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Autore: Longriffiths    29/09/2017    3 recensioni
Si sentiva diversa da tutti i suoi coetanei, e non solo per il non proprio piccolo dettaglio scuro e peloso lungo sessanta centimetri che portava avvolto intorno alla vita e sotto la gonna ogni giorno, per nascondere il fatto di essere la discendente di una razza aliena scomparsa tempo addietro con il suo pianeta natale di cui lei sentiva dentro una grave mancanza pur non avendolo mai visto, e non solo a causa del titolo che avrebbe portato se fossero ancora esistiti.
Genere: Angst, Avventura, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bra, Pan, Un po' tutti | Coppie: Bra/Goten, Bulma/Vegeta, Chichi/Goku, Gohan/Videl , Pan/Trunks
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La mancanza d’aria le stringeva il petto opprimendola come un macigno, sentiva la gola contrarsi nella voglia e nel bisogno di inspirare per sopravvivere, ma sapeva che se l’avesse fatto sarebbe morta ancor prima di raggiungere il fondo di quel lago fangoso e macabro che la stava letteralmente ingoiando. I sensi iniziarono a vacillare e i pensieri divennero sconnessi, sentiva la testa vorticare come le prime volte in cui aveva iniziato a volare, e per quanto fosse capace di ascoltare quel briciolo di lucidità mentale che si sforzava a mantenere, la rabbia pervase ogni centimetro del suo corpo al pensiero di dover subire una morte tanto stupida. Avrebbe preferito essere uccisa da uno di quegli uomini combattendo piuttosto che perdere la vita deglutita da una sostanza viscida per colpa di una piccola distrazione durata l’attimo che era bastato a farla scivolare giù. Era davvero una morte indegna per un Saiyan, e prima di crollare per il senso di pazzia che la portò a scalciare e dimenarsi come un’ossessa, volse le sue scuse alla famiglia sperando che mai venissero a sapere di quella sua bravata, sperando che Jaco stesse bene e non venisse incolpato o peggio. Quando fu al limite di ogni sua capacità di apnea e concentrazione, chiuse gli occhi avvertendo gli arti molli e formicolanti, e milioni di puntini bianchi sfrecciarono davanti ai suoi occhi serrati. Adesso, abbandonandosi al proprio destino sperava che il caldo abbraccio del Signore dell’Oltretomba venisse a prenderla presto risparmiandole altra dolorosa agonia, nonostante avesse lottato fino all’ultimo con tutte le sue forze per nuotare e raggiungere la superficie. Proprio quando le forbici delle streghe predilette del Dio sfiorarono con la punta affilata il filo della vita della ragazza, questa si sentì afferrare un polso da una morsa stretta e decisa, e dei suoni iniziarono a farsi strada nei suoi canali uditivi. Fu un arpione per lei, una presa ferrea per tornare alla realtà e decidere che non sarebbe stato quello il luogo né il momento in cui togliersi dai piedi di tutti. Una forza portentosa tese il corpo della turchina verso l’alto fino a riportarla nel mondo dei vivi sottraendola al vortice del non-ritorno, facendole provare indosso il calore di quell’ambiente putrido e lercio che in quel momento le cagionò la più bella delle sensazioni, e quando i polmoni si riempirono di quell’aria fetida e sporca, Bra sentì il petto e la gola infuocarsi e pungere come se nelle vene le stesse scorrendo lava incandescente, e gli spasmi muscolari involontari la invasero facendola tossire fino a lacrimare. Voci ovattate occuparono l'area circostante, ed una mano aperta gentilmente le picchiava colpi tra le scapole nel tentativo di facilitare la ripresa. Quando il respiro accennò a tornare stabile, la ragazza abbandonò la posizione in cui era -in ginocchio, piegata in avanti col busto- per accomodarsi a gambe incrociate alzando per la prima volta da quando era stata aiutata gli occhi su colui che ora le porgeva una borraccia tonda colma d’acqua fresca, e ne rimase immediatamente affascinata maledicendosi mentalmente per l’aspetto che avesse in quel momento. Un ragazzo alto dalla conformazione corporea umana se non fosse per l’assenza del dito mignolo in entrambe le mani e le sopracciglia prive di arnesi cutanei, disegnate con un rigonfiamento della sua stessa pelle liscia e dura come l’acciaio che presentava una carnagione color bronzo a tingerla, ed il volto dai tratti marcati rovinato da piccole cicatrici situate in vari punti di esso, e ad incorniciare quella meraviglia marmorea c’erano riccioli ribelli neri come l’oscurità da cui l’aveva salvata. I suoi occhi erano fini e brillanti della stessa tonalità del sole al tramonto, il naso perfettamente dritto e la delineata bocca rossa come quella di un vampiro munita di quattro arcate dentali, e di quelle creature fantastiche egli possedeva anche il mistero. Sul braccio sinistro s’intravedeva un logo, un marchio inciso quasi sicuramente a fuoco a giudicare dall’aspetto che lo sfregio mostrava. Bra restò alcuni minuti a fissarlo incantata, in parte per l’incomprensibilità delle sue frasi in una lingua a lei sconosciuta essendosi accorta di aver smarrito il proprio auricolare in quella melma vivente, e un po’ anche per l’incanto dei suoi modi di porsi mascolini e rudi. Accettò con un cenno del capo l’acqua bevendone tutta d’un fiato, facendogli segno di non riuscire a capire ciò che da una decina di minuti stava cercando di esporle. Il ragazzo sorrise alzando una mano a simboleggiare una richiesta di attesa, ed estraete dalla cintura in vita lo stesso identico aggeggio dei suoi aggressori, ed osservando il palmo aperto verso di lei pronto ad offrirle quel mezzo di comunicazione che avrebbe permesso loro di comprendersi a vicenda, ella notò che anche il suo abbigliamento era il medesimo di quegli uomini.

Buio, gelo e dolore furono tutto ciò che il Pattugliatore Galattico avvertì non appena schiuse gli occhi, tentando di tornare indietro con la mente a quando e come avesse fatto a ritrovarsi lì. La risposta apparve nitida dal momento in cui lo spazio aperto apparve nella sua visuale, e un pizzicore ai palmi delle mani scheggiati da tanti piccoli frammenti di vetro ancora incastrati al loro interno premettero forte e più a fondo nel tentativo di rialzarsi. La piattaforma di comando dinanzi il quale era seduto era completamente fuori uso impregnata da chiazze di quel che doveva essere il proprio liquido ematico ancora fresco, rotta in molti punti con i circuiti esposti all’ambiente esterno ed i filamenti pericolosamente spezzati a generare scintille; il vetro che costituiva la maggior parte della navicella ora capovolta su un fianco era ridotto in frantumi sulla piana superficie in cui erano atterrati dopo lo schianto con un meteorite subito a seguito del devastante colpo della turchina, ed il fumo nero proveniente dallo sportello ammaccato in cui era situato il motore del veicolo invadeva le narici ed appestava l’aria circostante rendeva quasi impossibile l’inalazione, e quando il quadro della situazione fu chiaro l’alieno volse lo sguardo al cielo ringraziando i cari che vegliavano sulla sua persona per avergli dato modo di sopravvivere all’impatto che dato l’impossibile riutilizzo del mezzo intergalattico per lo stato in cui era ridotto, doveva per forza essere ancora in vita a causa di un miracolo o di una forza superiore. Liberatosi dalla cintura di sicurezza che ancora lo teneva ancorato al sedile, strisciò fuori dalla postazione trascinandosi in terra con gli arti superiori incapace di muovere le gambe incuneate in un pezzo di metallo staccatosi dal proprio mezzo che gli aveva probabilmente fratturato qualche osso. Col passo del ghepardo, si avvicinò al compagno inerme poco distante da lui misurandogli il battito con due dita adagiate sulla vena del collo esercitando una leggera pressione. Quando i flebili e costanti colpi del sangue di quella creatura sotto i polpastrelli dell’uomo annunciarono solo un piccolo stato di incoscienza, Jaco poté tirare un sospiro di sollievo. L’unico modo di tornare indietro era avvertire qualche collega sperando che la ricetrasmittente potesse essere ancora funzionante quel minimo che bastava a chiedere aiuto. Con piccoli movimenti l’alieno portò una mano all’orecchio staccando l’oggetto che gli avrebbe permesso di salvarsi, componendo un numero nella speranza di udire un bip. Tutti i suoi pensieri si focalizzarono su una sola persona: sua nipote. Mille emozioni avvolsero il cuore e la mente dell'uomo, la paura per lo stato in cui l’aveva lasciata, la rabbia contro se stesso per non essere riuscito a spezzare il controllo che il mostro aveva su di lei ed il tarlo nel cervello che tormentava l’animo dell’alieno riguardo all'attuale insaputa della posizione ed integrità della turchina, il terrore più profondo nel vedersi costretto in quella situazione ad avvertire la famiglia della giovane. In tutta la sua vita e carriera niente lo aveva mai demoralizzato così tanto come quella devastante presa di coscienza che gli trasmetteva la forte sensazione di avere le mani legate e le ore contate. Il senso di colpa era ciò che premeva maggiormente. Quando la voce di un uomo risuonò nel silenzio di quel luogo dal trasmettitore, un nuovo calore generato dal potere della speranza che non lo aveva ancora abbandonato si fece spazio nel petto di Jaco, che espose verbalmente ignorando quanto la gabbia toracica dolesse maledettamente forte ogni cosa, omettendo qualche rilevante dettaglio conscio del rischio che entrambi correvano. Se la verità fosse venuta a galla, egli sarebbe stato assoggettato a sanzioni di varia natura e genere per aver sequestrato una persona alla famiglia scortandola nello spazio aperto e aver lasciato a piede libero senza supervisione alcuna né consenso di un superiore un pericoloso essere in grado di uccidere, come si era appunto verificato. Un’azione tanto sprovveduta avrebbe potuto causare il suo licenziamento per i danni irreversibili causati. La turchina per mezzo dell’innegabile discernimento sulla propria possibilità di trasformarsi e perdere il controllo di ogni sua facoltà mentale avendo volutamente scelto di preservare ciò che esteticamente l’associasse alla razza Saiyan, rischiava nella più leggera delle ipotesi la carcerazione permanente, nella peggiore l’abbattimento, e solo al pensiero un brivido elettrico e pungente attraversò ogni vertebra disperdendosi lungo ogni singolo nervo del suo corpo. Dopo ore interminabili nell’agonia dell’impotenza, una squadra spaziale recuperò i corpi moribondi dei due ormai allo stremo delle forze.

 

Madre, padre, questo non è più posto per me.

Ho completamente smarrito la mia identità. Essere figlia di due mondi è un privilegio che mai saprò esporre a parole, la fierezza che provo nell’animo dell’essere il frutto della fusione di due esseri perfetti, il Principe della stirpe più temuta e potente dell’intero Universo e la Scienziata più dotata e conosciuta del pianeta che mi ha ospitata per diciassette lunghi anni. Sento dentro me che queste personalità non potranno essere coniugate, perché ho sempre dovuto reprimere una di queste, quella a cui per giunta mi rispecchio di più, che vedo ogni qualvolta il mio riflesso appare in ogni superficie, io non la conosco. Vivo in un mondo in cui sono simile agli altri solo per metà, in cui risulterei strana e diversa se non mi mescolassi alla gente nascondendo la mia altra natura sotto i vestiti, ma questa infine si è ribellata rendendomi irascibile e inadatta, facendomi sentire come se tutti mi stessero voltando le spalle conducendomi dove posso essere libera di comprendere chi sono e chi voglio essere. Tengo a tutti coloro che sono intorno a me, ogni singolo giorno li osservo sorridere e stare bene con loro stessi avendo accettato le condizioni che la vita ha dato ai loro destini, e per quanto provi ad adattarmi la voce nella testa mi suggerisce di dovere di più. Il problema è che ognuno di voi esseri provenienti da altri luoghi al di là delle nuvole che non ho mai potuto oltrepassare, ha avuto l’opportunità di scegliere la propria strada dopo essere venuto qui. Madre, so che anche se non mi hai mai negato il desiderio di combattere avresti voluto che proseguissi i miei studi fino in fondo, che il mio nome brillasse sulle cime dei tabelloni di ogni nazione, e ti confesso che lo vorrei anch’io, ma non qui, i nostri fini sono diseguali e di questo ti chiedo scusa. I Tornei non mi bastano più, voglio un’avventura di cui io sola sono protagonista. Non mi sento di passare la vita in uno studio in riunione con un mucchio di gente continuamente esaurita e incazzata, non esiterei a sbatterli tutti fuori a calci sai, non tollero affatto gli esseri umani e i loro caratteracci, le loro convinzioni e pretese. Mi rendo conto di avervi sempre distaccati tutti mostrandomi intollerante al contatto fisico e al dialogo, ma ho sempre tentato di trasparire le emozioni nelle piccole cose quotidiane, per cui sono fermamente sicura di avervi dimostrato quanto è grande il mio affetto per voi, un affetto che nell'ultimo periodo mi stava soffocando impedendomi di raggiungere i miei obiettivi, ho bisogno di lasciare il nido per riscoprirmi e pensare lucidamente senza essere condizionata. Quando tornerò a casa, uno solo sarà il nome con il quale vi rivolgerete da quel momento in poi a me. Mi auguro capiate.

Vostra Bra, vostra Echalotte.”

 

Gli occhi di Bulma vagarono su quelle righe tremolanti sciogliendo l’inchiostro in vari punti con le amare lacrime che stava versando, osservando la foto allegata scattata molti anni addietro in un giorno d’estate in cui la propria bambina aveva sparso i vestiti da stirare lungo tutto il corridoio del secondo piano. Aveva sempre avuto il vizio di sconvolgere l’ordine, qualsiasi cosa troppo pulita per lei andava macchiata, qualsiasi cosa liscia, stropicciata, contrariamente alle sue manie di compostezza sviluppate nella crescita. In quella foto, la bambina indossava parte della Battle-Suit del padre scovata negli abiti che aveva rovinato, sorridente e tenera nei suoi cinque anni, già desiderosa di assomigliare agli uomini della famiglia, e fu allora che la donna capì il senso di quelle assurde parole. Stringendo quel foglio digrignando i denti, neanche si accorse della voce del proprio marito che un urlo involontario e arrabbiato in tono urgente uscì dalla gola della scienziata richiamando quell’uomo. Egli accorse senza farsi attendere, e quando occupò la visuale della moglie, questa gli si avvicinò stampandogli il segno delle dita della mano destra in pieno volto, avvicinando la lettera all’uomo perché la leggesse. Colto dalla sorpresa di quella sua improvvisa collera, il Saiyan afferrò quel pezzo di carta leggendone il contenuto, e le ragioni della donna iniziarono a farsi strada nella sua mente deformando il volto in una smorfia di incredulità.

È colpa tua! Non hai mai pensato che il modo in cui tratti i tuoi figli incide sulle loro scelte?》

《Non penserai davvero che sia a causa mia se è scappata!? Trunks non ha mai fatto niente del genere, lei è una testa calda.》

《Si, SI perché è tale e quale a te! Osi parlare di Trunks? Quando quel ragazzo da bambino si feriva e si teneva la faccia tra le mani gli urlavi contro di non piangere in quanto uomo, se si feriva Bra le alzavi il mento asciugandole gli occhi e dicevi di non abbassare mai il capo perché le sarebbe caduta la corona!! Trunks è abituato ai tuoi modi burberi e totalmente sbagliati da quando è nato Vegeta, tua figlia l’hai sempre coccolata! Dovevi umiliarla in quel modo?》

《Mi ha chiesto lei di allenarla come si deve.》

《Te lo giuro scimmione irresponsabile che se succede qualcosa a mia figlia ti faccio fuori con le mie mani! Esci immediatamente e non tornare fino a che non l’hai trovata!》

《Mamma, papà, Pan è qui.. perché stai piangendo?》

Senza dire altro, Bulma superò i due a grandi falcate dirigendosi al piano inferiore per scambiare due parole con la ragazza. Rispondendo alla implicita domanda del figlio, Vegeta allungò la lettera al ragazzo imprecando mentalmente contro il suo odioso modo di essere troppo rude perfino con coloro che amava portandoli inevitabilmente a farli soffrire nonostante ce la mettesse tutta per cambiare. Il suo primogenito era stato rinnegato e abbandonato, e questa era una cosa che il Principe per quanti anni furono passati da allora e nonostante tutti i membri della sua famiglia lo avessero perdonato compreso il diretto interessato, egli si vergognava al limite del possibile dandosi del bastardo ogni giorno della sua vita resa bella e degna di essere vissuta solo grazie ai tre paia di occhi azzurri che riempivano le sue giornate, ed ogni qualvolta suo figlio gli rivolgeva una parola o un sorriso. La preoccupazione lo stava logorando, si sentiva schiavo dell’impotenza e della cattiveria. Uno dei gioielli più preziosi che aveva stava percorrendo la sua stessa strada, ma per la prima volta non ne fu contento, quella parte della sua esistenza se solo avesse potuto l’avrebbe cancellata senza pensarci due volte, ed ora i fantasmi del suo passato, i tormenti e i demoni che lo assalivano da giovane avevano spinto uno degli amori della sua vita a compiere qualcosa che avrebbe potuto ucciderla, ed era colpa sua. Bulma aveva ragione, ancora una volta si era dimostrato un tremendo padre. Si ritrovò in quel momento a fare qualcosa che mai si sarebbe sognato prima d’allora; sperare. Sperò pregando con tutte le sue forze interiori di ritrovare viva e vegeta la sua dolce bambina, promettendo a un’entità di cui aveva sempre dubitato l’esistenza di prendersi maggiore cura e prestare più attenzione alla propria famiglia se i suoi voleri fossero stati ascoltati. La sorpresa e la preoccupazione del lillà erano visibili a metri di distanza, i suoi occhi si dilatarono gradualmente ogni riga di più. Esterrefatto, fece cenno al padre di seguirlo raggiungendo la scienziata. Pan era la loro unica speranza.



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Salve a tutti!!

Fortunatamente al nostro Jaco è andata bene (si fa per dire) così come a Bra, ma riusciranno a cavare le informazioni dalla bocca della Saiyan?

Voglio ringraziare tutti voi che leggete i miei capitoli e che specialmente li seguite, siete davvero speciali ragazzi! Un grazie particolare va a paige95 e felinala, ragazze vi adoro♡

Alla prossima!!♡♡

   
 
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