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Autore: zippo    19/06/2009    1 recensioni
Sono passati diversi mesi dalla morte di Dark Threat, Rebecca sta per diventare un angelo bianco e al suo fianco c’è Gabriel. Ma non sempre le cose sono così semplici come appaiono. In un angolo, in un respiro, in una lacrima…il Male è continuamente presente. E se lui non fosse morto? E se ritornasse? Il potere, dopotutto, è piacevole…e per corrompere l’animo innocente di una ragazza bastano poche finte promesse.
Il sequel di: Angelus Dominus - Il Bene -
Il secondo capitolo della saga: ALONE IN THE DARK. 
Genere: Romantico, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 14 - IL SOTTILE GIOCO DI PAZZIA -

[Trattengo il mio respiro,
mi nascondo dietro un sorriso.

Mi sono svegliata adesso per cercare me stessa.
Nelle ombre di tutto sono stata creata.

Strisciando attraverso questo modo, come la malattia fluisce nelle mie vene.
Guardo dentro me stessa ma il mio cuore è stato cambiato,
non posso andare avanti così.

Ho ribrezzo di tutto ciò che sono diventata]

Evanescence - Away from me -



***



A Rebecca piaceva la sensazione di libertà che provava ogni qual volta apriva le ali e si librava in cielo. Aveva migliorato la sua qualità di volo, ora andava più veloce, era più precisa e aveva imparato delle acrobazie niente male da eseguire durante uno scontro. Volava alta, non sopportava di stare a pochi metri da terra, aveva bisogno di vedere il mondo farsi piccolo sotto i suoi occhi. Volava incontro al sole, quasi volesse abbracciarlo.

Ritornò con il pensiero alla sua missione. Bastian le aveva consigliato di volare un giorno intero e di fermarsi per dormire e mangiare quando calava la sera.

Rebecca storse il naso, non le piaceva come consiglio. Non era entusiasta dell’idea di fermarsi di notte per rifocillarsi.

Ma, dopotutto, era stato pur sempre un consiglio quello di Bastian, no?

E non era obbligatorio seguire un consiglio, giusto? Altrimenti non si chiamerebbe consiglio ma ordine.

E lei infatti non intendeva seguirlo. Avrebbe volato ininterrottamente fino al villaggio di Primo, non si sarebbe concessa neppure una sosta. Al posto di impiegare una settimana ci avrebbe messo pochi giorni. Poteva trattenere la fame e la sete, la fatica non sapeva più cosa fosse e il sonno riusciva a controllarlo.

Quindi, perché perdere tempo?

Sorrise.

Aveva un matrimonio e un bellissimo anello che l’aspettavano a casa. Ah, giusto, e anche un bel pezzo di ragazzo.

Non appena pensò all’anello, a quel cerchietto d’oro giallo, così sottile e carico di sentimento, ricordò il sogno che aveva fatto. Le immagini di lei, incinta e sposata con Gabriel, le spensero il sorriso sulle labbra. In quell’incubo era sposata, il suo anulare sinistro e quello di Gabriel era circondato da una fede, ma non era felice.  

Rischiò di perdere quota, sbattè le ali più velocemente per riprendere altitudine.

Sperò vivamente che quel sogno non si avverasse e che quel destino non si compiesse.

O forse gli stava andando incontro?

Suo padre le aveva detto che era stata una visione del futuro. E ora quella visione stava diventando un’ossessione. E se fosse diventata reale? Se fosse quello il vero futuro che l’aspettava? E lei non stava facendo niente per ribellarsi. Il primo passo verso la realizzazione di quel sogno sarebbe stato sposarsi con Gabriel. Con il secondo passo lei lo avrebbe abbandonato e sarebbe diventata cattiva. Nel terzo passo c’era la gravidanza e la sua doppia relazione con Gabriel e Atreius. Durante il quarto e ultimo passo avrebbe perso la vita. Erano quattro sequenze, quattro momenti chiave del suo avvenire. Avrebbero seguito un ordine cronologico, sarebbero state l’una l’effetto dell’altra.

Sembrava quasi che questa successione di eventi avesse iniziato a prendere corso perfettamente in sintonia con quella che era la sua vita. Quell’orrendo futuro aveva ormai piantato le radici sul suo presente.

Rimase sbalordita per la sua stupidità e per i suoi pensieri.

Dannazione, era solo un sogno! Un sogno! E da quando Rebecca Burton si faceva condizionare così da un sogno idiota?

Rebecca non voleva annullare il matrimonio per un incubo che aveva fatto una notte. Non si sarebbe lasciata intimidire, per avere la sua felicità non avrebbe mollato. Il destino non era ancora scritto, non poteva essere già stato espresso da una premonizione.

Rebecca cercò di non pensarci, tentò di rimanere concentrata sulla direzione da seguire per arrivare al villaggio. Prese un bel respiro ma l’aria era fredda, le sembrò quasi che le tagliasse la gola. Non si era accorta del cambiamento climatico dal caldo al freddo. Tossì un paio di volte, si portò una mano davanti alla bocca e sputò sangue.

“Vai a quel paese” sibilò, pulendosi la macchia di sangue sulla divisa.

A quanto pare il veleno sta rigettando fuori il sangue che non riesce ad infettare, disse la voce di Dark Threat. E non penso che fuori ci sia veramente stato un cambiamento climatico.  

“Vuoi dire che…?” non terminò la frase, mandò giù la saliva che sapeva di sangue.

Il suo stomaco bruciò, sembrò andare a fuoco.

È il tuo corpo che sta diventando così freddo. Dì addio al tuo appellativo di animale con il sangue caldo, stai diventando più un serpente…

Le parve di sentirlo ridere.  

“Sempre meglio! Ora sputo anche sangue?” sbottò ad alta voce, rischiando di ringhiare come un animale in procinto di attaccare.

E questo è niente in confronto a quello che verrà dopo. Sarà interessante, sai? Non per te, ovvio, ma per me.

“Possibile che tu non accetta il fatto di essere morto? Devi trovare a tutti i costi un modo per rivivere aggrappandoti alla vita così? Nemmeno tu sei riuscito a sconfiggere la morte, non ti è stata concessa l’immortalità. Il tuo lavoro l’hai fatto, ora vattene, non sono un burattino da manovrare”

 E dove vuoi che vada?

Rebecca lo sentì sghignazzare malvagiamente e provò un’irritazione incontenibile. Si morse il labbro inferiore per non gridare. La rabbia le fece ribollire il sangue nelle vene.  



***



Gabriel aveva deciso di andare a caccia. Quella mattina si era alzato dal letto con un profondo senso di vuoto, non gli piaceva dormire in quel grande letto da solo. Contro ogni logica si vestì all’alba e scese a far colazione. Trovò una torta in cucina, probabilmente Rosalie era venuta a casa sua per salutarlo ma lui era già a letto. Lo inquietava non poco il fatto che sua sorella avesse le sue chiavi di casa. Lui di certo non possedeva altri mazzi di chiavi e neanche ci teneva ad averli. Rosalie entrava in casa sua spesso, così, senza avvertire, e capitava sempre nei momenti più inopportuni, per non dire imbarazzanti.

Gabriel trangugiò due fette di torta ai mirtilli e lamponi mentre osservava, in piedi, il paesaggio al di là della finestra. Bevve il suo indispensabile caffè mattutino e uscì di casa. Prima di partire andò sul retro della casa e aprì il capannone dove teneva le armi da caccia. Rebecca non aveva voluto partecipare all’investimento di quelle armi, diceva che la caccia non era uno sport interessante. E così era stato sempre lui a comprare e a lucidare quegli splendidi gioiellini. Si caricò in spalla un arco dall’impugnatura massiccia e infilò nella fodera della spada un lungo e affilato pugnale con l’elsa incastonata di pietre blu, viola e bianche. Si arrotolò le maniche della camicia grigia e spettinò i capelli biondi per darsi un’aria più minacciosa e intimidatoria. Cominciò a correre lasciandosi alle spalle il capannone ben chiuso a chiave, diretto verso la foresta.

Aveva bisogno di svagarsi, di prendere tempo prima di andare da Ares. Era un po’ emozionato, a dirla tutta. Gabriel non aveva mai avuto una relazione così seria e così importante. Dannazione, le aveva proposto di sposarlo! E non era poco. Lui, che si era sempre reputato un duro dal cuore di pietra, capace solo di incontri sfuggevoli e deciso a restare un single a vita stava facendo il primo passo verso l’altare. Si stava per sposare, e di sua spontanea volontà! Ci era proprio cascato con lei.

Ad un certo punto si sentì chiamare da Kevin. Sbuffò, un po’ perché odiava essere interrotto mentre faceva una cosa e un po’ perché sapeva com’era fatto Kevin. Infatti, quando si voltò a guardare la sua figura infondo alla via, aveva un sorrisetto diabolico stampato in faccia che fece procurare a Gabriel una serie di brividi.  

“Speravo di beccarti, grande uomo saggio!” esclamò Kevin con fare plateale, inchinandosi leggermente mentre avanzava.

“Come va, Kevin?” Gabriel era leggermente felice di vederlo.  

Kevin sorrise furbescamente. “Come va a me? Porca vacca, sei tu quello che ti sposi!”

Dopo aver ripetuto sottovoce il “porca vacca” di Kevin, Gabriel arrossì. “Ah, l’hai saputo. Come hai fatto a saperlo?”

“Le voci girano, tua sorella non è mai stata capace di tenersi gli affari degli altri per sé…” scrollò le spalle. “Non posso credere che ti sposi. Questo ci fa sembrare incredibilmente grandi! Ti ricordi quand’eravamo bambini?”

“Come potrei dimenticarmelo” rispose il ragazzo con un ghigno. “Eravamo i teppisti e i più fighi del villaggio”

“E quando siamo diventati dei ragazzi alti e pieni di ormoni…”

“…era bravo chi riusciva a tenerci in casa la sera” concluse Gabriel con un gran sorriso.

“Denali era uguale ad adesso fisicamente: sempre super affascinante, attorniato da ragazzine che gli correvano intorno e più lui le trattava male più loro si attaccavano come sanguisughe”

“Denali era l’anima perfida del gruppo, in fatto di ragazze non gli andava mai bene nessuna. Eppure ce n’erano di così carine…”

“Ah, e mi ricordo di te! Eri il biondo da favola, il principe azzurro, se Denali le cacciava tutte le ragazze tu te le…”

“Sì, sì, ok! Abbiamo capito, eh?” lo interruppe Gabriel gesticolando con le mani. “Tu piacevi perché eri il più simpatico” cambiò discorso.  

Kevin si rabbuiò. “Oh, grazie tante! Denali il cattivo da urlo, tu l’angelo dei sogni proibiti e io il simpatico? Che reputazione sarebbe questa di me?”

“Beh, eri anche figo”

Kevin gonfiò il petto e si guardò attorno come se si aspettasse di vedere tanti ammiratori battergli le mani. “Oh, così sì che si ragiona!”

“Peccato che ora siamo tutti incastrati, mi pare”  

“Non farmici pensare. Se solo me l’avessero detto anni fa non ci avrei mai creduto! Io, te e Denali, il fantastico trio, condannati servire delle ragazze”

“Va tutto bene quindi con Delia”

“Sì, ma ora anche lei vuole degli anelli e pretende che sia io ad andarglieli a prendere” Gabriel sorrise e lo guardò come a dire: “Beh, che c’è di male?”. Kevin continuò mogiamente: “Gabriel, tu puoi andare da Ares, tu puoi superare le prove che ti darà il dio del fuoco, ma se vado io da solo mi ammazzo! Delia vorrebbe sposarsi quindi le ho fatto credere che andrò da Ares prima o poi”

Gabriel rise. Kevin era un tipo veramente strano, pur di fare felice qualcuno che amava si autoflagellava.

“Ma tanto so già come finirà”

“Come finirà?” domandò Gabriel.

“Non ci sposeremo, vivremo insieme per sempre e faremo dei bambini. Aiuterò suo padre con la locanda e lei farà la casalinga e la madre indaffarata”  

“Mi sembra una bella cosa”

“A me va più che bene! Quando parti per andare da Ares?”

“Domani pensavo, starò via per un po’. Le prove che dovrò superare per meritare il sacro vincolo magico del matrimonio saranno lunghe, molte e difficili. Ma ne vale la pena”

“Chi altri lo sa?”

“Non saprei, Rose mi ha fatto una torta oggi e temo che per il pomeriggio lo saprà tutto il villaggio”

“Sicuramente”

“Come sempre”

“Andavi a caccia?” chiese Kevin alludendo alla scorta di armi che Gabriel si stava portando appresso.

“Sì, tanto per fare qualcosa” sbottò con noncuranza, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Infatti Kevin lo fissò basito. “Sì, cacciare bestie minacciose e mostri sanguinari è una cosa che faccio spesso quando non so come ingannare il tempo”

“È questione di allenamento” disse il ragazzo sistemandosi meglio l’arco sulla schiena. “Ginnastica, lezioni di combattimento e tiro con l’arco. Una cosa da niente”

“Diciamo che per noi umani è più consono bere una tazza di thè con gli amici quando non sappiamo che fare”

“Voi umani” borbottò Gabriel e Kevin lo vide incupirsi.

“Che c’è?” domandò l’amico.

Gabriel lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure. “Cerco sempre di non pensarci e il più delle volte mi riesce bene ma questa situazione…” sospirò frustrato. “…mi sta facendo impazzire”

“Quale situazione?”

Gabriel lo fissò come se fosse imbecille e per poco la mascella non gli cadeva a terra.

Come faceva a non capire?

“Kevin, non sono né un umano né un angelo. Stare a metà strada tra due mondi completamente diversi mi causa una profonda crisi di identità”

“Oh, giusto” mormorò annuendo con la testa.

“Non sono un angelo bianco perché non ho le ali ma non sono neppure un umano perché ho i poteri di un angelo. Che cosa sono? Un ibrido? Un mezzosangue?”

“Gabriel, io sono convinto che ritornerai ad essere un angelo bianco. Devi solo aspettare che quelli…” e indicò il cielo. “…ti diano le ali. E comunque non lamentarti, vedi il lato positivo delle cose”

“Non c’è!” intonò Gabriel con frustrazione.

“Oh” mormorò, colpito in pieno. “Beh, chi ammazzi oggi?”

Ci volle un po’ prima che Gabriel capisse che si riferiva alla caccia. “Oh, pensavo un centauro”

Kevin gli diede un colpetto sulla spalla. “Conigli, cervi o cinghiali no, eh?”

“Così mi togli il gusto del pericolo”

“Ho sempre sospettato che fossi strano”

“E mi sto anche per sposare!”

“Anche questo è da mettere sulla lista delle tue cazzate”

Risero tutti e due mentre pian piano si incamminavano verso il bosco.

Gabriel si voltò verso l’amico, un po’ sorpreso. “Vuoi venire con me?”

Kevin fissava il sentiero per terra e gli angoli della sua bocca si tirarono in un sorriso. “Perché no? Non è da tutti i giorni vedere un centauro, magari è anche femmina”

Gabriel si schiaffeggiò la faccia. “Oh, signore…”



***



Rebecca atterrò in una radura. Nella caduta s’inginocchiò a terra, ebbe il tempo di passare un dito sui ciuffi d’erba e poi si alzò nella sua bella figura che, diciamolo, incuteva timore. Poco distante si trovava un villaggio che sulla cartina era segnato con il nome di Erden.  Non a caso si era fermata in quel posto nascosto e dimenticato da Dio. Non a caso aveva interrotto la sua marcia. Mentre era in volo, in alto nel cielo, al di sopra delle nuvole, aveva sentito un pensiero in particolare e ne era rimasta colpita. Era così facile percepire i pensieri di una mente umana, soprattutto se questo umano era impaurito, spaventato. I suoi pensieri erano un’ondata inarrestabile di preghiere, ricordi e speranze. E lei sentiva quelle preghiere come se fossero sue.

Sentiva anche le voci, i singhiozzi, il respiro mozzato in gola, le minacce.

Si avvicinò silenziosamente all’unico spiazzo d’erba presente, rimanendo comunque nascosta dietro un albero dal grande tronco. Davanti a lei c’erano quattro ragazzi che potevano avere dai venti ai venticinque anni, si muovevano tranquillamente a loro agio e con strafottenza, in mano tenevano ciascuno dei bastoni. C’era un’altra persona con loro, un ragazzetto che a Rebecca parve molto più piccolo rispetto agli altri. Il ragazzino era legato ad un albero, la sua faccia era ricoperta di lividi e i lembi della maglia erano strappati. Lesse in quegli occhi spalancati tutta la sua paura e il suo dolore.

Non era forse compito suo aiutare i meno fortunati? Le persone bisognose e in pericolo di vita?

Ecco perché, non appena vide uno dei ragazzi alzare in alto il bastone pronto per colpire, si fece avanti.

“Fermo” disse.

L’eco della sua voce risuonò nelle teste dei ragazzi come uno squillo d’allarme e di avvertimento. E infatti il ragazzone si fermò, il braccio a mezz’aria, i muscoli tesi. Tutti si voltarono verso di lei. Le facce dei quattro ragazzi, dapprima spaventate, emisero un sorriso di sollievo. Il ragazzo che Rebecca aveva fermato, e che lei stessa giudicava essere il capo del gruppo, abbassò lentamente il bastone all’altezza dei fianchi ma non lo gettò a terra.

Il ragazzino legato all’albero aveva gli occhi sbarrati, pieni zuppi di lacrime. Rebecca lo sentì trattenere il respiro, la sua espressione sprizzava speranza, forse non era ancora troppo tardi per essere salvato. Peccato che gli altri non la ritenevano un pericolo. I tre ragazzi indietreggiarono e accerchiarono il ragazzino attorno al tronco, quasi volessero fare da barriera tra lei e la loro vittima. Soltanto il capo avanzava verso di lei, per nulla spaventato. Faceva oscillare il bastone avanti e indietro e non smetteva di fissarla negli occhi. Ghignava con arroganza.

Si fermò a pochi passi da lei. La squadrò come si squadra un dolce zuccherino e fece un fischio. “E tu da dove salti fuori?”

Rebecca lo guardò con tutta la freddezza di cui era capace. “Lasciatelo andare” spostò i suoi occhi sul ragazzino tremante.

Il ragazzone scoppiò a ridere. “Non ci penso proprio. Senti ragazzina, vattene e non ti faremo niente”

“Che ha fatto?” volle sapere.

“I mocciosi del nostro villaggio devono sapere chi comanda, devono sapere che non si risponde male ad uno di noi” e con uno sguardo di fuoco si girò a guardarlo. “Sono dei ladruncoli, feccia che ci ruba il pane e che si ribella ai nostri ordini. Noi facciamo le regole, loro le seguono e se non le seguono…” lasciò la frase in sospeso. “Ci penseranno su due volte prima di offenderci”

“Non mi sembra un buon pretesto per picchiarlo. Tu piuttosto, chi ti credi di essere?”

Il ragazzo aprì la bocca e poi la richiuse, non credeva alle proprie orecchie. I ragazzi dietro di lui si pietrificarono sul posto. Il capo non sapeva neppure se ridere o mettersi ad urlare.

“Cos’hai detto?” balbettò.

“Ti ho chiesto chi sei. Non sei un re, non sei un ricco potente né un comandante e neppure un soldato semplice. Perché fai leggi se non ne hai il diritto?” sorrise. “E neppure il potere, a me sembra”  

“Ora sto veramente perdendo la pazienza” la minacciò puntandole un dito contro.

“Non è affar mio” rispose Rebecca tranquillamente. Non si era spostata neanche di un centimetro dal suo posto. Fece un cenno con la testa verso il ragazzino. “Lui è affar mio”

“Lui è affar nostro” abbaiò il ragazzo sputando.

“Così mi obblighi a farvi del male” disse Rebecca scuotendo la testa.

Senza che nessuno se ne accorgesse posò una mano sull’elsa della spada che teneva dietro la schiena.

Al ragazzo non era scappato il plurale di quella minaccia. Sputò per terra e rise. “E che ci faresti? Siamo quattro contro uno” sorrise scuotendo la testa. “Sei solo una ragazza. Semmai, cosa noi possiamo fare a te” e si voltò ridendo apertamente verso i suoi compagni che annuirono. “Ci staresti bene anche tu là, attaccata a quel palo, ma a quel punto subiresti un altro tipo di tortura”

Tutti risero apparte Rebecca e il ragazzino.

“Non credo che ce la faresti” disse lei.

Il suo tono di voce lo paralizzò. Non era la voce di una giovane ragazza, semmai di una giovane guerriera. Il ragazzo temette per un istante che sotto quel bell’aspetto e quel suo fragile corpo si nascondesse dell’altro. E poi, quegli occhi…erano diventati improvvisamente così gelidi…

Ma non per questo si lasciò intimidire.

“Vuoi vedere?” la provocò e la presa sul bastone si fece più salda.

Rebecca si guardò attorno, una smorfia divertita in volto. Quando puntò i suoi occhi sul capo egli ebbe un attimo di cedimento. Non gli piaceva per niente quello sguardo, era paragonabile ad un mostro, una di quelle creature che uccidono a sangue freddo.

“Tu non sai chi sono” non era una domanda.

Il ragazzone per un momento ebbe paura. “Chi sei?”

Rebecca emise un ringhio soffocato. “Sono la predatrice più pericolosa che ci sia al mondo”

Mentre la stava osservando uno dei suoi compagni lo chiamò. “Sebastian, muoviti! Non abbiamo tutto il giorno da perdere! Mandala via e finiamola con questa storia”

“Sebastian ti chiami?” domandò la ragazza con un sorriso divertito. “Un nome da vero sovrano” lo prese in giro.

A quel punto il ragazzo divenne bordeaux. “Ora sono stufo, hai veramente superato il limite” alzò il braccio con cui reggeva il bastione, pronto a colpirla con tutta la forza di cui era capace.

Sebbene il suo movimento fu veloce quello di Rebecca lo fu ancor di più. Sguainò la spada e con un unico colpo spezzò in due il bastone di Sebastian che cadde a terra con un tonfo sordo. Appena il ragazzo si rese conto di quello che era successo non ebbe il tempo di riprendersi che Rebecca gli puntò la spada alla gola. Lo tenne fermo e premette la lama contro la sua pelle.

Il resto del gruppo avanzò in un boato di imprecazioni. Rebecca gli paralizzò e gli tramutò in delle statue.

“Chi sei?” boccheggiò il capo con il labbro tremante.

La guardava con i suoi occhi sconvolti, come se non potesse credere a quello che gli stava succedendo o a chi avesse davanti.

Rebecca digrignò i denti e girò il polso facendo ruotare la punta della spada sul suo collo. “Sono l’unico angelo rimasto, io combatto tutti i giorni per salvarvi” sibilò. “E voi non fate niente per facilitarmi questo compito”

A quelle parole Sebastian sbiancò. Rebecca rimise via la spada. Ruotò con il corpo su sé stessa e lo colpì in pieno petto con un calcio. Il ragazzo volò, sbattuto indietro dalla potenza di quel colpo, e atterrò lontano. Si rialzò tremante e con il respiro affannoso. La paura gli era stampata in faccia. Ora non era più provocante, rabbrividiva come un verme. Fece segno ai suoi compagni di scappare ma loro non si potevano muovere.

Rebecca schioccò le dita e i suoi amici ripresero a muoversi. Scapparono tutti e quattro a gambe levate. Non si voltarono indietro neppure una volta. Rebecca camminò verso l’albero e strappò con le mani la corda che legava il ragazzino. Lui si inginocchiò a terra e pianse.

“G-Grazie” sussurrò tra le lacrime.

Rebecca si accucciò per guardarlo negli occhi. Gli prese il mento tra le dita e glielo alzò. Il ragazzino rimase sconvolto da tanta bellezza. Rebecca sospirò nel vedere i suoi lividi. Posò una mano, delicatamente, sulla fronte e quando la tolse i lividi se n’erano andati.

“Grazie” questa volta la voce era più ferma.

Lei lo fissò. “Tu ringrazi troppo” gli accarezzò una guancia. “Torna a casa”

Veloce il ragazzino se ne andò, si girò un’ultima volta per salutarla.



***



Rebecca arrivò al villaggio di Primo dopo soli tre giorni di viaggio. Volare l’aveva aiutata ad arrivare prima: niente deviazioni, né pause e non aveva sbagliato strada neppure una volta.

Decise di non atterrare nel villaggio, non voleva dare nell’occhio. Atterrò in un piccolo boschetto e camminò a piedi fino all’entrata. Il villaggio era come se l’era immaginato. Primo era il più vecchio e antico villaggio esistente a Chenzo, era un centro importante, un punto di sviluppo, di storia e di cultura. Era completamente recintato da mura di pietra e si poteva entrare solo tramite un enorme e imponente portone. Si sentiva da fuori il gran trambusto e il gran chiacchiericcio tipico delle città caotiche. Bussò tre volte al portone e restò in attesa, poco dopo comparvero due guardie armate.

“Salve” salutò Rebecca sfoderando un sorriso smagliante.

“Chi sei?” chiese uno di loro squadrandola con sospetto.

“Sono venuta in missione top secret. Devo vedere Salazar”

“Sei l’angelo?”

A quanto pareva a Primo la sua missione non era poi così tanto “top secret”. Se le guardie erano a conoscenza di un segreto allora potevi stare ben certo che lo sapeva l’intero villaggio quel segreto.

“Sì” confermò la ragazza lentamente. “Sono Rebecca, mi manda Bastian, il mio capo-villaggio”

“Entra pure, verrai accolta da lui” indicò un uomo dietro una colonna, era avvolto nel suo mantello con la testa china e coperta dal cappuccio. “Ti aspettava, ti porterà da Salazar”

“Ok, grazie”

Le guardie annuirono e si fecero da parte. La guardavano con una strana devozione negli occhi, quasi timorose di avvicinarsi troppo. Quando Rebecca passò accanto ai due uomini sorrise ad entrambi e questi ricambiarono con un sorriso ebete. Non era da tutti i giorni vedere una tale bellezza, tutto di lei attraeva: il suo fascino misterioso ed enigmatico, i suoi movimenti così agili e felini, la sua eleganza, la sua storia.

La prima impressione che Rebecca dava era quella di una donna potente e forte. E chiunque impazziva per un po’ di potere. E lei ne era piena.

Rebecca si avvicinò all’uomo che l’aspettava in disparte, questi alzò la testa e lei vide il volto di un vecchio.

“Ciao, Rebecca”

“Mi stavi aspettando” non lo salutò nemmeno.

“Sì, io ti stavo aspettando”

“Come facevi a saperlo?” c’era una nota di stizza nella sua voce.

“Salazar ti ha vista arrivare”

Rebecca si sentì a disagio. La inquietava il fatto che quel mago controllasse e sapesse tutte le sue mosse. Non osò immaginare cos’altro potesse conoscere di lei.

“Mi puoi portare da lui?”

“Certo, certo” si affrettò a dire il vecchio.

Camminarono fianco a fianco lungo le vie del villaggio. Primo era un paese antico, le case e tutti gli edifici erano costruiti in pietra. Sembrava a quelle vecchie città italiane della Toscana ricoperte di negozietti grossolani con bancherelle e stradine di sasso. Pareva di essere tornati al Medioevo, era tutto così…antiquato. Rebecca era riuscita a sopportare il distacco dalle grandi città, dalla tecnologia e dai mezzi di comunicazione ma quello era veramente troppo. Era peggio che stare nel set di un film parigino ambientato negli anni ‘80.

“Conosci bene Salazar?” domandò la ragazza al vecchio.

“Oh sì, sono il suo fidato aiutante”

Rebecca sorrise. “Buffo, pensavo che un uomo leggendario come lui potesse vivere da solo senza il bisogno di un apprendista”

Il vecchio parve prendersela perché bofonchiò. “Non sono un’apprendista”

“Come vuole”

“Dammi del tu”

“Come vuoi”

L’uomo ridacchiò. “Tu, invece, vivi benissimo da sola?”

“Non vivo da sola ma so badare a me stessa. Di certo il mio compagno non mi rimbocca le coperte”

Il vecchio fece una smorfia. “Certo hai un bel caratterino”

“Ci si può convivere”

“Da quanto tempo lavori per noi?” volle sapere.

Rebecca inarcò un sopraciglio. “Un paio d’anni, se non erro”

“Mi sorprende che tu non sia ancora diventata un angelo bianco. Sei ancora un’apprendista” c’era una nota vendicativa nella sua voce, forse si stava rifacendo dei commenti poco carini che Rebecca gli aveva fatto.

“Almeno non pulisco il culo di un vecchio” disse con una cattiveria che mai aveva usato in vita sua. I suoi occhi si tinsero per un secondo di rosso, ardevano di rabbia come due fiamme infuocate, poi ritornarono castani e lei spalancò la bocca, sconvolta.

Gli occhi erano spalancati. Emise un gridolino strozzato e si portò una mano sulla bocca per paura che le scappasse un’altra parola scortese.

“Scusa! Non volevo dirlo!” esclamò, rossa per la vergogna e l’imbarazzo. “Non so come mi sia potuta scappare una cosa del genere! Non lo penso davvero!”

Il vecchio, un po’ accigliato, scosse la testa e rise. “Tu sei davvero strana, ragazza” prese a camminare.

Rebecca gli corse di fianco in preda allo schok. “Davvero, non l’ho fatto apposta! Mi dispiace!” congiunse addirittura le mani, come se stesse pregando o supplicando il suo perdono.

“Lo pensavi?”

“No!” urlò con una nota isterica nella voce.

“Bene, allora facciamo finta che non sia successo niente” ma lui non poteva dimenticare lo sguardo di lei tramutarsi per un attimo in quello di un diavolo.

Rebecca tirò un sospiro di sollievo. “Grazie, non so proprio…”

“Ho detto che va bene” disse il vecchio.

“Come ti chiami?”

Fece spallucce. “Che importanza ha un nome? Non diamoci pensieri. Tu, piuttosto, ti capita spesso di fare come prima?”

Rebecca lo fulminò. “Avevi detto di metterci una pietra sopra o sbaglio?”

Il vecchio dovette mordersi l’interno della guancia per non parlare, moriva di curiosità. “Sì, hai ragione” chinò la testa in segno di profonde scuse.  

“Questo posto non mi piace” disse Rebecca, massaggiandosi le braccia quasi a volersi riscaldare da un freddo che la intorpidiva.

“Ti senti a disagio?”

Rebecca si risparmiò dal dirgli che ultimamente in nessun luogo si sentiva a proprio agio. “Qualche volta succede”

“Non è la prima missione che fai, vero?”

Il vecchio svoltò all’improvviso in un vicolo a sinistra e Rebecca girò all’ultimo secondo. Ripresero a camminare, un po’ più vicini di prima. Il vicoletto si trovava tra due alte mura di pietra.

“No, certo che no”

“Allora dovresti smetterla di agitarti. Vedrai che Salazar non è poi così male”

“Non è certo il suo carattere che mi preoccupa”

È altro. È la paura che qualcuno possa leggermi dentro. È il terrore che qualcuno veda la mia anima corrotta.

“Lo vedremo, come vedremo subito se gli piaci” ridacchiò fra sé e sé.

Tossì rumorosamente e indicò a Rebecca una vecchia casa in sassi davanti a loro, infondo al vicolo. Un gatto nero tagliò loro la strada.

“Non è un buon segno se un gatto nero ti attraversa la strada da sinistra” disse Rebecca.

Il vecchio si accigliò. “E questo chi lo dice?”

Rebecca rise per quella stupida credenza terrena. “È una nostra leggenda metropolitana”

“Nostra?”

“Della Terra, dei terrestri” precisò con una non voluta punta di nostalgia.

Era da tanto che aveva smesso di pensare ai suoi genitori adottivi. Agli amici e alle belle persone che aveva perso trasferendosi su un altro pianeta. Chissà se sua madre, Marta, era riuscita finalmente ad ottenere una promozione e se suo padre, Jonathan, aveva finalmente ritrovato la pace in famiglia che da tempo cercava.

Doveva essere così bella Phoenix in quel periodo dell’anno…

“Siamo arrivati”

Il vecchio tirò fuori dalla tasca della sua giacca un mazzo di chiavi vecchie e arrugginite e con un rumore ferroso girò la chiave nella serratura. La porta si aprì, cigolando. Rebecca rimase sulla soglia d’entrata finchè l’uomo non le fece cenno di entrare.

“Vieni, accomodati”

Accomodati? Non sono mica un ospite venuto a bere il caffè. Sono un missione, pensò con scocciatura.  

Aveva voglia di tornare a casa. Si sentiva così distante dal villaggio di Chenzo, da Gabriel, dalla sua casa. Le sembrava di essere in viaggio da un’eternità, e l’infinità è un tempo dannatamente lungo.

“Dov’è?” domandò la ragazza con una certa urgenza.

“Vado a chiamarlo” rispose lui.

Con i passi strascicati di un povero vecchio s’incamminò zoppicando verso una porta. Non fece in tempo ad afferrare la maniglia d’ottone che questa ruotò su sé stessa e si aprì.

Salazar era alto, vecchio, con una corporatura slanciata, la barba bianca che gli arrivava fin sotto il mento e capelli bianchi un po’ lunghi, scompigliati e incolti. Quello che più colpì la ragazza fu il suo sguardo. Il grigio intenso dei suoi occhi emanava una tale saggezza, un tale potere, una tale magia che chiunque ne sarebbe rimasto ammaliato. Tutto di lui era perfetto, la sua perfezione era saggia, tranquilla, pacifica, pura. Ma non rideva, il suo volto era serio e austero. Non doveva essere molto simpatico.

Ma, dopotutto, da quando un uomo saggio e combattivo era anche simpatico?

Mai.

“Ti ho vista partire, ti ho vista arrivare e ti ho vista sulla soglia della mia porta”

“Sono qui per te, come protezione”

Salazar spostò lo sguardo e fissò un punto lontano, sembrava incantato. “Sei arrivata”

“O mi sono appena fermata”

Lo stregone inarcò le sopracciglia.

“Spero non ci metteremo molto a partire, dobbiamo essere al mio villaggio il prima possibile. Ovviamente questo esclude possibili giri turistici per il paese, il che mi spezza il cuore” secca, concisa e diretta.

A Salazar piacque questa sua intraprendenza.

“Dobbiamo partire subito?” chiese, aprendo le braccia con fare teatrale. Non nascose di certo un sorrisino sghembo.

“Appena possibile” ripetè Rebecca.

“Come faremo a viaggiare?”

A quel punto il suo assistente, il vecchio che attendeva in disparte, la guardò con due occhi penetranti e ansiosi. Forse non si fidava di lei.

Dopotutto chi si fidava completamente di lei?

Gabriel.

Solo Gabriel.

E infatti è l’unico ad essere cieco, pensò.

“Teletrasporto”

Salazar la guardò ammirato. “Ne sei capace?” il suo tono era canzonatorio, probabilmente la stava prendendo in giro, si faceva beffe di lei.

“Come potrei non esserlo?” si divertiva a ribattere alle sue provocazioni.

Salazar forse non lo sapeva ma aveva inaspettatamente trovato in lei un osso duro. “A quanto pare ti ho sottovalutata”

Rebecca alzò fiera il mento. “Spesso lo fanno in molti. L’importante è riconoscerlo alla fine”

“Alla fine…” mormorò sottovoce Salazar abbassando gli occhi.

“Alla fine” ripetè lei calcando quelle parole che avevano assunto un inquietante significato.

“Come dico sempre io: le persone o sono cieche o sono stupide”

“Stupide?” gli domandò con un cipiglio interrogativo.

“Che non ci arrivano” concluse in risposta.

Rebecca indietreggiò senza rendersene conto.

Ma perché la metteva così tanto in soggezione quel vecchio?

Quegli occhi non smettevano un secondo di fissarla e per quanto le sue barriere cercavano di proteggerla lui premeva per entrare. E non doveva permettergli di entrare, avrebbe visto troppe cose, capito troppe bugie. La maschera doveva rimanere attaccata al volto.

“Questa è buona, devo dire che sono d’accordo con te, Salazar” disse la ragazza. “Andiamo?”

“Devo prendere le mie cose”

“Allora fallo e poi raggiungimi fuori”

Con un giro di tacchi si avviò verso la porta. Voltò la testa per salutare il vecchio assistente e questo mostrò un sorriso vacillante. La sua figura in nero sparì oltre la soglia.

Rebecca si appoggiò pigramente contro il muro della casa e dopo dieci secondi uscì Salazar, non aveva niente tranne un bel pastone da passeggio.

“Non ti porti via niente?” gli chiese lei.

“Cosa vuoi che me ne faccia degli effetti personali, quelle sono cose per umani”

“Pensavo ti portassi via qualche calderone, qualche provetta o erba magica”

“Scoprirai ben presto che i miei poteri non sono decisamente legati ad oggetto materiale”

“Ah no?”

“No” si portò un dito alla tempia e la trafisse con lo sguardo. “Sono tutti qui dentro”

Rebecca rise e si staccò dal muro. Lo precedette e cominciò a camminare a passo spedito.

“Non dovevamo usare il teletrasporto?” le chiese il vecchio.

“Fuori dalla città. Ci sono troppi occhi indiscreti”

Sopra di loro, da dietro le finestre chiuse delle case del vicolo, delle persone spiavano attraverso il vetro. La notizia dell’arrivo dell’angelo doveva essere arrivata a tutti e tutti erano curiosi di vederla.

Salazar sorrise. Rebecca si girò verso di lui.

“Perché ridi? È vero”

“Dev’essere molto divertente avere tutto sottocontrollo”

“Ti riferisci…?”

“Mi riferisco al fatto che riesci a sentire una persona respirare anche attraverso i muri e a distanza di chilometri. Tutte le mosse, gli spostamenti, le occhiate o le parole che si scambiano sottovoce…tu riesci a sentire e vedere tutto”       

“Leggo anche nel pensiero” ci tenne a precisare lei.

“Lo stai facendo anche adesso?”

“Posso decidere chi, quando e dove voglio io. Ma lo faccio solo raramente, ho rispetto per i pensieri altrui e quindi no, non lo sto facendo ora con te”

“Questo mi solleva”

“E tu? Lo sai fare?”

“Sì, ma ci impiegherei sicuramente molto più di te. Diversamente da te, che sei una creatura fatta di magia, io ho dovuto conquistarmela. Noi nasciamo umani e abbiamo la possibilità di diventare magici studiando moltissimo. In pochi ce la fanno, la magia è molto pericolosa” la guardò e lei sentì il cuore accelerare nel petto.  

“La magia è pericolosa se non la sai usare” gli disse.

“Tu sai usarla?”

La stava provocando ancora?

“Sono quasi giunta alla perfezione” rispose con distacco. “Non mi manca molto per completare il mio addestramento”

“Uhm, ma dimmi, cosa aspiri a diventare?”

Rebecca ci pensò un attimo, osservò la strada dritta di fronte a sé, i suoi piedi che camminavano sul terreno sassoso. I raggi del sole al tramonto la abbagliarono e distolse lo sguardo.

Qualcosa dentro di lei si mosse.

Quando guardò Salazar non aveva dubbi.

“Voglio essere come la paura”



***



Salve, salve e salve...mi stra-scuso per il ritardo
ma, non tutti sapranno, sono sotto esami di maturità e quindi il tempo scarseggia per fare dell'altro
che non sia studio...
uff, mamma mia...
ma alla fine ce l'ho fatta comunque dopo mesi ho finito anche questo capitolo!!!
spero solo di non metterci troppo anche con il prossimo ma prometto che sarò il più veloce possibile!!
ehm, recensite, eh...
so thank you

Il prossimo capitolo: "LONTANA DAL PARADISO"

Non ho tempo per i ringraziamenti e quindi ringrazio generalmente
tutti quelli che mi seguono
e che
recensiscono ----> un grazie veramente speciale...

___fEDE___

  
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