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Autore: DeathOver    01/10/2017    1 recensioni
FNAF fanfiction.
Renèe non è mai stata una donna come tante altre, ha sempre e comunque voluto staccarsi dalla massa, ma la sua vita cambia per sempre quando, per puro divertimento, decide di rispondere all'annuncio del Freddy Fazbear's Pizza, proponendosi come guardia notturna.
"Paura? Was für ein unsinn! Dovresti saperlo: io non ho paura di nulla..~"
|| PICCOLO PS. Ho preferito utilizzare per i personaggi i nomi dati dai fan della serie, so benissimo anche io che sono nomi non originali. Inoltre se vi aspettate una storia esclusivamente romantica non siete nel posto giusto. Grazie per l'attenzione!
Per via del regolamento del sito la storia verrà pubblicata con apposite censure nelle scene ritenute particolarmente delicate o pesanti, possibile innalzamento raiting!
I CAPITOLI SEGUONO UNA PUBBLICAZIONE MENSILE DURANTE IL PERIODO LAVORATIVO-SCOLATICO, E' POSSIBILE CHE NE VENGANO PUBBLICATI MOLTEPLICI LO STESSO MESE DURANTE IL PERIODO ESTIVO.||
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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|| UN ATTIMO DI ATTENZIONE PREGO!! Il seguente capitolo presenta scene di violenza e tematiche forti, per tanto se non gradite determinati generi di lettura vi pregherei di saltare la parte e andare oltre. Grazie dell'attenzione e buona lettura! ||

A volte tutto ciò che si desidera da una persona è vederla sparire: non ci si rende conto di quanto sia crudele ed egoistico odiare una persona finché questa non svanisce sul serio dalle nostre vite. E' una cosa assurdamente semplice sparire nel nulla: un giorno ci sei e il giorno dopo sei uscito. 

Probabilmente se Renèe avesse saputo ciò che sarebbe accaduto a Fritz Smith da lì a pochi giorni non l'avrebbe mai aggredito, insultato o evitato e avrebbe soppesato le sue emozioni personali. Ma Renèe non poteva saperlo; nessuno poteva, c'erano tutti i segni, tutte le ragioni per cui tutti immaginavano cosa sarebbe potuto capitare, ma proprio come Fritz era stato egoista, quella notte, nei confronti della collega, i suoi colleghi erano stati egoisti nei suoi.

L'egoismo rientra nella condizione umana, l'uomo lo è per natura e le persone vivono per l'egoismo: noi tutti siamo egoisti. Ma se qualcuno, in quei giorni, si fosse dimostrato un po' meno umano forse tutto questo si sarebbe potuto evitare. 

Tuttavia, purtroppo, questa è la vita: un giorno ce l'hai, il giorno dopo la perdi. Peccato che se ne abbia una sola. 

Erano le dieci del mattino quando il telefono squillò, spezzando il sacro silenzio che regnava nell'appartamento della donna: un suono tremendamente fastidioso che non poteva portare altro che notizie altrettanto fastidiose. 

-Hallo?- Rainy sollevò la cornetta e rispose con tono sornione. Si tolse gli occhiali dalle sottili lenti trasparenti e poggiò la schiena al muro dietrostante, rigirandosi il filo della cornetta tra le lunghe dita affusolate della mano destra: era sabato, un giorno libero, e di certo non si sarebbe aspettata chiamate da nessuno; avvolta nell'accappatoio immacolato e con i capelli sgocciolanti attese una risposta che non tardò troppo ad arrivare: -Salve, parlo con Renèe Zvezda?- una profonda e balbettante voce maschile che non faticò a riconoscere le rispose con poca sicurezza. 

-Oh, Scott Stiller! Sarò sincera, speravo almeno per stasera di non sentire la tua voce, sinceramente.. a cosa devo il piacere?- Ridacchiò della sua stessa battuta a bassa voce: Scott Stiller era colui che ogni sera si prendeva la briga di registrare quei noiosi nastri guida per le guardie dove spiegava loro la situazione giorno per giorno, nastri che Rainy era costretta ad ascoltare prima di iniziare ogni turno.

Stiller non rise e per qualche momento Rainy pensò che se la fosse presa, ma non ci diede poi molta importanza. -Ascolta Renèe..ehm.. diciamo che non posso darti i dettagli per telefono ma abbiamo bisogno che tu venga qui subito: c'è stato un incidente e la polizia vorrebbe farti qualche domanda..- 

-..Eh?- Si bloccò di colpo: incidente? La polizia? Cosa stava succedendo?! Ma soprattutto: perché volevano parlare con lei? -Ja..ja, ascolta: dammi dieci minuti, arrivo.- Non attese risposta e si limitò ad attaccare la cornetta: era un casino, davvero un grossissimo casino; cosa voleva ancora da lei la polizia?

Non perse tempo ed una volta entrata in camera tolse l'accappatoio e si vestì alla veloce. I soliti vestiti: felpa, pantaloni aderenti e scarpe da tennis. Legò i lunghi capelli dorati in una coda alta e dopo aver preso documenti, walkman e chiavi di casa uscì di casa, avviandosi a passo svelto per la strada che conduceva alla pizzeria. 

Quando la ragazza arrivò lì si rese conto che le sue preoccupazioni erano fondate: al di fuori della pizzeria vi erano tre pattuglie e un ambulanza. Medici e poliziotti discutevano animatamente tra loro, presi dai loro  discorsi, mentre vicino all'entrata due ragazzine paffute dai corti capelli rossi piangevano. Rainy rimase per qualche minuto a fissarle, impressionata da quella scena così familiare: sembravano scombussolate mentre si stringevano a vicenda in una dolorosa stretta fraterna, gli occhi rossi e pieni di lacrime e le labbra contorte in una smorfia di dolore, un dolore che solo loro potevano comprendere. 

"Come faremo? Com'è potuto accadere?!" Piangevano loro, distrutte, mentre una poliziotta tentava invano di consolarle. 

La bionda deglutì e passò loro davanti tentando di guardarle il meno possibile, mentre con le mano tremanti aprì la porta d'ingresso del locale. All'interno il vuoto: nessun bambino strillante, nessun cliente intento a mangiare, solo persone in divisa e colleghi. 

-..Renèe..- Accanto a lei una voce femminile richiamò la sua attenzione: Victoria la fissava, bianca come se avesse appena visto un fantasma. In silenzio le si avvicinò di qualche passo fermandosi comunque a qualche metro di distanza dalla compagna. 

-Victoria, ciao. Non hai una bella cera..-  Renèe capì che anche per la ragazza qualcosa non andava quando questa abbassò lo sguardo, rigirandosi nervosamente tra le dita un orlo della camicetta. -Vic, cosa sta succedendo?- chiese poi, rivolgendosi al chiasso tutto attorno. La ragazza impiegò qualche secondo prima di risponderle: probabilmente tentava di trovare le parole adatte per spiegare una situazione cui nemmeno lei ancora credeva. 

-Stamattina hanno trovato aperta la porta del Creative Cove: dentro vi era Smith, l'hanno messo in un costume. E' morto.- 

Per un attimo la bionda si sentì crollare il mondo addosso: -Morto?- era frastornata: fino a poche ore prima aveva incrociato il collega durante il cambio turno e ora le veniva annunciata la sua morte. -Ho...capito.- Non sapeva cosa dire né tantomeno cosa fare; si limitò a chiudere la bocca e spostare lo sguardo altrove. 

"Poteva capitare anche a te!"

"Dovresti andartene da qui."

Le parole prendevano forma di urla nella sua mente e per una volta le lasciò parlare: era vero, rischiava una fine simile a quella del collega se avesse continuato a lavorare in quell'inferno, ma non poteva andarsene senza capire cosa diavolo stava succedendo. Poggiò una mano sulla spalla di Victoria, per poi farla scivolare lentamente sino a scostarla, interrompendo quel minimo di contatto fisico. Decise di dirigersi verso il creative cove senza più fermarsi: doveva vedere con i suoi occhi cosa stava succedendo. 

L'entrata della stanzetta era circondata di persone: colleghi e uomini in divisa correvano avanti indietro, chi scriveva appunti, chi faceva le foto e chi raccoglieva le prove erano troppo presi per rivolgerle attenzioni di alcun tipo. Scavalcò il nastro a righe ed entrò nel cove: il pavimento era ricoperto da strisciate di sangue vermiglio, probabilmente lo stesso che macchiava alcuni dei disegni strappati giacenti in terra. Non v'era traccia in quel momento della leonessa ma Renèe ipotizzò che si fosse nascosta da qualche parte nel cove in attesa che gli investigatori uscissero dalla sua tana. 

Tutta la stanza era in un totale stato di subbuglio, i tavolini e le sedie erano ribaltati e i colori a vernice rovesciati macchiavano il terreno di colori accesi e vivaci in totale contrasto con la scena agghiacciante che si presentava dinnanzi agli occhi degli spettatori. Sempre sulle piastrelle a scacchiera alcune impronte di sangue sin troppo grandi per appartenere ad un piede umano imbrattavano il passaggio dall'entrata al palchetto dalle tende purpuree chiuse

Gli schizzi di sangue misti a colori erano schizzati persino sui muri più lontani, quasi formando un disegno preciso nella mente della bionda che li fissava.

Il corpo di Fritz giaceva steso sul pavimento nella parte opposta della stanza rispetto all'entrata riverso sulle piastrelle ricoperte di sangue. Esso aveva il busto racchiuso in un costume a Renèe  più o meno familiare dal colore violastro, mentre le braccia erano libere e tempestate di ferite aperte, come se qualcosa avesse trapassato le membra del povero ragazzo da parte a parte. Le gambe erano nelle medesime condizioni delle braccia e sulla testa portava una maschera dalle lunghe orecchie del medesimo colore del costume.  

La scena e l'odore presente nella piccola stanza causarono alla donna un conato di vomito che con molta difficoltà si sforzò di reprimere, con passo incerto indietreggiò, per poi chiudere gli occhi, sforzandosi di non rivolgere più le pupille su quel macabro e orrendo spettacolo di cui era spettatrice. 

"Potevi essere tu la grande stella di questo lugubre teatrino al posto suo. Avresti recitato la sua parte per loro, tinta del tuo sangue sporco."

Scosse il capo non dando ascolto alle parole tanto enigmatiche quanto assurdamente chiare che vi rimbombavano voltando poi lo sguardo verso i suoi colleghi: le loro facce erano atterrite e incredule almeno quanto le sue. 

Non erano presenti tutti: Mike e Vincent per qualche motivo mancavano all'appello. Per qualche istante si domandò anche dove si trovasse Fritz, per poi realizzare cosa aveva pensato e che Fritz, da quel giorno in poi, non l'avrebbe mai più visto nessuno. 

Raggiunse gli altri silenziosamente appostandosi dietro di loro con lo sguardo basso e rimanendo silenziosa come un'ombra, forse per la prima volta da quando si trovava lì. 

- ...Renèe?- La sua attenzione venne richiamata da una voce maschile dal tono sin troppo delicato per essere tale: Jeremy le si avvicinò, poggiandole una mano sulla palla e abbassando lo sguardo verso di lei. -So che è una domanda stupida, ma è tutto a posto?- 
Gli occhi azzurrini del giovane rimasero puntati in sua direzione, mentre Renèe guardò prima i suoi e poi quelli degli altri, tutti stanchi e preoccupati, spaventati... e sorrise. Un sorriso quasi timido, piccolo e debole, un sorriso che sperava quasi potesse accendere una fioca luce in quel buio assoluto che circondava gli altri. 

-Sto bene, Jeje, non preoccuparti!- rispose con falsa sicurezza, annuendo, per poi rivolgersi anche agli altri: -E dovreste calmarvi anche voi: non vorrete di certo andare fare compagnia a Smith! Si può sapere come, o meglio, chi gli ha fatto questo? Il modo è piuttosto... chiaro, diciamo.- Portò le braccia al petto incrociandole mentre lo sguardo saettava tra gli altri. Il primo a parlare fu Stiller; che le aveva risposto al telefono poco tempo prima: -Noi pensiamo sia opera di uno dei nostri animatronics, ma, per ora, nessuno di voi addetti alla sicurezza è a conoscenza del colpevole. O almeno quasi.-

-Io invece credo che tutti dovremmo saperlo: è semplice parlare a vanvera quando si ci nasconde dietro ad un registratore, ma qui ci rischiamo le penne tutti.- La bionda ribattè aspramente portando le braccia sui fianchi: come dimostrato dai movimenti frenetici si stava innervosendo e non poco. -So dove vuoi arrivare, ho visto chi c'è qui dentro. Noi qui non possiamo metterci piede solo per lei? Un po' strano, non credi? Dopotutto l'intero ristorante è disseminato di quei.. cosi che camminano indisturbati tra la gente. Io penso che ci sia una ragione prer cui non ci possiamo interagire, non è vero?- 

La domanda sorse spontanea da uno dei presenti: davvero nessuno oltre a loro tre sapeva nulla a riguardo? -Chi è lei?- Jeremy si fece avanti, preso dalla piega sinistra del discorso e ormai stanco, come gli altri, dei continui misteri che gli si ponevano davanti. 

-Parlo della leonessa, quella che ho incontrato quando sono entrata qui con Victoria. Cos'ha di sbagliato? E' qui perché ha qualche malfunzionamento o è qui perché è pericolosa? Anche se a questo punto non definirei "sicuro" qualcuno di quelle diavolerie ambulanti!- Proprio quando la situazione iniziava a scaldarsi, passi pesanti e decisi interruppero la bionda, seguito da una più che familiare voce roca. 

-Zvezda, veda di moderare le sue parole se intende continuare a lavorare nel mio ristorante.- L'amministratore delegato raggiunse i suoi sottoposti, mantenendo un'aria distante e con le grosse braccia incrociate dietro la schiena. Con i piccoli occhi giallastri cerchiati dalle occhiaie scrutava uno per uno i suoi dipendenti, chi più e chi meno: Renèe non si sentì certo sollevata nel rendersi conto di essere una delle persone sulla quale si soffermò di più con lo sguardo. 

-..Ja.- Si limitò a rispondere a monosillabi, già troppo seccata per dire altro, per poi distogliere lo sguardo dagli altri, rivolgendolo verso le tende del palchetto dietro le quali era nascosta la leonessa. 

-Io devo lavorarci qui, ci rischio la vita ogni notte, quindi voglio sapere anche io i chi sta parlando Renèe.- Jeremy, ancora una volta, mise da parte la timidezza e si fece avanti a testa alta dinnanzi al suo capo: la questione lo toccava troppo da vicino perché potesse dimostrarsi timido. Prese a giocherellare con le maniche della sua camicia mentre ansioso aspettava una risposta. 

Il capo e Scott si scambiarono qualche sguardò, dopodiché l'uomo anziano sospirò, prendendo un sigaro dalla tasca interna della giacca e portandoselo tra le labbra. -Io vado a fumare. Stiller.. spiega ai tuoi colleghi la situazione.- Scomparì con la stessa calma con cui era arrivato, uscendo dalla porta. Scappava, come se la situazione fosse troppo pesante persino per lui: non era la prima volta che qualcosa capitava in uno dei suoi locali, ma in qualche modo si sentiva al sicuro dietro alle sue regole le quali parlavano chiaro: se lo staff entrava in luoghi vietati la colpa di tutto era loro. 

-Andiamo fuori di qui: non possiamo toccare nulla qui dentro.- Proprio come il capo in precedenza Scott lasciò la stanza, seguito dai colleghi. La porta dell'uscita di sicurezza era spalancata, così andarono a parlare nel retro, dove probabilmente nessuno li avrebbe disturbati. Il retro della pizzeria adibito allo staff era a dir poco spoglio: vi erano solamente due tavoli con rispettive panche poco lontane dai bidoni e i tubi di scarico di gas e condotti di aereazione. Si sedettero ad uno dei tavoli in modo che Scott fosse a capotavola e tutti potessero seguire il suo discorso. 

Questo prese un respiro profondo ed iniziò a parlare: -La leonessa si chiama Seraphine ed è stata una dei primi animatroni ad essere introdotti al pubblico, nella prima, piccola pizzeria. Per un lungo periodo è stata una della delle attrazioni principali del locale ma, sapete, i bambini si stufano in fretta, così abbiamo sostituito anche lei con le nuove mascotte. Quando siamo arrivati in questa nuova sede tuttavia nel tentativo di risistemarla ha aggredito uno dei tecnici. Non sappiamo bene le reali dinamiche dell'incidente, ma abbiamo pensato che non fosse una buona idea rimetterla con gli altri, così l'abbiamo messa del tutto in disuso e abbiamo promesso un compenso al dipendente se non avesse parlato in giro di quello sfortunato incidente.
La sua porta era chiusa a chiave, tuttavia stamattina abbiamo scoperto che la porta era aperta e la chiave sparita. Gli ultimi filmanti sono andati cancellati: probabilmente qualche giorno fa è finito il nastro e non è stato cambiato. Chiuderemo per tutta la durata delle indagini, che speriamo finiscano in pochi giorni.- 

Nel piccolo spiazzo calò il silenzio: nessuno dei presenti proferì altra parola, sinché una donna dai capelli castani non li raggiunse.

Tutti lì conoscevano l'agente Haley Morgan ma nessuno voleva mai averci a che fare: Haley faceva parte del corpo che si occupa degli omicidi violenti e la sua presenza non era mai di buon auspicio. -Devo parlare con tutti voi, uno per volta: seguitemi per favore.- esordì con voce priva di emozioni, poggiando una mano sul muro accanto a lei. 
Haley aveva una corporatura atletica e slanciata, dalla pelle olivastra e i capelli castani mossi raccolti in una coda. I suoi vestiti erano perfettamente stirati, puliti e ordinati e la sua postura dritta e decisa, lo sguardo alto di chi non ammetteva ragioni di alcun genere, presentava una determinazione mozzafiato: se si poneva uno scopo lo raggiungeva, e non guardava in faccia a nessuno per farlo.

Victoria andò per prima e tornò poco dopo, poi fu il turno di Jeremy e venne trattenuto molto di più della ragazza, quaranta minuti. Renèe fu la terza a venir chiamata dalla coetanea: con movimenti quasi incuranti si alzò dalla panca, spolverandosi poi i pantaloni e la felpa. Dopodiché seguì la castana dall'altro lato della pizzeria, verso la volante della polizia. Mentre attraversava i corridoi della pizzeria incrociò Bishop, poco distante dalla stanza del delitto: questi le diede un colpetto sulla spalla senza dirle nulla ma incrociando qualche secondo lo sguardo con il suo, prima di dirigersi verso l'uscita sul retro. 

"Alla buon ora.." Pensò la donna, ascoltando vigile i passi dell'uomo che man mano si allontanavano sempre di più, sino a scomparire nel nulla. Si affrettò a raggiungere l'agente, la quale l'accompagnò all'uscita della pizzeria. Allorché la invitò a sedersi sul sedile della volante e, dopo averla messa in moto, si allontanò dal locale, arrivando in uno spiazzo deserto. 

Fu la castana per prima a parlare: -Renèe Wolfram Zvezda, giusto?-

-Ja.- 

-Nata a Berlino Ovest, distretto di Spandau a Falkenhagener Feld, residente sino all'età di dodici anni a GriesingerstraBe? Dopo la scomparsa dei tuoi genitori Agnes Margot Lammers e Markus Theodor Zvezda e tuo fratello maggiore Thomas Hanselm Zvezda ti sei trasferita in America, nello stato del Minnesota a Willmar, Litchfield Av. con la zia materna Dana Lammers coniugata con Adam Johnson, i quali hanno altri due figli: Friedrich Johnson e Phoebe Johns-- 

-Conosco bene la mia storia, agente Morgan, può anche risparmiarsi di ripetermela.- La bionda mise a tacere la poliziotta prima che potesse finire di parlare con parole secche e decise, di chi non chiede ma pretende e lei in quel momento pretendeva che la donna la piantasse di ficcanasare nel suo vissuto.


-Siamo suscettibili, eh?- rispose l'altra, lanciandole uno sguardo indagatore. -Ascolta, Zvezda, ho alcune domande da farti. In che rapporti eri con la vittima?-

-Domande? Non dovrei avere un avvocato al seguito?-

-Non è un interrogatorio formale: sto solo tentando di ricostruire i fatti. Puoi avvalerti della facoltà di non rispondere e se ritieni di averne bisogno hai diritto alla presenza del tuo avvocato. Ti devo tutta via avvertire del fatto che qualsiasi cosa accade nella volante viene registrato e analizzato.-

Non le piaceva di certo l'idea di dover rispondere a domande di carattere privato e personale, ma sapeva che in qualunque caso avrebbe dovuto farlo: si prospettava un caso impegnativo e sarebbe stata certamente richiamata per un interrogatorio vero e proprio, come d'altronde i suoi colleghi.

-Non provavo molta stima per Smith. Una persona totalmente anonima e priva di buonsenso, penso la persona più codarda che abbia mai incontrato. Non eravamo in buoni rapporti, ma per lo più ci ignoravamo a vicenda.-

-E quando vi siete visti per l'ultima volta?-

-Qualche notte fa abbiamo avuto una discussione, dopodiché l'ho visto solo di sfuggita i giorni successivi fino all'altro ieri. Ieri avevamo turni diversi, non l'ho incrociato.-

-Una discussione? Il motivo?-

-Turni lavorativi, per chi avrebbe lavorato questa settimana nel notturno. Voleva un cambio e io avevo altro di meglio da fare.-

-Cosa, se posso chiedere?-

-Dovevo studiare: sono nel pieno della sessione degli esami, voglio prendere il Master degree prima della fine dell'anno.-

-Va bene. Quindi non hai mai incontrato la vittima al di fuori dell'ambiente lavorativo?-

-Nein, mai. Non ne avrei la ragione.-

-Sai se all'interno dell'ambito lavorativo ha avuto problemi con gli altri colleghi? Qualcuno a cui ha fatto un torto o cose simili..-

-Sinceramente no: nessuno era poi molto legato a Fritz, ma non penso che qualcuno tra di noi possa arrivare a questo.-

La castana tacque per qualche secondo, per poi voltarsi verso Renèe con aria seria e cupa.

-Renèe, sei a conoscenza di qualcosa che dovrei sapere?-

La bionda si bloccò per qualche istante e si rese conto di essere in conflitto con sé stessa: sarebbe stato corretto parlare di ciò che avveniva nel locale? Sarebbero stati tutti d'accordo con lei se l'avesse fatto?

-..Nein.-

In un certo senso pensò che l'omertà fosse la scelta migliore, ma si ripromise tuttavia che, a tempo debito, avrebbe svelato con le sue stesse labbra i misteri che si celavano dietro alla pizzeria degli orrori.

-Se dovesse venir fuori che sei in qualche modo coinvolta visto il tuo particolare passato ti verrebbe revocata la cittadinanza americana, ne sei a conoscenza, vero?-

-Lo so, Morgan.-

Furono le ultime parole prima che tra le due calasse il silenzio.  In un certo senso Renèe provava una sorta di ammirazione  mista a pietà nei confronti della poliziotta: era duro fare un lavoro del genere in una cittadella così piccola, dove ciò che facevi era sulla bocca di chiunque in meno di una giornata. Haley era una donna dall'eccezionale coraggio che, devota della giustizia e paladina del popolo, aveva rinunciato alla sua vita e ai suoi sentimenti per perseguire i suoi obbiettivi. 

E in fondo per quanto fastidiosa potesse essere lei non stava facendo altro che seguire la sua vocazione e fare il suo lavoro, ricomponendo i tasselli per risolvere il caso.

Il viaggio di ritorno fu più rapido di quello di andata, si trattava di poco più di una decina di minuti.

Prima di scendere dalla volante Renèe si fermò, voltandosi verso l'agente: -Chi sono le due ragazze? Parenti di Fritz?-

-Sì, sono le sorelle minori. Pare che Fritz Smith ne fosse il tutore legale e lavorasse per pagare la cauzione e la permanenza in comunità alla madre.
Una vera tragedia: penso che verranno accudite dai nonni fino al compimento della maggiore età. Non sarà facile per loro.-

Renèe smontò dalla macchina e salutò con un cenno della mano la donna ancora al suo interno.

Rimase immobile a fissare le due sorelle piangere in silenzio da lontano; la sua mente prese a viaggiare ma prima che le voci rovinassero il momento le zittì con determinazione. Si concentrò sul fruscio del vento e sul disperato singhiozzio delle due fanciulle e comparò i due suoni, mentre man mano l'ambiente circostante andava svanendo, sostituendosi all'indefinita oscurità della solitudine. 
Le sembrò quasi di sentire il cuore accelerare il suo battito e perderne uno, mentre la sua testa vagava ormai tra passate stagioni e presente, persa nei suoi pensieri e non più in grado di rispondere agli stimoli esterni, ma non appena avvertì di trovarsi sul lastrico, di ciondolare tra la realtà e l'incoscienza si aggrappò saldamente alla realtà, tornando in sé. 
Non più in grado di sostenere la situazione la donna si allontanò a passi lenti dal luogo, passò inosservata sino ad arrivare alla sua abitazione. Aprì la porta dell'appartamento e come uno zombie si trascinò sino alla camera da letto, lasciandosi cadere su di questo a peso morto.

Nel momento in cui il suo corpo venne avvolto nelle calde coperte che si sentì nascosta da occhi indiscreti; dopo tanto avvertì le lacrime scivolarle calde e rapide sulle gote. I singhiozzii la scossero mentre lei si rannicchiava sul grande letto: i pensieri la assalivano e divoravano e lei si sentiva impotente rendendosi conto di non poterli più frenare. Allungò una mano al comodino e afferrò la boccetta di pillole con presa incerta. Senza nemmeno contarle se ne rovesciò alcune sulla mano e le ingoiò subito dopo.
Prese a contare ad alta voce, ma prima di arrivare al cento le forze la abbandonarono, conducendola in un sonno profondo.

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Il vento soffiava forte, mentre il sole all'orizzonte si apprestava a tramontare. Una piccola Renèe si guardava intorno al centro di un infinito campo di grano mentre osservava attentamente le nuvole rosee cambiare colore. Poco distante, una grande villa bianca dalle tegole nere si ergeva. 

-Ehi, Rainy!-

Non appena udì la voce la piccola si voltò di scatto, facendo smuovere il caschetto dorato che le incorniciava il volto pallido; alle sue spalle la sua famiglia l'aspettava: Thomas davanti a tutti camminava verso di lei con la solita aria allegra, il papà  camminava lento intento ad osservare il grano crescergli attorno rigogliono, mentre la madre camminava dritta e decisia, fumando una sigaretta da quella che pareva una bellissima pipa da oppio.
La bambina corse incontro al trio, gettandosi tra le braccia del fratello maggiore, che come una piuma la sollevò dal terreno, prendendola in braccio.

-Furbetta, ecco dove ti eri andata a cacciare..!-

Per qualche attimo le parve di vivere in un mondo perfetto, con una famiglia felice e affiatata, ed ebbe giusto il tempo di godersi il momento prima che la situazione prendesse a degenerare: la decisa brezza di fine estate parve prendere fuoco all'improvviso tramutando in cenere le piantagioni che circondavano la famiglia.
Il givane volto del fratello maggiore prese lentamente a sciogliersi, così come per i genitori. Renèe cadde sul terreno e rimase impotente ad osservare la sua tanto agoniata felicità dissolversi al terreno, terrorizzata si alzò dal terreno e si voltò verso la casa, che era in quel momento tutto ciò che d'intatto rimaneva nella sua vita.
Disperata corse a perdi fiato, incurante delle ustioni che l'ambiente circostante le provocava sulle caviglie, ma quando arrivò davanti alla villa era ormai troppo tardi: i candidi muri dell'abitazione erano scuri e ormai distrutti, mentre la casa fiammeggiava nella notte. 
Lei era coperta di ferite e la sua vita era ormai distrutta. Alle sue spalle la sua ombra prese vita e alzandosi minacciosa la inghiottì in un sol boccone con tutto l'ambiente circostante, e fu nuovamente il nero. 
Tutto ciò che poteva vedere era una luce candida e soffusa; una figura tanto simile alla sua di avvicinò e la strinse, quasi come se volesse nasconderla dai pericoli, per poi fondersi in lei.
"Andrà tutto bene, Rainy... Rainy?"

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-Rainy? Sei tra noi?- 

Sentendosi chiamare la donna schiuse piano gli occhi smeraldini: la prima cosa che vide fu il volto di Friedrich che la fissava preoccupato. 

-Fred, sie dummkopf.. Cosa ci fai qui?-
Confusa si mise a sedere guardandosi intorno, e rendendosi conto della presenza, assieme a quella del farello adottivo, di Wendy: Wendy era una giovane ragazza di madre cinese e padre americano con cui aveva stretto un forte legame nel corso degli anni passati negli Stati Uniti.
-Oh, Wendy, ci sei anche tu!-

-Eravamo preoccupati: per quasi due giorni sei sparita nel nulla, non ti sei fatta vedere da nessuna parte e non rispondevi al telefono. Ci ha allarmati un tuo collega e ci ha spiegato dell'incidente, ha detto che avete parlato tutti con Haley.. va tutto bene?- il ragazzo dai capelli ramati si sedette al bordo del letto guardando la bionda dritta in volto, mentre alle loro spalle Wendy si muoveva per la stanza. Si avvicinò al letto e raccolse la boccetta arancione e le poche pillole rimaste sparse sul letto e al suo interno, leggendone l'etichetta-

-Sto bene, ovviamente! Ero stanca e ho dormito, tutto qui.-

-Per due giorni di fila?- La coetanea intervenne, rigirandosi tra le mani il medicinale. -Quante ne hai prese, Rainy?- Chiese, lanciandole il contenitore.

L'altra lo prese al volo e gli lanciò uno sguardo, rimanendo silensiosa per qualche attimo. -Non le ho contate.- rispose poi, rimettendole al loro posto sul comodino. -Avevo voglia di dormire e le ho prese, me le hanno prescritte per quello dopotutto!-

L'altra sospirò, cambiando stanza. -Ci rinuncio: vado a farmi un caffè.- Rispose svogliata, chiudendo la porta alle sue spalle.

Fu difficile per Renèe convincere i due ad andarsene in sicurezza: loro erano sempre stati una squadra, un trio, e addirittura entrambi erano in possesso della chiave del suo appartamento. Questo in realtà era per ragioni di sicurezza: Renèe sapeva essere improvedibile e fare le cazzate peggiori, ragion per cui i dottori avevano trovato che dare anche alle persone più fidate un duplicato della chiave fosse la scelta migliore.
Non appena uscirono Rainy si sistemò e vestì, prese poche cose, indossò le cuffie ed anche lei lasciò l'abitazione: tra le mani stringeva una mappa della cittadella su cui era evidenziato con un cerchio arancione un edificio non troppo lontano. 

Percorse la strada come se nulla fosse sino ad arrivare all'abitazione della famiglia Smith: si bloccò per qualche attimo dinnanzi al vialetto esitante sul da farsi, per poi proseguire dritta sulla sua strada. 
Si fermò dinnanzi alla porta e suonò il campanello senza nemmeno darsi il tempo di rifletterci; la risposta non tardò ad arrivare e come previsto la maggiore delle due venne ad aprire alla porta: sembrava realmente distrutta, a pezzi. Doveva essere complicato per loro andare avanti in quel momento.

-Chi è lei?- chiese sospettosa alla donna sistemandosi con una mano gli occhiali sugli occhi color nocciola, senza aprire del tutto la porta.
Entrambe le sorelle presentavano un'estrema somiglianza con Fritz: i capelli erano rossi e ricci racchiusi in una grande pinza, indomabili, mentre il loro volto era cosparso di fitte lentiggini. Non erano certamente magre nè molto alte. 
Presentavano delle profonde occhiaie violastre dietro alle spesse lenti degli occhiali da vista e la pelle pallida metteva in risalto il loro malesse

-Mi chiamo Renèe. Ero una collega di vostro fratello, se permettete vorrei parlarvi..- 

-Mi dispiace, Renèe, ma questo non è il momento adatto: sappiamo cos'ha fatto a nostro fratel- - 

-Bea. Dovremmo farla entrare..!- La ragazza venne interrotta dalla sorella che fece capolineo da dietro una parete, avvicinandosi.

-Ma Michelle..- 

-Non dobbiamo dimenticare le buone maniere, Beatrice: lasciala entrare.- Michelle si fece spazio e spalancò la porta dinnanzi alla bionda, che iniziava a sentirsi  un po' troppo a disagio. -Prego, vieni, da questa parte!- aggiunse, facendo cenno a Renèe di accomodarsi. 

  Entrambe le sorelle presentavano un'estrema somiglianza con Fritz: i capelli erano rossi e ricci racchiusi in una grande pinza, indomabili, mentre il loro volto era cosparso di fitte lentiggini. Non erano certamente magre nè molto alte. 
Presentavano delle profonde occhiaie violastre dietro alle spesse lenti degli occhiali da vista e la pelle pallida metteva in risalto il loro malesse. Indossavano abiti comodi e molto probabilmente stinti e rovinati: evidentemente non avevano in programma di uscire. 
Non poteva vedere molto altro, coperte com'erano, pertanto non riuscì ad osservarle come avrebbe voluto. Una di queste, Beatrice, aveva le dita e le unghie segnate dal giallo della nicotina e le pupille molto ristrette rispetto alla norma, tanto da far pensare alla bionda di aver utilizzato sostanze stupefacenti.  

In pochissimo tempo Renèe si ritrovò seduta ad un tavolo grigio con davanti dei biscotti e una cioccolata calda fumante. Tamburellava le dita agitata mentre le due sorelle le parlavano, raccontadole esperienze e peripezie del fratello. 
Passò parecchio tempo prima che smettessero, interpellandona. 

-Posso farti una domanda?- Fu Beatrice, la più grande delle due, a parlare, abbassando lo sguardo. -Fritz ci ha detto che tu non lo sopportavi, perché? Avevate litigato?- 
 

La donna si sentì presa in contropiede: come poteva spiegare loro la situazione? 
-Possiamo dire distanza di vedute. Si è comportato diverse volte in modo scorretto nei miei confronti. Inoltre, non ho una particolare simpatia per le persone con il suo carattere.-
Rispese senza entrare nei dettagli, per poi bere un sorso di cioccolata, voltandosi verso la finestra.

-Sai, a volte mio fratello dava quest'impressione di persona priva di carattere, tuttavia ti assicuro che lui non era così: ne abbiamo passate tante e ci ha cresciute e sostenute, non è stato semplice ma ce l'abbiamo fatta totalmente da soli.
Nostra madre si trova in carcere e la cauzione è troppo alta per noi da pagare, così ci organizzavamo con poco nel migliore dei modi: io e Fritz lavoravamo, mentre mia sorella metteva la quota che doveva utilizzare per la scuola...-

Fu così che iniziò a raccontare anche di loro e della famiglia, del fratello, dei genitori e delle loro condizioni difficoltose: Renèe non le interruppe e rendendosi conto del loro bisogno di sfogarsi le lasciò parlare, rimanendo in silenzio ad ascoltare; scoprì che la madre era stata arrestata per la terza volta due anni prima per spaccio di droghe e che si era separata dal padre quando le bambine erano ancora molto piccole a causa dei continui litigi, che Fritz aveva lasciato da giovane gli studi per lavorare e aiutare la madre ad occuparsi delle sorelle più piccole e che anche la più grande delle due l'aveva seguito, abbandonando i suoi studi, sorte che ora sarebbe toccata anche alla più piccola.
Alla fine non disse nulla di ciò che avrebbe voluto dire: era intenzionata a scusarsi per il trattamento da lei riservato a Fritz, ma si rese conto di quanto inopportune potessero essere le scuse in quel momento. 
Quando se ne andò era ormai calata la sera: si alzò dal tavolo e le due l'accompagnarono all'uscita sorridenti, come se si fossero liberate da un peso sulla coscienza. Sorrise anche lei di rimando, salutandole e sentendosi soddisfatta di sè stessa.

Lasciò il viale a testa alta e con una silenziosa promessa: avrebbe svelato il mistero e scoperto il vero colpevole dei tremendi avvenimenti in onore delle due sorelle, ci avesse anche rischiato le penne. 

 

Qualche giorno dopo le due sorelle trovarono nell'entrata una lettera bianca: questa conteneva un assegno di diecimila dollari e cinquecento dollari in contanti. Al suo interno vi era anche una lettera: 
<< Usateli per pagare la cauzione a vostra madre e iscrivervi a dei corsi di studio validi: è un momento duro ma non abbattetevi e continuate a seguire i vostri sogni a testa alta; il futuro ha bisogno di persone come voi. Non date ascolto al suono della paura e cogliete le vostre opportunità.>>

Renèe fece scivolare la lettera sotto l'uscio della porta e si allontanò a passi rapidi dall'abitazione delle due, scomparendo nel buio della notte.

Mentre si allontanava lo schermo del telefono mobile si illuminò nella tasca del pantalone e questo vibrò variate volte. Prese in mano in cellulare e rivolse lo sguardo allo schermo: un messaggio in arrivo.

   
 
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