono piccoli riferimenti al canon, ma riadattati al fine della trama. 

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Without you, I feel broke.
Like I'm half of a whole.
 
Dean si sentiva vuoto, distrutto, a terra, senza la voglia di vivere. Dopo essere stato dimesso dall’ospedale, cinque giorni dopo l’incidente, aveva fatto l’unica cosa che credeva giusta: era scappato, e si era rifugiato in un motel poco fuori città. Non voleva sapere niente di nessuno, anche se continuava a ricevere messaggi di Sam, che gli dicevano che non era colpa sua ciò che era successo, non era colpa sua se erano accadute quelle cose, non era colpa sua e basta, Dean non gli rispondeva e non gli credeva. Era colpa sua. Le sole volte in cui era uscito dalla stanza erano state quelle in cui si era assicurato che Cas stesse bene e si fosse ripreso completamente, non voleva sparire senza sapere che lui stesse bene. Dean si era assicurato, da lontano, che Castiel fosse tornato a casa, si era sentito un po’ uno stalker, ma non aveva voluto farsi vedere; quando Cas era ancora in ospedale, era entrato di nascosto durante la notte, per assicurarsi che fosse vivo, si era seduto accanto a lui per un po’, era rimasto lì a sentire i battiti del suo cuore e poi era andato via prima che lui si svegliasse o che arrivasse qualcuno; e anche se lo avevano quasi scoperto non importava, lui voleva solo sapere che Cas stesse bene, e non farlo sapere a nessuno; poi, quando aveva saputo che sarebbe stato dimesso a breve, lo aveva osservato dall’auto, parcheggiata abbastanza lontano dall’abitazione del ragazzo e lo aveva visto rientrare a casa, con l’espressione vuota e gli occhi gonfi – è colpa mia se soffre così, che sto facendo? – dopo quasi due settimane dall’incidente. Era colpa sua se doveva affrontare quella situazione, era colpa sua se stava male, e non se lo sarebbe mai perdonato. Non voleva che soffrisse a causa sua, eppure sembrava farlo quasi consapevolmente. Poi Cas, dopo una settimana dalle sue dimissioni dall’ospedale, aveva iniziato a scrivergli anche lui dei messaggi, e Dean non riusciva ad impedirsi di leggerli, in ognuno di essi diceva cose come: “cosa ti ho fatto?” “perché fai così?” “ti prego, parliamone” “Dean, non ignorarmi, ti prego” e simili; Cas lo supplicava di parlargli, ma come poteva? Dean si sentiva un mostro, e se pensava di aver ferito Cas, lasciandolo con quella lettera, al solo pensiero che lui soffrisse per colpa sua, sentiva lo stomaco contrarsi in una morsa di dolore, perché avrebbe voluto solo asciugare le sue lacrime, non fargliele versare, ma escludeva categoricamente di ritornare da lui, perché avrebbe significato trascinarlo nei suoi casini e rovinargli la vita, lo aveva quasi ucciso e la cosa faceva male. Avrebbe dovuto essere lui sul letto d’ospedale, non Castiel. Ogni volta che ci pensava, sentiva un groppo enorme formarsi nella sua gola e il respiro corto, come aveva potuto fare una cosa del genere a Castiel, dopo che gli aveva promesso che non gli avrebbe mai fatto del male? Si sentiva male se solo pensava a tutto ciò che aveva perso, perché aveva ritrovato la stabilità che aveva da sempre cercato, ma aveva messo Cas in pericolo e questo non sarebbe mai dovuto accadere.
Era da quando si era lasciato tutto alle spalle, la sua famiglia, la sua storia d’amore, e si era rifugiato lì, in quella camera di motel, che era tormentato dagli incubi, incubi in cui vedeva se stesso come una sorta di mostro che torturava la povera anima di Castiel, si vedeva mentre lo picchiava a sangue e quasi lo uccideva con un pugnale. Avrebbe solo voluto scacciare quegli incubi e non sentirsi così immensamente in colpa, ma non poteva evitarlo, per colpa sua Castiel era finito in ospedale, perché lui non aveva saputo aspettare un’altra notte per tornare a casa, o non aveva saputo insistere abbastanza, non aveva evitato il camion e, cosa peggiore, prima dell’incidente stava avendo una discussione con lui. Non aveva saputo proteggerlo, lo aveva ferito, come sarebbe potuto tornare da lui? Semplicemente non poteva. Cas lo odiava, ne era certo.
Il suo cellulare vibrò di nuovo, un nuovo messaggio. Dean lo aprì e sperò con tutto il cuore che non fosse di Cas, ma anche quella volta si sbagliava: “Non abbandonarmi, ti prego, Dean. Parliamone, non è colpa tua, sarebbe successo comunque. Ti prego”. Dean avrebbe voluto picchiarsi e farsi davvero del male in quel momento, perché Cas non meritava di soffrire così a causa sua. Perché continuava a scrivergli? Come poteva una persona essere tanto masochista? Dean lo aveva lasciato, e lui sapeva che non gli avrebbe risposto, perché scrivergli ancora? Non poteva sparire dalla sua vita e basta? Sapeva che se gli avesse parlato, se lui lo avesse guardato negli occhi, non sarebbe riuscito ad uscire dalla sua vita, non sarebbe riuscito a lasciarlo, perché sapeva di aver bisogno di lui, ma non poteva essere egoista. Anche Sam gli aveva scritto diversi messaggi e altrettanti ne aveva lasciati in segreteria, ma Dean non rispondeva. Dean si nascondeva in quella stanza di motel, nell’attesa che tutto il dolore passasse. Dean si sentiva patetico e colpevole e non voleva vedere nessuno, perché sapeva che se si fosse fatto vedere, tutti gli avrebbero detto le stesse cose, che continuavano a ripetergli per messaggio: non era colpa sua, era una cosa che sarebbe accaduta comunque, ma Dean proprio non riusciva a non pensare il contrario, Dean sapeva che mentissero, mentivano sempre, perché lui era colpevole, lui aveva fatto tutte quelle cose. Sentiva di nuovo quella voce nella sua testa, così simile a quella di John che gli ripeteva quanto fosse inutile, codardo, colpevole, sbagliato. Non poteva credere alle loro parole, perché improvvisamente tutte le cose sbagliate e negative che erano successe nella sua vita, stavano ritornando violentemente alla sua memoria, e non voleva ricadere in quel tunnel, non come anni prima, ma ci stava ricadendo. Il fatto che Castiel continuasse a scrivergli dei messaggi, in cui gli chiedeva – lo supplicava – di non buttare tutto all’aria, di incontrarlo, di vedersi per parlarsi, gli faceva più male di quanto immaginasse. Forse doveva scrivergli di non amarlo, di dimenticarlo perché lui era sbagliato… eppure non ne aveva il coraggio, forse per paura di ferire maggiormente l’altro o per puro egoismo, ma non voleva dirgli una bugia così grande, Castiel non lo meritava. E se c’era una cosa di cui era certo, era l’amore che provava per Castiel, perché lui era sbagliato, ma l’amore per Cas no, quello era l’unica cosa positiva della sua vita, e non voleva che l’altro pensasse che per lui non era contato niente quel periodo, perché quello era stato tutto.
Si era rifugiato in quella camera di motel, in modo che nessuno potesse contattarlo o trovarlo, per evitare di rovinare ancora le vite delle persone che lo circondavano, quelle che lui amava. Non voleva essere trovato, voleva solo restare da solo e sperare che Sam si arrendesse e Castiel si dimenticasse di lui, se solo pensava a quanto era stato felice e quanti progetti aveva avuto con l’altro, sentiva un pugno forte colpirlo nel petto e lasciarlo tramortito. Sapeva che se avesse fatto lo sbaglio di cedere a quei messaggi e avesse incontrato l’altro ragazzo, avrebbe ceduto e tutto sarebbe venuto fuori, sperava che Cas si arrendesse e capisse che non potevano tornare insieme, sperava che smettesse di scrivergli e trovasse qualcuno che meritava il suo amore, non come lui. Non poteva tornare nella sua vita e macchiare la sua anima in quel modo, Cas era la cosa più pura che avesse mai incontrato sul suo cammino; sentiva l’irrefrenabile desiderio di picchiare se stesso, farsi del male o anche solo piangere, e disperarsi per quello che aveva fatto, quello che aveva perso e che continuava a perdere. Nell’ultimo anno aveva pensato poche volte al senso di colpa, e a tutto ciò che aveva segnato la sua vita, perché Cas semplicemente scacciava via i suoi demoni, sì, lo aveva paragonato più volte ad un angelo, perché come un angelo vegliava su di lui e lo proteggeva, come un angelo era portatore di luce nella sua oscura vita, come un angelo lo aveva salvato da se stesso, semplicemente quando sotto le luci psichedeliche del locale, aveva camminato verso di lui e gli aveva sorriso presentandosi. Sapeva che non avrebbe mai dovuto lasciarsi coinvolgere, perché tutte le cose belle della sua vita tendevano a sparire, ma quando Cas gli aveva promesso che sarebbero stati sempre insieme, nonostante tutto, Dean, non tenendo in considerazione che l’altro potesse rischiare la vita, gli aveva creduto e si era illuso. L’illusione lo aveva accompagnato, fino a quando aveva quasi ucciso Castiel.
Cercò di dormire, sperando di non avere incubi, ma ogni volta che chiudeva gli occhi, e sprofondava nel sonno, vedeva se stesso armato con un’ascia dare la caccia a Sam e a Castiel in un bunker, aveva gli occhi neri e inespressivi, un sorriso sadico sul volto e cercava di uccidere le due persone più importanti della sua vita; così come anni prima aveva scatenato il tentato suicidio di Sam, e pochi giorni prima aveva quasi ucciso Cas, nel suo sogno era lui stesso che aveva un’arma e cercava di ucciderli.
Si rigirò nel letto, agitato, e il sogno cambiò.
C’erano lui, sua madre e suo fratello, lui stava giocando con le costruzioni davanti alla tv, mentre Sam giocava con i sonaglini nel suo box, tutto sembrava essere come avrebbe dovuto sempre essere: tranquillo, spensierato; poi la porta si spalancò e vide se stesso da adulto entrare come una furia, ubriaco, forse drogato, ed era così uguale a John, così identico a lui, che il se stesso bambino si spaventò a morte e si gettò su Sam per proteggerlo, poi si voltò verso sua madre, ma al suo posto non c’era più lei, c’era Cas. Il se stesso adulto afferrò Cas per il bavero del trench e gli tirò un pugno in faccia e uno nello stomaco, il moro gemette di dolore e si piegò su se stesso, e Dean mormorò, ma il se stesso adulto ignorò quel lamento e continuò a picchiare Castiel, con forza, e lo colpì ripetutamente, fino a che il suo volto non divenne una maschera informe di sangue, Dean continuava a chiamare, ma lui non ascoltava. Il se stesso bambino cercò di spingerlo via, di salvare Mary-Cas, ma era impossibile John-Dean adulto era troppo forte, spinse via anche il se stesso bambino, e infine si vide prendere un coltello da cucina, puntarlo al cuore di Castiel e… No, no, no, non di nuovo…
Si risvegliò di soprassalto, con il cuore in gola e il fiatone, stava per uccidere di nuovo Cas in uno dei suoi incubi e stavolta aveva quasi pugnalato il suo cuore, come presumeva di aver fatto con la lettera che gli aveva scritto; era consapevole di averlo ferito, di averlo distrutto, ma non poteva continuare a stargli accanto con il pericolo di fargli altro male, se ne sarebbe fatto una ragione prima o poi e avrebbe trovato qualcuno che guarisse quelle ferite da lui inferte.
Il suo telefono segnava le quattro di notte, c’erano altri messaggi non letti, tutti provenienti da Castiel e da Sam, e Dean avrebbe solo voluto eliminare dalla sua mente quei sogni in cui realizzava il suo peggiore incubo, essere l’artefice della morte di Sam e di Castiel, sapeva che alla fine del sogno, se non si fosse svegliato, il se stesso di quel sogno, quello identico a John, avrebbe ucciso entrambi.
Aveva il volto imperlato di sudore, aveva bisogno di lavarsi il viso e di un caffè forte, perché doveva restare sveglio, non poteva permettere a quei sogni di tormentarlo, preferiva non dormire piuttosto che vedersi fare quelle cose, anche se sapeva che fossero solo incubi e niente di reale, tutta produzione del suo subconscio, Dean si sentiva sprofondare in quell’abisso senza via di fuga. Andò nell’angusto bagno e si lavò il viso, alzò lo sguardo verso il piccolo specchio e si vide, e un po’ ebbe ribrezzo per se stesso. Aveva delle profonde occhiaie, il volto una maschera di dolore e gli occhi inespressivi, quasi come quelli del sogno. Che cosa stava diventando? Si stava davvero trasformando in John? Avvertita di nuovo la voglia di affogare il dolore e la disperazione in alcool e droga, poteva fermarsi? O sarebbe uscito da quella stanza di motel e avrebbe cercato il primo bar o il primo spacciatore nei dintorni? Cercò di calmarsi e di riprendere il controllo di se stesso, anche se sentiva le mani tremare e la mente affollata da negatività.
Chiuse gli occhi e li riaprì, sperando di essere in un altro incubo e svegliarsi accanto a Castiel, che lo tranquillizzava, gli diceva che era solo un sogno, che loro erano insieme, e tutto sarebbe andato bene; senza che niente di tutto quello fosse accaduto, senza incidenti, senza sensi di colpa, tutto perfetto com’era fin da quando lui era entrato nella sua vita, non era molto, quello che chiedeva, no? Voleva solo ritrovarsi accanto a Castiel, senza errori, per una volta, avrebbe voluto non aver fatto nessun errore, non aver mandato in malora qualcosa della sua vita. Sfortunatamente, anche quella volta, la vita con lui fu crudele.
Riaprì gli occhi, e quello che vide nello specchio al posto del suo riflesso, fu solo il volto di sua madre, quella notte, quando spirava l’ultimo respiro davanti ai suoi occhi e gli chiedeva perché non hai fatto niente? Perché non lo hai fermato? – Dean voleva piangere, voleva disperarsi e scacciare dalla mente quell’immagine, ma quando ci provò, chiudendo e riaprendo gli occhi, vide il volto vitreo del fratello, quando a sedici anni aveva tentato il suicidio e gli diceva è solo colpa tua, Dean, è colpa tua! La mia vita senza di te sarebbe migliore! – scosse la testa, cercando di scacciare quelle immagini dalla sua mente e infine, quando riaprì per la terza volta gli occhi, vide Castiel che lo guardava in modo sofferente, con le lacrime agli occhi, e il volto insanguinato a causa di una ferita sulla testa e quasi gli chiedeva perché mi hai fatto questo? Perché mi hai rovinato la vita? – Dean non resse a quella visione, aver fatto del male a Castiel era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare. Con tutta la forza che aveva in corpo, colpì il vetro dello specchio, distruggendolo in mille pezzi, alcune schegge trapassarono anche le nocche delle sue mani, e fu colpito da un moto d’ira profondo verso se stesso, verso il mondo intero, così iniziò a distruggere qualsiasi cosa trovasse a portata di mano, urlando per il dolore e la rabbia, cercando di scacciare quelle orribili sensazioni che stavano montando dentro di lui, procurandosi anche ferite fisiche. Non trovava sollievo nemmeno nel distruggere ogni cosa, il dolore stava esplodendo come mai prima di allora, e per la prima volta in sei anni, provò l’irrefrenabile voglia di assumere droghe o alcool, solo per poter essere ancora capace di scacciare quel lancinante senso di colpa che gli attanagliava le viscere; gli tremavano le mani, come in una delle peggiori crisi d’astinenza che aveva avuto e voleva solo che tutto quel dolore smettesse di assillargli la mente, che smettesse di stringergli il cuore in quella morsa ferrea e dolorosa, che smettesse di fare così dannatamente male, e soprattutto che lo lasciasse in pace. Si ritrovò in ginocchio al centro della stanza con il fiatone e il dolore sia fisico che psicologico che risaliva veloce fino al suo cervello e lo schiacciava con forza, quasi non riusciva a respirare regolarmente, voleva solo continuare a distruggere tutto ciò che lo circondava e se stesso fino a che non fosse rimasto nemmeno un brandello della sua anima già martoriata. L’unica cosa razionale che riuscì a fare in quel momento, non appena riuscì a tornare leggermente lucido, anche se erano le quattro e mezza del mattino, fu scrivere a suo fratello, dicendogli che stava troppo male, che era ad un passo dal prendere alcool e droga per stare meglio, e da solo non riusciva ad uscirne. Lo aveva promesso a Sam, quando era uscito dalla riabilitazione, ne avrebbe parlato con lui prima di fare qualunque atto sconsiderato o stupido, e almeno quella volta non voleva fare altri errori. Sam rispose tempestivamente, chiedendogli dove fosse finito, da quando Dean era sparito non dormiva, aspettando sue notizie o una sua risposta, e il maggiore gli disse il nome del motel. Il fratello non tardò ad arrivare, impiegò una mezz’ora a raggiungerlo e immediatamente, quando entrò nella stanza, e si rese conto delle condizioni di quella e del fratello, impallidì. Fuori quasi albeggiava, e Sam si ritrovava davanti a suo fratello, suo fratello maggiore, quello forte, quello che non crollava mai, la roccia stabile che aveva sempre avuto accanto, più distrutto delle altre volte, era devastato, una maschera di dolore e sentimenti repressi. Doveva assolutamente fare qualcosa, Dean stava sprofondando di nuovo, e lui non poteva permetterlo quella volta.
«Dean…» lo chiamò a bassa voce preoccupato, ma anche sollevato dal fatto di averlo trovato.
«Sammy…» disse a bassa voce, la voce rotta dal dolore «Mi dispiace… io…»
«No, va bene» disse muovendo alcuni passi verso di lui «Va tutto bene, Dean, è tutto okay» lo rassicurò avvicinandosi a lui completamente e avvolgendolo tra le sue braccia, in un caldo abbraccio fraterno. Dean si aggrappò al fratello, come se lui fosse lì per non farlo crollare, e Sam lo strinse con forza, sollevato dal fatto che il maggiore avesse chiamato lui prima di qualsiasi atto incosciente, a parte il distruggere totalmente una camera – davvero nessuno si era accorto del baccano che aveva dovuto fare distruggendo tutto?
«Mi dispiace… mi dispiace…» continuò a mormorare in una litania «Sono così sbagliato, tutto quello che tocco, diventa marcio e Cas… mio dio, hai visto Cas? Hai visto cosa gli ho fatto?» chiese, la voce sempre più rotta e i singhiozzi ancora repressi sul fondo della gola. «Gli incubi non vanno via, Sam, sogno che vi uccido, che vi faccio del male… non voglio farvi del male» disse con la voce spezzata «Non voglio essere come lui».
«Sono solo sogni, Dean, tu non sei come John» gli disse cercando di tranquillizzarlo «Non è colpa tua, Dean» disse Sam, la voce ferma e sicura «Si è trattato di un incidente, non è colpa tua. L’unica cosa che sta distruggendo Castiel, adesso, è il fatto che tu sei sparito con una lettera» gli disse, Dean scosse la testa perché non era vero, Castiel lo odiava, perché lo aveva quasi ucciso, si allontanò dal minore spostandosi dall’altro lato della stanza, e Sam notò del sangue sulle nocche delle sue mani.
«Tu non capisci... lui era lì… accanto a me, privo di sensi e io… non ho fatto niente per aiutarlo» disse, agitato «Sono un mostro, guarda cosa gli ho fatto… e-e» Sam provo ad interromperlo «Dovevo salvarlo, io… dovevo fare qualcosa per lui… come dovevo fare qualcosa per te, e per la mamma…» Sam scosse la testa e andò a prendere il kit del pronto soccorso nel bagno del motel – notando che avesse distrutto anche quello – e prese del disinfettante e delle bende, poi si avvicinò al fratello, deciso a farlo ragionare, l’incidente aveva riportato a galla ogni brutta cosa accaduta, e lui non avrebbe permesso a suo fratello di autodistruggersi così, non di nuovo.
«Dean, ascoltami, ti prego» gli disse, raggiungendolo di nuovo, Dean non alzò lo sguardo, ma provò ad ascoltarlo «Lo so che nella nostra vita sono successe cose orribili e noi eravamo troppo piccoli, tu eri troppo piccolo» disse con serietà, una serietà che Dean non gli aveva mai visto sul volto, iniziando a pulire e disinfettare le ferite che si era auto-inflitto «Ma devi smetterla di reputarti responsabile, okay? Non sei stato tu. La mamma non è morta per colpa tua, è stato quel bastardo di John ad ucciderla, tu avevi solo quattro anni, Dean, quattro, eri un bambino, non avresti potuto impedirlo» affermò, avvolgendo la mano del maggiore in una garza, l'altro avrebbe voluto ribattere ma non ne aveva la forza in quel momento «Ti sei preso cura di me, mi hai sempre protetto, ti ricordi quando mi hai insegnato ad andare in bici?» domandò, Dean annuì «Se non fosse stato per te, che reggevi la bici, non avrei mai imparato, avevo il terrore di cadere, ma sapevo che non mi avresti fatto cadere, perché mi sono sempre sentito al sicuro con te» Dean non lo aveva mai sentito parlare in quel modo, era… diverso dal Sammy che conosceva «Mi sei sempre stato vicino, e mi hai insegnato così tante cose, e so che hai rinunciato tu a tante cose per me» disse ancora, Dean non capiva dove volesse andare a parare «Santo cielo, ti sei fatto pestare da John affinché non mi toccasse, Dean, ti rendi conto?» domandò retoricamente, memore di quel pomeriggio infernale, in cui Dean aveva messo lui davanti a se stesso senza battere ciglio «Mi hai sempre protetto, e io non te ne sarò mai grato abbastanza» disse ancora, Dean stava per ribattere ancora, ma Sam non glielo permise, continuando a parlare senza sosta «Dean, quello che voglio dire, è che tu sei stato il miglior fratello maggiore che un bambino potesse desiderare, e non è colpa tua se ho fatto quella stronzata quella notte», il maggiore fu sul punto di ribattere a quell’affermazione, ma il minore lo interruppe ancora «Quella è stata una mia scelta, so di averti detto che era colpa tua, ma ero stupido e non capivo, non è mai stata colpa tua» continuò, senza permettergli di intervenire, terminando la medicazione alla sua mano, constatando che a parte qualche piccolo graffio superficiale non si era procurato altre ferite profonde «E non è nemmeno colpa tua quello che è successo a Castiel, è stato un autista ubriaco a venirvi addosso, tu hai sterzato in tempo e hai evitato l’impatto fatale. Lui non ce l’ha con te, credimi, è preoccupato a morte perché non gli rispondi e non ti fai sentire. Ma non ti odia» Dean prese un respiro pronto a rispondere, ma Sam lo precedette ancora «Tu non sei la causa di qualunque male, è ora che inizi a mettertelo in testa, perché io non ti lascerò cadere di nuovo nell’autodistruzione». Era stravolto, Dean non sapeva come sentirsi, suo fratello non gli aveva mai detto tutte quelle cose, nemmeno dopo o durante la riabilitazione, e ora… non sapeva come reagire, come comportarsi. Lo stava dicendo solo per farlo stare meglio o lo pensava davvero? Lo sguardo che gli rivolgeva Sam era così carico d’affetto e di determinazione, e non vi vide l’ombra di bugie o pietà nel suo sguardo.
«Sammy…» riuscì a dire, ma il fratello gli fece un sorriso caldo, uno di quelli che davvero erano in grado di far tornare il buon umore alla persona più angustiata del pianeta, e poi gli porse la mano, senza permettergli di continuare a gettarsi fango addosso da solo.
«Ti sei sempre preso cura di me, Dean, adesso permettimi di fare lo stesso con te» il maggiore non aveva nemmeno la forza di parlare o di ribattere alle sue parole; era sfinito, distrutto, travolto da tutto quello che era capitato, si ritrovò ad annuire ad afferrare la mano del minore, come ancora di salvezza «Andiamo a casa, Dean».
 
Dopo la convalescenza in ospedale, ed essere ritornato a casa, Castiel aveva deciso di non ascoltare le parole della lettera di Dean e di cercarlo, ma dopo una settimana di totale assenza di risposte da parte del suo (ex) ragazzo, non sapeva cosa fare, non capiva, eppure non si dava pace; cercava in tutti i modi di contattare Dean. In un primo momento, quando era rimasto solo in ospedale, con l’illusione che lui sarebbe arrivato, e poi Sam gli aveva portato quella lettera con cui il ragazzo lo lasciava, aveva sentito il mondo crollare e tutti i loro progetti evaporare come una goccia d’acqua sotto al sole. Aveva pianto – non lo nascondeva – e una volta uscito dall’ospedale, aveva deciso di bruciare qualunque cosa appartenente a Dean che era in suo possesso, persino i vari abiti che gli aveva rubato durante la loro relazione. Poi Gabriel gli aveva ridato le cose che aveva con sé la notte dell’incidente e tra esse, un po’ stropicciate, c’erano le fotografie che lui e Dean avevano scattato nella cabina a Overland Park, le guardò qualche istante, indeciso se gettarle o meno, poi si soffermò su un particolare delle foto: lo sguardo che aveva Dean quando lo guardava, nessuno lo aveva mai guardato in quel modo, sembrava dirgli ti amo, sei la luce della mia vita, ed era assurdo che lo avesse lasciato. Come aveva potuto lasciarlo? Come aveva potuto mandare al diavolo quello che avevano? Tutti i loro progetti? Perché gli aveva scritto quella lettera? In che senso era colpa sua? Perché doveva lasciarlo anche se lo amava? C’era qualcosa di fondamentalmente sbagliato in tutta quella storia, e lui voleva venirne a capo, perché se Dean lo amava, non poteva mandare tutto all’aria per un incidente. L’avrebbero superato insieme come gli aveva promesso, ma perché non si era fidato di lui in quel momento? Perché aveva preferito allontanarlo e affrontare tutto da solo?
Aveva passato giorni a crogiolarsi nel dolore, a parlarne con Gabriel, per provare a capire, a chiedersi perché lo avesse lasciato, cosa avesse sbagliato con lui; aveva passato giorni a fissare le loro fotografie, i vari biglietti del cinema che conservava in una scatola sotto il letto, dove raccoglieva tutti i ricordi più preziosi che aveva con lui. Aveva persino uno degli scontrini che Dean gli aveva stampato al bar all’inizio della loro relazione, sul retro Dean aveva scarabocchiato “solo ai ragazzi carini come te, oggi offre la casa”, le sue iniziali e una faccina sorridente. Erano tutte cose all’apparenza stupide, come i dépliant degli hotel in cui avrebbero soggiornato durante il loro viaggio post-laurea, ma per lui erano veri e propri pezzi da collezione, come piccoli mattoni che avevano avvicinato lui e Dean, e così costruito la loro storia. Anche quello stupido cappello da cowboy che Dean aveva vinto un giorno al luna park – di cui era andato fiero per giorni – era stato con cura custodito dal ragazzo e sul suo letto svettava ancora l’enorme peluche a forma di orso polare che l’altro aveva vinto, sempre quel giorno, nel tiro al bersaglio, era stata una delle giornate più belle della sua vita, una delle loro prime uscite ufficiali da coppia, lui aveva il terrore degli omofobi, ma Dean no, Dean era così forte e sicuro che gli aveva trasmesso sicurezza per tutto il tempo, e lui pian piano aveva lasciato andare la paura, divertendosi spensierato, soprattutto alla fine della giornata, Dean aveva il terrore delle montagne russe e delle ruote panoramiche – soffriva di vertigini – ma era salito lo stesso sulla ruota panoramica perché mi hai detto che ti avrebbe reso felice farlo al tramonto, e baciarmi mentre siamo in cima. Ma non permetterti di lasciarmi la mano, okay? – e si erano scattati una foto con il cellulare, mentre si baciavano, al tramonto sulla ruota panoramica, Dean era il ragazzo perfetto, Cas lo sapeva. E più ripensava a loro insieme, più si diceva che era assurdo che Dean lo avesse lasciato. Aveva più volte riletto la lettera, cercando in quella un indizio, che gli suggerisse qualcosa, che gli suggerisse una motivazione valida. Non riusciva a capire, gli aveva scritto diversi messaggi, anche patetici, ma Dean non gli rispondeva, perché? Cosa gli stava succedendo? Perché non poteva perdonarsi?
Castiel non poteva lasciare che Dean interrompesse la loro storia, gettando al vento quella relazione che pian piano entrambi avevano costruito, senza prima parlargli, chiarire, e capire il motivo per cui lo stava lasciando e stava mettendo fine a tutti i loro progetti. Erano in due in quella storia, Dean non poteva decidere di punto in bianco di lasciarlo senza motivo, il sentirsi in colpa per l’incidente, per Castiel, non valeva come motivo valido.
Aveva sempre saputo che c’era qualcosa che Dean non gli diceva, qualcosa di profondo che lo logorava, ma non aveva mai insistito per sapere, conoscendo il biondo sapeva che se avesse insistito, lui si sarebbe chiuso sempre di più in se stesso, come un riccio, e non ne avrebbe mai più parlato, così aveva atteso che decidesse lui di parlargli. Forse aveva sbagliato a non domandare mai, a non insistere, forse era stato questo il suo errore, in quel momento però non aveva tempo per capire quali errori avesse fatto, ci avrebbe pensato dopo aver aiutato Dean; doveva fare qualcosa, doveva aiutarlo, anche se lui non ne voleva sapere di essere aiutato.
Aveva litigato con Michael al riguardo, il suo amico premeva affinché interrompesse qualunque rapporto con lui, che lo dimenticasse e cercasse qualcuno di migliore, ma Castiel non voleva qualcuno di migliore, lui voleva Dean e non poteva lasciare niente di intentato, e quando aveva detto all’altro di voler cercare il biondo per parlargli e cercare di chiarire la loro situazione, lui si era innervosito, e aveva dato a Castiel del cretino, perché non capiva mai dai suoi errori. A Michael, Dean non era mai piaciuto, fin da quando aveva scoperto dei suoi problemi di alcool e droga di anni prima, Castiel invece aveva sempre guardato oltre, una persona non veniva definita dal suo passato, ognuno aveva periodi orribili, e ognuno poteva fare le scelte sbagliate, bastava solo rimediare in ogni modo possibile ed era certo che Dean lo avesse fatto, poiché poteva percepire che avesse fatto di tutto per farsi perdonare, lo vedeva nell’atteggiamento che Sam aveva nei suoi confronti, o il suo modo di parlare del fratello maggiore sempre con quella palese ammirazione e fierezza, lo vedeva nel modo in cui Dean si approcciava agli altri, o nella premura che aveva nei suoi confronti; sapeva che era una persona totalmente diversa, perché il Dean di cui si era innamorato era migliore di quello che descriveva Michael, era migliore di quello che lo aveva lasciato con una lettera. Il Dean di cui si era innamorato era quello che aveva guardato mille volte Star Wars, il Signore degli Anelli e Harry Potter con lui senza lamentarsi, era quello che lo aveva portato a mangiare le crepes di notte e aveva riso con lui quando si erano sporcati di nutella come due bambini piccoli, era quello che, per passare anche solo cinque minuti con lui, si accontentava di brevi attimi dopo il lavoro. Il Dean di cui si era innamorato era quello che gli aveva regalato le giornate migliori della sua vita con un solo abbraccio, o con una semplice uscita al cinema – quando erano andati a vedere uno stupido film d’amore, e Dean aveva passato tutto il tempo a fare battute stupide sui protagonisti, guadagnandosi gli insulti di tutti i presenti in sala, e Castiel aveva riso così tanto, che erano stati cacciati in malo modo dalla security, come due adolescenti stupidi – o anche solo trascorrendo la serata insieme, accoccolati sul divano a guardare serie tv. Il Dean di cui si era innamorato era quello che una sera piovosa di aprile, aveva guardato Notting Hill con lui, avvolti in un plaid, perché la temperatura era assurdamente bassa, si era commosso alla fine del film e aveva schiacciato il viso contro la sua spalla per non farlo notare, era quello che si commuoveva in generale per i film, soprattutto quelli Disney, anche se cercava di mascherarlo con la sua ostentata sicurezza. Il Dean di cui si era innamorato era quello che lo aveva consolato la sera prima dell’incontro con i suoi genitori, aveva guardato un film della Disney insieme a lui e aveva diviso con lui una fetta di torta, poi lo aveva coccolato fino a che non si era tranquillizzato. Il Dean di cui si era innamorato era quello che gli aveva dato sicurezza quando aveva paura, era quello che lo aveva compreso e lo aveva aiutato a superare tutte le sue paure, era quello che gli aveva confessato di aver paura che tra loro potesse accadere qualcosa, e potesse perderlo. E Castiel era quello che gli aveva promesso che qualunque catastrofe si fosse abbattuta su di loro, l’avrebbero affrontata insieme. Se non era quella che stavano vivendo in quel momento, una catastrofe, cos’altro poteva esserlo? Sapeva cosa fare, per arrivare a Dean doveva trovare Sam e parlare prima con lui. Aveva provato a contattare il maggiore dei Winchester tante volte in quei giorni, ma lui aveva ignorato i suoi messaggi e le sue telefonate, e se Castiel fosse stato un’altra persona, avrebbe lasciato perdere; ma lui non era un’altra persona. Dean aveva bisogno di lui, non poteva prendersi la responsabilità di una cosa che non aveva fatto, il camionista che li aveva quasi travolti era in stato confusionale, forse a causa di sostanze stupefacenti o alcool, sinceramente Castiel non aveva prestato attenzione a questo dettaglio, quando gli avevano spiegato la dinamica dell’incidente, sapeva solo che non era colpa di Dean, lui era quello che aveva impedito la loro morte certa. Come avrebbe potuto prevedere quell’incidente? Anche se pioveva e c’era un po’ di nebbia, la strada era deserta, l’altro ragazzo non avrebbe mai potuto prevedere che un camion, che in teoria avrebbe dovuto essere nell’altra corsia, quasi si schiantasse su di loro. Castiel non sapeva spiegarsi perché Dean credesse che fosse colpa sua, e si sentiva frustrato all’idea di non poterglielo dire.
Prese il cellulare e compose il numero di Sam, se Dean non gli rispondeva, lo avrebbe fatto suo fratello, aveva il diritto di parlare con lui, di chiarire la situazione e di discutere con l’altro riguardo ciò che era accaduto, Dean non poteva buttare all’aria tutto ciò che li aveva uniti in quel periodo, non poteva annullare un anno di storia con una lettera, e Castiel era intenzionato a farglielo capire, volente o nolente, avrebbe trovato Dean e gli avrebbe spiegato il suo punto di vista.
«Castiel?» chiese Sam, rispondendo al telefono con il tono confuso, di chi non si aspettava una simile telefonata.
«Ciao Sam» lo salutò Castiel, sentendosi un po’ agitato «Volevo… volevo sapere se avevi notizie di Dean» disse tutto d’un fiato, attendendo con ansia che gli dicesse di sapere almeno dove fosse.
«Sì, è qui con me» disse, il cuore di Castiel fece una capriola e lui si sentì un po’ più sollevato, almeno era con Sam.
«Sta bene?» chiese ansiosamente.
«Non proprio, senti Cas, so che sei preoccupato per Dean, ha avuto un brutto crollo emotivo, dopo l’incidente» il cuore di Castiel quasi si fermò, cosa era successo a Dean? Cosa lo aveva sconvolto a tal punto? Come mai si era sentito così male? Perché non aveva voluto essere aiutato da lui? Perché lo escludeva dalla sua vita? Come poteva aiutarlo? «Ti giuro che appena starà meglio lo manderò a calci da te, perché non so come, ma tu riesci a farlo stare bene» continuò Sam «Ma Dean, adesso…»
«Voglio aiutarlo, dimmi come posso fare, ti prego, Sam» lo interruppe Castiel, quando l’altro stava per aggiungere qualcosa, se qualcosa, qualsiasi cosa, era successa e Dean non ne aveva parlato con lui, si capiva fosse qualcosa di importante, non lo avrebbe forzato a parlarne, ma santo cielo, era il suo ragazzo e non poteva abbandonarlo a se stesso, doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa per far in modo che l’altro stesse bene e loro tornassero ad essere felici, stavolta senza alcun segreto tra di loro. Dean meritava che le persone più importanti per lui gli stessero vicino, e Castiel sperava di essere ancora tra di esse, sperava di poter fare qualcosa per aiutarlo.
«Dean ha bisogno di stare un po’ da solo e di riflettere, Cas» gli disse Sam, e lui sospirò frustrato, voleva solo aiutarlo «Mi terrò in contatto con te, te lo prometto, Cas» disse ancora l’altro ragazzo «E troveremo un modo per aiutarlo, insieme».
«Sì, Sam, grazie» disse a bassa voce, non capiva perché l’altro Winchester gli dicesse così, ma forse Dean aveva bisogno dei suoi spazi e lui poteva accettarlo, se poi avesse potuto aiutarlo. Se Dean aveva bisogno d’aiuto, lui sarebbe stato in prima fila per dargli il suo supporto in ogni occasione «Digli che mi manca» sussurrò «E che lo amo, nonostante tutto».
«Lo farò» promise il minore dei Winchester.
«Grazie, Sam» disse ancora, un po’ sollevato dal fatto che ora avesse la possibilità di aiutare Dean.
«Grazie a te per non esserti arreso».
«Dean ne vale la pena» affermò il ragazzo con sincerità, stringendo il telefono con la mano, come per trovare un appoggio. Il Dean di cui si era innamorato non lo avrebbe mai lasciato in quel modo, doveva trovare la maniera di riportare quel Dean a galla e parlare con lui. Non poteva arrendersi. Il Dean di cui si era innamorato ne valeva la pena.
 
Dopo qualche giorno dalla conversazione con Sam, Castiel fu costretto a tornare al lavoro, perché il periodo di malattia era terminato, ma a parte qualche messaggio e telefonata con Sam, di Dean non aveva ancora notizie. I giorni passavano inesorabili e lui si sentiva sempre più frustrato. Sì, sapeva grazie al fratello che stesse meglio, che avesse in qualche modo superato il crollo emotivo – e Castiel si sentiva in colpa, perché avrebbe voluto essere accanto a lui in quel momento, sostenerlo, stringerlo e dirgli che tutto sarebbe andato bene – ma non si era ancora degnato di fargli una telefonata o rispondere a uno dei suoi messaggi, in cui, pateticamente, lo supplicava di andare da lui e parlargli. Era davvero confuso, non sapeva che pensare, se da una parte Sam gli diceva che prima o poi Dean sarebbe andato da lui, dall’altra iniziava a pensare di non essere mai stato così importante per lui, perché se avesse tenuto a lui, si sarebbe fatto vivo, quantomeno per sapere come si sentisse dopo l’incidente. Dean invece era sparito, letteralmente, nel nulla e non aveva dato più notizie di sé. E nel frattempo, il tempo passava e lui si sentiva escluso dalla vita del (suo) ragazzo, certo, avrebbe potuto piombare a casa sua e imporsi, ma Sam gli continuava a dire che aveva bisogno dei suoi spazi, e che prima o poi sarebbe andato da lui, quando si sarebbe sentito pronto per affrontare la situazione.
Intanto, era passato un mese. Un fottutissimo mese da quando Dean lo aveva lasciato e non si era fatto vivo, una settimana da quando aveva parlato con Sam, ma niente si era ancora risolto. Aveva chiesto più volte a Sam di poter essere più presente, ma il minore dei Winchester gli ripeteva che Dean avesse bisogno dei suoi spazi, e tutte quelle cazzate che Sam Winchester continua a propinarmi lo stavano facendo impazzire. Forse avevano ragione i suoi amici, doveva darci un taglio con lui, ma Castiel non riusciva ad evitare di chiedere di Dean, e sì, forse era masochista, ma non riusciva ad evitare di pensare a lui, a come stesse. Era patetico, ma non riusciva a pensare a nient’altro, lavorava per inerzia ed era riluttante all’idea di studiare, ogni volta che provava a studiare, si sentiva uno stupido ignorante e non capiva la metà delle cose che leggeva. Aveva appena imbustato la spesa di una signora anziana, una cliente abituale del minimarket, che lo guardava sempre con quell’espressione di pietà e misericordia sul volto e che Castiel preferiva evitare, quando si preparò ad accogliere con il sorriso sulle labbra – il più finto di tutti – il cliente successivo, non alzò lo sguardo su di lui, preparando già la busta per mettere i prodotti. Non aveva per niente voglia di trovarsi lì, era lì solo per dovere, avrebbe voluto solo chiamare Sam e urlargli contro che era un assoluto bugiardo come suo fratello, perché Dean ancora non si era fatto vivo e lui, oltre a morire di preoccupazione, si sentiva di nuovo vulnerabile.
«Ciao Cas» disse l’altro cliente appoggiando sul bancone una busta di patatine, una lattina di coca cola e una barretta di cioccolato fondente. Castiel alzò lo sguardo incredulo, quello non poteva essere lui, quella non poteva essere la sua voce, aveva sperato tanto di risentirla ed era davvero strano riavere a che fare con lui, dopo quelle settimane che erano sembrate anni. Tutte le cose negative che aveva pensato – tra cui chiedere a Michael di cercare Dean e parlare con lui – scivolarono via, svanirono come spazzati via dal vento. Dean era lì, di fronte a lui, con l’espressione triste e rammaricata, qualcosa che mai gli aveva visto sul viso. Aveva il volto un po’ sciupato, come se non mangiasse da settimane, segnato da profonde occhiaie, come se non dormisse da giorni e l’espressione vuota e triste, non lo aveva mai visto così, e quella visione gli fece male al cuore. Dean era distrutto e lui non capiva ancora il perché.
«Dean…» sussurrò, quasi dimenticando come fare il suo lavoro, fortuna che non c’era molta gente «Cosa ci fai qui?»
«Io…» si guardò in imbarazzo le mani e indicò i suoi acquisti «Avevo bisogno di fare… la spesa?»
«Questo sarebbe il tuo modo di dire che ti dispiace?» chiese Castiel, risultando forse un po’ freddo, imbustando i prodotti presi dal (suo) ragazzo. Non sapeva come comportarsi, eppure con l’altro non aveva mai avuto questi problemi.
Dean scosse la testa, prendendo delle banconote «Io… non so come… Sam dice che è importante che io e te parliamo» disse, Castiel non si rese conto delle sue parole, cosa voleva dire? Che significava? «Penso, penso che… abbia ragione» continuò, Castiel era sempre più confuso e se da una parte voleva riempire quel bellissimo viso di schiaffi, dall’altra voleva solo prendere suddetto viso tra le mani e baciarlo fino a perdere il fiato, sì, era una contraddizione vivente, ma era comunque ferito, tuttavia non aveva mai visto Dean così fragile come in quel momento, sembrava che da un momento all’altro potesse cadere a terra e spaccarsi all’istante «E immagino di doverti delle spiegazioni e delle scuse» continuò, ancora a disagio, Cas restò in silenzio e annuì «Magari… magari ci vediamo? In questi giorni? Sempre se ne hai voglia» chiese in evidente imbarazzo. Castiel sentì il proprio cuore stringersi davanti a quell’immagine di Dean, del ragazzo forte e sicuro che più volte lo aveva stretto tra le braccia e lo aveva fatto sentire al sicuro.
«Va bene…» disse a bassa voce, risultando ancora freddo e santo cielo non avrebbe mai voluto esserlo, perché sapeva che Dean avesse passato un periodo davvero orribile e non voleva inferire. Vide l’altro annuire, l’espressione ancora assente, poi prese meccanicamente le banconote, gli diede il resto e gli consegnò la busta con i suoi acquisti. Dean prese il sacchetto, guardò il moro ancora per quelli che parvero lunghissimi istanti – qualcosa come venti secondi – e Castiel si ritrovò a fissarlo anche lui e a chiedersi cosa diavolo sto facendo? Perché lo tratto di merda?
«Allora ciao» disse mestamente, andandosene.
Castiel si rese conto di star facendo l’errore peggiore della sua vita, quando lo vide uscire con le spalle curve dalla porta scorrevole, realizzò solo in quel momento che non doveva permettere a nient’altro di allontanarlo ancora di più da Dean, non poteva permettere che soffrisse o che si autodistruggesse ancora. Non era giusto, non lo meritava. Se ne infischiò dei clienti, afferrò una confezione con una torta già pronta, mise alla rinfusa delle banconote nella cassa, e disse ad un suo collega che il cliente appena andato via l’avesse dimenticata – come se lui non avesse affatto riconosciuto Dean – e gli chiese di sostituirlo e in men che non si dica, raggiunse l’auto di Dean, il ragazzo era appena entrato, stava per mettere in moto. Castiel bussò sul vetro dell’auto, con fare un po’ indeciso e l’espressione rammaricata, l’altro abbassò il finestrino, guardandolo con l’espressione confusa e interrogativa.
«Hai dimenticato questa» disse in imbarazzo, porgendogli la torta attraverso il finestrino, Dean la prese con l’espressione un po’ confusa «Santo cielo, mi uccideranno per essere corso qui» scherzò, un leggero fiatone e un mezzo sorriso a contornargli le labbra «Ci vediamo quando finisco il turno?» chiese «Passo da te?»
«Va bene, Cas…» mormorò. Il cuore di Castiel riprese a battere nel momento in cui vide un accenno di sorriso comparire sul volto addolorato di Dean. «Se vuoi, passo a prenderti io».
«Alle sei» si ritrovò a dire con naturalezza e ignorò il lo so di Dean, perché sapeva che l’altro conosceva i suoi orari a memoria «Allora a dopo» disse alzando la mano a mo’ di saluto.
«A dopo, Cas» salutò l’altro, alzando la mano, senza smettere di guardarlo «Grazie, suppongo» mormorò. Castiel gli sorrise annuendo e poi Dean mise in moto l’auto e andò via, lasciando Castiel lì, con il sorriso sulle labbra e la consapevolezza che non tutto fosse finito, c’era ancora speranza per loro.
Dean, nella sua auto, mentre guidava verso casa, si lasciò andare in un sospiro sollevato.


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Hola people!
Sì, oggi non è sabato e io aggiorno. Perché sono sfigata e sabato ho di nuovo il turno massacrante della settimana scorsa, e idem venerdì. Sono gli ultimi giorni di contratto, poi torno ad essere disoccupata per un po', per poi iniziare una nuova avventura. (Ew, a voi non importa nulla, anyway). Ma eccoci di nuovo qui, con i nostri amati Dean e Cas.
Dean è crollato, non ce l'ha fatta, ormai è un ammasso di dolore che cammina perché ha ferito l'unica persona che ama, e non vuole fargli del male, e crede di essere come John. Sam sa che Dean ha bisogno di Cas, ma vuole che prima stia bene. Cas ama Dean e vuole prenderlo a schiaffi e ha ragione, ma non sa ancora tutto. But, riuscirà Dean ad aprirsi totalmente con Cas? O farà qualche stronzata? Eh, lo scoprirete nella prossima puntata! Che tornerà ad essere sabato, perché tornerà ad essere il mio giorno di nullafacenza in attesa di tornare a lavorare. 
Come sempre, ringrazio dal profondo del mio cuore chi segue, preferisce, ricorda, legge e recensisce la storia, e anche chi spende un solo click per leggerla. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e non vi siano erroracci, ci tengo sempre a rileggerlo almeno una decina di volte prima di pubblicare (forse è per questo che le parole lievitano improvvisamente) ma qualche errore scappa sempre!
A sabato prossimo, people! 
   
 
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